Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 aprile 2017, n. 9870 - Infortunio alla dipendente delle Poste. Nessuna responsabilità oggettiva del DL


Il datore di lavoro è obbligato a garantire ai lavoratori la sicurezza e la tutela delle condizioni di lavoro, adottando nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie per tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori (Cass. sent. n. 836/2016).

Colui che vanta un danno alla violazione dell'obbligo generale di sicurezza declinato dall'art. 2087 cc non deve dimostrare la colpa dell'altra parte dato che, ai sensi dell'art. 1218 cc, il debitore/datore di lavoro deve farsi carico di fornire la prova che l'impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa, ovvero il pregiudizio che ha colpito la controparte, derivano da causa a lui non imputabile (Cass. 11 aprile 2013 n. 8855).

Non può essere ragione di esonero totale da responsabilità l'eventuale concorso di colpa di altri dipendenti, se non quando la loro condotta rappresenti la causa esclusiva dell'evento (Cass. sent. n. 2209/2016).
Nel caso di specie la Corte territoriale ha applicato i principi sopra indicati, escludendo, nell'episodio in questione, una condotta distratta della lavoratrice, rilevando la mancanza di prova sulla condotta violenta di terzi e, di contro, la veemenza del movimento automatico e non sicuro della maniglia girevole che colpì la vittima.

I giudici di merito, nella fattispecie in esame, non hanno delineato, pertanto, una ipotesi di responsabilità oggettiva poiché hanno accertato che il datore di lavoro non aveva in sostanza provato l'adozione di comportamenti specifici che, pur non dettati dalla legge, ma suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche nonché dagli standards di sicurezza normalmente osservati, fossero stati idonei ad evitare l'evento.


 

Presidente: MANNA ANTONIO Relatore: CINQUE GUGLIELMO Data pubblicazione: 19/04/2017

 

Fatto


1. Con la sentenza n. 662/2013 la Corte di appello di Roma ha respinto il gravame proposto da Poste Italiane spa avverso la pronuncia del Tribunale capitolino con cui la società era stata condannata al pagamento, in favore della dipendente M.C., a titolo di responsabilità ex art. 2087 cc, della somma di euro 53.217,00 quale risarcimento del danno morale subito a seguito dell'infortunio occorsole il 7.10.2000, nonché dell'importo di euro 3.600,00 a titolo di danno da inabilità temporanea assoluta, mentre erano state respinte le domande di condanna al risarcimento del danno patrimoniale e alla vita di relazione.
2. Per la cassazione ha proposto ricorso Poste Italiane spa affidato a quattro motivi.
3. M.C. è rimasta intimata.
4. La società ha depositato memoria ex art. 378 cp illustrando anche la problematica in ordine alla notifica del ricorso effettuata alla intimata.
 

