Cassazione Penale, Sez. 4, 27 marzo 2017, n. 15178 - Mancanza di protezione contro le cadute dall'alto e infortunio mortale del lavoratore. Annullamento della sentenza di assoluzione, in appello, del DL


 

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 09/03/2017

 

Fatto

 

l. La Corte di appello di Bolzano il 15 febbraio 2016, in riforma della sentenza del Tribunale di Bolzano del 20 dicembre 2013, appellata dall'Imputato, ha dichiarato non doversi procedere per prescrizione nei confronti di A.S. in relazione alle contravvenzioni di cui al capo n. 2) (violazione degli artt. 18, comma 2, e 5-bis, del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276) e lo ha assolto dall'accusa dell'omicidio colposo di M.F. contestata al capo n. 1).
2. Il fatto storico da cui scaturisce l'avvio del procedimento consiste nella morte, avvenuta il 21 luglio 2007, a seguito di precipitazione da un'altezza di più di dodici metri, di M.F., operaio che era intento nei lavori di getto del solaio al quarto piano di un edificio in costruzione: la caduta era dovuta al ribaltamento sotto il peso della vittima di un pannello di casseratura montato male nei pressi del bordo esterno del quarto solaio dell'edificio risultato essere completamente privo di qualsiasi protezione contro cadute dall'alto.
3. Ha ritenuto il Tribunale che l'operaio M.F. fosse stato solo formalmente assunto, come del resto altri colleghi, dalla ditta "S. & D. Costruzioni" s.r.l. che, priva, come emerso dagli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria, di qualsiasi struttura aziendale, di uffici, di magazzini, di strumenti di lavoro, si era limitata, non essendo però a ciò autorizzata, a somministrare illecitamente, sotto la mera apparenza di un contratto di subappalto, manodopera alla "S. Bau s.r.l.", di cui era legale rappresentante A.S., con ciò realizzandosi le contravvenzioni penali contestate al capo n. 2).
L'imputato, inoltre, è stato in primo grado riconosciuto colpevole, nella stessa qualità, della morte di M.F., operaio (solo formalmente) dipendente della ditta "S. & D. Costruzioni", incaricata dalla "S. Bau" di eseguire lavori di carpenteria e muratura nell'ambito di lavori appaltati dal "Consorzio Piose", appunto, alla S. Bau", di costruzione di un complesso edilizio, per colpa generica e specifica, quest'ultima consistita nella violazione della normativa sulla prevenzione degli infortuni e sulla sicurezza sul lavoro.
In particolare, avendo nel tardo pomeriggio di sabato 21 luglio 2007 gli operai forniti dalla "S. & D. Costruzioni" alla "S. Bau", tra cui M.F., iniziato, diversamente da come stabilito nel crono-programma dei lavori concordato nella riunione di cantiere tenuta quella settimana, i lavori di casseratura del quarto solaio dell'edificio in costruzione, in violazione delle norme tecniche, delle prassi sino ad allora seguite in cantiere e delle fondamentali misure di sicurezza, in quanto, essendo stato effettuato il getto del terzo solaio soltanto il 20 luglio 2007, sino a lunedì 23 luglio 2007 non dovevano essere intraprese lavorazioni, dovendosi attendere il consolidamento del cemento, non essendo stato ancora allestito il ponteggio sino all'altezza di un metro sopra il piano di calpestio del quarto solaio, attività che era prevista per lunedì 23 luglio 2007, ed essendo stato smontato dagli operai il parapetto del terzo solaio e parte del ponteggi esistenti ancora il 20 luglio 2007 nell'angolo nord-est della costruzione, accadeva che, verso le 17.50 del 21 luglio 2007 uno dei pannelli orizzontali del sistema di cassettatura "Skydeck" in uso in cantiere, montato male, si è ribaltato sotto il peso dell'operaio nei pressi del bordo del quarto solaio, in quel punto completamente privo di qualsivoglia protezione contro le cadute dell'altro, con la conseguente precipitazione nel vuoto di M.F..
I profili di colpa specifica ritenuti sussistenti ed addebitabili ad A.S. sono stati individuati, in qualità di effettivo datore di lavoro, sia nella mancata predisposizione di misure di caduta dall'alto legalmente prescritte e previste dal piano di sicurezza e coordinamento sia nel non corretto montaggio del sistema modulare di armamento Skydeck" secondo le istruzioni del fabbricante, la cui attuazione avrebbe impedito l'evento sotto il profilo di evitare la precipitazione dell'operaio e, ancor prima, il ribaltamento del piano di calpestio.
4. Interposto appello da parte dell'imputato, la Corte territoriale, dichiarate estinte per prescrizione le contravvenzioni, ha ribaltato il giudizio di penale responsabilità nei confronti di A.S., in sostanziale accoglimento del quarto motivo di appello (pp. 18-19 dell'Impugnazione), ritenendo, testualmente ed integralmente, quanto segue:
