Cassazione Penale, Sez. 7, 02 maggio 2017, n. 20740 - Mancata formazione sul rischio biologico dei lavoratori addetti al depuratore delle acque reflue: responsabilità di un Sindaco


 

 

Il Tribunale ha correttamente ritenuto il Sindaco del Comune di Marineo datore di lavoro tenuto agli obblighi di formazione e informazione rimasti inadempiuti e ciò sulla scorta di due decisive considerazioni: a) anche se il servizio di depurazione era stato affidato in gestione all'Unione dei Comuni <<Dall'Eleuterio a Rocca Busambra>>, ente cui era stata affidata anche la formazione professionale dei lavoratori addetti, egli era in ogni caso tenuto a vigilare sulla effettiva formazione e informazione dei propri lavoratori dipendenti visto che con tale convenzione veniva trasferita la gestione del depuratore, non la qualità di datore di lavoro; b) per lo stesso motivo non rileva l'incarico al settore dell'urbanistica di curare le incombenze connesse con l'attuazione delle norme in materia di salute dei lavoratori e della sicurezza dei luoghi di lavoro.


Presidente: GRILLO RENATO Relatore: ACETO ALDO Data Udienza: 06/06/2016

 

 

 

FattoDiritto

 


1. Il sig. F.R., articolando cinque motivi, ricorre per l'annullamento della sentenza del 17/03/2015 del Tribunale di Termini Imerese che lo ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di 2.500,00 euro di ammenda per il reato di cui all'art. 278, commi 1 e 4, d.lgs. n. 81 del 2008 perché, quale Sindaco del Comune di Marineo e, quindi, di datore di lavoro, non aveva provveduto alla formazione e informazione in materia di rischio biologico dei lavoratori dipendenti addetti al depuratore delle acque reflue. Il fatto è contestato come accertato in Marineo il 26/11/2009.
2. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
3. Quanto ai primi due motivi ricorda questa Corte che: a) l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); b) la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), sicché una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903); c) il travisamento della prova è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).
3.1. Ne consegue che: a) il vizio di motivazione non può essere utilizzato per spingere l'indagine di legittimità oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando ciò sia strumentale a una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli auspici del ricorrente, possa condurre il fatto fuori dalla fattispecie incriminatrice applicata; b) l'esame può avere ad oggetto direttamente la prova solo quando se ne denunci il travisamento, purché l'atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali; c) la natura manifesta della illogicità della motivazione del provvedimento impugnato costituisce un limite al sindacato di legittimità che impedisce alla Corte di cassazione di sostituire la propria logica a quella del giudice di merito e di avallare, dunque, ricostruzioni alternative del medesimo fatto, ancorché altrettanto ragionevoli.
3.2. Nel caso di specie, il Tribunale ha correttamente ritenuto il Sindaco del Comune di Marineo datore di lavoro tenuto agli obblighi di formazione e informazione rimasti inadempiuti e ciò sulla scorta di due decisive considerazioni: a) anche se il servizio di depurazione era stato affidato in gestione all'Unione dei Comuni <<Dall'Eleuterio a Rocca Busambra>>, ente cui era stata affidata anche la formazione professionale dei lavoratori addetti, egli era in ogni caso tenuto a vigilare sulla effettiva formazione e informazione dei propri lavoratori dipendenti visto che con tale convenzione veniva trasferita la gestione del depuratore, non la qualità di datore di lavoro; b) per lo stesso motivo non rileva l'incarico al settore dell'urbanistica di curare le incombenze connesse con l'attuazione delle norme in materia di salute dei lavoratori e della sicurezza dei luoghi di lavoro.
3.3. Tutte le deduzioni difensive hanno inammissibile natura fattuale essendo supportate da un'eccezione di travisamento del contenuto delle prove documentali e testimoniali che oltre a non essere decisiva non è supportata dall'allegazione al ricorso delle prove stesse. Si aggiunga, inoltre, che oggetto del travisamento rilevante in sede di legittimità è il contenuto della prova, non la sua valutazione.
4. La condanna alla pena pecuniaria dell'ammenda non osta alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena (terzo motivo).
L'unico criterio di giudizio cui il giudice si deve attenere è la favorevole prognosi che l'imputato si asterrà dal commettere nuovi reati.
