Cassazione Penale, Sez. 3, 27 aprile 2017, n. 19959 - Omessa richiesta del certificato di prevenzione incendi


 

 

Presidente: AMORESANO SILVIO Relatore: LIBERATI GIOVANNI Data Udienza: 23/11/2016

 

 

 

Fatto

 


1. Con sentenza del 10 settembre 2015 il Tribunale di Vicenza ha condannato P.E.C., nella sua veste di amministratore della Fonderia P.E.C. Cav. Bortolo S.p.a., alla pena di euro 13.000,00 di ammenda, in relazione a plurime violazioni alle disposizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro di cui al d.lgs. 81/2008 e per l'omessa richiesta di rilascio del certificato di prevenzione incendi, in violazione dell'art. 20, comma 1, d.lgs. 139/2006.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la P.E.C., mediante il suo difensore di fiducia, affidato a sette motivi. 
2.1. Con il primo motivo ha denunciato violazione dell'art. 20, comma 2, d.lgs. 758 del 1994, per l'omessa notifica del verbale di accertamento al legale rappresentante della società e la conseguente pronuncia di sentenza di merito in assenza di una condizione di procedibilità.
2.2. Con il secondo motivo ha denunciato ulteriore violazione degli artt. 20 e 21 d.lgs. 758/1994 per l'omessa notificazione del provvedimento di ammissione alla c.d. oblazione speciale, con la conseguente mancanza di una ulteriore condizione di procedibilità.
2.3. Con il terzo motivo ha denunciato vizio di motivazione a proposito della mancata assoluzione dai reati di cui ai capi 2) e 9), comportanti violazioni identiche a quelle di cui al capo 10), per il quale il Tribunale aveva pronunziato sentenza di assoluzione, in quanto tutte le condotte descritte in tali capi riguardavano il medesimo fatto, e cioè l'omessa richiesta del certificato di prevenzione incendi previsto dal d.P.R. 151/2011.
2.4. Con il quarto motivo ha denunciato errata applicazione dell'art. 20, comma 1, d.lgs. 139/2006, trattandosi di norma priva di portata cogente, non essendo mai stato emanato il decreto attuativo previsto dall'art. 16, comma 1, del d.lgs. 139/2006, con la conseguente irrilevanza penale della violazione della disposizione di cui all'art. 20, comma 1, d.lgs. 139/2006.
2.5. Con il quinto motivo ha denunciato vizio di motivazione in ordine alla imputazione di cui al capo 5) della rubrica, in relazione alla quale non era stato considerato quanto esposto dai testimoni della difesa a proposito della esecuzione di lavori di rifacimento delle tubazioni di metano e ossigeno.
2.6. Con il sesto motivo ha denunciato analogo vizio della motivazione in relazione alla imputazione di cui al capo 6) della rubrica, affermando la mera apparenza della motivazione, nella quale non era stato considerato quanto esposto dal teste M., a proposito del fatto di aver visto all'interno della azienda cartelli identici a quelli rappresentati nell'allegato LI del d.lgs. 81/2008, con la conseguente omissione della motivazione sul punto, trattandosi di affermazione decisiva in ordine alla responsabilità dell'imputato.
2.7. Con il settimo motivo ha denunciato violazione dell'art. 162 bis cod. pen., in quanto, poiché al momento del deposito dell'atto di opposizione a decreto penale vi era la prova della eliminazione delle conseguenze dannose dei reati, la ricorrente avrebbe dovuto essere ammessa alla oblazione, come richiesto tempestivamente con l'atto di opposizione, con richiesta rinnovata all'udienza del 15 ottobre 2014 e rinnovata all'udienza del 1 aprile 2015, ma nonostante ciò tale richiesta era stata disattesa dal Tribunale di Vicenza. Dai documenti prodotti e come risultante dal testo della sentenza impugnata si ricavava, infatti, l'eliminazione delle condizioni di illiceità contestate, con la conseguente illegittimità del diniego della ammissione alla oblazione.