«1. L'infortunio - caduta dall'alto dell'operaio in seguito alla mancata predisposizione di ponteggi e parapetti si è verificato nel tardo pomeriggio di sabato, 21.7.2007 e perciò durante il fine settimana; 2. tali ponteggi e parapetti il giorno prima, venerdì 20.7.2007, c'erano e risultano essere stati successivamente tolti, quanto meno in parte, probabilmente dagli stessi operai al lavoro sul cantiere nel tardo pomeriggio del 21.7.2007; 3. il cronoprogramma dei lavori concordato in settimana (casseratura del quarto solaio) non prevedeva tale lavoro per il fine settimana in cui si è verificato l'infortunio mortale e ciò sia in conseguenza del rispetto dei termini minimi di essicazione del terzo solaio sia dell'arrivo in cantiere delle componenti necessarie per l'innalzamento del ponteggio previsto per il lunedì successivo - 23.7.2007.
Tali dati di fatto, tutti già accertati dalla sentenza impugnata cui si rinvia, risultano assorbenti rispetto a ogni altra considerazione segnatamente sulla qualità di datore di lavoro effettivo del S.. L'infortunio mortale occorso all'operaio M.F. non è riconducibile eziologicamente alla condotta del S., ma risulta frutto di una sconsiderata e per quanto consta autonoma deliberazione degli operai, almeno rispetto ai S., di "portarsi avanti" durante il finesettimana nei lavori per il quarto solaio e ciò nonostante la perfetta assenza, per indisponibilità di fatto, delle opere provvisionali e perciò di un comportamento eccezionale degli operai durante il finesettimana che egli non aveva previsto né poteva ragionevolmente prevedere.
Ne deriva [...l'] assenza di prova circa un qualsiasi rilievo di colpa [...]».
E' così pervenuta a sentenza assolutoria dell'Imputato, con la formula perché il fatto non costituisce reato.
5. Ricorre per la cassazione della sentenza l'Avvocato generale della Corte di appello di Bolzano, il quale si affida a tre motivi con i quali lamenta promiscuamente difetto motivazionale e violazione di legge.
5.1. Con il primo motivo censura apparenza e difetto assoluto di motivazione in relazione al calcolo che ha condotto alla declaratoria di prescrizione delle contravvenzioni, evento estintivo che, secondo il Requirente, per effetto delle richiesta di rinvio delle difese degli imputati, non sarebbe maturato alla data di adozione della sentenza impugnata.
5.2. Con il secondo motivo denunzia ulteriormente apparenza e difetto assoluto di motivazione in relazione alla esclusione della responsabilità per l'omicidio colposo. Infatti, pur avendo richiamato integralmente la sentenza di primo grado, la Corte di appello avrebbe sorvolato sulla circostanza che proprio la mattina dell'infortunio, il 21 luglio 2007, A.S. si recò sul cantiere (come espressamente ritenuto alla p. 20 della sentenza del Tribunale), fatto che, invece, è stimato assolutamente decisivo per la verifica circa la - erroneamente - ritenuta imprevedibilità per il datore di lavoro dell'effettuazione dei lavori da parte degli operai.
5.3. Con l'ultimo motivo censura manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione dell'art. 589 cod. pen. in relazione alle violazioni della normativa di prevenzione contestate, alla causalità ed alla colpa.
Richiamata da parte del ricorrente consolidata giurisprudenza di legittimità stimata pertinente, si ritiene non abnorme la condotta del lavoratore nel caso di specie, sottolineando in punto di fatto che è stato accertato che la squadra di operai cui apparteneva M.F. era parte effettiva dell'organizzazione dell'impresa di S., le cui direttive eventualmente impartite non sono note, essendo comunque certo che lo stesso fu presente la mattina del 21 luglio 2007 in cantiere e che gli operai, peraltro in assenza di qualsiasi superiore gerarchico, stavano procedendo a lavori la cui evoluzione, per quanto asseritamente anticipata rispetto al programma, era comunque necessitata.
Si evidenzia, infine, da parte del ricorrente che, anche volendo prendere a riferimento la giurisprudenza più recente ed «innovativa» (p. 4 del ricorso) della S.C. (si richiama al riguardo espressamente Sez. 4, n. 8883 del 10/02/2016, Santini e altro, Rv. 266073, secondo cui «In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva dei rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore (In motivazione la Corte di cassazione ha precisato che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori)»), mancherebbe nel caso di specie la prova che l'imputato abbia adempiuto al fondamentale obbligo di vigilanza, essendo - anzi - emerso che vi fu sotto tale profilo grave carenza, avendo l'istruttoria dimostrato che sul cantiere era presente una squadra di operai dipendenti di un'impresa fittizia, che operava nella più completa autonomia, peraltro nella piena consapevolezza da parte del datore di lavoro effettivo S. e senza nessun superiore gerarchico che coordinasse o che controllasse l'attività degli operai.
6. Resiste, con memoria depositata il 22 febbraio 2017 a firma dei difensori, l'imputato, che valorizza specialmente la corretta gestione del cantiere e la ritenuta imprevedibilità per A.S. della condotta del lavoratore, peraltro persino privo della cintura di ritenuta pur nella sicura consapevolezza dell'assenza di ponteggio, ponteggio che sarebbe stato rimosso, almeno in parte, dai suoi colleghi. Chiede il rigetto dell'impugnazione.
 

