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Luciano Angelini

Docente di diritto sindacale e del lavoro nell’Università di Urbino “Carlo Bo”

 

La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori minorenni

 

Sommario: 1. La tutela della salute dei lavoratori minorenni nel diritto interno ed internazionale. - 2. La disciplina comunitaria e la sua attuazione nell’ordinamento italiano. – 3. Lavoratori minorenni e d.lgs. n. 626/1994. Cenni sugli occupati a bordo delle navi. – 4.  Tutela psicofisica e limiti di accesso al lavoro dei minori. Il sistema dei divieti – 5.  L’Allegato I del d. lgs.  n. 345/1999. – 6. I divieti di lavoro notturno e di esposizione al rumore. - 7. I lavoratori minorenni come “gruppo sensibile”. Brevi considerazioni sulla redazione del piano di valutazione dei rischi. – 8. Le visite mediche preassuntive e periodiche. – 9. Orario di lavoro, riposi e ferie. - 10. Le sanzioni. – 11. Sugli interventi più recenti e sulle nuove prospettive di tutela.


 


1. La tutela della salute dei lavoratori minorenni nel diritto interno ed internazionale

Il miglioramento della tutela delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro è sicuramente il principale tra i criteri ispiratori di tutta la normativa nazionale ed internazionale emanata in materia di lavoratori minorenni  già a partire già dai primissimi provvedimenti di legislazione sociale. Posti di fronte allo sfruttamento cui tali lavoratori venivano sistematicamente sottoposti, i legislatori hanno infatti cercato di imporre discipline sempre più restrittive; purtroppo, accomunando i minori alle donne, le c.d. mezze forze, questi interventi risulteranno caratterizzati da una scarsa applicazione, anche a causa di sanzioni inefficaci e di inadeguati sistemi di vigilanza e controllo (M.L. De Cristofaro, 1990; Olivelli, 1981, p. 5, Sala Chiri, 1981, 101).

Considerando l’evidente specificità della condizione in cui versano i lavoratori minorenni, per i quali risulta ancora più “essenziale” assicurare il raccordo dell’attività lavorativa con le esigenze di sviluppo fisico e di una formazione scolastica e professionale volta al loro pieno inserimento nel mercato del lavoro (Treu, 1979, 204-206 ss.), la Costituzione italiana riconoscerà la necessità di una tutela differenziata rispetto al lavoro femminile (Cost., artt. 31, 32, 34 2° c., 35 2° c., 37 2° c.). L’ obiettivo indicato dal costituente, quello di disciplinare “separatamente” dal lavoro femminile la speciale tutela del lavoro minorile, sarà raggiunto dall’ordinamento italiano soltanto molti anni dopo, con l’emanazione della l. n. 977/1967. Basandosi sull’imposizione di vincoli alla capacità lavorativa dei minori valutati in relazione alle specifiche modalità d’impiego, tale legge fa proprio il modello di intervento già adottato dalla Carta sociale europea (in part., v. art. 7, parte II), come pure dalle numerose convenzioni OIL in materia di età minima al lavoro e di lavoro notturno minorile allora vigenti.

Attualmente, le due principali fondi di diritto internazionale in materia sono rappresentate dalla Conv. OIL n. 73/138 sull’età minima di ammissione al lavoro, che comporta l’obbligo degli Stati di perseguire una politica nazionale tendente ad assicurare l’abolizione effettiva del lavoro dei ragazzi e ad elevare progressivamente l’età di ammissione al lavoro, che non potrà essere inferiore a quella che segna la fine della scuola obbligatoria, e comunque, in nessun caso, a quindici anni, e dalla Conv. ONU 20.11.1989 sui diritti dell’infanzia (ratificata in Italia con la l. n. 176/1991), nell’ambito della quale è l’art. 32 ad imporre (agli Stati) di fissare l’età minima per essere ammessi al lavoro, di dettare un’apposita disciplina in materia di orario e di condizioni di lavoro e di stabilire sanzioni adeguate che ne garantiscano l’efficacia (Nunin, 2002, 27).

 

 

2. La disciplina comunitaria e la sua attuazione nell’ordinamento italiano

 

 Con la sottoscrizione dei principi contenuti nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali (9.12.1989), l’Ordinamento comunitario si impegna solennemente a tutelare il lavoro minorile (punti 20 e 22), da un lato, confermando la necessità di stabilire un’età minima per l’ammissione al lavoro non inferiore al momento in cui cessa l’obbligo scolastico (comunque non inferiore ai 15 anni, salvo limitate deroghe), dall’altro, disciplinando specificamente l’orario di lavoro ed il divieto di lavoro notturno. In verità, proprio in materia di salute e sicurezza, la sottoscrizione della Carta Comunitaria era stata di poco anticipata dall’emanazione della Direttiva quadro n. 89/391 concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute di tutti i lavoratori durante il lavoro, la quale, in particolare all’art. 15, prevede che gli stati membri adottino specifici modelli di protezione della salute e sicurezza (nell’ambiente di lavoro) dei gruppi soggetti a rischio particolarmente sensibile, tra i quali sono ovviamente da includere anche i minori. Rispetto a questi ultimi, la Commissione europea avanzerà una specifica proposta di direttiva, che sarà definitivamente approvata dal Consiglio il 22 giugno 1994 (dir. Consiglio europeo n. 94/33).

Destinata a tutte le persone di età inferiore a 18 anni che abbiano un contratto o un rapporto di lavoro, la Direttiva CE n. 94/33 ha lo scopo di assicurare che i minori non siano sfruttati economicamente e che non siano sottoposti a lavori suscettibili di nuocere alle loro sicurezza, salute o sviluppo fisico, psicologico, morale o sociale o di compromettere la loro istruzione. Tale scopo dovrà essere perseguito dai singoli stati membri attraverso la previsione di una pluralità di strumenti: divieti all’accesso connessi all’età e alla tipologia delle attività lavorative; obblighi per il datore di lavoro ad adottare le misure necessarie alla loro protezione e sicurezza; limiti relativi all’orario ed al lavoro notturno; sanzioni adeguate in caso di violazioni (Blanpain –Colucci, 2000, 298).