 

Diritto

 


1. Il ricorso non è fondato.
2. Il primo e il secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, riguardando entrambi la violazione degli artt. 20 e 21 d.lgs. n. 758 del 1994, per l'omessa notifica del verbale di accertamento e del provvedimento di ammissione alla oblazione speciale al legale rappresentante della società e alla ricorrente, sono infondati.
L'art. 20 del d.lgs. n. 758 del 19 dicembre 1994, le cui disposizioni continuano a essere applicabili in virtù dell'espresso richiamo contenuto nell'art. 301 d.lgs. 81 del 2008, secondo cui " Alle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro previste dal presente decreto nonché da altre disposizioni aventi forza di legge, per le quali sia prevista la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda ovvero la pena della sola ammenda, si applicano le disposizioni in materia di prescrizione ed estinzione del reato di cui agli articoli 20, e seguenti, del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758", prevede, ai commi 1 e 2, che "Allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art. 55 del codice di procedura penale, impartisce al contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario. Tale termine è prorogabile a richiesta del contravventore, per la particolare complessità o per l'oggettiva difficoltà dell'adempimento. In nessun caso esso può superare i sei mesi. Tuttavia, quando specifiche circostanze non imputabili al contravventore determinano un ritardo nella regolarizzazione, il termine di sei mesi può essere prorogato per una sola volta, a richiesta del contravventore, per un tempo non superiore ad ulteriori sei mesi, con provvedimento motivato che è comunicato immediatamente al pubblico ministero. Copia della prescrizione è notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell'ente nell'ambito o al servizio del quale opera il contravventore".
Ne consegue l'irrilevanza della omessa notificazione del verbale di accertamento delle contravvenzioni alla società, essendo richiesta, ai fini della procedibilità dell'azione penale nei confronti del contravventore (Sez. 3, n. 44369 del 24/10/2007, Rossini, Rv. 238453), solamente la notificazione a quest'ultimo, onde consentirgli di avvalersi della facoltà di estinguere le violazioni attraverso l'adempimento delle prescrizioni impartite dagli organi di vigilanza, ai sensi dell'art. 24 d.lgs. 758/1994; l'obbligo di notificazione anche al legale rappresentante della società, se diverso, come nella specie, dal contravventore, assolve solamente alla funzione di informare la società dell'accertamento delle violazioni, onde eventualmente concorrere e partecipare alla eliminazione delle loro conseguenze, rimessa pur sempre, al fine di potersi avvalere di detta causa di estinzione delle violazioni, al contravventore (che non ha prospettato difficoltà od ostacoli frapposti dalla società, con la conseguente irrilevanza, anche sotto questo profilo, della mancata notificazione al legale rappresentante della società del verbale di accertamento).
Anche l'omessa notificazione alla ricorrente del provvedimento di ammissione alla oblazione speciale di cui all'art. 21, comma 2, d.lgs. 758/1994, non determina l'improcedibilità dell'azione penale eccepita dalla P.E.C., in quanto non è necessaria una formale notificazione del verbale di ammissione al pagamento redatto dagli organi di vigilanza, essendo sufficiente una modalità idonea a raggiungere il risultato di rendere edotto il contravventore della ammissione al pagamento e del relativo termine (cfr. Sez. 3, n. 5892 del 24/06/2014, Giordano, Rv. 264062; Sez. 3, n. 41073 del 07/07/2011, Chen, Rv. 251297; Sez. 3, n. 10726 del 09/01/2009, Dulizia, Rv. 243092); nella specie il Tribunale ha dato atto del fatto che tale comunicazione era conosciuta da tempo dalla ricorrente, essendo, tra l'altro, anche presente all'interno del fascicolo del Pubblico Ministero, come riferito anche da uno dei testimoni: ne consegue l'infondatezza della eccezione di improcedibilità sollevata dalla ricorrente, che, comunque, avrebbe, come osservato dal Tribunale, potuto richiedere, ricorrendone i presupposti, di essere rimessa in termini, non costituendo la prova del pagamento delle somme di cui all'art. 21, comma 2, d.lgs. 758/1994, condizione di procedibilità né di punibilità.
3. Il terzo motivo, mediante il quale è stato denunciato vizio di motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità della ricorrente in relazione ai fatti di cui ai capi 2) e 9) della rubrica, che riguarderebbero condotte identiche, è infondato.
