Cassazione Civile, Sez. 6, 13 marzo 2017, n. 6450 - Riconoscimento della rendita da malattia professionale. Nesso causale


 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: FERNANDES GIULIO Data pubblicazione: 13/03/2017

 

 

 

RILEVATO
che, con sentenza del 25 settembre 2014 la Corte di appello di L’Aquila confermava la decisione con la quale il Tribunale di Pescara aveva rigettato la domanda proposta da A.C. nei confronti dell’INAIL volta al riconoscimento della rendita da malattia professionale, contratta nello svolgimento dell’attività di “operaio addetto ai lavori di squadra” alle dipendenze della Enel Distribuzione s.p.a. dal novembre 1974 al marzo 2001; la Corte territoriale riteneva che le censure mosse nel gravame alle consulenze tecniche d’ufficio disposte in primo grado non ne scalfivano le conclusioni (entrambe avevano escluso l’esistenza di un nesso di causalità tra le malattie da cui il A.C. era affetto e l’attività lavorativa dallo stesso svolta) integrando un mero dissenso diagnostico;
che avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il A.C. affidato a tre motivi cui resiste l’INAIL con controricorso;
che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ, ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che il A.C. ha depositato memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. in cui si dissente dalla proposta ribadendo le argomentazioni di cui ai motivi di ricorso; 
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata;
 

 

CONSIDERATO
che: con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli arti. 61, 112, 115 e 116 cod. proc. civ., 2697 cod. civ. nonché 40 e 41 cod. pcn. ( in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) per avere la Corte di merito omesso di pronunciarsi sulla specifica richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio con riferimento alle attività morbigene svolte dal A.C., così come emerse dalla espletata istruttoria, ed alla loro idonea efficienza causale rispetto alle malattie al predetto diagnosticate (“spondiloartrosi con protrusioni discali lombari multiple” e “ernia discale lombare intrasponginosa”); con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli art. 40 e 41 cod. pen., 2697 cod. civ., 61, 196, 115, 132 cod. proc. civ., 3, 79 e 84 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 nonché 13, comma 2°, lett. a) e b) del d.lgs. 23 febbraio 2000 n.38, 3 , 38 Cost., e 1, lista 1, Gruppo 2 del D.M. 14.1.2008 ( in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.) per avere il giudice del gravame escluso il nesso causale tra le attività espletate dal A.C. e le malattie dallo stesso contratte senza disporre una nuova consulenza tecnica d’ufficio e nonostante la letteratura scientifica ed i dati statistico epidemiologici richiamati deponessero nel senso della ricorrenza del detto nesso di causalità; con il terzo mezzo si deduce violazione degli arti. 112, 115 e 132 cod. proc. civ., 2697 cod. civ. e 111 Cost. (in relazione all’art. 360, primo comma n.3, cod. proc. civ.) in quanto la Corte di appello aveva omesso di motivare circa la esclusione del nesso di causalità in relazione ad alcuni rischi specifici , dedotti e provati, cui era stato esposto il ricorrente; 
che i tre motivi, da trattare congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono inammissibili in quanto finiscono con l’integrare un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale, che si traduce, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (giurisprudenza consolidata: v. da ultimo Cass. n. 1472 del 22 gennaio 2013, Cass. n. 1652 del 03/02/2012; id. n. 569 del 12/01/2011; Cass. n. 22707 del 08/11/2010; Cass. n. 9988 del 29/04/2009); invero, la Corte territoriale ha, in modo sintetico ma adeguato, evidenziato le ragioni per le quali ha ritenuto di condividere il contenuto e le conclusioni delle due consulenze tecniche espletate in primo grado; peraltro, il giudice d'appello non è tenuto a motivare il diniego di una nuova consulenza e tale decisione, anche implicita, non è sindacabile in sede di legittimità qualora gli elementi di convincimento per disattendere la richiesta di rinnovazione della consulenza formulata da una delle parti siano stati tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e ritenute esaurienti dal giudice con valutazione immune da vizi logici e giuridici (ex multis Cass. n. 25569 del 17/12/2010; Cass. n. 15263 del 06/07/2007; Cass. n. 20820 del 26/09/2006);
che, con riferimento al lamentato vizio di un omesso esame di punti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti denunciato nella parte finale del secondo motivo se ne rileva la inammissibilità in quanto non presenta alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360, primo comma, n. 5 così come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte ( SU n. 8053 del 7 aprile 2014) finendo con il denunciare non la omessa valutazione di un fatto storico, bensì di risultanze istruttorie;
che, per tutto quanto sopra considerato, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile; 
che le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come dispositivo;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 qitater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell'atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, seni n. 3774 del 18 febbraio 2014); inoltre, il presupposto di insorgenza dell'obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater., del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014);
 

 

P.Q.M.

 


La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%:
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.