Diritto


5. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione dell'art. 2087 cc (art. 360 n. 3 cpc) per avere la gravata sentenza delineato un concetto di responsabilità datoriale di tipo oggettivo, mentre questa deve intendersi nel senso che è imposto al datore di lavoro unicamente l'obbligo di predisporre ogni più opportuna cautela al fine di prevenire il verificarsi di incidenti ai propri dipendenti. Inoltre deduce che, nella fattispecie in esame, la Corte territoriale non aveva in alcun modo chiarito quali norme, disposizioni o regole essa società avesse violato, né quali misure ulteriori avrebbe dovuto adottare per impedire l'infortunio occorso.
6. Con il secondo motivo Poste Italiane spa sì duole dell'omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che erano stati oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 cpc). In particolare sostiene che: 1) non era dato comprendere, dalla motivazione espressa dalla Corte, quale fosse la norma che imponesse alla società di posizionare la maniglia girevole ad altezza diversa o in un diverso luogo dell'ufficio rispetto a dove si trovava; 2) non era stata tenuta in alcun conto l'avvenuta apposizione di un cartello, visibile a tutti, contenente precise disposizioni in merito all'apertura della porta; l'inosservanza di tali disposizioni da parte degli addetti al ritiro della corrispondenza e l'avvenuta violenta apertura della porta medesima ad opera di tali addetti.
7. Con il terzo motivo si denunzia l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 cpc) e, cioè, il riconoscimento del danno morale pur in assenza di una specifica richiesta della lavoratrice che si era limitata ad indicare genericamente una serie di danni patiti senza in alcun modo supportare la apodittica richiesta di danno morale e senza allegare alcuna circostanza diretta a comprovarne, nel concreto, la effettività. Si obietta, inoltre, che il danno morale, in ipotesi di infortunio sul lavoro, doveva essere provato, al pari della natura colpevole del comportamento datoriale che lo aveva generato, e che tale colpa non poteva presumersi di talché la impugnata pronuncia era da riformare per avere la Corte di appello omesso di motivare in relazione a fatti decisivi per il giudizio (mancata prova della sussistenza del danno morale, mancata prova della colpa del datore di lavoro non presumibile) nonché in merito alle censure svolte in sede di gravame proprio da essa società.
8. Con il quarto motivo si lamenta l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 cpc), rappresentato dalla quantificazione del danno morale che era stato determinato in via equitativa dal Tribunale e che la Corte di appello aveva confermato senza motivare in ordine alle doglianze sollevate con il gravame.
9. Il primo e secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati.
10. Vanno menzionati alcuni principi statuiti da questa Suprema Corte in materia cui si intende dare seguito.
11.Il datore di lavoro è obbligato a garantire ai lavoratori la sicurezza e la tutela delle condizioni di lavoro, adottando nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie per tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori (Cass. sent. n. 836/2016).
12. Colui che vanta un danno alla violazione dell'obbligo generale di sicurezza declinato dall'art. 2087 cc non deve dimostrare la colpa dell'altra parte dato che, ai sensi dell'art. 1218 cc, il debitore/datore di lavoro deve farsi carico di fornire la prova che l'impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa, ovvero il pregiudizio che ha colpito la controparte, derivano da causa a lui non imputabile (Cass. 11 aprile 2013 n. 8855).
13. Non può essere ragione di esonero totale da responsabilità l'eventuale concorso di colpa di altri dipendenti, se non quando la loro condotta rappresenti la causa esclusiva dell'evento (Cass. sent. n. 2209/2016).
14. Nel caso di specie la Corte territoriale ha applicato i principi sopra indicati, escludendo, nell'episodio in questione, una condotta distratta della lavoratrice, rilevando la mancanza di prova sulla condotta violenta di terzi e, di contro, la veemenza del movimento automatico e non sicuro della maniglia girevole che colpì la M.C..
15. I giudici di merito, nella fattispecie in esame, non hanno delineato, pertanto, una ipotesi di responsabilità oggettiva poiché hanno accertato che il datore di lavoro non aveva in sostanza provato l'adozione di comportamenti specifici che, pur non dettati dalla legge, ma suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche nonché dagli standards di sicurezza normalmente osservati, fossero stati idonei ad evitare l'evento.
16. Va, infatti, rimarcato che la norma relativa alla responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cc non è circoscritta alla violazione di regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, bensì in modo aperto sanziona l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare la integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico (Cass. sent. n. 18626/2013).