Rispetto ai principi della direttiva n. 94/33, il “vecchio impianto” della l. n. 977/1967 mostra alcune evidenti lacune cui il Governo, nel rispetto dei criteri indicati dal Parlamento nell’art 50 della l. n. 128/1998 (l’adozione di misure per la valutazione dei rischi per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori minorenni; l’estensione ad attività di carattere culturale, artistico, sportivo e pubblicitario dell’autorizzazione all’utilizzo dei minori prevista per il solo settore dello spettacolo; l’adeguamento delle misure di tutela psico-fisica, di controllo e sanzionatorie), cercherà di porre rimedio con l’emanazione del d. lgs. n. 345/1999, le cui disposizioni, pur non abrogando interamente la legge del 1967, a volte modificano, a volta cancellano, a volte parzialmente sostituiscono gran parte delle sue originarie norme, con risultati non sempre apprezzabili sotto il profilo della chiarezza interpretativa e, conseguentemente, dell’efficacia applicativa (Renzi, 2002, 101).

Se è vero che il d. lgs. n. 345/1999 unifica tutte le disposizioni esistenti in materia di lavoro minorile (essendo la sua applicazione estesa a tutti i rapporti di lavoro, anche di natura non subordinata, sia ordinari sia speciali, in cui sono comunque coinvolti minori degli anni diciotto, fatta eccezione per i lavori occasionali o di breve durata concernenti i servizi domestici prestati in ambito familiare o le prestazioni di lavoro non nocivo, né pregiudizievole, né pericoloso svolto nelle imprese a conduzione familiare: art. 2 ,1° c., l. n. 977/1967; circ. del Ministero del lavoro n. 1/2000, DPL, 2000, 302;  cfr. Bano, 2000, 35-36, 44-45), è altrettanto certo che esso manchi di coordinare con la restante disciplina vigente le sue nuove più rigorose disposizioni (innalzamento dell’età minima di ammissione al lavoro (art. 3, d. lgs. n. 345/1999) e divieti di adibizione dei minori al lavoro con le relative sanzioni: Massi, 1999, 3245 ss.; Slataper, 2000, 340, 342). Il legislatore italiano si è pertanto visto costretto, prima in via d’urgenza, con il d.l. n. 31/2000, poi definitivamente con il d. lgs. n. 262/2000, non soltanto a differire l’entrata in vigore di alcune norme per meglio conciliare esigenze di protezione e inserimento (artt. 5 e 7, l. n. 977/1967), ma anche ad apportare nuovi correttivi ed integrazioni significative proprio in materia di salute e sicurezza (soprattutto apportando deroghe ai divieti di adibire gli adolescenti alle mansioni, ai processi e ai lavori indicati nell’Allegato I che sono legate alle attività di formazione che abbiano carattere indispensabile e siano disposte per il tempo strettamente necessario).

3. Lavoratori minorenni e d. lgs. n. 626/1994. Cenni sugli occupati a bordo delle navi

A ben vedere, il compito di coordinare le norme in materia di salute e sicurezza dei lavoratori minorenni si presentava tutt’ altro che agevole, solo a considerare il fatto a tutti noto che, pur con il consueto ritardo, con il d. lgs. n. 626/1994, a sua volta integrato e modificato dal d. lgs. n. 242/1996, il nostro legislatore aveva qualche anno prima dato attuazione oltre che alla ricordata direttiva quadro del Consiglio europeo n. 89/391, ad una serie di successive direttive specifiche, tutte in materia di salute e sicurezza (Franco, 1999, 904). Così, dopo l’entrata in vigore delle nuove disposizioni del d. lgs. n. 626/1994, diverse norme protettive dettate esplicitamente dalla legge del 1967 per i soli minori (tra cui, ad esempio, quelle in materia di orari o di ferie annuali) sono state di fatto superate dalla definizione di un più avanzato modello di tutela della salute e sicurezza previsto indistintamente per tutti di lavoratori. Dunque, anche a voler prescindere dagli obblighi comunitari inerenti all’attuazione della citata direttiva comunitaria n. 94/33, già la sola doverosa osservanza del d. lgs. n. 626/1994 (non essendosi quel legislatore interessato sufficientemente della particolare condizione psicofisica del minore che lavora) aveva precostituito le condizioni per un successivo specifico intervento destinato a chiarirne l’applicabilità rispetto alla vecchia legge del 1967, che in quanto disciplina speciale deve ritenersi prevalente. Sul punto, con una stringatissima disposizione contenuta nel suo art. 1, 2° c., il d. lgs. n. 345/1999, ribadendo la propria natura di “disciplina speciale”, dispone che per quanto dallo stesso (e dalla l. n. 977/1967, per la disciplina ancora in vigore) non altrimenti previsto, deve farsi integrale rinvio alle disposizioni contenute nel d. lgs. n. 626/1994 e successive modifiche (Garofalo, 2002, 77 ss).

Per quanto riguarda la speciale disciplina di tutela della sicurezza e della salute degli adolescenti occupati a bordo delle navi, ci si limiterà qui a ricordare come la novellata disposizione dell’art. 2, 3° c., della legge n 977/1967 fa espressamente salve tutte le norme legislative o regolamentari in materia di sorveglianza sanitaria, lavoro notturno e riposo settimanale appositamente dettate per i lavoratori marittimi, in ragione della loro stretta relazione con l’interesse generale alla sicurezza della navigazione che ha una rilevanza peculiare ed inderogabile, sicuramente prevalente rispetto al sistema di tutele predisposto per «l’ordinario» lavoro subordinato. La tutela della salute e sicurezza dei lavoratori a bordo delle navi è stata fatta oggetto di diverse e più specifiche disposizioni. In attuazione della legge delega n. 485/1998, e in coerenza con il d. lgs. n. 626/1994, sono stati infatti emanati due decreti legislativi – il d. lgs. n. 271/1999 e il d. lgs. n. 272/1999 – rispettivamente destinati, il primo, a fissare misure per la sicurezza e la salute dei lavoratori marittimi imbarcati a bordo di tutte le navi ed unità mercantili, il secondo, a disciplinare le operazioni e i servizi da svolgersi nei porti, comprensive anche delle attività di manutenzione riparazione e trasformazione delle navi. Inoltre, in attuazione della direttiva del Consiglio europeo n. 93/103, in materia di salute e sicurezza dei lavoratori a bordo delle navi da pesca, sono attualmente vigenti anche le dettagliate disposizioni contenute nel d. lgs. n. 298/1999.

