Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 01 giugno 2017, n. 27569 - Sequestro probatorio di alcuni beni necessari per analizzare tracce di agenti chimici patogeni che possano aver innescato decessi e malattie professionali di due lavoratori


 

La Corte afferma che, nel caso di specie, in maniera del tutto legittima, il Tribunale ha rilevato che gli oggetti in sequestro erano in uso nello stabilimento ove avevano prestato attività lavorativa i due dipendenti, sia pure anni addietro, cosicché essi ben potevano presentare tracce di agenti chimici patogeni del tipo di quelli che, secondo l'ipotesi d'accusa, hanno innescato le patologie di cui soffrono o hanno sofferto le persone offese.


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: CAPPELLO GABRIELLA Data Udienza: 10/05/2017

 

 

 

Fatto

 


1. Con ordinanza pronunciata a norma dell'art. 324 codice di rito, il Tribunale di Cuneo, in funzione di giudice per il riesame, ha rigettato i ricorsi proposti - avverso i decreti di sequestro disposti dal P.M. - nell'interesse di M.R. (contro il quale si procede per i reati di omicidio e lesioni colpose relativamente al decesso e alla malattia professionale patiti dai lavoratori P.M. e G.T.) e di MICHELIN Italia S.A.M.I. S.p.A., che ha proposto ricorso quale soggetto al quale i beni sono stati sequestrati.
2. Il Tribunale ha rilevato che, nel caso di specie, il consulente del P.M. (nominato al fine accertare l'eventuale esposizione dei lavoratori a fibre di amianto, l'intensità e le modalità della esposizione e le misure di sicurezza eventualmente violate sul luogo di lavoro) aveva eseguito un sopralluogo presso lo stabilimento Michelin, acquisendo campioni di guanti e di una tenda (beni dei quali si chiede la restituzione) ai fini delle successive analisi. Tali oggetti erano stati quindi sottoposti a sequestro probatorio, ritenuta la pertinenza di essi al reato e la necessità di sottoporli ad analisi chimico/tecnica.
3. Hanno proposto ricorsi, con medesimo difensore e unico atto, M.R. e MICHELIN Italiana S.A.M.I. S.p.A., formulando due motivi.
Con il primo, hanno dedotto violazione di legge, con riferimento agli artt. 14 co. 2 Cost., 244, 246 e 364 co. 3 cod. proc. pen., contestando che, nel caso di specie, il C.T. del P.M. abbia effettuato una mera attività di sopralluogo, essendosi trattato di una ispezione, tuttavia non preceduta da apposito motivato decreto, posta in essere senza il rispetto delle relative procedure e in violazione del diritto alla inviolabilità del domicilio.
Con il secondo, hanno dedotto analogo vizio in relazione agli artt. 125 co. 3 e 253 co 1 cod. proc. pen., contestando che i beni in sequestro costituiscano cose pertinenti al reato, sia perché in alcun modo afferenti alle ipotesi contestate (per estraneità di essi alle mansioni lavorative dei due dipendenti e per la risalenza nel tempo dell'attività lavorativa svolta), ma anche perché non necessari per l'accertamento dei fatti per cui si procede, aspetto sul quale si rileva l'insussistenza di una motivazione che dia conto di quali elementi d'indagine permetterebbero di ritenere detti beni legati alle contestate ipotesi di reato.
Con memoria depositata in data 03/05/2017, la difesa ha sviluppato le sue argomentazioni difensive anche in ordine alla assenza di motivazione in ordine alla pertinenzialità tra i beni in sequestro e l'ipotizzata esposizione a sostanze morbigene delle pp.o.
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi sono inammissibili. 
