Cassazione Penale, Sez. 4, 20 febbraio 2017, n. 8057 - Folgorato durante i lavori di sostituzione di cavi elettrici: responsabilità del datore di lavoro


 

Presidente: BIANCHI LUISA Relatore: BELLINI UGO Data Udienza: 20/07/2016

 

Fatto

 

l. La Corte di Appello di Palermo con sentenza pronunciata in data 27 Gennaio 2016 confermava in punto a responsabilità penale la decisione del Tribunale di Agrigento che aveva riconosciuto LS.S. colpevole del reato di lesioni personali gravissime con violazione delle disposizioni antinfortunistiche ai danni del proprio dipendente F.S. il quale nell'eseguire degli interventi di sostituzione di cavi elettrici all'interno di cabina Enel di cui il datore di lavoro era consegnatario rimaneva folgorato con conseguente amputazione del braccio destro e del quarto dito della mano sinistra.
2. In particolare veniva contestato al LS.S. una non corretta ed adeguata informazione e istruzione sul lavoro da compiere e di non avere fornito al lavoratore i dispositivi necessari per operare in sicurezza, nonché per non avere curato che la cabina fosse priva di tensione elettrica disabilitando a monte la fornitura e comunque insistendo affinchè i lavori venissero portati a termine nonostante le perplessità e i pericoli paventati dal lavoratore.
3. Il giudice di appello, preliminarmente evidenziava che non era necessario procedere alla riapertura dell'istruttoria dibattimentale per sentire il consulente tecnico di parte della difesa, atteso che lo stesso aveva proceduto a svolgere le sue attività tecniche, anche in replica alle conclusioni del perito, anche mediante controdeduzioni utilizzate dalla difesa per lo svolgimento dei motivi di appello.
4. Riconosciuta in capo al LS.S. una posizione di garanzia in relazione alla esecuzione delle opere da eseguirsi presso la cabina Enel la cui realizzazione era stata affidata al F.S., evidenziava carenze di carattere amministrativo nella predisposizione di un documento di valutazione dei rischi e una carente informazione al dipendente sulle modalità esecutive del lavoro da compiere, anche a fronte delle incertezze manifestate dall'operaio al datore di lavoro e in assenza di partecipazione a corsi specifici di qualificazione, a fronte della complessità del lavoro da eseguire, il quale richiedeva la compilazione di due ulteriori documenti e la presenza del titolare in funzione di sorveglianza dei lavoratori, in una posizione di garanzia pertanto non delegabile.
5. Escludeva poi il giudice di appello che le dichiarazioni del LS.S., nella comunicazione a distanza con il dipendente F.S. che gli prospettava i propri dubbi sulla esecuzione dell'intervento, potessero essere interpretate quali revoca dell'incarico affidato.
6. Sotto diverso profilo contestava la dinamica del sinistro prospettata dalla difesa tecnica del LS.S. sul presupposto che la cabina fosse stata posta in sicurezza dallo stesso titolare in epoca precedente e pertanto della ricorrenza di un evento elettrico eccezionale determinato da causa naturale, ponendo in rilievo invece, conformemente alle conclusioni peritali il realizzarsi di un arco elettrico all'interno della cabina determinato verosimilmente da una errata sequenza di manovre da parte del LS.S. all'atto del distacco della tensione, ovvero per non essersi assicurato sulla richiusura del selezionatore, avendo lasciato aperta la porta dove questo era collocato.
7 Per altro verso veniva riconosciuta la responsabilità del datore di lavoro anche nel caso in cui la formazione dell'arco elettrico fosse dipeso, come possibile da una errata manovra dell'operatore il quale non aveva avuto istruzioni precise su come operare,riconoscendo pertanto la sussistenza di imputazione causale della colpa nei reati commissivi mediante omissione, attraverso la verifica del giudizio contro fattuale.
8. Avverso la sentenza interponeva ricorso per cassazione la difesa del LS.S. il quale con un primo, articolatissimo motivo di ricorso deduceva vizio di motivazione e violazione di legge sia in punto a sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta ascritta e l'evento dannoso, sia la carenza di profili di addebitabilità per colpa.
Riportando ampi passi delle difese tecniche il ricorrente contestava la motivazione del primo giudice nella parte in cui aveva ravvisato la causa della folgorazione del F.S. come dipendente da una omessa corretta messa in sicurezza della cabina ovvero ad errore dello stesso dipendente atteso che, alla stregua delle risultanze acquisite agli atti, pure in assenza di tempestive constatazioni tecniche in sede di sopralluogo da parte dell'organo ispettivo della Asl, il fatto occorso al dipendente F.S., in presenza di cabina posta in sicurezza, di evento realizzatosi quando gli operai avevano finito di smontare i cavi, di mancanza di anomalie degli elementi elettrici della cabina, non poteva che essere attribuito ad un evento atmosferico quale quello di un fulmine.
8 Sotto diverso profilo poneva in rilievo come ancora a monte del fenomeno elettrico realizzatosi era intervenuta la revoca dell'ordine di lavoro da parte del LS.S., revoca alla quale il dipendente si era sottratto volontariamente, senza neppure riferire al datore di lavoro delle avverse condizioni meteorologiche nel frattempo realizzatesi.
Risultava poi viziato da inosservanza di disciplina cautelare comunitaria in materia di sicurezza del lavoro l'argomentare del giudice di appello nella parte in cui escludeva che il lavoratore potesse svolgere da solo le operazioni cui era stato incaricato laddove la disciplina più stringente si riferiva ad attività di più ampia manutenzione della cabina elettrica laddove nel caso in specie si trattava di singola operazione di sostituzione, che bene poteva esser eseguita dall'operaio sotto la supervisione della persona esperta.
Sotto il profilo sanzionatorio deduceva vizio motivazionale e violazione di legge in ordine alle modalità di graduazione della pena e del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
9. La difesa della parte civile depositava in data 20 Luglio 2016 memoria difensiva con la quale,nell'illustrare la infondatezza delle doglianze avanzate, anche sotto il profilo processuale dalla difesa del ricorrente, ne chiedeva il rigetto.
 