Il capo 2) della rubrica riguarda la violazione dell'art. 63, comma 1, d.lgs. 81/2008 (ascritto alla ricorrente per avere omesso, quale amministratore della Fonderia P.E.C. Cav. Bortolo S.p.a., di rendere il luogo di lavoro conforme all'allegato IV punto 4.4.2, non avendo ultimato i lavori di cui al progetto approvato con le prescrizioni del 29 gennaio 2007 nota prot. 2089, e di conseguenza non aver provveduto alla richiesta di rilascio del certificato prevenzione incendi ai sensi del DPR 151/2011 allegato 1 - Attività soggette in tabella C), mentre il capo 9) riguarda la violazione dell'art. 20, comma 1, d.lgs. 139/2006 (contestato per avere omesso la richiesta di rilascio del certificato di prevenzione incendi per le attività soggette specificate al punto 1, individuate dal DPR 151/2011, così come previsto dall'art. 16, comma 1). 
Risulta evidente, sulla base della descrizione delle condotte ascritte alla ricorrente in tali Imputazioni, come le stesse non siano sovrapponibili, in quanto quella di cui al capo 2) attiene alla omessa ultimazione dei lavori necessari a rendere i luoghi di lavoro conformi alle prescrizioni impartite, costituenti presupposto per la richiesta del certificato di prevenzione incendi (di cui la ricorrente non aveva potuto richiedere il rilascio proprio a causa del mancato completamento di detti lavori), mentre quella di cui al capo 9) riguarda esclusivamente la omessa richiesta di detto certificato, indicato nel capo 2) solo come conseguenza della omissione costituente la condotta contestata, con la conseguenza che non sussiste la coincidenza, neppure parziale, tra le condotte contestate in tali imputazioni.
Ciò, d'altra parte, discende dal diverso contenuto delle due norme incriminatrici contestate, in quanto l'art. 63, comma 1, d.lgs. 81/2008 sanziona l'omissione dell'obbligo di rendere i luoghi di lavoro conformi ai requisiti indicati nell'allegato IV, mentre l'art. 20, comma 1, d.lgs. n. 139 del 8 marzo 2006 sanziona la condotta di chi, essendovi obbligato, ometta di richiedere il rilascio o il rinnovo del certificato di prevenzione incendi: si tratta di condotte ontologicamente e storicamente diverse, che possono concorre senza sovrapporsi, posto che il riferimento contenuto nel capo 2) alla mancata richiesta del rilascio del certificato di prevenzione incendi riguarda una conseguenza della condotta incriminata e non quest'ultima, con la conseguenza che deve essere esclusa la duplicazione prospettata dalla ricorrente.
4. Il quarto motivo, mediante il quale la ricorrente ha denunciato violazione dell'art. 20, comma 1, d.lgs. 139/2006, prospettando l'erronea applicazione di tale norma, priva, a suo avviso, di efficacia cogente, a causa della mancata emanazione del decreto del Presidente della Repubblica previsto dall'art. 16, comma 1, del medesimo d.lgs. 139/2006, che avrebbe dovuto individuare le attività che comportano la detenzione e l'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, da cui derivano in caso di incendio gravi pericoli per l'incolumità della vita e dei beni, e il conseguente obbligo per i gestori di munirsi del certificato di prevenzione incendi, è infondato, essendo stata abrogata dall'art. 12, comma 1, lett. e), n. 1, d.P.R. n. 151 del 2011, la previsione della individuazione mediante tale decreto di dette attività, che sono ora state individuate nell'art. 2 di detto d.P.R. 155/2011 e negli atti a esso allegati.
Tale disposizione, nel disciplinare l'ambito di applicazione dei procedimenti relativi alla prevenzione incendi, individua le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, stabilendo espressamente ai commi 2, 3 e 4, che: 
"2. Nell'ambito di applicazione del presente regolamento rientrano tutte le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi riportate nell'Allegato I del presente regolamento.
3. Le attività sottoposte ai controlli di prevenzione incendi si distinguono nelle categorie A, B e C, come individuate nell'Allegato I in relazione alla dimensione dell'impresa, al settore di attività, alla esistenza di specifiche regole tecniche, alle esigenze di tutela della pubblica incolumità.
4. L'elenco delle attività soggette ai controlli di prevenzione di cui all'Allegato I del presente regolamento è soggetta a revisione, in relazione al mutamento delle esigenze di salvaguardia delle condizioni di sicurezza antincendio".
