Cassazione Penale, Sez. 4, 01 giugno 2017, n. 27535 - Infortunio con la macchina "Monopiega" priva di sistemi di protezione. Mancata formazione


Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: PEZZELLA VINCENZO Data Udienza: 11/05/2017

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Firenze, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente D.F., con sentenza del 20.11.2015, confermava la sentenza del Tribunale di Prato, emessa in data 6.3.2014, appellata dall'imputato, con condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Il Tribunale di Prato, all'esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato l'imputato responsabile dei seguenti reati:
a) del delitto p. e p. dall'art. 590 comma 3 c. p., perché, nella sua qualità di datore di lavoro dell'Impresa K. S.r.l. ; per negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ed in specie dell'art. 17 comma 1 lettera a), 36 comma 2 ,37 comma 1 ,71 comma 1 D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, consentendo l'utilizzo della macchina "Monopiega " per l'avvolgimento di pellicole in materiale plastico priva di sistemi protettivi agli organi mobili di trasmissione del moto, ai rulli di trascinamento e la loro zona di imbocco, omettendo di adottare le necessarie misure di prevenzione e protezione nell'uso della predetta macchina e di fornire al lavoratore G.W.S. una adeguata informazione sui rischi specifici della sua mansione, omettendo la valutazione dei rischi di natura infortunistica connessi all'uso delle macchine e delle attrezzature di lavoro con particolare riguardo alla macchina Monopiegatore ed infine omettendo di fornire al preposto di fatto DN.V. adeguate direttive ai fini dell'obbligo di sovrintendere e vigilare sul corretto uso dei macchinari da parte dei dipendenti, cagionava all'operaio G.W.S. che, durante la lavorazione alla macchina "Monopiega" , accortosi che si stava generando un difetto di produzione sulla bobina in avvolgimento, infilava la mano sinistra nella zona tra i rulli pressori gommati in movimento finendo per intrappolare la stessa mano, fino al polso, fra i due rulli, - lesioni personali consistite in "estesa lesione da sguainamento della regione palmare mano sinistra , con esposizione dei tessuti profondi" guarite in oltre 40 giorni. Fatto commesso in Calenzano il 4 luglio 2011
b) art. 36 comma 2 e 37 comma 1 del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 e s.m. perché, nella sua qualità anzidetta, non provvedeva affinché il lavoratore G.W.S. ricevesse una adeguata informazione sui rischi specifici della sua mansione; Fatti accertati in Calenzano il 4 luglio 2011
L'imputato veniva condannato, unificati i reati per la continuazione, applicata la diminuente per il rito, alla pena di mesi 2 e giorni 10 di reclusione, con sospensione condizionale della pena.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, D.F., deducendo, i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Con un primo motivo si deduce violazione del principio del "ne bis in idem" in quanto il capo b) dell'Imputazione descriverebbe e sanzionerebbe lo stesso fatto indicato al capo e) dell'imputazione indicata nell'avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen. ed oggetto di oblazione con provvedimento irrevocabile prima del decreto di citazione in giudizio.
Precisa il ricorrente che l'ipotesi accusatoria prevedeva oltre i capi a) e b) oggi in rubrica, quest'ultimo divenuto b) a seguito dell'oblazione dell'originario capo c) anche i seguenti capi: • capo b - (originario) in avviso 415 bis): art.71 comma 1 dei D.Lgs. 9 aprile 2008 n.81 e s.m. perché, nella qualità indicata al capo A) che precede, consentiva l'utilizzo della macchina "Monopiega 1" priva di sistemi protettivi agli organi mobili di trasmissione del moto, ai rulli di trascinamento ed alla loro zona di imbocco, tutti facilmente accessibili, in tal modo creando un rischio di infortunio per presa e/o trascinamento delle mani o di altre parti del corpo; • capo d) in avviso 415 bis): art. 17 comma 1 lettera a) in combinato disposto con l'art. 28, comma 2 lettera a) del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 e s.m. perché nella sua qualità anzidetta non effettuava la valutazione dei rischi di natura infortunistica connessi all'uso delle macchine e delle attrezzature di lavoro e, in particolare, relativamente alla macchina Monopiegatore, nonché dei rischi connessi alla specifica tipologia contrattuale di apprendista, mansione ricoperta dal lavoratore G.W.S.; • capo e) in avviso 415 bis): art. 17 comma 1 lettera a) in combinato disposto con l'art. 28, comma 2 lettera a) del O. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 e s.m. perché nella sua qualità anzidetta, non adottava le necessarie misure di prevenzione e protezione nell'uso della macchina Monopiega, posto che la "Procedura di lavorazione su macchine ribobinatrici ('mod. M. 75.25 rev. 01 del 0510112010)" forniva solo indicazioni di carattere generale ai fini della sicurezza.