2. Il Tribunale ha ritenuto infondate entrambe le argomentazioni difensive articolate dalla difesa e concernenti, da un lato, l'irritualità e la conseguente illegittimità dell'attività di ricerca della prova, per essersi trattato di una vera e propria ispezione, non eseguita tuttavia nelle forme e nei modi di legge; dall'altro, l'insussistenza del nesso di pertinenzialità dei beni rispetto al reato per cui si procede, stante la risalenza nel tempo dell'attività lavorativa prestata dai due dipendenti. In particolare, quanto alla prima, ha rilevato che l'ispezione e il sopralluogo del C.T. (autorizzato dal P.M. nel contesto dell'incarico devoluto) hanno finalità del tutto differenti, escludendo il secondo la necessità che un'acquisizione di campioni di materiali "massivi" da sottoporre ad analisi debba essere preceduta da attività ispettiva, il cui scopo precipuo è invece quello di accertare le tracce e gli altri effetti del reato; quanto alla seconda, ha ritenuto esistente il nesso di pertinenzialità tra i beni in sequestro e il reato, dovendosi adottare una nozione ampia di esso che ricomprende non solo ciò che è direttamente e immediatamente in relazione con il reato, ma anche quegli oggetti solo mediatamente collegati al fatto e che siano utili per la sua ricostruzione, indagando i quali, cioè, si riescano ad accertare elementi utili, relativi al fatto per cui si procede.
Nel caso di specie, il Tribunale ha rilevato che gli oggetti in sequestro erano in uso nello stabilimento ove avevano prestato attività lavorativa i due dipendenti, sia pure anni addietro, cosicché essi ben potevano presentare tracce di agenti chimici patogeni del tipo di quelli che, secondo l'ipotesi d'accusa, hanno innescato le patologie di cui soffrono o hanno sofferto le persone offese.
3. Entrambi i motivi sono manifestamente infondati.
Occorre intanto premettere che, in sede di riesame del sequestro probatorio, il Tribunale è chiamato a verificare l'astratta configurabilità del reato ipotizzato, valutando il fumus commissi delicti in relazione alla congruità degli elementi rappresentati, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla concreta fondatezza dell'accusa, bensì con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l'espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto, non altrimenti esperibili senza la sottrazione del bene all'indagato o il trasferimento di esso nella disponibilità dell'autorità giudiziaria (cfr. sez. 2 n. 25320 del 05/05/2016, Rv. 267007; sez. 3 n. 15254 del 1703/2015, Rv. 263053; sez. 3 n. 15177 del 24/03/2011, Rv. 250300).
4. Ciò posto, va intanto rilevato che i ricorrenti hanno riproposto in questa sede le medesime censure esaminate dal Tribunale, riguardanti cioè la natura del campionamento operato e la insussistenza del nesso di pertinenzialità tra i beni e le fattispecie di cui all'incolpazione provvisoria, allegando violazione di legge e sostanzialmente anche il vizio di mancanza della motivazione.
Nessuno dei vizi dedotti inficia il provvedimento impugnato.
4.1. Quanto al primo profilo, infatti, il Tribunale ha chiarito che l'acquisizione dei beni poi sequestrati dal P.M. era avvenuta nel contesto del sopralluogo strumentale all'espletamento dell'incarico ricevuto (comprensivo del campionamento di materiale massivo da sottoporre a successiva analisi) e che la stessa non era stata propedeutica al rinvenimento di tracce o altri effetti del reato.
Trattasi di motivazione certamente esistente, le cui eventuali (ma, invero, non apprezzabili) lacune non sono in ogni caso deducibili in questa sede, stante la natura del procedimento (avente ad oggetto cioè una misura cautelare reale), laddove per le ragioni addotte dallo stesso Tribunale non può neppure ravvisarsi la dedotta violazione di legge, versandosi in ipotesi di campionamento di materiale necessario all'accertamento da eseguirsi nell'espletamento del mandato ricevuto dall'ausiliario del P.M.