17. Relativamente, poi, alla apposizione del cartello sulla porta del gabbiotto per avvertire gli utilizzatori che prima dell'apertura della porta si doveva richiamare "l'attenzione della impiegata addetta alle raccomandate" per cui la ricorrente società si duole dell'omesso esame ex art. 360 n. 5 cpc, deve rilevarsi che la Corte di merito, con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, ha dato atto dell'esistenza del suddetto cartello ma, allo stesso tempo, ha rilevato un'omessa vigilanza sulla sua osservanza.
18. Ciò è sufficiente ad escludere il vizio denunziato ai sensi del novellato art. 360 n. 5 cpc, applicabile al caso concreto in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata, che non consente un nuovo riesame delle risultanze istruttorie e una diversa ricostruzione del fatto accertato (tra le altre Cass. sent. n. 12928/2014).
19. Anche il terzo motivo non è fondato.
20. La dipendente postale ha chiaramente chiesto il danno morale denunciato, come si evince dal ricorso ex art. 409 cpc (punto 16) prodotto dalla stessa società unitamente al ricorso per cassazione, comprovato dal pregiudizio alla "effettiva realizzazione personale psico-fisica ed affettiva nell'ambito della sua famiglia", da essa subita in conseguenza dell'infortunio.
21. Sotto il profilo dell'allegazione, tale danno è stato messo in relazione al certificato del Centro di Salute Mentale dell'Azienda ASL Roma H del 26.11.201 attestante una "Reazione Depressiva di lunga durata" ed è stato liquidato in via equitativa (Cass. sent. n. 16041 del 26 giugno 2013).
22. E ciò nella permanente vigenza del danno non patrimoniale ai sensi dell'art. 2059 cc (sia pure nei limiti indicati da Cass. sent. n. 687 del 15 gennaio 2014 e da Cass. sent. n. 21716 del 23 settembre 2013), anche secondo una lettura costituzionalmente orientata, per la quale esso non disciplina un'autonoma fattispecie di illecito, produttiva di danno non patrimoniale distinta da quella prevista dall'art. 2043 cc, ma regola i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, tra i quali è da annoverare la necessità che la lesione sia grave e che il danno non sia futile (Cass. sent. n. 26367 del 16 dicembre 2014, sent. n. 8703 del 9 aprile 2009): nella piena compatibilità con la responsabilità datoriale a norma dell'art. 2087 cc. Invero, l'obbligo ex art. 2087 cc del datore di lavoro di apprestare una particolare protezione al fine di assicurare l'integrità fisica e psichica del lavoratore integra, al contempo, fonte di responsabilità contrattuale e risarcitoria (nella specie danno morale) in quanto la fattispecie astratta di reato è configurabile anche nei casi in cui la colpa sia addebitata per non avere fornito la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 cc (Cass. sent. n. 1918 del 3.2.2015).
23. Il quarto motivo, infine, neanche può essere accolto.
24. Viene censurato un omesso esame, da parte dei giudici di seconde cure, circa la doglianza avanzata in sede di atto di appello relativa alla quantificazione del danno morale ex art. 360 n. 5 cpc.
25. Anche nella parte argomentativa della censura si fa riferimento ad una totale omissione di motivazione in ordine ai rilievi sollevati da Poste Italiane spa, in sede di gravame, sullo specifico aspetto della quantificazione del danno morale.
26. Orbene, l'omessa pronuncia da parte del giudice di merito, su questioni sollevate nel giudizio, integra però la violazione dell'art. 112 cpc che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell'art. 360 I c n. 4 cpc (cfr. Cass n. 1176/2007; n. 13482/2014).
27. Pertanto il motivo de quo, con il quale la censura sopra indicata è stata proposta sotto il profilo di vizio della motivazione incasellabile nel n. 5 dell'art. 360 cpc, è inammissibile in virtù del principio (cfr. Cass. Sez. Un. sent. n. 17931/2013) sopra esposto.
28. In conclusione il ricorso va respinto.
29. L’infondatezza del ricorso rende superflua la rinnovazione della notifica del ricorso all'intimata nei cui confronti essa non si è perfezionata. Invero, la notifica del ricorso per cassazione effettuata a M.C. in proprio non ha avuto esito positivo mentre è andata a buon fine quella effettuata nel domicilio eletto presso il procuratore costituito unicamente per il giudizio di primo grado: la odierna intimata, infatti è rimasta contumace nel giudizio di appello.
30. Come già statuito a riguardo da questa S.C. (cfr. Cass. n. 15106/13; cfr. altresì, Cass. n. 6826/2010; Cass. n. 2723/2010; Cass. n. 18410/2009), il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cpc) di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio e delle garanzie di difesa e dal diritto a partecipare al processo in condizioni di parità.
31. Ne deriva che, acclarata l'infondatezza del ricorso in oggetto alla stregua delle considerazioni sopra svolte, sarebbe comunque vano disporre la fissazione di un termine per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei tempi di definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio in termini di garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti.
32. Nulla va disposto, conseguentemente, in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
33. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
 

P.Q.M.


La Corte,
rigetta il ricorso; nulla per le spese. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 Dicembre 2016