Per tali capi - si evidenzia - è stata pronunciata, in istruttoria, sentenza di non luogo a procedere per intervenuta oblazione, e tale decisione è divenuta ir-revocabile a seguito di mancata impugnazione, prima della formulazione del de-creto di citazione in giudizio.
Ebbene, si deduce che il fatto contestato al capo b) dell'attuale imputazione presenterebbe le stesse identiche caratteristiche del capo e) oggetto di oblazione. Si contesterebbe, infatti, in entrambi i capi l'insufficienza ai fini della sicurezza delle informazioni fornite al lavoratore. Si tratterebbe, in sostanza di una ri-qualificazione del reato già assorbito in quello oggetto di oblazione.
Né sarebbe sufficiente ad ovviare all'avvenuta violazione il richiamo all'art. 81 cod. pen. in quanto non si tratta di norme diverse violate con la stessa azione ma di due norme che sanzionano lo stesso comportamento, vertendosi, quindi nell'ipotesi dell'art. 84 cod. pen.
Detta eccezione -viene ricordato in ricorso- formava specifico motivo di ap-pello, ma veniva respinta dalla sentenza impugnata con una ricostruzione che il ricorrente ritiene errata e non condivisibile, in quanto l'attuale capo b) sanziona il fatto che il lavoratore non avesse ricevuto un'adeguata informazione sui rischi specifici della sua mansione, sanzionato anche dagli originari capi b), d) ed e), oggetto di oblazione che sanzionavano la stessa fattispecie anche normativa, il primo capo sanzionava l'aver consentito l'utilizzo del macchinario creando il ri-schio, il secondo sanziona il non aver effettuato la valutazione dei rischi di natura infortunistica e il terzo il non aver adottato le misure di prevenzione e di aver fornito un manuale che dava solo indicazioni generali ai fini della sicurezza.
b. Con un secondo motivo si deduce mancanza dell'elemento soggettivo ed oggettivo del reato di cui al capo a) dell'Imputazione art. 590 c.3 cod. pen. e sussistenza di un reato complesso ex art. 84 cod. pen.
Il ricorrente, nel ricostruire le modalità del sinistro, evidenzia la possibilità che l'incidente si sia verificato a causa di un atto emulativo del lavoratore, al fine di ottenere un periodo di riposo estivo, che gli era stato negato, dopo aver assistito, poco prima, ad un altro incidente occorso ad un collega, preposto alla stessa macchina, che riportava una leggerissima lesione determinante il diritto a godere di un periodo di riposo retribuito e la necessità della sostituzione al macchinario.
La sentenza impugnata avrebbe respinto la ricostruzione del ricorrente evi-denziando che la stessa simulava l'introduzione tra i rulli del braccio destro e non del sinistro, e sottolineava la logicità del fatto che il lavoratore avesse premuto il pulsante di emergenza con la mano destra essendo l'incidente avvenuto alla mano sinistra. Il ricorrente precisa che la simulazione, invece, era corretta perché il lavoratore era mancino e quindi le modalità dell'evento potevano essere state solo quelle. Rilevava, inoltre che la mancata partecipazione del lavoratore al processo aveva reso impossibile la verifica giudiziale di tale determinante circostanza. Il D.F. sottolinea di non aver mai contestato una condotta colposa al lavoratore, ma una condotta dolosa. Del resto, ritiene assai strano che in un'azienda che non aveva mai subito infortuni seri nel tempo, si fossero verificati due incidenti l'uno dopo l'altro.
Ci si duole, poi, che al D.F. verrebbe sostanzialmente contestato di aver consentito l'uso di un macchinario, senza l'adozione di tutte le necessarie misure di prevenzione e protezione, senza fornire adeguata formazione e adeguate direttive.
