Cassazione Civile, Sez. Lav., 21 aprile 2017, n. 10151 - Beneficio della rivalutazione contributiva per l'esposizione all'amianto e risarcimento per mancato rilascio del certificato di esposizione al rischio. Rigetto


 

 

 

 

Presidente: MAMMONE GIOVANNI Relatore: BERRINO UMBERTO Data pubblicazione: 21/04/2017

 

 

Fatto

 


Si controverte del diritto dei lavoratori DR.P. e F.B. al riconoscimento del beneficio della rivalutazione contributiva nei confronti dell'Inps per l'esposizione al rischio di amianto, nonché della loro richiesta di condanna dell'Inail al risarcimento dei danni conseguenti al mancato rilascio del certificato di esposizione al predetto rischio.
Con sentenza pubblicata il 31.8.2010, la Corte d'appello di Venezia, nel confermare la sentenza di primo grado di rigetto della domanda, ha rilevato che nella fattispecie non era risultato provato il superamento della soglia qualificata di esposizione all'amianto per il riconoscimento dell'invocato beneficio.
Per la cassazione della sentenza ricorrono con separati ricorsi il DR.P. e il F.B. con tre motivi. Entrambi depositano memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.
Resistono con controricorso l'Inps e l'Inail.
 

 

Diritto

 