Ne consegue l'infondatezza della censura della ricorrente, essendo state individuate con atto normativo le attività soggette alla disciplina in materia di prevenzione incendi, tra cui è stata ritenuta compresa anche quella svolta dall'impresa amministrata dalla ricorrente.
5. Il quinto e il sesto motivo possono essere esaminati congiuntamente, essendo fondati su censure di contenuto analogo, in quanto con essi la ricorrente ha lamentato l'insufficienza della motivazione della sentenza impugnata in relazione ai reati di cui ai capi 5) e 6) della rubrica, in riferimento ai quali il Tribunale si sarebbe limitato a recepire acriticamente quanto riportato dal testimone del pubblico ministero, omettendo di considerare quanto riferito dai testimoni della difesa.
Tali censure sono, però, inammissibili, in quanto alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, dep. 23/06/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, dep. 24/03/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, dep. 30/09/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, dep. 25/03/2014, P.G., non massimata; Sez. 2, n. 7380 in data 11/01/2007, dep. 22/02/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Ora, in relazione ai capi 5) e 6) della rubrica, relativi alla violazione degli artt. 291, comma 1, lett. a), e 292, commi 2 e 3, d.lgs. 81/2008, il Tribunale ha ravvisato la responsabilità della ricorrente sulla base di quanto riferito dal teste F. dei Vigili del Fuoco, il quale aveva esposto che l'impresa amministrata dalla ricorrente utilizzava nei processi lavorativi metano e ossigeno, cioè gas a rischio di esplosione, in relazione ai quali erano previste prescrizioni di sicurezza che non erano state adempiute; in particolare non erano stati adottati i provvedimenti strutturali degli ambienti di lavoro, né garantiti adeguati controlli nei luoghi dove potevano svilupparsi atmosfere esplosive e atmosfere sovraossigenate (sottolineando che non erano stati utilizzati materiali idonei e che le macchine non erano state installate in locali adeguati, ed anche che l'impianto che utilizzava metano non era stato sottoposto ad adeguata manutenzione), e che non era stato rispettate le prescrizioni di cui all'allegato L d.lgs. 81/2008 e non vi erano adeguate segnalazioni nell'area in cui potevano formarsi atmosfere esplosive. Il Tribunale ha anche considerato quanto riferito dai testimoni della difesa, a proposito dei lavori eseguiti successivamente agli accertamenti per regolarizzare l'impianto, formare i dipendenti e apporre le prescritte segnalazioni, ritenendo egualmente sussistenti al momento dell'accertamento le violazioni contestate.
Tali considerazioni risultano immuni dal vizio di insufficienza della motivazione prospettato, in quanto costituiscono adeguata giustificazione della affermazione di responsabilità sulla base di quanto accertato in occasione del sopralluogo dei Vigili del Fuoco, che non risulta smentito né contraddetto da quanto riferito dai testimoni della difesa, che hanno fatto per lo più riferimento a lavori e interventi successivi a detto accertamento: ne consegue che i rilievi della ricorrente, diretti, in modo non consentito nel giudizio di legittimità, a conseguire una rivalutazione delle prove dichiarative, sulla base delle quali è stata affermata la responsabilità, in quanto censurano la valutazione che ne ha compiuto, in modo logico, il Tribunale, senza individuarne carenze o vizi logici, risultano inammissibili.
6. Il settimo motivo, mediante il quale è stata denunciata violazione dell'art. 162 bis cod. pen., per l'indebita esclusione della ammissione della imputata alla oblazione, è infondato.
Il Tribunale ha al riguardo dato atto dell'esito negativo delle verifiche sulla eliminazione delle conseguenze dannose delle violazioni e sulla regolarizzazione dell'impianto, tanto che i vigili del fuoco avevano espresso parere contrario al rilascio del certificato di prevenzione incendi, non essendo state ottemperate le prescrizioni per la realizzazione delle misure di sicurezza minime transitorie impartite in occasione dei sopralluoghi: a fronte di tale motivazione, idonea a dar conto della mancanza dei presupposti per consentire l'oblazione, la ricorrente ha proposto una diversa valutazione dello stato di fatto dell'impianto, non consentita nel giudizio di legittimità, a fronte di motivazione adeguata sul permanere delle conseguenze delle violazioni.
7. In conclusione tutte le doglianze poste a fondamento del ricorso risultano infondate, sicché esso deve essere respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23/11/2016