Il giudice avrebbe motivato ex art. 81 cod. pen. e non ex art.84 cod. pen. 
Ritiene il ricorrente che non venga contestata la violazione di norme specifiche, ma venga contestata una sorta di responsabilità oggettiva, in quanto nella motivazione non sarebbe indicata la specifica condotta violata, in relazione alla norma, ma si partirebbe dal presupposto oggettivo che l'evento si è verificato per una non meglio specificata violazione di legge.
In relazione, poi, alla mancanza di direttive al DN.V., il ricorrente precisa che, al momento dell'incidente, il D.F. si trovava proprio accanto al lavoratore per istruirlo sul funzionamento della macchina. Inoltre lo stesso lavoratore aveva già ricevuto istruzioni sul tipo di lavorazione e il D.F. stava completando l'istruzione.
Pertanto conclude il ricorrente che non può contestarsi al D.F. di non aver delegato l'istruzione allorquando vi stava provvedendo direttamente.
Del resto - si obietta- se il lavoratore non avesse ricevuto le istruzioni non sarebbe stato in grado di fermare immediatamente la macchina, premendo direttamente il pulsante.
La sentenza impugnata, inoltre sarebbe contraddittoria nell'affermazione che il lavoratore era un semplice apprendista lasciato solo alla macchina, dal momento che il D.F. era con lui per istruirlo e seguirlo data la situazione contingente verificatasi. Del resto la stessa sentenza attesterebbe la presenza del DN.V. a circa due metri dal lavoratore per completare la scheda di produzione della macchina.
Ancora la sentenza sostiene che il lavoratore non riceveva corrette informazioni e istruzioni scritte, dimenticando che il D.F. era presente per addestrarlo sul campo, senza precisare la condotta violata e senza motivare sulla funzione della presenza del D.F. al momento dell'incidente. Infine non viene spiegato, dai giudici di merito, da cosa si deduca la mancanza di una corretta informazione del lavoratore, e in cosa avrebbe difettato l'istruzione, dal momento che il D.F. seguiva personalmente l'apprendista.
Inoltre anche la mancata valutazione dei rischi infortunistici connessi all'uso della macchina, sarebbe inesistente in quanto il D.F. era presente proprio a tal fine e, d'altro canto, non sarebbe stato possibile prevedere l'infortunio del la-voratore addetto e la necessità di improvvisa sostituzione da parte dell'apprendista realizzatasi.
Il ricorrente precisa che si trattava di una piccola realtà imprenditoriale co-stituita complessivamente da sei lavoratori, ribadendo il proprio convincimento che l'incidente sia stato causato da un atto volontario ed emulativo dell'incidente precedente, da parte del lavoratore, in quanto secondo la perizia volta negli atti di indagini preliminari sarebbe chiaro che se l'incidente fosse avvenuto così come descritto avrebbe creato conseguenze molto più gravi. 
Il ricorrente, lamenta, infine, la mancata indicazione delle cautele pratiche che l'imputato avrebbe dovuto adottare e la mancanza di motivazione sulla tesi prospettata di gesto volontario del lavoratore per emulare quanto accaduto al precedente addetto alla macchina.
c. Con un terzo motivo si deduce l'eccessività della pena e la mancata appli-cazione dell'attenuante specifica ex art. 62 n.6 cod. pen., nonché la mancata concessione delle attenuanti generiche ex art. 62 bis cod. pen.
La sentenza impugnata avrebbe rigettato lo specifico motivo di appello sul presupposto che non fosse stata data prova dell'avvenuto risarcimento del danno, nonostante lo stesso risarcimento fosse chiaramente desumibile dalla mancata partecipazione al processo della parte lesa.
Il lavoratore, ottenuto il risarcimento, aveva chiaramente abbandonato l'Italia rendendosi irreperibile.
Il ricorrente, inoltre, si duole dell'eccessività del trattamento sanzionatorio, nonostante il risarcimento del danno, l'estinzione di tutte le contravvenzioni dell'ASL, l'avvenuto adeguamento degli impianti e la richiesta di rito abbreviato proprio nella convinzione di aver chiarito la vicenda con la propria attenta rico-struzione. Invece non si sarebbe tenuto conto di nessuna di tali circostanze e nemmeno del comportamento processuale dell'imputato.
