Cassazione Penale, Sez. 4, 11 maggio 2017, n. 23120 - Contatto con la linea elettrica e morte per folgorazione del lavoratore: responsabilità del datore di lavoro


 

 

Presidente: BIANCHI LUISA Relatore: PICCIALLI PATRIZIA Data Udienza: 29/03/2017

 

Fatto

 

C.M. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado resa in esito a giudizio abbreviato, l'ha riconosciuto colpevole del reato di cui all'articolo 589 cod.pen., commesso in violazione della normativa antinfortunistica [in danno del lavoratore C.L.], e delle connesse violazioni delle norme antinfortunistiche.
La sentenza ricostruiva l'infortunio e il ruolo di datore di lavoro attribuito all'imputato, il quale, dovendo procedere alla fornitura di calcestruzzo, aveva onerato dell'incombente un proprio dipendente senza provvedere né a dotarlo dei necessari mezzi di protezione [l'operazione doveva svolgersi in zona limitrofa alle linee elettriche] né a predisporre il necessario POS.
Per l'effetto, il dipendente recatosi in loco con un mezzo meccanico dotato di braccio estensibile a seguito di contatto con la linea elettrica rimaneva fulminato.
La Corte territoriale ricostruiva il rapporto sottostante tra la ditta dell'imputato e quella che gli aveva commissionato il lavoro quale contratto di fornitura, ma evidenziava comunque la titolarità della posizione di garanzia del C.M. nei confronti del proprio lavoratore dipendente. Ricostruiva i profili di colpa e il nesso eziologico tra questi e il decesso, in linea con la ricostruzione del primo giudice.
Con i ricorsi si contesta il giudizio di responsabilità, in particolare sostenendosi la carenza della posizione di garanzia in capo all'imputato, proponendosi in proposito principi ed argomenti afferenti i rapporti cautelari intercorrenti in tema di appalto.
L'avvocato R. contesta l'applicabilità all'imputato degli obblighi di cui all'articolo 7 del decreto legislativo n. 626 del 1994, sul rilievo che non poteva sostenersi che il C.M. avesse l'obbligo di garanzia di attivarsi per predisporre l'attività di cooperazione che la norma costruisce in caso di appalto.
Sostiene che semmai l'obbligo di promuovere la cooperazione e il coordinamento ricadrebbe sul datore di lavoro committente, ai sensi del comma 3 del citato articolo 7.
Unico responsabile sarebbe semmai il committente che ha la gestione e la vigilanza del cantiere e sul quale incombe l'obbligo di attivazione.
L'imputato era solo un fornitore di calcestruzzo e non un appaltatore e quindi non aveva alcun obbligo di redigere il POS ex articolo 13 del d.Lgs 494 del 1996 e di conseguenza non poteva considerarsi "dirigente" i lavori vicino a linee elettriche ai sensi dell'articolo 11 d.P.R 164 del 1956.
Si sostiene che quale fornitore del calcestruzzo egli non aveva violato alcuna regola cautelare.
L'avvocato B. contesta il richiamo alla contestazione di cui agli articoli 7, comma 1, lett. b) e 89, comma 2, lett.a) del decreto legislativo n. 626 del 1994, disciplina applicabile all'appalto.
Contesta il fatto che si sia sostenuto essere stato lui a disporre la operazione incaricando la vittima.
Richiamando la disciplina sull'appalto, focalizza l'attenzione sugli obblighi del committente tenuto a fornire informazioni sui rischi specifici.
Contesta la invocata applicabilità dell'articolo 13 del d.Lgs 494 del 1996 sostenendo che sarebbe inapplicabile al solo fornitore di materiali l'obbligo imposto alle imprese esecutrici dei lavori di trasmettere il POS.
Infine, si chiede che venga dichiarata la prescrizione [il fatto è del 30 novembre 2006 e, secondo la tesi difensiva, si sarebbe prescritto il 30 maggio 2014]. In via subordinata si censura il diniego dei benefici.
E' stata depositata memoria difensiva nell'interesse delle parti civili costituite con le quali è stato chiesto il rigetto dei ricorsi.
 

