Cassazione Civile, Sez. 6, 08 marzo 2017, n. 5813 - Reversibilità della rendita INAIL. Nesso causale tra la morte e la malattia professionale


 

 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: ARIENZO ROSA Data pubblicazione: 08/03/2017

 

 

 

Rilevato:
 

 

che, con sentenza depositata in data 1.4.2015, la Corte d'appello di Caltanissetta confermava la statuizione del Tribunale di rigetto della domanda proposta dalla ricorrente avente ad oggetto il riconoscimento del diritto alla reversibilità della rendita INAIL percepita dal coniuge, sulla base della consulenza tecnica d'ufficio disposta in grado di appello - ritenuta sul punto sovrapponibile a quella espletata in primo grado -, che aveva accertato che la morte dell’assicurato, avvenuta per neoplasia polmonare a prognosi infausta, non fosse da porsi in collegamento causale o concausale con la malattia professionale riconosciuta, neppure nel senso di averne accelerato il decorso infausto; che di tale sentenza la G. chiede la cassazione, affidando l’impugnazione ad un unico motivo, cui ha opposto difese l’INAIL, con controricorso;
che la proposta del relatore, ai sensi dell'alt. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio;
 

 

Considerato:
 

 

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata; che si denuncia la violazione l’omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia, dolendosi la parte della mancata considerazione, da parte della Corte, dei rilievi critici rivolti alla ctu con riguardo alla presenza della gravissima insufficienza respiratoria ed al rilievo che non era stato adeguatamente considerato che la tecnopatia per la quale il C., soggetto assicurato, già godeva di rendita 1NAIL, aveva causato uno stato di debilitazione del predetto, idoneo a provocare una concreta e fattiva accelerazione del processo mortale, come era rilevabile dalla certificazione clinica (TC torace cranio e addome del 10.10.2003 e rx toracico del 19.11.2003);
che, sul punto, le consulenze tecniche d'ufficio ed i chiarimenti resi erano apodittici, avuto riguardo alla circostanza, avallata da scienza medica e da costante riconoscimento giurisprudenziale, che la broncopatia è una patologia a decorso ingravescente destinata ad inarrestabile peggioramento come tale necessariamente avente un ruolo di concausa nella morte del C.;
che ritiene il Collegio si debba pervenire alla declaratoria di inammissibilità del ricorso;
che il motivo presenta evidenti profili di inammissibilità connessi alla riproduzione solo di brevi stralci delle consulenze d'ufficio poste dal giudice a fondamento della sua decisione, non depositate unitamente al ricorso per cassazione, non avendo la parte fornito precise e utili indicazioni per la loro facile reperibilità nei fascicoli, di parte o d'ufficio, delle pregresse fasi del giudizio, e non risultando tali adempimenti rispettati neppure con riguardo alle osservazioni critiche che sarebbero state svolte dalla ricorrente ed esaminate in modo erroneo dal giudice del gravame anche in relazione alla documentazione clinica richiamata;
che gli oneri di specifica indicazione e deposito degli atti su cui il ricorso è fondato sono previsti dagli artt. 366, comma 1°, n. 6 (a pena di inammissibilità) e 369, comma 2°, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso) cod. proc. civ., in base ai quali, qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell'omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del mento (come accade nella specie con riguardo alle consulenze tecniche), per rispettare il suddetto principio - da intendere alla luce del canone generale della strumentalità delle forme processuali - ha l'onere di indicare nel ricorso il contenuto rilevante del documento stesso, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l'individuazione e il reperimento negli atti processuali nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726); che non risulta, poi, violato il principio giurisprudenziale ormai consolidato secondo cui, in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, trova applicazione la regola contenuta nell'art. 41 cod. pen., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, sicché va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, salvo che il nesso eziologico sia interrotto dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l'evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni (Cass., 19 giugno 2014, n. 13954); che, al contrario, proprio nel rispetto di tali principio, la Corte ha disposto che venissero resi chiarimenti dal Ctu officiato, all'esito dei quali - condividendosi la valutazione espressa, coincidente con quella espressa dal consulente nominato dal tribunale - è pervenuta al convincimento che la malattia professionale non abbia svolto un'efficacia causale o anche solo concansale sulla morte del lavoratore; che l'iter argomentativo è senz'altro esaustivo, sicché non si pone un problema di omessa motivazione, né presenta le denunciate incongruenze logiche, non ravvisandosi alcuna contraddizione tra l'accertamento della natura professionale dalla malattia respiratoria e il 
giudizio circa la mancanza di nesso eziologico tra la detta malattia e il decesso, dovendosi peraltro ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte la fattispecie costituiva del diritto alla rendita è dato non solo dalla eziologia professionale della malattia, ma anche dal nesso di causalità tra la tecnopatia e la morte (v. per tutti Cass., 24 settembre 2004, n. 19212);
che non è prospettabile un vizio di motivazione così grave da convertirsi, in realtà, a termini del nuovo testo dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., in una vera e propria violazione di legge (ex art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ.: mancanza grafica della motivazione, o motivazione del tutto apparente, oppure motivazione perplessa od oggettivamente incomprensibile) atteso che, nella specie, la Corte territoriale ha riportato tutte le considerazioni medicolegali e le conclusioni della ctu, ritenendo le stesse pienamente condivisibili c che, del resto, anche nella vigenza del testo dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ. anteriore alle modifiche di cui alla riforma del 2012, non incorreva nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che avesse recepito, anche per relationem, le conclusioni della relazione di consulenza tecnica d'ufficio (si vedano Cass. 22 febbraio 2006, n. 3881 nonché, conformi, Cass. 18 aprile 2008, n. 10202; Cass. 24 dicembre 2013, n. 28647).
che, pertanto, essendo da condividere la proposta del relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile con ordinanza, ai sensi dell’art. 375, n. 1, cod. proc. civ;
che, quanto alle spese del giudizio di legittimità, non essendo intervenute dichiarazioni di variazione, deve aversi riguardo a quanto affermato nella sentenza di appello con riguardo alla sussistenza dei presupposti per l'esonero della ricorrente dal relativo pagamento ai sensi dell’art. 152 disp att cpc; 
che sussistono le condizioni di cui all’alt. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002;
 

 

P.Q.M.

 


dichiara l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pan a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma Ibis, del citato D.P.R..
Così deciso in Roma, in data 8 febbraio 2017