In relazione, poi alla mancata concessione dell'attenuante specifica ex art. 62 n. 6 cod. pen., il ricorrente evidenzia di aver posto in essere tutte le cautele civilistiche a tutela del lavoratore comunicando anche i dati della propria compa-gnia assicuratrice per consentire un immediato risarcimento, la cui prova consi-sterebbe nella mancata costituzione della parte civile che si rendeva irreperibile.
Il lavoratore contattava direttamente l'assicurazione e nessuna richiesta giungeva alla società. Pertanto l'attenuante richiesta si sarebbe pienamente inte-grata.
Sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, il D.F. rileva oltre ad aver adeguato gli impianti anche l'avvenuta oblazione delle contravvenzioni e la propria incensuratezza.
Chiede, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata con o senza rinvio.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è manifestamente inammissibile, in quanto il ricorrente si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Canna- vacciuolo non mass.; conf. sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchi- tano, Rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). Ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
2. Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.
La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato tutte le tesi oggi riproposte, ivi compresa quella del ne bis in idem e dell'applicazione del principio fissato dall'art. 649 c.p.p., rilevando correttamente come, in relazione al reato contravvenzionale contestato al capo b), in realtà non emerga alcuna duplicazione che comporti l'applicazione del divieto di un secondo giudizio.
La contravvenzione contestata al D.F. al capo b), infatti, concerne la mancata informazione fornita al lavoratore circa i rischi specifici ai quali egli era esposto in relazione all'attività svolta quale addetto alla macchina presso la quale l'infortunio si è verificato, alle normative, di sicurezza ed alle disposizioni aziendali in materia. E si tratta - come rileva con motivazione logica il provvedimento impugnato- di una contravvenzione che trova sicuro fondamento negli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari, e soprattutto in quanto riferito dallo G.W.S. che - assunto a sommarie informazioni dagli Ispettori della ASL il 26.7.2011 e poi il 5.1.2012 - ha dichiarato che non aveva ricevuto adeguate informazioni in merito ai rischi propri dell'attività di conduzione di quell'attrezzatura, essendogli stato soltanto sommariamente spiegato, in poco tempo, il funzionamento della macchina (viene richiamato il verbale di sommarie informazioni dello G.W.S. del 26.7.2011 in cui si legge: "per spiegarmi il funzionamento della macchina 'monopiega' si è impegnato il sig. D.F. ed ha impiegato circa una mezz'ora, poi sarò rimasto da solo ad operare -alla macchina (..) Preciso che era la terza volta che lavoravo alla macchina 'monopiega', il giorno del mio infortunio vi ero stato adibito in quanto la mattina dello stesso giorno .. il collega di nome Andrea che usualmente lavorava quella macchina si è infortunato alla stessa macchina e, ancora, il verbale dello G.W.S. del 5.1.2012: "Non ho mai visto la "Procedura di lavorazione su macchine ribobinatrici - Mod. M75.25 rev. 01 dei 5.1.2010" e tantomeno il "Manuale di istruzioni per l'uso e la manutenzione pér la Macchina Ribobinatore mod. Monopiegatore MOIi del 15.12.2010")
La corrispondenza al vero di queste dichiarazioni rese dal lavoratore infortunato - rileva il provvedimento impugnato con motivazione logica- non è smentita da alcun elemento concreto fornito dalla difesa o altrimenti emerso nel corso delle indagini preliminari.
La Corte territoriale rileva, invece, correttamente, che la contravvenzione prevista dall'art. 17 comma 1 lett. a), in combinato disposto con l'articolo 28 comma 2 lett. b), del d.lgs. 81/2008, per la quale il D.F. ha provveduto al versamento della somma dovuta a titolo di oblazione, con conseguente declaratoria di estinzione riguarda un fatto diverso dalla formazione e informazione che deve essere fornita ai lavoratori, e segnatamente la valutazione dei rischi da parte dell'impresa; nella specie le procedure di sicurezza erano gravemente carenti e nella documentazione relativa alle Macchine ribobinatrici non erano state individuate specifiche misure atte a garantire la regolari condizioni di utilizzo della macchine in questione.
3. Con il secondo motivo di ricorso, anch'esso manifestamente infondato, il ricorrente propone a questa Corte di legittimità una rivalutazione del fatto, evidentemente non consentita in questa sede.