 

4. Tutela psicofisica e limiti di accesso al lavoro dei minori. Il sistema dei divieti

 

La prima, per importanza e “funzione”, delle disposizioni protettive a tutela della salute e sicurezza del lavoratore minorenne è quella relativa all’accertamento della sua effettiva capacità a prestare il proprio lavoro: infatti, la necessità di preservare l’integrità fisiologica ed intellettuale di un soggetto ancora in fieri può spingersi fino ad inibire lo svolgimento di tutte, o soltanto di alcune specifiche attività lavorative, prima del raggiungimento di una congrua maturità. L’attitudine fisiologica al lavoro si configura pertanto come un presupposto essenziale della capacità personale del lavoratore. In tal senso, dando attuazione al rinvio di cui all’art. 37, 2° c. Cost., che riserva alla legge ordinaria il compito di stabilire il minimo d’età per accedere ad un lavoro salariato, la l. n. 977/1967, come sul punto modificata ed integrata dal d. lgs. n. 345/1999 (a sua volta corretto ed integrato dal d. lgs. n. 262/2000), dopo aver definito «bambino» il minore che non ha compiuto i 15 anni o che è ancora soggetto all’obbligo scolastico ed «adolescente» quello di età compresa tra i 15 ed i 18 anni che non è più soggetto a tale obbligo (art. 1, 2° c.), fissa l’età minima per l’ammissione al lavoro – con contratto o rapporto anche speciali (contratti di apprendistato o di formazione e lavoro) – al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria, che non può essere comunque inferiore ai 15 anni compiuti (art. 3).

Rispetto alla precedente disciplina, è ora l’assolvimento dell’obbligo scolastico a determinare l’acquisto della capacità giuridica speciale da parte del lavoratore minorenne; il compimento del quindicesimo anno vale soltanto come limite «sussidiario» nell’ipotesi in cui l’obbligo risulti essere stato compiutamente assolto prima di tale data (Miscione, 2002, 15-16). Una scelta, questa, che costringe inevitabilmente a confrontarsi anche con i controversi esiti del processo di riordino dei cicli di istruzione che, a partire dalla l. n. 9/1999, ha disposto una progressiva elevazione dell’obbligo scolastico. Attualmente, la l. quadro n. 53/2003, per la parte attuata dal d. lgs. n. 76/2005, configura, quale fattispecie unitaria, un nuovo diritto-dovere all’istruzione ed alla formazione per almeno dodici anni, da assolvere attraverso, alternativamente, il sistema dei licei, il sistema dell’istruzione e formazione professionale di competenza regionale, l’alternanza scuola-lavoro e, infine, la stipulazione di un contratto di apprendistato – nella specifica tipologia disciplinata dall’art. 48 del d. lgs. 276/2003 – che si accredita pertanto come la sola forma di lavoro ora consentita nella fascia di età compresa tra i quindici e i diciotto anni (Guarriello, 2004, 278-279).

La disciplina del d. lgs. 345/19 elimina la possibilità precedentemente concessa di adibire il maggiore di anni quattordici a lavori agricoli, nei servizi familiari o in attività non industriali (i c.d. lavori leggeri), anche se non incompatibili con le esigenze di tutela della salute e non comportanti trasgressione dell’obbligo scolastico. A tale esito sembra chiaramente condurre l’interpretazione dei nuovi artt. 2 e 4: è infatti vero che dall’ambito di applicazione della legge, l’art. 2 continua ad escludere alcune ipotesi (purché occasionali e di breve durata) che potrebbero essere ricondotte alla nozione di lavorazioni leggere (servizi domestici prestati in ambito familiare e prestazioni di lavoro non nocivo, né pregiudizievole, né pericoloso nelle imprese a conduzione familiare: art. 2, 1° c., lett. a) e b)); tuttavia, tale esclusione vale soltanto per gli adolescenti, cioè per gli ultraquindicenni che hanno assolto gli obblighi scolastici.

Per i bambini, il divieto al lavoro posto dall’art. 4 della l. n. 977/1967 è quasi assoluto, fatta soltanto eccezione per la possibilità di un loro «impiego» – dietro autorizzazione amministrativa rilasciata dalla Direzione provinciale del lavoro (secondo le particolari disposizioni dettate dal d.p.r. n. 365/1994), e previo assenso scritto dei titolari della potestà genitoriale – in attività culturali, artistiche, sportive o pubblicitarie che non ne pregiudichino la sicurezza, l’integrità psicofisica e lo sviluppo, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento e di formazione professionale. Come chiaramente sottolinea la dir. del Ministero del lavoro n. 1/2000, sostituendo le parole «partecipazione dei minori» con le parole «impiego dei minori in attività lavorative», il legislatore avrebbe escluso la necessità dell’autorizzazione per tutte quelle attività che per natura estrinseca, modalità di svolgimento e carattere episodico ed estemporaneo non siano assimilabili ad una vera e propria occupazione. Sarà altresì possibile prescindere dalla speciale autorizzazione preventiva nel caso di attività non retribuite svolte nell’ambito delle iniziative didattiche promosse da organismi pubblici aventi istituzionalmente compiti di educazione e formazione; in simili casi, così come nelle attività educative scolastiche in generale, è infatti scontata l’osservanza sia dell’obbligo scolastico sia delle condizioni atte ad assicurare l’integrità psico-fisica e la personalità del minore.

 

5.  L’Allegato I del d. lgs. n. 345/1999

 

Abrogato interamente l’art. 5 (in cui il legislatore del 1967 aveva espressamente individuato alcune lavorazioni alle quali potevano essere adibiti soltanto coloro che avessero compiuto sedici anni), e sostituito integralmente anche l’art. 6 della l. n. 977/1967 (che demandava al d.p.r. n. 432/1976, la specifica descrizione delle particolari lavorazioni vietate indicate come lavori pericolosi, faticosi ed insalubri nei quali l’adibizione dei minori di 16 anni o non era assolutamente possibile o era subordinata al rilascio di un’apposita autorizzazione amministrativa), in attuazione dell’art. 7 della dir del Consiglio europeo n. 94/33, il legislatore del 1999 pone il divieto di adibire gli adolescenti ai processi ed ai lavori che sono espressamente indicati nel suo Allegato I.