4.2. Quanto al secondo profilo, pur ribadita la necessità che il decreto di sequestro probatorio debba essere sorretto da idonea motivazione in relazione al presupposto della finalità perseguita ai fini dell'accertamento dei fatti (cfr. Sez. U. n. 5876 del 28/01/2004, Rv. 226711), tuttavia essa, per come più di recente è stato chiarito, può essere resa anche mediante formule sintetiche, qualora sia di immediata percezione la "diretta" connessione probatoria tra il vincolo di temporanea indisponibilità del bene sequestrato ed il corretto sviluppo della attività investigativa (cfr. sez. 2 n. 52619 dell'11/11/2014, Rv. 261614), o siano indicati le norme di legge che si assumono violate, la data e il luogo del fatto e le finalità investigative (cfr. sez. 2, n. 41360 del 16/09/2015, Rv. 265273).
Questa Corte ha pure ritenuto non necessaria la prova del carattere di pertinenza o di corpo di reato delle cose oggetto del vincolo, essendo sufficiente la semplice possibilità del rapporto di queste con il reato [(cfr. sez. 6 n. 1683 del 27/11/2013 Cc. (dep. 15/01/2014), RV. 258416], ovvero la semplice possibilità, purché non astratta ed avulsa dalle caratteristiche del caso concreto, della configurabilità di un rapporto di queste con il reato (cfr. sez. 6 n. 33229 del 02/04/2014, Rv. 260339).
4.3. Orbene, con specifico riferimento alla natura di cosa pertinente al reato per cui si procede, la valutazione del Tribunale risulta del tutto allineata ai principi espressi da questa stessa sezione, secondo cui la distinzione tra corpo del reato e cose pertinenti al reato sta nel fatto che il primo è rappresentato da quelle cose che si trovano in rapporto diretto ed immediato con l'azione delittuosa, mentre tra le <<cose pertinenti al reato>> rientrano tutte quelle che sono in rapporto indiretto con la fattispecie criminosa concreta e risultano strumentali all'accertamento dei fatti, ovvero quelle necessarie alla dimostrazione del reato e delle sue modalità di preparazione ed esecuzione, alla conservazione delle tracce, all'identificazione del colpevole, all'accertamento del movente ed alla determinazione dell'ante factum e del post factum comunque ricollegabili al reato, pur se esterni all'iter criminis, purché funzionali all'accertamento del fatto ed all'individuazione dell'autore [cfr. sez. 4 n. 2622 del 17/11/2010 Cc. (dep. 26/01/2011), Rv. 249487].
Sempre in ordine alla natura delle cose sottoposte a sequestro probatorio, questa Corte ha pure riconosciuto il vincolo di pertinenzialità di quelle che, anche senza essere in rapporto qualificato con il fatto illecito, presentino capacità dimostrativa dello stesso (cfr. sez. 3 n. 22058 del 22/04/2009, Rv. 243721), ribadendo, anche più di recente, che l'espressione "cose pertinenti al reato" è più ampia di quella di corpo di reato e comprende non solo qualunque cosa sulla quale o a mezzo della quale il reato fu commesso o che ne costituisce il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quella legata, pur solo indirettamente, alla fattispecie criminosa (sez. 3 n. 31415 del 15/01/2016, Rv. 267513; sez. 2 n. 34986 del 19/06/2013, Rv. 256100), purché il rapporto tra la res e l'illecito penale non sia meramente occasionale (cfr. sez. 5 n. 26444 del 28/05/2014, Rv. 259850).
4.4. In maniera del tutto legittima, quindi, il Tribunale ha ritenuto giustificata l'apposizione del vincolo reale sui beni dei quali si è chiesta la restituzione, trattandosi di cose che, in quanto utilizzate e presenti nello stabilimento ove avevano prestato, sia pure anni addietro, la loro attività lavorativa i due dipendenti, persone offese dei reati ipotizzati, possono presentare tracce di agenti chimici patogeni del tipo di quelli che si assume abbiano innescato le patologie di cui le stesse soffrono o hanno sofferto.
5. Alla declaratoria d'inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno alla somma di €. 2.000,00 in favore della cassa delle ammende, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di 2.000€ a favore della cassa delle ammende.
Deciso in Roma il 10 maggio 2017.