Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 18 aprile 2017, n. 18783 - Responsabilità di un CSE per la caduta di un lavoratore a causa di un'apertura nel solaio. Prescrizione


 

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: GIANNITI PASQUALE Data Udienza: 23/03/2017

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Firenze, con la sentenza impugnata, salvo che in punto di mancata concessione del beneficio della non menzione, ha integralmente confermato la sentenza 3/5/2013 con la quale il Tribunale di Luca aveva dichiarato L.R., quale coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione nella ditta EdilF. s.r.l., responsabile per aver cagionato, in cooperazione colposa con F.V. (amministratore unico della società, nei cui confronti si è proceduto in separato procedimento), per colpa, con negligenza ed inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, lesioni colpose gravi ai danni del lavoratore B.A..
In data 1 settembre 2008 era infatti accaduto che quest'ultimo, mentre stava rientrando nel cantiere situato in Seravezza (LU), transitando dall'ingresso principale che insisteva su una parte di solaio coperta da travetti di legno con pedane metalliche, precipitava sul pavimento del piano interrato a causa di una apertura che si creava nel solaio per effetto dello spostamento delle pedane metalliche che non erano fissate e si erano mosse al suo transito.
Al L.R., oltre alla colpa generica, veniva contestato di non aver segnalato, contrariamente a quanto previsto dall'art. 158 comma 2 lettera a del d. lgvo n. 81/2008, al committente che l'apertura lasciata nel solaio doveva essere circondata da normale parapetto o da tavola fermapiede oppure fosse coperta con tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio dei ponti di servizio.
2. Avverso la sentenza della Corte d'Appello, tramite difensore di fiducia, propone ricorso il L.R., articolando 5 motivi di doglianza.
2.Nel primo e nel secondo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di conferma delle ordinanze istruttorie (rese in sede di verbale di udienza 7/12/2012, p. 8 e in sede di verbale di udienza 30/1/2013, p. 9 e in sede di verbale di udienza 26/4/2013, p. 12) con le quali il Giudice di primo grado aveva sospeso la camera di consiglio disponendo l'acquisizione di nuove prove (ordinanze che vengono allegate al ricorso ai fini dell'autosufficienza dello stesso).
Il ricorrente deduce che il Tribunale non aveva motivato in ordine alla assoluta impossibilità di decidere all'esito della camera di consiglio e della assoluta necessità di assumere prove documentali e testimonianze, indicandone, quanto meno il tema; e la Corte territoriale, incorrendo nei vizi denunciati, ha ritenuto che la motivazione fosse sufficiente, ancorché stringata. Così operando, il Giudice di primo grado avrebbe leso il suo diritto al contraddittorio, proprio perché non avrebbe reso il suo difensore edotto sugli aspetti del reato contestato che richiedevano un rafforzamento probatorio. E, d'altra parte, la Corte d'appello, oltre che in maniera contraddittoria ed illogica, avrebbe motivato senza dare risposte alle specifiche doglianze proposte in sede di atto di appello.
In definitiva, secondo il ricorrente, la sentenza di primo grado doveva essere dichiarata nulla proprio perché illegittimamente assunte (e, quindi, inutilizzabili) erano le prove sulla base delle quali essa era stata emessa.
2.2. Nel terzo si denuncia vizio di motivazione in punto di accertata irregolarità di una ovvero di tutte le bocche di lupo.
Il ricorrente deduce che la Corte, dopo aver correttamente affermato che su di lui gravava soltanto un obbligo di alta vigilanza sui lavori, ha erroneamente valutato ed illogicamente travisato le dichiarazioni rese dal teste B. (allegate in copia al ricorso) su un punto di fondamentale importanza: quello cioè relativo alla messa in sicurezza di tutte le "bocche di lupo", esclusa quella oggetto del sinistro, ovvero, al contrario, quello relativo alla mancata messa in sicurezza di tutte le bocche di lupo, compresa quella riguardata dal sinistro.
In definitiva, secondo il ricorrente, detto punto assumerebbe una valenza decisiva al fine di valutare la sussistenza sia del profilo di colpa a lui contestato che il nesso di causalità tra lo stesso e l'evento verificatosi: l'infortunio, invero, si sarebbe verificato a causa di un'azione imprevedibile di un terzo che, dopo che lui si era allontanato dal cantiere, aveva inopinatamente rimosso i chiodi che fissavano saldamente le pedane al suolo.
2.3. Nel quarto si denuncia vizio di motivazione in punto di accertata mancata fissazione delle tavole a protezione delle coperture.
Il ricorrente deduce che la Corte sarebbe incorsa nel vizio denunciato laddove ha ritenuto che, poiché nelle foto agli atti non risultavano le impronte dei fori da inchiodatura, se ne doveva dedurre, oltre ogni ragionevole dubbio, la mancanza stessa dell'inchiodatura. Le piccole dimensioni delle "teste" dei chiodi; la difficoltà, per l'occhio umano, di vedere le impronte dei fori dei chiodi; la disponibilità, da parte della Corte di merito, di fotocopie delle fotografie scattate dagli ufficiali di Polizia Giudiziaria; la mancanza di qualsiasi ingrandimento sul punto controverso: sarebbero tutti elementi indicativi dell'illogicità della deduzione operata dalla Corte di appello.
2.4. Nel quinto ed ultimo motivo si denuncia vizio di motivazione in punto di ritenuta non attendibilità della persona offesa.
Il ricorrente, nel sottolineare che era risultato provato che lui si era recato nel cantiere anche la stessa mattina del sinistro, deduce che la Corte territoriale ha omesso di fornire logiche motivazioni sul perché ha ritenuto non attendibile il B.A., cioè la persona offesa laddove lo stesso aveva dichiarato che, dopo che il L.R. aveva terminato il controllo del cantiere, qualcuno aveva inopinatamente schiodato le tavole a sua insaputa (ad insaputa cioè del L.R.). Secondo il ricorrente, sarebbe illogico ritenere che il B.A. sul punto non era attendibile soltanto perché: a) non aveva indicato il nome e il cognome della persona che avrebbe compiuto lo "sconsiderato gesto di rimozione dei chiodi che tenevano ferme le tavole", e non aveva indicato con precisione le ragioni per le quali ciò sarebbe stato fatto, b) dalla documentazione fotografica risultava la mancanza delle impronte dei fori da inchiodatura.
 

 

Diritto

 


La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per essersi il reato estinto a seguito di intervenuta prescrizione, maturata dopo la pronuncia della sentenza impugnata (che risale al 18 giugno 2015).
Invero, il reato risulta commesso in data 1 settembre 2008, ragion per cui, in assenza di cause di sospensione, il termine prescrizionale, pari ad anni 7 e mesi 6, risulta abbondantemente maturato. E non si ravvisano profili di inammissibilità del ricorso.
D'altra parte, non ricorrono le condizioni per un proscioglimento ai sensi dell'art. 129 comma 2 c.p.p., avuto riguardo agli elementi di responsabilità messi in evidenza da entrambi i Giudici di merito, desumibili in particolare dalla deposizione dell'Ispettore B., teste qualificato che aveva effettuato le indagini a seguito dell'infortunio, oltre che dai rilievi fotografici, particolarmente chiari, scattati in quell'occasione (elementi a fronte dei quali è stata ritenuta sfumare la rilevanza delle generiche dichiarazioni rese dal teste G., dedotto dalla difesa ed è stata ritenuta "del tutto inattendibile" la testimonianza della persona offesa, in relazione alla quale è stata disposta la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica di Lucca).
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

 

Così deciso il 23 marzo 2017