Come già affermato da questa Corte, <<la sospensione condizionale non può risolversi in un pregiudizio per l'imputato in termini di compromissione dei carattere personalistico e rieducativo della pena; l'interesse all'impugnazione, condizionante l'ammissibilità dei ricorso, si configura pertanto tutte le volte in cui il provvedimento di concessione dei beneficio sia idoneo a produrre in concreto la lesione della sfera giuridica dell'impugnante e la sua eliminazione consenta il conseguimento di una situazione giuridica più vantaggiosa. li pregiudizio addotto dall'interessato, tuttavia, in tanto è rilevante in quanto non attenga a valutazioni meramente soggettive di opportunità e di ordine pratico, ma concerna interessi giuridicamente apprezzabili in quanto correlati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella "individualizzazione" della pena e nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale dei condannato>> (Sez. U, 6563 del 16/03/1994, Rusconi). Non può dunque <<assumere rilevanza giuridica la mera opportunità (...), di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi, perché valutazione di opportunità dei tutto soggettiva e per giunta eventuale, e comunque in contraddizione con la prognosi di non reiterazione criminale, e quindi di ravvedimento, imposta dall'art. 164, comma primo, cod. pen. per ia concessione dei beneficio medesimo>>.
Vero è che quest'ultima sentenza aveva affermato che <<Sussiste [invece] l'interesse ad impugnare e deve pertanto ritenersi ammissibile il gravame nei confronti di provvedimento che sospende condizionalmente la pena dell'ammenda concernente contravvenzioni per le quali è ammessa l'oblazione in quanto, conseguendone l'iscrizione nei casellario giudiziale, la concessione dei beneficio si risolve in un pregiudizio per l'imputato, stante la maggiore stigmatizzazione della pena irrogata a seguito dell'iscrizione nei casellario (peraltro immediata), molto più grave rispetto ai lieve vantaggio rappresentato dall'esenzione (condizionata) dal pagamento>> (così, in motivazione, Sez. U, cit.).
Si trattava di indirizzo assolutamente consolidato (cfr. da ultimo, Sez. 3, n. 39406 del 20/06/2013, Germani) che affondava le sue radici nell'insegnamento di Sez. U, n. 10127 del 12/10/1993, Biscione, secondo il quale <<l'interesse ad impugnare ex art. 568, comma quarto, cod. proc. pen., costituisce un elemento dei diritto di impugnazione e non il contenuto dell'impugnazione, che pure è necessario indicare sotto forma di enunciazione di uno specifico motivo. Ne consegue che deve esser ritenuto inammissibile, ai sensi dei comma terzo dell'art. 606 cod. proc. pen., perché proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge, il ricorso per cassazione nei caso in cui il ricorrente prospetti un suo interesse ad impugnare, ma non deduca alcuna violazione di legge o vizio di motivazione, che possa costituire motivo di ricorso volto ad ottenere l'annullamento della sentenza impugnata>> (nel caso di specie, peraltro, si trattava di condanna a contravvenzione estinguibile con oblazione).
Sennonché, attualmente l'eliminazione delle iscrizioni dal casellario giudiziale è disciplinata dall'art. 5, comma 2, lett. d), d.P.R. 313/2002, cit., che la Corte Costituzionale, con sentenza 4-8 ottobre 2010, n. 287 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo limitatamente all'inciso «salvo che sia stato concesso alcuno dei benefici di cui agli articoli 163 e 175 del codice penale».
Ne consegue che tutte le condanne a pena pecuniaria per contravvenzioni oblabili sono oggi eliminabili trascorsi dieci anni dalla loro iscrizione, sicché alcun concreto pregiudizio arreca alla sfera giuridica del condannato la concessione "ex officio" delle sospensione condizionale della pena non richiesta..
Va perciò ribadito il principio di diritto già espresso da questa Corte con sentenza Cass. pen. Sez. III, 25-02-2014, n. 21753 (rv. 259722) secondo il quale è inammissibile, per difetto dell'interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza di condanna a pena dell'ammenda condizionalmente sospesa "ex officio" e relativa a contravvenzione oblabile ex art. 162-bis cod. pen., nella parte in cui si decide della concessione di ufficio della sospensione condizionale della pena, in quanto l'art. 5, comma secondo, lett. d), del d.P.R. n. 313 del 2002, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 287 del 2010, che ha eliminato la preclusione rappresentata dalla concessione dei benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen., prevede l'eliminazione delle iscrizioni relative a tutti i provvedimenti giudiziari di condanna per contravvenzioni per le quali è stata inflitta la pena dell'ammenda, trascorsi dieci anni dal giorno in cui la pena è stata eseguita ovvero si è in altro modo estinta, senza più compiere alcun distinguo.
5. La concessione delle circostanze attenuanti generiche (quarto motivo) non costituisce oggetto di un diritto con il cui mancato riconoscimento il giudice di merito si deve misurare poiché, non diversamente da quelle "tipizzate", la loro attitudine ad attenuare la pena si deve fondare su fatti concreti.
5.1. Il loro mancato riconoscimento può perciò essere legittimamente giustificato - come nel caso di specie - con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'art. 62 bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610; Sez. 1, n. 3529 del 22/09/2013, Stelitano, Rv. 195339)
6. Il reato non era prescritto alla data della sentenza impugnata perché, in ogni caso, avendo natura permanente (visto che agli obblighi nessuno ha adempiuto), il relativo termine decorre dalla sentenza di primo grado (che ha comunque correttamente computato in dieci mesi il periodo di sospensione del termine).
7. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 2.000,00.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 06/06/2016