 

Diritto

 


l. Va premesso che le contravvenzioni sono pacificamente prescritte (al più tardi, tenuto conto delle sospensioni, il 26 novembre 2014: infatti contestazione + cinque anni + 590 giorni di complessiva durata della sospensione) e che, anche a prescindere dal rilievo che la mera mancata esplicitazione dei conteggi ben difficilmente può costituire ammissibile motivo di ricorso per cassazione, erra sul punto l'Avvocato generale della Corte di appello nel ritenere il contrario, peraltro senza specificamente indicare il calcolo dei rinvìi.
2. Ciò posto, la sentenza di appello è erronea, anzitutto nel metodo argomentativo seguito.
2.1. Quanto al metodo, infatti, la Corte di appello di Bolzano non ha tenuto in alcuna considerazione il principio della necessità di motivazione rafforzata in caso di ribaltamento della decisione di primo grado da parte del giudice dell'impugnazione.
2.2. Tale regola, enunziata in termini generali - anche - da Sez U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679, non vale, infatti, solo nel caso di riforma in senso assolutorio della condanna emessa in primo grado (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S., Rv. 262524; Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013, dep. 2014, Ciaramella e altro, Rv. 262261; Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo e altri, Rv. 256869; Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012, dep. 2013, Berlingieri, Rv. 254725; Sez. 6, n. 22120 del 29/04/2009, Tatone e altri, Rv. 243946) ma anche nell'ipotesi opposta. Ed infatti:
«In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di condanna pronunciata in primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, deve, sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del "decisum" impugnato, metterne in luce le carenze o le aporie, che ne giustificano l'integrale riforma» (Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu ed altri, Rv. 261327, nella cui motivazione, alla p. 4, si legge - condivisibilmente - che «il ribaltamento dello statuto decisorio in sede di gravame [...] deve fondarsi non su una semplice divergenza di apprezzamento tra giudici "orizzontalmente" proiettati verso un - reciprocamente autonomo - sindacato dello stesso materiale di prova, ma sul ben diverso versante di un supposto "errore” di giudizio che l'organo della impugnazione reputi di "addebitare" ai giudice di primo grado, alla luce delle circostanze dedotte dagli appellanti ed in funzione dello specifico tema di giudizio che è stato devoluto. Ad una plausibile ricostruzione dei primo giudice, non può, infatti, sostituirsi sic et simpliciter, la altrettanto plausibile - ma diversa - ricostruzione operata in sede di impugnazione (ove così fosse, infatti, il giudizio di appello sarebbe null'altro che un mero doppione del giudizio di primo grado, per di più "a schema libero"), giacché, per ribaltare gli esiti dei giudizio di primo grado, deve comunque essere posta in luce la censurabilità del primo giudizio; e ciò, sulla base di uno sviluppo argomentativo che ne metta in luce le carenze o le aporie che giustificano un diverso approdo sui singoli "contenuti" che hanno formato oggetto dei motivi di appello. La sentenza di appello, dunque, ove pervenga ad una riforma (specie se
radicale [...] di quella di primo grado, deve necessariamente misurarsi con le ragioni addotte a sostegno del decisum dal primo giudice, e porre criticamente in evidenza gli elementi, in ipotesi, sottovalutati o trascurati, e quelli che, ai contrario, risultino inconferenti o, peggio, in contraddizione, con la ricostruzione di fatti e della responsabilità poste a base della sentenza appellata»)-,
«In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che, in radicale riforma della sentenza di condanna di primo grado, pronunci sentenza di assoluzione ha l'obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di condanna, essendo necessario scardinare l'impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova» (Sez. 5, n. 21008 del 06/05/2014, Barzaghi, Rv. 260582);
«In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di condanna dei giudice di primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, non può limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dai primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito aita sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni» (Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Ricotta, Rv. 258005);
ancora, «In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di condanna di primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, non può limitarsi a prospettare notazioni critiche di dissenso alla pronuncia impugnata, dovendo piuttosto esaminare, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni assunte» (Sez. 6, n. 46742 del 08/10/2013, Hamdi Ridha, Rv. 257332; in termini, Sez. 4, n. 35922 del 11/07/2012, Ingrassia, Rv. 254617);
