Tribunale del Lavoro di Cassino, 04 maggio 2017 - Nessun risarcimento per indebolimento dell'udito dell'operaio se i decibel sono al di sotto della soglia limite fissata dalla legge


 

 

TRIBUNALE DI CASSINO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice di Cassino, dott. Giuditta Di Cristinzi, quale Giudice del Lavoro, ha pronunciato la seguente
SENTENZA

 


Nella causa di lavoro iscritta al Ruolo Generale degli Affari Contenziosi per l’anno 2012 al n. 333, decisa alla pubblica udienza del 04.05.2017, vertente
TRA
DDDD, nato a CCCC il 5 maggio 1948, rappresentato e difeso congiuntamente e disgiuntamente dagli Avvocati MMMM, elettivamente domiciliato presso lo studio SSSS in Cassino alla via XXXXX, giusta delega a margine del ricorso,
RICORRENTE
E
XXX SpA (già XXX AUTO SpA), in persona del legale rappresentante pro tempore con sede in XXX, al Corso AAAA, rapp.ta e difesa in virtù di delega in calce al passivo ricorso, dall’Avv. IIII, domiciliata, unitamente al suddetto Avvocato, presso lo studio dell’Avv. IIII, in AAAA 6,
RESISTENTE
 

 

Oggetto: risarcimento danni per malattia professionale
 

 

Conclusioni: i procuratori delle parti concludevano nei termini di cui agli atti introduttivi che, per quella parte, qui debbono intendersi integralmente richiamati.
 

 

Fatto

 


Con ricorso depositato in data 22 marzo 2012, DDDD si rivolgeva al Tribunale di Cassino, esponendo di aver prestato attività lavorativa con qualifica di operaio alle dipendenze della XXX per circa 36 anni, dal 1972 al 2008; di essere stato trasferito dal 1974 da TTTT allo stabilimento di Cassino, fino al 1985; di aver svolto mansioni di operaio adibito alla manutenzione dei convogliatori ovvero agli impianti di trasporto delle scocche delle automobili da una zona all’altra dello stabilimento tramite ganci generanti rumore; di essere stato avviato -nel 1985- presso la sede XXXX di TTTT ad un corso di aggiornamento per stampisti, come apprendista le attività di operaio addetto alle prese; di essere rientrato presso la sede XXX di Cassino nel 1987 e collocato al reparto stampaggio con qualifica di aggiustatore scambista di quarto livello; di aver lavorato al reparto stampaggio alla manutenzione di macchine per stampare parafanghi; di aver lavorato presso la cosiddetta “linea 8” dalla quale proveniva intenso rumore dalle presse di vecchia costruzione; di aver lavorato a presse prive della cosiddetta “paratia”; di aver lavorato spesso nei sotterranei del reparto ove scorrevano nastri trasportatori che spostavano pezzi di avanzo delle porte delle automobili e che lasciavano cadere in un canale simile ad una botola i pezzi di risulta causando notevole rumore; di aver lavorato presso il reparto stampaggio per otto ore al giorno dal lunedì al venerdì; di aver effettuato - quando occupato nel secondo turno dalle 14.00 alle 20.00- spesso due ore di straordinario; di essere stato collocato in