Adottando una più efficace impostazione di tipo teleologico, nell’Allegato si opera una doppia distinzione, da un lato, tra lavorazioni che espongono ad agenti chimici (trattasi di un divieto di tipo assoluto per quelli molto tossici, tossici, corrosivi esplosivi ed estremamente infiammabili, e di un divieto, limitato a specifiche connotazione di rischio, per quelli “soltanto” nocivi e irritanti), fisici e biologici, dall’altro lato, a processi e lavori il cui svolgimento presenta caratteri di particolare pericolosità per il minore. Mentre per tutti gli agenti chimici, fisici e biologici comunque considerati il divieto vige indipendentemente dalle quantità presenti nell’ambiente di lavoro, rispetto alle limitazioni inerenti a processi e lavorazioni, queste confermano quanto già disposto dalla previgente legislazione, opportunamente chiarendo che nel caso in cui il divieto riguardi soltanto alcune fasi di un dato processo produttivo, la limitazione deve intendersi riferita esclusivamente a tali particolarissime fasi e non all’attività lavorativa nel suo complesso (ad esempio, nell’edilizia o nelle lavorazioni meccaniche di minerali e rocce).

Per tutte le lavorazioni elencate nell’Allegato I, tuttavia, è consentito superare il divieto quando le attività siano svolte dagli adolescenti (in aula, laboratorio o nell’ambiente di lavoro di diretta pertinenza del datore di lavoro, e per il tempo a ciò strettamente necessario al raggiungimento della qualificazione professionale) per indispensabili motivi didattici e di formazione professionale, sotto la sorveglianza di un formatore competente anche in materia di prevenzione e protezione (o dello stesso datore di lavoro, nelle ipotesi previste dall’art. 10 del d. lgs. n. 626/1994), dietro autorizzazione amministrativa preventiva rilasciata anche cumulativamente per specifiche figure professionali (cioè senza bisogno di essere ripetuta per ogni singola assunzione) dalla Direzione provinciale del lavoro su domanda degli organizzatori, previo parere dell’Azienda sanitaria locale competente per territorio, in ordine al rispetto della normativa in materia di igiene e sicurezza. L’autorizzazione non è richiesta quando le descritte attività formative vengono promosse direttamente dagli Istituti di istruzione e di formazione professionale (art. 6, 3° c., l. n. 977/1967).

 

6. I divieti di lavoro notturno e di esposizione al rumore

 

Ai sensi dell’art. 15 della l. n. 977/1967 (come novellato dall’art. 10 del d. lgs. n. 345/1999), è vietato adibire i minori a lavoro notturno. Tale divieto trova fondamento nella condivisa constatazione, chiaramente ribadita anche dalla circ. del Ministero del lavoro n. 86/2000, secondo la quale il lavoro notturno deve essere comunque considerato un “fattore di rischio ulteriore” (Renzi, 2002, 134), di particolare rilevanza nell’età giovanile (cfr. d. lgs. n. 532/1999; d. lgs n. 66/2003).

Per quanto concerne i lavoratori minorenni, il divieto di lavoro notturno  non è tuttavia assoluto, contemplando due tipi di eccezione. La prima eccezione riguarda la prestazione del minore impiegato in attività di carattere culturale, artistico sportivo e pubblicitario che siano state preventivamente autorizzate dalla Direzione provinciale del lavoro. In tal caso, l’attività lavorativa del minore potrà protrarsi fino alle ore 24, e dovrà prevedere un periodo di riposo di almeno 14 ore consecutive (cfr. art. 17, 1° c., l. n. 977/1967, come novellato dall’art. 11 del d. lgs. n. 345/1999. La seconda eccezione è invece prevista per i soli adolescenti, quando si verifica un caso di forza maggiore che ostacola il funzionamento dell’azienda, purché tale lavoro sia temporaneo e non ammetta ritardi, non siano disponibili lavoratori adulti e siano concessi periodi equivalenti di riposo compensativo entro tre settimane (oltre alle maggiorazioni retributive normalmente previste; Topo, 1999, 632). Dell’adibizione dell’adolescente, della sua eccezionalità e del suo protrarsi per il tempo strettamente necessario, il datore di lavoro è tenuto a dare immediata comunicazione entro le 24 ore dall’accadimento (Nunin, 2000a, 321) – alla Direzione provinciale del lavoro (Garofalo, 2001, 289-291; Cirioli, 2003, 959). Va inoltre ricordato che, per «notte», il novellato art. 15, 2° c. della l. n. 977/1967, considera un periodo di almeno 12 ore consecutive comprendente l’intervallo tra le ore 22 e le ore sei, o tra le ore 23 e le ore sette, indipendentemente dall’ora di inizio dell’attività lavorativa; al di fuori dei descritti intervalli, il riposo notturno può essere interrotto nei casi di attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionato o di breve durata nella giornata (Nunin, 2000b, 673).

Il divieto di esposizione al rumore non opera automaticamente, ma presuppone una preventiva valutazione dei relativi rischi (su cui, infra, § 22.2.4) e scatta, dopo l’innalzamento della precedente soglia di 80 dbA operata con il d. lgs. n. 262/2000 che ne aveva riconosciuto l’eccessiva severità (art. 6, 5° c., l. n. 977/1967), a partire da un livello di 90 dbA, da intendersi non come valore che non può mai essere superato nel periodo considerato, ma piuttosto come esposizione quotidiana personale oppure come esposizione media settimanale, se quella quotidiana è variabile nell’arco della settimana lavorativa (Dubini, 2000, 88). Tale valutazione va effettuata in base alle disposizioni dell’art. 40 del d. lgs. n. 277/1991. Nel caso in cui il valore di esposizione media giornaliera sia superiore a 80 dbA, il datore di lavoro dovrà fornire ai minori i mezzi individuali di protezione dell’udito, unitamente ad una adeguata formazione al loro corretto uso, fermo ovviamente restando il generale obbligo di predisporre misure tecniche, organizzative e procedurali che riducano al minimo i rischi derivanti dall’esposizione al rumore.