 

Diritto

 


1. In relazione ai motivi di doglianza del ricorrente, va preliminarmente osservato che in punto di vizio motivazionale, compito del giudice di legittimità, allo stato della normativa vigente, è quello di accertare (oltre che la presenza fisica della motivazione) la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti. Neppure il giudice di legittimità è tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie nell'ambito di una adeguata opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, essendo estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (ex pluribus: Cass. n. 12496/99, 2.12.03 n. 4842, rv 229369, n. 24201/06); pertanto non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più corretta valutazione delle risultanze processuali. È stato affermato, in particolare, che la illogicità della motivazione, censurabile a norma del citato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata (Cass. SU n. 47289/03 rv 226074). 1.2 Detti principi sono stati ribaditi anche dopo le modifiche apportate all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) dalla L. n. 46 del 2006, che ha introdotto il riferimento ad "altri atti del processo", ed ha quindi, ampliato il perimetro d'intervento del giudizio di cassazione, in precedenza circoscritto "al testo del provvedimento impugnato". La nuova previsione legislativa, invero, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane comunque un giudizio di legittimità, nel senso che il controllo rimesso alla Corte di cassazione sui vizi di motivazione riguarda sempre la tenuta logica e la coerenza strutturale della decisione. Precisazione, quella appena svolta, necessaria, avendo il ricorrente denunciato, con il primo motivo di ricorso, anche il vizio di travisamento della prova o comunque la mancata assunzione in primo grado delle considerazioni tecniche del consulente tecnico di parte, peraltro trasfuse tanto nei motivi di appello, quanto nei motivi di ricorso in Cassazione e che pertanto hanno formato oggetto di esame da parte del giudice di appello.
2. Così come sembra opportuno precisare che il travisamento, per assumere rilievo nella sede di legittimità, deve, da un lato, immediatamente emergere dall'obiettivo e semplice esame dell'atto, specificamente indicato, dal quale deve trarsi, in maniera certa ed evidente, che il giudice del merito ha travisato una prova acquisita al processo, ovvero ha omesso di considerare circostanze risultanti dagli atti espressamente indicati; dall'altro, esso deve riguardare una prova decisiva, nel senso che l'atto indicato, qualunque ne sia la natura, deve avere un contenuto da solo idoneo a porre in discussione la congruenza logica delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito.
3. Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dal ricorrente, atteso che la valutazione articolata dai giudici di merito, sulla base degli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilità del ricorrente, mentre le censure da questa proposte finiscono sostanzialmente per riproporre, anche con il richiamo e la allegazione dei motivi di appello, argomenti già esposti in quella sede, che tuttavia risultano ampiamente vagliati e correttamente disattesi dalla Corte territoriale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, fondata su una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal modo richiedendo uno scrutinio improponibile in questa sede.
I motivi articolati presentano pertanto profili di inammissibilità a fronte della linearità e della adeguatezza della struttura motivazionale della sentenza impugnata sia nell'escludere che a fondamento della folgorazione all'interno della cabina Enel, ove la persona offesa era stata chiamata a intervenire su disposizione del LS.S., vi fosse stato un evento atmosferico, imprevisto e imprevedibile per il ricorrente, sia che, a seguito delle comunicazioni telefoniche intervenute tra il LS.S. e l'operaio, fosse intervenuta una revoca dell'incarico.