quiescenza nel 2008; di non aver mai ricevuto mezzi individuali di protezione acustica come tappi protettivi, talvolta non disponibili neanche presso il magazzino centrale; di aver riscontrato, sin dagli inizi del 2007, problemi e fastidi all’apparato uditivo; di essersi sottoposto, in data 20 giugno 2007, ad esame audiometrico, a seguito del quale gli veniva diagnosticata ipoacusia percettiva bilaterale per altre frequenze; di essersi sottoposto ad altro esame medico nel 2008 all’esito del quale gli veniva diagnosticata ipoacusia neurosensoriale bilaterale alle alte frequenze; di averlo inoltrato, in data 11 settembre 2009, denuncia di malattia professionale all’ Inail; di ritenere di aver riportato danno biologico nella misura del 6%.
Tanto premesso in fatto, osservava che il datore di lavoro avesse reiteratamente e prolungatamente violato le norme in materia di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro e l’articolo 2087 del codice civile, che la malattia riportata fosse dovuta all’esposizione al rumore durante l’attività lavorativa, che avesse pertanto diritto al risarcimento del danno biologico. Ciò posto concludeva affinché il Tribunale adito accertata l’eziologia professionale della malattia dedotta condannasse la XXX Auto spa a risarcire il danno non patrimoniale a titolo di danno biologico permanente nella misura di € 7.995,00, oltre all’invalidità temporanea totale e parziale, accessori e interessi. Il tutto con vittoria di spese, competenze e onorari.
La società convenuta, costituitasi tempestivamente in giudizio, eccepiva in primis la prescrizione quinquennale al risarcimento del danno morale e quella decennale al risarcimento del danno biologico; nel merito ricostruiva la storia lavorativa del ricorrente (dal 1972 al 1974, aggiustatore meccanico presso MMMM carrozzeria; dal 1974 al 1987, aggiustatore meccanico in aria lastratura; dal 1980 se le altre 2000, addetto alla manutenzione stampi in reparto di stampaggio; dal 2001 al 2005, alle dipendenze della società DDDD spa; dal 2005 al 2008, addetto alla manutenzione stampi in reparto stampaggio; faceva rilevare che per i periodi 1972-1996 non si disponesse di dati ambientali relativi livelli equivalenti di esposizione al rumore delle mansioni svolte; che successivamente si rilevasse un livello di esposizione quotidiana al rumore nella misura di 82,6 dB (1996) per i manutentori addetti agli stampi e, successivamente, un’esposizione quotidiana ad 81,9 dB per gli addetti alla riparazione stampi; affermava che il ricorrente non fosse mai stato esposto a rumorosità ambientale superiore a 81 - 82 dB; che fosse comunque stato correttamente informato sui rischi da rumore. Contestava in ogni caso la fondatezza nel merito del ricorso, chiedendone il rigetto.
All’udienza del 04.05.2017, la causa, dopo la discussione delle parti, veniva decisa come da dispositivo in calce, di cui si dava lettura in aula.
 