In coerenza con il divieto di adibire il minore a lavorazioni con forte esposizione al rumore, il legislatore delegato ha altresì previsto che tutti i lavoratori minorenni addetti a mansioni caratterizzate da un significativo livello di esposizione siano sottoposti a periodiche visite, con cadenza almeno biennale quando l’esposizione sia compresa tra gli 80 e gli 85 dbA, con cadenza non superiore all’anno, quando i valori siano compresi tra gli 85 e i 90 dbA (art. 9, 9°e 10° c., l. n. 977/1967) (v. infra §. 8).

7. I lavoratori minorenni come “gruppo sensibile”: Brevi considerazioni sulla redazione del piano di valutazione dei rischi

Dando attuazione alle citate disposizioni comunitarie, il d. lgs. n. 345/1999 ha profondamente rivisto la disciplina che la l. n. 977/1967 aveva dettato in materia di tutela psicofisica dei minori e di visite mediche, sostituendo integralmente gli artt. 7 e 8, e abrogando i successivi artt. 9, 10, 11,12, nel tentativo di razionalizzare e ricondurre ad un modello unitario di intervento le diverse previsioni normative (Nunin, 2000a, 320).

Abbiamo giù avuto modo di ricordare che in materia di salute e sicurezza dei lavoratori minorenni, l’art. 1, 2°c., del d. lgs. n. 345/1999 - per tutto ciò che non viene nell’ambito dello stesso decreto specificamente e diversamente stabilito - fa espresso rinvio alla disciplina prevista per la generalità dei lavoratori dal d. lgs n. 626/1994 e successive modificazioni (v. Garofalo, 2002, 77). Il rinvio è certamente opportuno: sono infatte molte le disposizioni protettive in materia di sicurezza e salute disposte dalla legge del 1967 oramai superate da quelle del d. lgs. n. 626/1994, anche se nello stesso non sono state date risposte davvero attente alla particolare condizione psicofisica dei minori, esposti a rischi specifici derivanti dall’età e dall’inesperienza.

A tentare di porre rimedio alle descritte lacune è destinato il nuovo art 7 della legge n. 977/1967 (così come sostituito dall’art. 8 del d. lgs. n. 345/1999), il quale ha imposto al datore di lavoro che intenda adibire i minori ad una determinata attività lavorativa o voglia modificare le loro condizioni d’impiego, di effettuare preventivamente la valutazione dei rischi di cui all’art. 4 del d. lgs. n. 626/1994 (trattasi di obbligo non delegabile), avendo un particolare riguardo ad una serie di elementi che caratterizzano la prestazione lavorativa dei minori rispetto alle modalità di organizzazione degli ambienti di lavoro (lo sviluppo psico-fisico, la mancanza di esperienza e la consapevolezza dei rischi lavorativi esistenti o possibili, nonché l’età; le attrezzature e la sistemazione del luogo di lavoro; la natura, il grado e la durata di esposizione agli agenti chimici, biologici e fisici; la movimentazione manuale dei carichi; la sistemazione, la scelta, l’utilizzazione e la manipolazione delle attrezzature, gli apparecchi e gli strumenti; la pianificazione dei processi, lo svolgimento del lavoro e la interazione sull’organizzazione generale del lavoro; la formazione e l’informazione).

Per quanto riguarda le modalità di svolgimento delle lavorazioni, la legge si pronuncia espressamente escludendo che i minori possano essere impiegati mediante il sistema dei “turni a scacchi”. Nel caso in cui tale sistema sia consentito dai contratti collettivi, il coinvolgimento dei minori deve essere formalmente autorizzato dalla Direzione provinciale del lavoro (art. 19, 2° c., l. n. 977/1967).

Nelle situazioni di gravidanza in giovane età, le specifiche esigenze di prevenzione dei rischi per la salute della lavoratrice e del nascituro impongono al datore di lavoro di osservare (ove queste assicurino un trattamento più favorevole: art. 2, 2° c., l. n. 977/1967) le norme poste a tutela della lavoratrice madre dettate dal d. lgs. n. 645/1996, i cui contenuti sono stati ora trasfusi nel d. lgs. 165/2001 (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità). In particolare, dopo aver valutato i rischi per la salute e sicurezza di tali lavoratrici, il datore di lavoro dovrà eventualmente procedere alla modifica temporanea delle condizioni o dell’orario di lavoro, non senza aver provveduto ad informare le lavoratrici stesse e i rappresentanti per la sicurezza sui risultati di tale valutazione e sulle conseguenti misure di prevenzione e protezione adottate (artt. 11 e 12, d. lgs. n. 151/2001. Renzi, 2002, 127-128; Brida, 2002, 152-153). Inoltre, come minorenni, oltre che alle stesse lavoratrici, l’informazione dovrà essere resa anche a coloro che esercitano la potestà genitoriale, come dispone l’art. 8, 2° c., del d. lgs. n. 345/1999 (Nunin, 2000a, 320; Nunin, 2000b, 672).

8. Le visite mediche preassuntive e periodiche

Analogamente a quanto disponeva il sostituito art. 8 della l. n. 977/1967 (v. anche l’art. 9, come modificato dal d. lgs. n. 262/2000), l’ammissione al lavoro dei minori (dei bambini, relativamente alle sole attività ad essi consentite) resta condizionata all’esito favorevole di una visita medica, da svolgersi, a carico del datore, presso l’ASL competente o presso un medico del Servizio sanitario nazionale, che attesti la loro idoneità a svolgere l’attività lavorativa cui dovranno essere adibiti (Nunin, 2000b, 672), mediante il rilascio di idonea certificazione da custodire all’interno dell’azienda e da esibire a richiesta delle autorità preposte alla vigilanza.

Con una recentissima decisione del 21 marzo 2006, il Tribunale di Nola ha chiarito che soltanto l’accertamento preventivo effettuato da un medico appartenente alla struttura del Servizio Sanitario Nazionale (quindi anche dal medico di base) risultante dalla prevista certificazione può liberare il datore di lavoro dalla responsabilità penale che altrimenti gli deriverebbe dalla violazione del citato art. 8 l. n. 977/1967. In particolare, il Tribunale di Nola ha sottolineato come per il legislatore italiano l’appartenenza del medico alla struttura sanitaria nazionale serva a garantire l’uniformità dei parametri di valutazione.