infine, come persuasivamente precisato (Sez. 5, n. 21008 del 06/05/2014, Barzaghi, Rv. 260582, cit., in motivazione al punto n. 1.1. del "considerato in diritto"), «È noto che, in tema di motivazione della sentenza di condanna pronunciata in appello in riforma di sentenza assolutoria di primo grado, il giudice ha l'obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di assoluzione (ASN 200922120-RV 243946). [...] Il principio ha carattere generale e, mutatis mutandis, non può non trovare applicazione anche nella ipotesi inversa: quella in cui, in secondo grado, intervenga assoluzione, in radicale riforma della sentenza di condanna pronunziata dal primo giudice. Invero, non è certo l'epilogo decisorio in malam partem ciò che obbliga il secondo giudicante a una motivazione "rafforzata", ma il fatto che appare necessario scardinare l'impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto contatto diretto con le fonti di prova; una decisione - per altro quella di primo grado - passibile, in astratto, di passare in giudicato».
Del resto, come con chiarezza estrema spiegato, sia pure per incidens, nella parte motiva della recente decisione di Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, «[...] nel nostro ordinamento processuale - che ha prescelto a statuto cognitivo fondante del processo penale il modello accusatorio, ispirato ai principi fondamentali della oralità della prova, della immediatezza della sua formazione davanti ai giudice chiamato a decidere e della dialettica delle parti nella sua formazione - il giudice di appello, che ripete tutti i poteri decisori da quello di primo grado, e non ha di per sé, in base alla sua costituzione e all'ordinamento giudiziario, una "autorevolezza maggiore" di quello»: così al paragrafo n. 8.1 del "considerato in diritto").
2.3. Ebbene, tutto ciò premesso, si riscontra la sussistenza del vizio di motivazione lamentato dal ricorrente.
La Corte di appello, in effetti, si è limitata a contrapporre alle argomentazioni svolte dal Tribunale la propria - soggettiva - ricostruzione dei fatti, evidenziando non già la insostenibilità logica del ragionamento svolto dal Tribunale quanto la preferibilità di una differente lettura delle emergenze istruttorie, lettura peraltro impostata su premesse fattuali incerte, in quanto più intuite che puntualmente dimostrate.
Si osserva infatti: che l'asportazione dei ponteggi e dei parapetti già presenti è addebitata dalla Corte territoriale «quanto meno in parte, probabilmente [...]agli stessi operai al lavoro sul cantiere nel tardo pomeriggio del 21.7.2007» (così alla p. 6 della sentenza di appello), con l'uso dell'avverbio "probabilmente" denotante mancanza di raggiunta sicurezza sul punto; che l'«autonoma deliberazione degli operai [...] di "portarsi avanti" durante il finesettimana nei lavori per il quarto solaio» viene fatta derivare da un apodittico «per quanto consta» (così alla p. 6 della sentenza di appello), tuttavia non meglio argomentato; che non si prende in considerazione, come correttamente fatto rilevare dall'Avvocato generale, l'accesso da parte dell'Imputato la mattina dell'infortunio, emergenza istruttoria (riferita alla p. 20 della sentenza del Tribunale) che avrebbe imposto di accertare se e chi fosse stato eventualmente presente nell'occasione, se e quali attività fossero in corso in quel momento e quale fosse l'effettiva situazione dei luoghi, sotto il profilo della sicurezza, aspetti che risultano, invece, inspiegabilmente del tutto trascurati; che, del resto, è trascurato ogni approfondimento circa lo specifico tipo di lavorazione in corso, onde accertare se fosse compatibile o meno con un'improvvisazione quasi personale dell'agente ovvero se richiedesse la necessaria collaborazione e la compresenza di più persone, ignorandosi non soltanto chi, quando e sotto le direttive di chi avesse montato il solaio il cui ribaltamento ha causato materialmente la caduta di M.F. ma anche quanti operai fossero in concreto contemporaneamente impegnati insieme alla vittima, se essi, e in particolare M.F., fossero a conoscenza del cronoprogramma e se tutti o meno avessero deciso di portarsi avanti nel fine settimana.
2.4. In definitiva, nel descritto - lacunoso - quadro istruttorio il principio di diritto al quale sembra rifarsi la Corte territoriale a proposito di una pretesa abnormità / eccezionalità / esorbitanza della condotta della vittima risulta niente più che una sbrigativa petizione di principio.
3. Discende, di necessità, l'annullamento della sentenza con rinvio (art. 623, lett. c, cod. proc. pen.) per nuovo esame.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d'Appello di Trento.
Così deciso il 09/03/2017.