 

Diritto

 


Il ricorso non è risultato fondato e pertanto va respinto.
Nel corso del processo, venivano raccolte prove testimoniali con i signori PPPP (“il rumore era insopportabile, ma non avevamo lo strumento di misurazione”), CCCC (“venne effettuato monitoraggio della rumorosità e nell’aria della manutenzione stampi non vi era obbligo di portare tappi in quanto i decibel erano circa 80 e comunque sotto i limiti che rendevano necessario l’uso dei tappi”), FFFFF (“Lui era aggiustatore scambista. Lavoravamo nella stessa squadra...In qualche zona del reparto c’erano dei cartelli che segnalavano graficamente di indossare i tappi otoprotettivi”), SSSS (“Tutte le presse erano protette da paratie laterali e superiori. Le cuffie erano in dotazione specifica a ciascun operatore”), SSSSS (“il ricorrente era un mio diretto collaboratore nel reparto stampaggio . non ha mai lavorato nel reparto sotterraneo dell’azienda ... “) e AAAA (“... dal 1987, le presse sono fornite di paratie che fanno da protezione e barriera contro il rumore. ... nella parte sottostante il reparto stampaggio la caduta dei pezzi di lamiera in avanzo nella botola e il successivo spostamento produceva molto rumore. ... il reparto era dotato di tappi; i tappi attutivano il rumore prodotto. Con i tappi potevamo parlare. Eravamo controllati dal punto di vista sanitario. Facevamo visite audiometriche.”), in evidente contrasto tra loro, pertanto unici elementi di giudizio sono risultati i dettami della normativa in vigore e la produzione documentale in atti.
L’ipoacusia rimane ancor oggi la principale malattia di origine professionale, materia regolata in generale dall’art 2087 c.c. e specificatamente da decreti.
A partire dal 1991, con l’entrata in vigore del D. Leg. 277/91, sono stati introdotti dei valori limite di esposizione al rumore il superamento dei quali comporta l’adozione, da parte del datore di lavoro di una serie di provvedimenti a tutela dei lavoratori. Con il decreto legislativo del 10 aprile 2006 n. 195 sono stati definiti i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute della sicurezza derivanti dall’esposizione al rumore. Il decreto ha abrogato le disposizioni di cui al capo IV del D. Leg. N. 277/1991, andando a costituire la nuova normativa in tema di salute e sicurezza relative ai rischi conseguenti l’esposizione a rumore. Il nuovo decreto ha fissato i valori limite, ha indicato i requisiti in base ai quali il datore di lavoro deve valutare il rumore durante il lavoro; ha stabilito le misure che il datore di lavoro deve adottare per eliminare i rischi o per ridurli al minimo; ha determinato i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza derivante dall’esposizione al rumore durante il lavoro.
In base alla normativa vigente, il titolo di responsabilità del datore di lavoro è stato dal ricorrente prospettato con riferimento alla violazione, da parte del primo, degli obblighi relativi all’adozione di tutte le “misure necessarie a tutelare l’integrità fisica” del lavoratore (art. 2087 c.c.). Ciò precisato, l’indagine mirata alla individuazione di un’eventuale responsabilità datoriale, assume rilevanza se ed in quanto svolta nell’ambito di previsione della norma suindicata.
In particolare - per quel che ai fini della decisione interessa - va notato che il ricorrente si riferisce, in via generale, alla violazione, da parte del datore di lavoro (v. ricorso), dell’obbligo di fornire adeguati strumenti di protezione acustica, nonostante la rumorosità dell’ambiente di lavoro.
In replica ai rilievi del ricorrente, è sufficiente osservare che il sig. DDDD ha lavorato, in qualità di operaio aggiustatore addetto alla manutenzione degli stampi presso il reparto stampaggio, con un’esposizione ad un livello di rumorosità sempre al di sotto degli 85 dbA (si vedano al riguardo gli esiti dei rilievi ambientali eseguiti dal Centro Servizi KKK nel 2005 allegati alla produzione di parte resistente, in ordine alla cui completezza ed attendibilità il ricorrente nessun rilievo ha formulato). L’art. 43 D. L.vo 277/1991 prevede l’obbligo per “il datore di lavoro” di fornire “i mezzi individuali di protezione dell’udito” solo nel caso di “lavoratori la cui esposizione quotidiana personale (possa) verosimilmente superare 85 dbA” (1° comma); nonché l’obbligo dei lavoratori di “utilizzare i mezzi individuali di protezione dell’udito forniti (loro) dal datore di lavoro” (e quindi del datore di lavoro di controllarne l’effettivo utilizzo) solo nel caso in cui la “esposizione quotidiana personale super(i) 90 dbA” (4° comma).
L’art. 44, poi, prevede l’obbligo di “controllo sanitario” per “i lavoratori la cui esposizione quotidiana personale al rumore super(i) 85 dbA”.
Preso atto delle disposizioni normative vigenti in materia (che nella specie valgono a riempire concretamente di contenuto il generico obbligo sancito a carico del datore di lavoro dall’art 2087 c.c.) e considerato che non esistono, allo stato, prescrizioni più rigorose e stringenti anche da parte degli enti deputati al controllo dell’adozione delle misure di sicurezza, deve escludersi la possibilità di ascrivere una qualche responsabilità colposa in capo al datore di lavoro per la malattia professionale (ipoacusia percettiva bilaterale) eventualmente contratta dal lavoratore.
Considerato, quindi, che la responsabilità ai sensi dell’art. 2087 c.c. presuppone, come ogni ipotesi di responsabilità contrattuale, il dolo o la colpa del datore di lavoro, deve in conclusione rigettarsi il ricorso in esame.
Le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti, considerato che tanto le reali cause della patologia da cui è affetto il ricorrente, quanto gli eventuali profili di responsabilità datoriale, erano, comunque, suscettibili di una non critica valutazione da parte del lavoratore.
 

 

P.Q.M.

 


Definitivamente pronunciando, così provvede:
1. rigetta il ricorso;
2. compensa integralmente tra le parti le spese di lite.
Cassino, 4 maggio 2017