L’idoneità del lavoratore adolescente dovrà essere accertata, a cura e spese dal datore di lavoro, anche successivamente all’assunzione, con cadenza periodica non superiore all’anno, sino al compimento della maggiore età. Nel caso in cui il lavoratore raggiunga la maggiore età, non occorre che sia sottoposto anticipatamente alla non ancora maturata visita periodica, posto che l’avvenuto raggiungimento della maggiore età fa venir meno la peculiare esigenza di tutela cui la stessa è preordinata (cfr. Cass. 18.9.2000, n. 9772, MGL, 2001, 402, con nota di Gramiccia). Tali visite periodiche devono essere effettuate presso l’ASL territorialmente competente o presso un medico del Servizio sanitario nazionale (Cass. pen. 18.9.2000, n. 9772, RCDL, 2001, 515), e andranno comprovate da un certificato nel quale dovrà essere opportunamente specificato il giudizio sull’idoneità (distinguendo se parziale, totale o anche temporanea) del minore al lavoro. Il referto verrà comunicato al lavoratore ed ai titolari della potestà genitoriale, che potranno richiedere copia della documentazione sanitaria prodotta. Nel caso di inidoneità sopravvenuta, il lavoratore minorenne non potrà continuare ad occupare il posto cui era stato inizialmente assegnato (Nunin, 2000b, 672-673).

Costituisce eccezione il caso di attività lavorative per le quali la vigente normativa dispone la sorveglianza sanitaria ai sensi degli artt. 16 e 17 del d. lgs. n. 626/1994 (rinvio), com’è stato chiaramente puntualizzato dal Ministero del lavoro con la circolare n. 11/2001: in tali casi, le visite mediche preventive e periodiche devono essere effettuate dal medico competente individuato ai sensi del citato art. 17, 5° c., del d. lgs. n. 626/1994.

Sulla questione delle visite mediche previste per i lavoratori minorenni si è pronunciata recentemente anche la Corte cost. 1° giugno 2004, n. 162 (FI, 2004, I, 2305) che ha respinto le questioni di legittimità sollevate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri contro la l. reg. Lombardia n. 12/2003 (Norme relative a certificazioni in materia di igiene e sanità pubblica) emanata ai sensi del nuovo art. 117 Cost relativamente alle c.d. competenze concorrenti, nella quale si è tra l’altro cancellato l’obbligo, in capo alle ASL, di rilasciare la certificazione di idoneità fisica per l’assunzione dei minori che non siano esposti a specifici rischi professionali e, come tali, non sottoposti a sorveglianza sanitaria speciale.

Destinata a ridurre le attività “per le quali non vi siano “evidenze di utilità” ma che al contrario comportano un notevole impiego di risorse (cfr. Circolare esplicativa Reg. Lombardia, 17 novembre 2003), la citata legge regionale n. 12/2003 interviene su una tematica che aveva evidenziato da tempo l’esigenza di un maggior coordinamento tra la specifica disciplina di tutela del lavoro minorile e quella generale prevista per tutti i lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria dal d. lgs. n. 626/1994, che attribuisce al solo medico competente il compito di rilasciare i certificati di idoneità al lavoro (Garofalo, 2001, 268 ss., in part. 272-273). Ne è riprova il fatto che, come si è sopra ricordato, per i lavoratori minorenni adibiti ad attività lavorative soggette alla sorveglianza sanitaria speciale prevista dal Titolo I, capo IV, artt. 16 e 17, del d. lgs. n. 626/1994, tutte le visite mediche preassuntive e periodiche sono già ora effettuate direttamente dal medico competente (Brida, 2002, 160-162).

I primi commentatori che si sono interrogati sugli effetti del pronunciamento della Consulta che ha confermato la legittimità costituzionale della legge regionale lombarda avevano quasi unanimente ritenuto che (nel solo territorio regionale) fosse meramente venuto meno il compito per le ASL di rilasciare la certificazione di idoneità al lavoro dei minori non esposti a specifici rischi professionali, senza tuttavia influire in alcun modo sull’obbligo (che è penalmente sanzionato, v. Trib. Nola 21 marzo 2006) in capo al datore di lavoro di accertare comunque l’idoneità al lavoro dei minori interessati, obbligo che dovrebbe d’ora in poi (sempre nell’ambito della Regione Lombardia) essere soddisfatto ricorrendo alla qualificata attività di accertamento svolta da medici appartenenti alla struttura del Servizio Sanitario Nazionale (De Fazio, 2004, 23; Caiazza, 2004, 30).

Al contrario, la Regione Lombardia ha invece sostenuto che la legge n. 12/03 avrebbe abolito tout court la necessità di certificare l’idoneità fisica per l’assunzione dei minori e degli apprendisti non esposti a rischio specifico, in quanto, a suo avviso, questo accertamento preventivo sarebbe privo di qualsiasi efficacia ed utilità dal punto di vista sanitario, a prescindere dal medico certificatore competente a rilasciarlo. Tale interpretazione è stata fortemente avversata dal Ministero del lavoro, ad avviso del quale la Corte costituzionale non si sarebbe pronunciata sull’abrogazione dell’obbligo di sottoporre il minore alla visita preventiva, ma avrebbe soltanto ritenuto legittima la legge regionale, laddove introduce una disposizione di carattere meramente organizzativo per la quale tali certificazioni, nell’ambito territoriale di sua competenza, non potranno più essere rilasciate dalle ASL, senza però incidere in alcun  modo sulle attribuzioni degli stessi compiti in capo ai medici del Servizio Sanitario Nazionale.