 

Diritto

 


I ricorsi, pur argomentati, non colgono nel segno, a fronte di un decisione che, in linea con la ricostruzione operata in primo grado, si è basata su una non rinnovabile ricostruzione dell'attività lavorativa e del ruolo [datore di lavoro/dipendente] rispettivamente ricoperto dall'imputato e dalla vittima.
I difensori censurano la ritenuta applicabilità di disposizioni che già in primo grado non sono state applicate: le uniche contravvenzioni ritenute sono state quelle di cui agli articoli 13 del d.Lgs 494 del 1996 e 11 d.P.R 164 del 1956.
Tutti gli argomenti sviluppati per supportare l'applicabilità dei principi in tema di appalto risultano inconferenti, rispetto ad una vicenda in cui l'infortunato, dipendente dell'imputato, era stato onerato di svolgere una attività lavorativa in condizioni di inidoneità per le ragioni suindicate.
E' stata fatta corretta e motivata applicazione del principio secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, il compito del datore di lavoro è articolato e comprende l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi a determinate attività, la necessità di adottare le previste misure di sicurezza, la predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate e disapplicate, il controllo infine sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione. Per l'effetto, l'obbligo gravante sul datore di lavoro in materia antinfortunistica non può considerarsi adempiuto solo con la previsione di corretti protocolli operativi, allorquando questi risultino in concreto non occasionalmente violati, perché tale circostanza dimostra di un atteggiamento lontano dal contenuto attivo e sostanziale che a tal obbligo occorre assegnare, essendo imposto al datore di lavoro anche il dovere di attento controllo e vigilanza sulla corretta osservanza da parte dei dipendenti delle disposizioni prevenzionali [Sez. 4, n. 5403/2015 del 4/12/2014 Paolini].
Rispetto a tale principio, infatti, si sono apprezzate le inosservanze colpevoli che hanno avuto ruolo efficiente nella realizzazione dell'infortunio.
In questa prospettiva è improprio insistere sull'appalto e sulla responsabilità del committente, qui discutendosi solo della posizione del datore di lavoro (per gli altri coimputati si è proceduto separatamente).
La Corte territoriale ha correttamente inquadrato il ruolo dell'Imputato quale fornitore del calcestruzzo e rispetto a tale ruolo è indiscutibile la sussistenza dell'obbligo di cui all'articolo 13, comma 3, del d.Lgs 494 del 1996, del 1996, in base al quale il datore di lavoro è tenuto, prima dell'inizio dei lavori, a trasmettere al coordinatore per l'esecuzione dei lavori del cantiere il piano operativo di sicurezza.
Ciò che va evidenziato è che nel caso in esame non si tratta, infatti, di fattispecie in cui il soggetto si limiti a fornire materiale che poi deve essere manipolato dall'impresa destinataria, ma di vicenda in cui la consegna del calcestruzzo rappresenta un quid pluris rispetto alla mera fornitura implicando lo svolgimento di una attività esecutiva nel cantiere.
Di qui l'obbligo ex articolo 13, comma 3, del d.Lgs 494 del 1996 e ovviamente anche quello di cui all' articolo 11 d.P.R n. 494 del 1996, proprio perché nello specifico la operazione implicava il potenziale interessamento di linee elettriche.
Né può rimettersi in discussione in questa sede, in quanto implicanti inammissibili accertamenti in fatto, che sia stato il C.M. a dare incarico alla vittima e quindi che fosse lui a doversi peritare del contesto della fornitura.
Il reato risalente al 30 novembre 2006 non è prescritto non essendo decorsi i termini previsti dagli artt. 157 e 158 cod.pen.
I benefici non sono stati richiesti in appello.
Il giudice di appello non è tenuto a motivare in ordine al mancato esercizio del potere discrezionale di concedere d'ufficio la sospensione condizionale della pena, quando l'interessato, come nel caso in esame, non abbia formulato alcuna richiesta al riguardo; ne deriva che il mancato riconoscimento del beneficio non costituisce violazione di legge e non configura mancanza di motivazione suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. ( v. Sez. 2, n. 15930 del 19/02/2016, Moundi, Rv. 266563).
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna del ricorrente ex art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo giudizio.
 

 

P. Q. M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili che liquida in complessivi euro 3.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 29/03/2017