1. Col primo motivo i ricorrenti denunziano l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonché la violazione, falsa ed omessa applicazione delle norme di cui agli artt. 112 - 115 c.p.c. e 13, comma 8, della legge 257/1992; inoltre, i medesimi sollevano l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 8, della legge n. 257/92 per violazione degli artt. 3, 24 e 38 della Costituzione. In pratica, viene contestata la decisione della Corte territoriale in merito alla ravvisata necessità di individuazione di una soglia di esposizione qualificata agli effetti nocivi dell'amianto (0,1 fibre per centimetro cubo) in funzione del riconoscimento del diritto al reclamato beneficio della rivalutazione contributiva prevista dalla citata legge. Invece, secondo i ricorrenti il riconoscimento dei benefici in esame prescinde dal superamento o meno del predetto valore di esposizione; inoltre, l'interpretazione dell'art 13, comma 8, della legge n. 257/92 nel senso propugnato dalla Corte di merito si porrebbe in contrasto coi principi fondanti delle norme della Carta Costituzionale sopra richiamate in quanto renderebbe eccessivamente difficoltosa la prova del diritto di natura previdenziale di cui trattasi.
2. Col secondo motivo i ricorrenti deducono il vizio di motivazione di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c., nonché quello di violazione di legge con riferimento alle norme di cui agli artt. 2957 cod. civ., 416 c.p.c. e 13 della legge n. 257/92, dolendosi che la Corte d'appello ha rigettato il ricorso sulla scorta del fatto che le prove testimoniali non avevano consentito di provare i tipi di lavorazione e gli specifici compiti espletati dai singoli. Assumono, infatti, i ricorrenti che i compiti da essi espletati non erano stati mai contestati dall'Inps e che le prove testimoniali al riguardo non erano state valutate dalla Corte di merito; inoltre, la Corte aveva sbagliato laddove aveva negato ogni validità alla consulenza tecnica d'ufficio per il fatto che questa sarebbe stata svolta sulla base delle dichiarazioni degli interessati con alterazione delle regole del processo, mentre l'ausiliare non si era limitato, secondo i ricorrenti, ad esprimere il proprio parere sulla base dei questionari compilati dagli interessati, avendo acquisito, invece, anche altri dati utili all'elaborazione tecnica.
3. Col terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione, falsa ed omessa applicazione di norme di diritto (art. 13 l. n. 257/92), nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per la controversia (art. 360 n. 5 c.p.c. e art. 14 della legge n. 257/1992). In particolare i ricorrenti contestano la sentenza laddove i giudici d'appello hanno ritenuto che la probabilità qualificata dell'esposizione all'amianto, richiesta ai fini del riconoscimento dei benefici per esposizione ultradecennale alle polveri di tale sostanza, deve tradursi in un concetto di probabilità come di certezza giudiziale processualmente intesa e allorquando hanno affermato che il CTU si sarebbe espresso per una esposizione solo probabile alle suddette polveri nocive, senza però motivare tale loro convincimento.
4. Osserva la Corte che per ragioni di connessione i suddetti motivi, contraddistinti da una sostanziale unitarietà della questione, possono essere trattati congiuntamente.
Tali motivi sono infondati.
Anzitutto, per quel concerne la questione della individuazione di una soglia di esposizione all'amianto, la Corte territoriale si è correttamente uniformata al consolidato orientamento di questa Corte (ribadito da ultimo con le Ordinanze della sezione Lavoro n. 6360 del 23.4.2012, n. 10671 del 26.6.2012 e n. 1810 del 2.2.2015) secondo cui "il disposto dell'art. 13, ottavo comma, della legge n.257 del 1992, relativo all'attribuzione di un beneficio contributivo-pensionistico ai lavoratori esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, applicabile nella specie "ratione temporis", va interpretato nel senso che l'esposizione all'amianto ivi prevista è identificabile con un'esposizione superiore al valore di 0,1 fibre per centimetro cubo di cui all'art. 24, terzo comma, del d.lgs. n. 277 del 1991 (abrogato dall'art. 5 del d. lgs.n. 257 del 2006)" (Cass. sez. lav. n. 400 dell'11.1.2007; in senso conf. v. altresì Cass. Sez. lav. n. 22422 del 19.10.2006 e n. 4650 del 26.2.2009).
5. Sono, altresì, infondate le doglianze incentrate su una asserita errata valutazione del materiale probatorio, ivi comprese le risultanze del consulente d'ufficio, in quanto attraverso le stesse i ricorrenti tentano una rivisitazione del merito istruttorio che non è consentita nel giudizio di legittimità laddove, come nella fattispecie, la motivazione dell'impugnata sentenza risulta adeguata ed esente da errori di ordine logico-giuridico, per cui finisce per sottrarsi ai rilievi di legittimità. Infatti, la Corte territoriale ha spiegato che l'esito delle prove testimoniali assunte in prime cure non aveva consentito di ritenere raggiunta la prova delle mansioni svolte dai ricorrenti, costituente il presupposto di fatto per la verifica del livello di esposizione, così come il consulente d'ufficio, la cui indagine si era svolta sulla base delle dichiarazioni degli interessati, aveva concluso per una esposizione solo probabile, se non addirittura occasionale, alle polveri d'amianto.
In tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la "ratio decidendi" venga a trovarsi priva di base (v. in tal senso Cass. Sez. 3 n. 9368 del 21/4/2006, nonché Cass. sez. lav. n. 15355 del 9/8/2004).
6. Sono, infine, infondati i dubbi di legittimità costituzionale della norma di cui all'art. 13, comma 8°, della legge n. 257 del 1992 in ordine alla necessità della sussistenza di una esposizione qualificata alle polveri di amianto ai fini del riconoscimento della rivalutazione contributiva prevista da tale norma per le seguenti ragioni: - Chiamata a decidere sulla fondatezza di siffatti dubbi, la Corte Costituzionale con pronunzia del 12 gennaio 2000 n. 5 ha dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità - sollevate in riferimento agli art. 3 e 81 della Costituzione - dell’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (come modificato dall'art. 1, comma 1, del d.l. 5 giugno 1993 n. 169, convertito con modificazioni nella legge 4 agosto 1993 n. 271) in tema di contribuzione aggiuntiva per i lavoratori che, pur non avendo contratto malattia, siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore ai dieci anni. 