4. In particolare la Corte territoriale ha indicato una serie di elementi a sostegno del proprio convincimento in punto a sussistenza tanto del rapporto di causalità omissiva quanto dell'elemento soggettivo del reato, argomenti con i quali la difesa della ricorrente non mostra di confrontarsi pienamente, o comunque solleva perplessità o articola alternative soluzioni tecniche, le quali risultano adeguatamente scrutinate dal giudice di merito il quale ha ampiamente rappresentato come siano emerse omissioni del datore di lavoro sia nella predisposizione del documento di valutazione del rischio e della predisposizione di Piano di Intervento e di Lavoro in presenza di "lavoro complesso", sia nella informazione all'operaio sulla modalità esecutiva della sostituzione dei cavi.
Quanto poi alla specifica dinamica del fatto il giudice di appello con motivazione articolata e del tutto congrua sotto il profilo logico giuridico ha disatteso la prospettazione difensiva, poggiata, anche per relationem, sulle considerazioni del consulente tecnico di parte, che, a fronte della messa in sicurezza della cabina e dell'assenza di vizi costruttivi della stessa, la scaturigine della scarica elettrica era attribuibile a causa esterna e imprevedibile, degradandola a mera congettura. Rappresentava al contrario che la presenza di effetti ancora visibili dell'arco elettrico sviluppatosi all'interno della cabina e le dichiarazioni dei testi ivi presenti, riconduceva alla responsabilità del LS.S. in relazione ad entrambe le ipotesi alternative formulate dal perito. Invero sia nella ipotesi in cui l'arco elettrico si fosse realizzato in ragione della erronea sequenza di manovre per il distacco della tensione preventivamente realizzato dal LS.S., sia nella ipotesi in cui l'evento si fosse verificato per una errata manovra dell'operatore infortunato, il fatto era comunque addebitabile a titolo di colpa al datore di lavoro, il quale con la propria condotta imprudente non aveva lasciato in sicurezza la postazione in cui il F.S. sarebbe stato chiamato ad operare, ovvero aveva negligentemente omesso di impartire al dipendente le istruzioni necessarie per evitare il rischio di esposizione a di scariche elettriche.
5. Sotto il profilo causale inoltre il giudice di appello escludeva che fattore interruttivo del collegamento eziologico tra la colposa condotta del LS.S. e l'evento fosse rappresentato dal comportamento abnorme, ovvero dalla iniziativa personale del lavoratore a fronte della revoca dell'Incarico. Invero quanto alla deduzione del comportamento abnorme del lavoratore è stato evidenziato dal S.C. che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l’evento-morte o lesioni - del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento. (La Suprema Corte ha precisato che è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante nel segmento di lavoro attribuitogli (vedi sez.IV, 28.4.2011 23292; 5.3.2015 n.16397). Sotto diverso profilo evidenziava la Corte di Appello che in nessun modo poteva integrare la revoca dell'originario incarico di intervento la interlocuzione tra il F.S., che manifestava al LS.S. le proprie perplessità sulla pericolosità del lavoro, e le risposte del ricorrente il quale, dopo avere tentato ripetutamente di rassicurarlo affinchè l'intervento venisse realizzato, gli rivolgeva un laconico "se non te la senti lascia stare", che aveva ancor più indispettito il lavoratore, provocandone la reazione contraria.
Il primo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
6. Ugualmente inammissibile è il motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio, avendo il giudice di appello fornito adeguata contezza del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in ragione del rilievo e del numero delle specifiche inosservanze alla disciplina antinfortunistica, rappresentando peraltro come la pena, modulata dal giudice di primo grado in anni uno mesi sei di reclusione, nonostante la gravità del danno e il grado della colpa, fosse stata contenuta in termini medio minimi edittali a fronte di una forbice edittale tra uno e tre anni di reclusione.
7. Tenuto conto della sentenza 13/6/2000 n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla ridetta declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento e del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di Euro 2.000,00, nonché alla refusione delle spese di difesa della parte civile relativamente al presente grado di giudizio che determina come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000 in favore della cassa delle ammende, oltre alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile che liquida in € 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 Luglio 2016