Cassazione Penale, Sez. 4, 28 aprile 2017, n. 20349 - Amputazione del piede del lavoratore. Assoluzione di un preposto


 

Presidente: BIANCHI LUISA Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO Data Udienza: 05/04/2017

 

Fatto

 

1. Con sentenza del Tribunale di Aosta in data 25/02/2014, C.C. veniva dichiarato colpevole del reato ascrittogli e condannato alla pena di € 1.200,00 di multa. L'imputato era stato rinviato a giudizio, con G.D. e B.G., per rispondere del reato di cui all'art. 590, comma 3, c.p. perché, nelle rispettive qualità, per colpa, cagionavano al lavoratore K.T.D., dipendente con qualifica di operaio di quarto livello e mansioni di carpentiere, gravissime lesioni personali consistenti nella amputazione del piede destro, evento verificatosi in quanto il lavoratore, dopo essere salito su uno stallo per agganciare le brache ad un tubo della lunghezza di 6 metri e del peso di kg. 300 circa, ed avere chiesto al B.G. di aiutarlo a movimentare il tubo mediante l'utilizzo di una gru, vedendo che -il tubo continuava a girare nonostante i suoi tentativi di fermarlo, saltava a terra e, infilando i piedi tra i pioli di una scala metallica e del materiale ferroso depositato sul pavimento, perdeva l'equilibrio e cadeva a terra venendo quindi investito dal tubo che, cadendo dallo stallo, rimbalzava sul predetto materiale e, infine, andava a schiacciare la base del piede destro e la caviglia sinistra; fatto commesso per negligenza, imprudenza, imperizia e con violazione, tra l'altro delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare (C.C.): art. 19, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 81/08 per non avere vigilato sulla osservanza da parte dei lavoratori degli obblighi di legge laddove non si accertava del corretto stoccaggio dei materiali ferrosi e della pulizia dei locali della officina, non verificava preventivamente la posizione del tubo al fine di impartire le specifiche istruzioni necessarie alla movimentazione in sicurezza e non vigilava sul fatto che i lavoratori eseguissero la movimentazione del carico in completa sicurezza (ovvero con una corretta imbracatura e mediante la trattenuta del carico a distanza, con funi o rampini).
1.1. Con sentenza n. 4020 del 01/07/2016, la Corte di Appello di Torino, adita dal solo C.C., in riforma dell'appellata sentenza, assolveva l'imputato appellante dal reato ascrittogli perché il fatto non costituisce reato.
2. Avverso tale sentenza d'appello propone ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Torino, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.):
I) vizi motivazionali. Deduce che il Giudice dell'appello afferma in sentenza come risulti deficitaria la prova della responsabilità gravante sul preposto -attuale imputato- per l'omissione dell'obbligo, che gli compete in ragione della sua posizione di garanzia, di mantenere la piena e sicura agibilità degli ambienti di lavoro ma tale affermazione è in contraddizione con quanto risulta dagli atti del processo ed in particolare con le dichiarazioni della persona offesa K.T.D., con le dichiarazioni del teste B.G. e con le dichiarazioni rese dallo stesso imputato C.C..
 

 

Diritto

 


3. Il ricorso è manifestamente infondato.
4. Va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).
4.1. Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le incongruenze logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché -come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
4.2. Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).
4.3. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, come richiesto nel ricorso in scrutinio, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
4.4. In realtà il ricorso, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell'asseritamente connessa violazione nella valutazione del materiale probatorio, tenta di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. Occorre, quindi, riaffermare che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
5. Nella specie la Corte del merito ha -ineccepibilmente in questa sede- dato atto del percorso logico-giuridico che ha condotto alla pronuncia di assoluzione. Ha, tra l'altro, evidenziato che l'obbligo di controllare periodicamente la posizione di tutte le braghe dei tubi stoccati nel reparto non era esigibile dall'Imputato posto che «dalle foto prodotte in atti si rileva infatti che i tubi venivano adagiati ai vari livelli degli stalli uno sull'altro, secondo una metodologia ritenuta corretta dagli organi preposti ai controlli, tanto da non originare alcun addebito a carico di chi (datore di lavoro) tale stoccaggio aveva previsto e trasfuso nel DVR. Ciò implica la materiale impossibilità di controllare periodicamente da parte del preposto se la singola briglia fosse libera e agevolmente agganciabile, perché essa sarebbe stata coperta alla sua vista dalla presenza di tubi sovrastanti». Ha affermato, poi, che furono i due operai, con decisione estemporanea nata dalla scoperta dell'impigliamento della braga, a coordinarsi fra di loro per mettere in atto una manovra «effettivamente scellerata come afferma la Difesa appellante, cioè cercare di liberare la braga agganciando precariamente solo da un lato il tubo e così squilibrandolo, cioè contravvenendo alle tassative indicazioni contenute nel DVR, nei corsi di formazione cui entrambi avevano preso parte, persino negli espressivi disegni che erano stati loro consegnati»; ritenendo, ancora, che mancava la prova che l'ingombro dato dalla scala a pioli (che avrebbe impedito la fuga dell'operaio) fosse risalente rispetto al momento dell'infortunio, e «dunque rientrante in quei doveri di controllo periodico incombenti sul preposto».
6. Mette conto, infine, rammentare che il giudizio di condanna presuppone la certezza processuale della colpevolezza, mentre all'assoluzione deve pervenirsi in tutti quei casi in cui via sia la semplice "non certezza" e dunque anche il "ragionevole dubbio sulla colpevolezza" (cfr. da ultimo sez. 4, n. 10268 del 17/01/2017).
7. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che il ricorso, nel rappresentare l'inaffidabilità degli elementi posti a base della decisione di merito, pone solo questioni che esorbitano dal limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell'offerta di una diversa valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità (sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012).
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso il 05/04/2017