6.1. Il ragionamento seguito dal giudice delle leggi si articola nei seguenti passaggi: a) l'art. 13, comma 8, può trovare, attraverso la convergenza degli ordinari criteri ermeneutici (letterale, sistematico e teleologico), congrua definizione nella sua portata, in vista della sua piana e puntuale applicazione, dovendosi escludere che la disposizione in esame si configuri "in guisa tale da inibire in virtù della latitudine del suo dettato, ogni possibilità di sua ragionevole interpretazione ed applicazione, si da risultare portatrice di una ingiustificata omologazione di situazioni tra loro diverse"; b) lo scopo della disposizione va rinvenuto nella finalità di offrire ai lavoratori esposti all'amianto per un apprezzabile periodo di tempo (10 anni) un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene; c) il criterio decennale costituisce un dato di riferimento tutt'altro che indeterminato, specie se si considera il suo collegamento, contemplato dallo stesso art. 13, comma 8, al sistema generale di assicurazione obbligatoria contro le malattia professionali derivanti dall'amianto, gestita dall'INAIL; d) il concetto di esposizione ultradecennale, coniugando l'elemento temporale con quello di attività lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela previdenziale(art. 1 e 3 del d.p.r. n. 1124 del 1965), viene ad implicare, necessariamente, quello di rischio, e, più precisamente di rischio morbigeno rispetto alle patologie, quale esse siano, che l'amianto è capace di generare per la presenza nell'ambiente di lavoro; e) una siffatta evenienza è tanto pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell'ambiente lavorativo, che segna la soglia minima del rischio di esposizione (decreto legislativo 15 agosto 1991 n. 277 e successive modifiche); f) la disposizione in esame poggia, dunque, su un sicuro fondamento, rappresentato sia dal dato di riferimento temporale sia da quella nozione di rischio che, come noto, caratterizza il sistema delle assicurazioni sociali, con l'ulteriore conseguenza che, essendosi in presenza di "un precetto adeguatamente definito negli elementi costitutivi della fattispecie che ne è oggetto, e congruamente correlato allo scopo che il legislatore si è prefisso, non vulnera, in conclusione, il parametro dell'art. 3 della Costituzione"; g) una volta accertata l'infondatezza della censura di incostituzionalità, basata sull'art. 3 Cost. e sulle "ulteriori implicazioni derivanti ... sul piano della supposta indeterminabilità dei destinatari e della conseguente impossibilità di stabilire l'entità degli oneri finanziari connessi alla norma", è stata poi avvertita dallo stesso giudice delle leggi, a più riprese, la necessità di agganciare detta esposizione a dei chiari "standards" parametrici di rischio, che limitino la platea dei beneficiari e valgano a fondare la disposizione in esame su ragioni logico-giuridiche capaci di sottrarla ad ogni applicazione diretta a violare il fondamentale principio di cui all'art. 3 Cost.
6.2. Orbene, mentre nel sistema assicurativo, l'indicazione dell'allegato 8 al d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 - riguardante i "lavori ... che comunque espongano ad inalazione di polvere di amianto" - risponde all'esigenza, sottesa a ciascuna lavorazione tabellata, di far ritenere provato il nesso eziologico tra malattia professionale e lavorazione, altre finalità persegue invece il citato comma ottavo dell'art. 13, atteso che il beneficio pensionistico è destinato ad operare in un diverso contesto fattuale, che prescinde dal verificarsi della malattia, sicché può affermarsi sinteticamente che mentre quest'ultima disposizione spiega i suoi effetti antecedentemente all'infermità, che può anche non manifestarsi, il sistema basato sull’allegato 8 al d.p.r. n. 1124/1965 è destinato, di contro, ad operare se, ed in quanto, si manifesti l'infermità tabellata. Tra l'altro, siffatte argomentazioni non consentono in alcun modo di considerare illegittimi, e privi di giustificazione sociale, quei benefici, come quello in oggetto, che vengono attribuiti - in attuazione dei principi di solidarietà di cui è espressione l'art. 38 Cost. - in funzione compensativa dell'obiettiva pericolosità dell'attività lavorativa spiegata. Né può trascurarsi che sempre nel rispetto di criteri di elementare razionalità da cui partire nella lettura di ogni disposizione normativa pur priva della necessaria chiarezza, deve escludersi che il legislatore del 1992, abbia voluto attribuire il beneficio pensionistico in esame a tutti i lavoratori comunque esposti ad inalazioni di amianto anche di minima entità, abbia cioè voluto attribuire detto beneficio anche a coloro destinati a spiegare la loro attività in ambienti oggetto dell'opera di bonifica e delle misure di prevenzione (di cui al decreto legislativo attuativo delle direttive comunitarie), suscettibili di rendere "respirabile" - come doveva poi essere espressamente affermato dall'art. 16, comma 1, l. n. 128 del 1998 n. 128 - la concentrazione di fibre di amianto destinata a rimanere al di sotto dei valori limite, legislativamente fissati. In definitiva, una lettura dell'intero articolo 13 l. n. 257/1992 attesta, a fronte di lavorazioni importanti l'impiego di amianto, una volontà di parametrare i benefici da riconoscere agli addetti a tali lavorazioni all'entità del rischio di esposizione, riconoscendo una posizione privilegiata ai lavoratori che, per essere stati occupati in imprese che utilizzavano o estraevano amianto, risultavano maggiormente esposti al rischio di detto materiale. Ed una tale lettura, che induce a rifiutare soluzioni dirette ad attribuire benefici non certo marginali (quali quelli di cui si discute) a tutti indistintamente i lavoratori addetti ad ogni tipo di lavorazione comunque importante esposizione a polvere di amianto - e quindi anche ai lavoratori soggetti ad esposizioni al rischio meno significative - trova conforto anche nella lettera del comma ottavo dello stesso articolo (v. in tal senso Cass. Sez. lav. n. 4913 del 2001). 
6.3. Né possono condividersi i dubbi di legittimità costituzionale della norma in esame per asserita violazione del diritto di difesa in quanto, fermo restando che in ossequio al generale principio dell'onere della prova la dimostrazione della sussistenza degli elementi costitutivi del diritto compete a chi intende avvalersene, questa Corte ha già avuto occasione di precisare che per il conseguimento del beneficio in esame è sufficiente che la prova dell'esposizione qualificata possa ritenersi raggiunta in presenza di un elevato grado di probabilità di esposizione in misura superiore alle soglie previste dalla legge (Cass. sez. lav. n. 25050 dell'11.12.2015), la qual cosa è diversa dal grado di certezza, che il legislatore ha conferito pieno valore alla certificazione dell’Inail concernente, per ciascun lavoratore, il grado di esposizione e la sua durata, rilasciata sulla base degli atti di indirizzo del Ministero del lavoro, come mezzo di prova ai fini del beneficio stesso (Cass. sez. 6 - Lav., Ordinanze n. 6264 del 16.3.2011 e n. 19456 del 20.9.2007) e che può avere rilevanza anche il dato epidemiologico (v. Cass. sez. lav. n. 9057 del 12.5.2004), per cui eventuali difficoltà tecniche al reperimento degli elementi di prova, tra l'altro superabili attraverso gli strumenti processuali probatori e la sollecitazione dei poteri ufficiosi del giudicante, particolarmente significativi nel rito del lavoro, non possono equipararsi ad un pregiudizio del diritto di difesa.
7. Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e vanno liquidate come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore di ognuno dei due controricorrenti delle spese del presente giudizio nella misura di € 2200,00 ciascuno, di cui € 2000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma il 7 dicembre 2016