Sul descritto contrasto interpretativo è intervenuto il Consiglio di Stato, con parere n. 3208/2005 reso dalla Sezione II il 9 novembre 2005: condividendo l’impostazione fatta propria dal Ministero del lavoro, il Consiglio di Stato ha ritenuto impossibile far discendere dalla riconosciuta legittimità costituzionale di una disciplina regionale di natura meramente organizzativa com’ è quella contenuta nella l. reg. Lombardia n. 12/03, l’abrogazione della norma statale sostanziale che impone l’obbligo sia di visita medica per l’accertamento preventivo dell’idoneità fisica dei minori al lavoro, sia il rilascio della relativa certificazione (su ciò, amplius, Circ. Min. Lav., 11 aprile 2006).

9. Orario di lavoro,riposi e ferie

L’art. 18 della legge n. 977/1967 distingue l’orario di lavoro massimo dei bambini (limitatamente all’ipotesi di cui all’art. 4, 2° c.), fissandolo in 7 ore giornaliere e 35 settimanali, dall’orario di lavoro degli adolescenti, che può raggiungere le 8 ore giornaliere e 40 settimanali, da intendersi come limiti concorrenti. Questi limiti valgono anche per gli apprendisti minorenni ( v. Garofalo, 2001, 281-283; Loy, 1988, 273-274) – e per le attività discontinue (Cass. pen. 15.5.1985, RP, 1986, 641). Per gli apprendisti maggiorenni si applicano infatti le nuove disposizioni del d. lgs. n. 66/2003 che ha dato attuazione alla dir. CE n. 93/104, alla dir. CE n. 00/34 (v. sub, art 2, 4° c., d. lgs. n. 66/2003) ed alla direttiva CE 03/88, secondo le quali verrebbe meno, in via generale, il divieto di lavoro notturno e il limite massimo di orario giornalieri di otto e 40 ore settimanali (Lai, 2004, 72). Pertanto, rispetto alla ordinaria disciplina dell’orario di lavoro, la tutela dei minori risulta particolarmente rafforzata, essendo previsto anche un limite massimo giornaliero e non ammesso il ricorso allo straordinario legale (Renzi, 2002, 117).

Qualora l’attività lavorativa consista nel trasporto di pesi, qualunque essa sia e senza limitazioni di carico prefissate dalla legge, l’art. 19 prescrive, ora per i soli adolescenti, un limite giornaliero di 4 ore, compresi i rientri a vuoto. Inoltre, ai sensi dell’art. 20, l’impegno di lavoro dei minori non può durare per più di 4 ore e mezza senza interruzione (di un’ora, riducibile a mezz’ora dalla contrattazione collettiva, o su autorizzazione della Direzione provinciale del lavoro, quando il lavoro non abbia carattere di pericolosità o gravosità, sentite le competenti associazioni sindacali). In presenza di lavori pericolosi o gravosi, la Direzione provinciale del lavoro può ridurre a 3 ore l’orario giornaliero svolto senza interruzione, stabilendo una diversa durata del risposo intermedio (Garofalo, 2001, 286, nt. 161).

In attuazione dell’art. 10 della dir. CE 94/33, il nuovo art. 22 della legge n. 977/1967 assicura ai minori un periodo di riposo continuativo settimanale di almeno due giorni, se possibile consecutivi e comprendenti la domenica. A quanti sono impiegati in attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario o nel settore dello spettacolo, o ai soli adolescenti occupati nei settori del turismo, alberghiero o della ristorazione (tutte attività per le quali il maggior carico di lavoro si concentra spesso nella domenica), il riposo può essere concesso anche in un giorno diverso. Sul riposo domenicale dei minori addetti al servizio di ristorazione si era pronunciata anche la Corte costituzionale con sentenza 30 dicembre 1987, n. 629 (FI, 1988, I, 3155), nella quale è stata giudicata manifestamente infondata la questione di legittimità dell’art. 22, 3°c. (vecchio testo) della legge n. 977/1967, nella parte in cui non estende anche ad essi la facoltà di derogare all’obbligatorietà del riposo domenicale (Pret. Asti 6.4.1984, GC, 1984 I, 1800).

Per comprovate ragioni di ordine tecnico ed organizzativo, il periodo di riposo minimo settimanale indicato può essere ridotto, ma non potrà comunque essere inferiore a 36 ore consecutive; l’eventuale interruzione è consentita nei soli casi di attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionato o di breve durata nell’ambito della giornata (art. 22, 1° c., l. n. 977/1967).

Per quanto concerne le ferie, i minori devono continuare ad usufruire di un periodo minimo annuale retribuito di 20 o 30 giorni a seconda che abbiano o non abbiano superato i 16 anni. La contrattazione collettiva è legittimata a regolarne le modalità di godimento (Garofalo, 2001, 287). Come per l’orario di lavoro, anche la questione della durata delle ferie per i minori va riconsiderata alla luce delle nuove disposizioni dell’art. 10, 1° c., del d. lgs. n. 66/2003, che prevede in capo ad ogni lavoratore un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane, salvo le condizioni di miglior favore stabilite dalla contrattazione collettiva (Renzi, 2002, 146-147).

10. Le sanzioni
 

Le violazioni della disciplina di tutela del lavoro dei minori sono sanzionate in base alle disposizioni dettate dall’art. 26 della l. n. 977/1967, come risultano ora modificate dall’art. 1 del d. lgs n. 566/1994 – emanato in attuazione della legge delega n. 499/1993 per la riforma dei reati in materia di lavoro – e dall’art. 14 del d. lgs. n. 345/1999. Per quanto specificamente attiene la disciplina penale, la ridefinizione operata dal d. lgs. n. 566/1994 è stata effettuata valutando la concreta pericolosità, rispetto alla salute e sicurezza dei lavoratori minorenni, delle condotte sanzionate. Il medesimo criterio di proporzionalità tra gravità dell’infrazione e risposta sanzionatoria condiziona altresì anche la scelta tra sanzioni di tipo penale e sanzioni di tipo amministrativo (Iero, 2002, 165-166).

La violazione dei divieti di assunzione dei bambini (art. 4, 1° c., l. n. 977/1967) o l’impiego degli adolescenti nelle lavorazioni o nei lavori indicati nell’Allegato 1 (art. 6, 1° c.), o ancora, il continuare ad adibire i minori a lavorazioni per cui non siano stati riconosciuti idonei (art. 8, 7° c.), comporta la sanzione dell’arresto fino a sei mesi (art. 26, 1° c.).

Ai sensi dell’art. 26, 2°c., è invece punita con l’arresto non superiore a sei mesi o con l’ammenda sino a 516 euro, l’inosservanza delle seguenti eterogenee disposizioni della l. n. 977/1967: art. 3 (età minima per l’ammissione al lavoro); art. 6, 2° c. (espletamento delle lavorazioni di cui all’Allegato I per motivi didattici o formativi senza l’apposita autorizzazione); art. 7, 2° (omessa informazione sui rischi connessi all’attività ai titolari della potestà genitoriale); art. 8, 1° 2°4° e 5° c. (visite mediche per l’idoneità all’attività lavorativa e rilascio dell’apposita certificazione: cfr. Trib. Nola 21 marzo 2006); art. 15, 1° c. (divieto di lavoro notturno); art. 17, 1° c. (durata della prestazione lavorativa); art. 18 (orario di lavoro); art. 21 (osservanza della prescrizione della Direzione provinciale del lavoro circa la durata della prestazione in casi di particolare pericolosità o gravosità); art. 22 (riposo settimanale).

Le fattispecie illustrate configurano reati propri di natura contravvenzionale e, almeno per quelle che prevedono la pena del solo arresto, anche di tipo permanente (Cass. pen. 6.3.1990, DPL, 1990, 899; cfr. Slataper, 2002, 176-177, 184). La responsabilità viene estesa fino a ricomprendere anche agli esercenti la potestà genitoriale o chiunque sia rivestito di autorità per vigilare sopra un minore, quando ne abbiano consentito l’avvio al lavoro in violazione degli articoli 3, 4, 1°c., 6, 1°c.: in questi casi, la sanzione è determinata in misura non inferiore alla metà del massimo edittale (art. 26, 6° c. l. n. 977/1967; Slataper, 2002, 175 ss.). Alle descritte contravvenzioni è applicabile il procedimento di estinzione disciplinato dagli artt. 19-25 del d. lgs. n. 758/1994.

Per quanto concerne l’applicazione delle sanzioni amministrative, l’art. 26, 3° c. della l. n. 977/1967, punisce con la sanzione da 516 a 2582 euro l’inosservanza: dell’art. 8, 6° c. (omessa comunicazione del medico del giudizio circa l’idoneità del minore); dell’art. 17, 2° c. (lavoro notturno degli adolescenti nei casi di forza maggiore); dell’art. 19 (trasporto pesi); dell’art. 20, 1° e 2° c.). Inoltre, chiunque impieghi bambini in attività di tipo culturale, sportivo o pubblicitario o nel settore dello spettacolo senza l’autorizzazione della Direzione provinciale del lavoro (art. 26, 4° c.) e chiunque adibisca al lavoro adolescenti per l’espletamento di lavorazioni di cui all’Allegato I per motivi didattici o di formazione professionale senza l’autorizzazione della stessa Direzione (art. 26, 5° c.) è punito con la sanzione amministrativa sino a euro 2582.

Alla citata Direzione provinciale del lavoro, l’art. 26, 7° c., della l. n. 977/1967 attribuisce sia la competenza a ricevere il rapporto con le violazioni contestate, sia ad emettere, nei casi in cui si dovesse rendere necessario, la prevista ordinanza-ingiunzione.

11. Gli interventi più recenti e le nuove prospettive di tutela

Il problema della tutela della salute e sicurezza dei  lavoratori minorenni rimane al centro di un’intensa attività di studio e di elaborazione giuridica ai più diversi livelli, internazionale, comunitario e nazionale. Tra gli interventi recenti meritano sicura segnalazione: il Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia (2001), in cui si auspica una rivisitazione congiunta con le parti sociali della Carta di impegni contro il lavoro dei minori (16 aprile 1998), e dove il contrasto dello sfruttamento dei minori è considerato parte rilevante del più generale programma di riduzione dell’economia sommersa; la Conv. OIL n. 182/1999 sulle forme peggiori di lavoro minorile e l’annessa Racc. OIL n. 190/1999 (rese esecutive in Italia con la l. n. 148/00: cfr. Nunin, 2002, 29 ss.), in cui, tra l’altro, si definiscono le c.d. forme intollerabili di lavoro minorile, nell’ambito delle quali rientrano sia le forme di schiavitù e quelle ad essa assimilabili (la vendita ed il traffico di bambini, il lavoro forzato, l’arruolamento nei conflitti armati, l’utilizzo per la produzione di materiale pornografico, o di droga), sia il lavoro pericoloso (in riferimento all’ampio catalogo dettato dagli artt. 3 e 4 della Racc. OIL n. 190/1999: Nunin, 2000a, 318; Nunin, 2000b, 660-662); l’art. 32 della Carta dei diritti fondamentali, solennemente approvata a Nizza il 7 dicembre 2000, ora inserita nel Trattato costituzionale europeo (art. II/92) che, confermando i principi della Carta dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, ribadisce sia il divieto di lavoro per tutti i lavoratori con età inferiore a quella minima prevista per l’ammissione, sia l’obbligo per gli Stati membri di prevedere condizioni di lavoro che siano appropriate all’età e di disporre misure di protezione contro lo sfruttamento economico o contro ogni lavoro che possa minarne la sicurezza, la salute, lo sviluppo fisico e mentale, morale e sociale o che possa mettere a rischio la loro istruzione; l’art. 6, 1° c., della direttiva del Consiglio europeo n. 00/78 (emanata in attuazione della nuova clausola antidiscriminatoria inserita nel Trattato CE di Amsterdam, art. 13) - che nello stabilire un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro prescrive la parità di trattamento indipendentemente dall’età, ma consente ai singoli stati membri di introdurre o mantenere disparità di trattamento legate all’età che risultino “oggettivamente e ragionevolmente giustificate…da una finalità legittima…e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari”; con l’ulteriore precisazione che rientrano tra le finalità legittime “giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale (De Simone, 2004, 527); l’art. 3, 4° c., del d. lgs. n 216/2003 che, nel dare attuazione alla citata direttiva CE 00/78, ha fatto espressamente salve, tra le altre, anche tutte quelle disposizioni che prevedono accertamenti di idoneità ad uno specifico lavoro e trattamenti differenziati proprio per gli adolescenti.


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