Peraltro, già i giudici del gravame del merito hanno logicamente e congruamente confutato la riproposta tesi difensiva di un atti volontariamente autolesionista del lavoratore, ricordando come a seguito delle dichiarazioni dell'odierno ricorrente il PM ebbe a disporre un accertamento tecnico sulla macchina ribobinatrice, all'esito del quale il tecnico nominato, ing. G., ebbe ad accertare che l'entità del danno subito dello G.W.S. è senza dubbio compatibile con quanto può essere causato dal rullo traente della macchina, tenuto conto di ciò che lo stesso lavoratore ha fin dall'inizio coerentemente dichiarato (ossia che la sua mano sinistra è rimasta incastrata per i pochi secondi intercorsi tra la 'cattura' da parte del rullo e l'arresto di emergenza della macchina, visto che fortuna-tamente lo G.W.S. ha avuto la possibilità di raggiungere immediatamente il pulsante di emergenza con la mano destra).
Il provvedimento impugnato dà anche conto che è stato altresì accertato, attraverso prove sperimentali, che premendo il pulsante di stop/emergenza la macchina si ferma immediatamente e i due rulli non hanno la capacità di catturare la mano, derivandone che è quindi da escludere che il lavoratore abbia in un primo tempo premuto il pulsante di emergenza e in un secondo tempo subito la lesione infilando la mano in mezzo ai rulli, come sostenuto dal D.F..
Il nominato consulente - rileva ancora il provvedimento impugnato- ha evidenziato che le fotografie prodotte dall'imputato all'atto dell'interrogatorio sono gravemente fuorvianti perché viene simulata l'introduzione tra i rulli del braccio destro e non del sinistro, come pacificamente è avvenuto e, tenendo conto che la lesione riguarda la mano sinistra, non vi è nulla di anomalo nel fatto che il lavoratore abbia avuto la possibilità di raggiungere rapidamente il pulsante di emergenza, che era posto sulla sua destra.
Sulla base di questi elementi di fatto, con motivazioni logiche e congrue che si completano in un tutt'uno, trattandosi di doppia conforme affermazione di responsabilità, i giudici del merito concordano in merito alla dinamica dell'infortunio e alla veridicità delle dichiarazioni dello G.W.S..
4. Corretto in punto di diritto è anche il rilievo che non può mandare esente da responsabilità il datore di lavoro odierno ricorrente, tenuto conto della pericolosità della macchina e della necessità che, prima dell'Impiego, questa fosse adeguata alle normative vigenti, il possibile comportamento imprudente del lavoratore.
E' pacifico, infatti, che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (così questa Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, Rv. 259321).
La sentenza oggi impugnata si colloca, dunque, nel solco di tale consolidata giurisprudenza e anche del recente arresto di questa Corte di legittimità secondo cui non è configurabile la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497).
La Corte territoriale, peraltro, ha già risposto anche alle deduzioni difensive sul punto delle istruzioni e informazioni fornite al lavoratore, nonché al fatto che la persona offesa fosse istruita personalmente da D.F. proprio nel momento in cui l'infortunio si era verificato, evidenziando, in primo luogo, come neppure l'odierno ricorrente avesse affermato che al momento del fatto egli si trovasse vicino allo G.W.S. allo scopo di "completare la sua istruzione" e che, anzi, nell'interrogatorio del 5.9.2012 l'imputato aveva piuttosto dichiarato, in modo ben diverso, che era a "un paio di metri" di distanza dallo G.W.S. in quanto "intento alla registrazione di dati su una scheda di produzione", e non perché stesse seguendo l'attività dell'apprendista.
5. Manifestamente infondati sono anche i motivi di doglianza relativi alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. e delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62bis cod. pen.
Quanto alla prima, la Corte distrettuale rileva che non è stata fornita alcuna prova del risarcimento del danno, che evidentemente non può desumersi per implicito dalla mancata costituzione di parte civile.
La motivazione nel provvedimento impugnato è, infine, logica, coerente e corretta in punto di diritto anche quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto del loro diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche valutando, negativamente per l'odierno ricorrente, l'evidente gravità del fatto, soprattutto per l'elevato grado della colpa del datore di lavoro, che ha impiegato consapevolmente un macchinario il cui deficit di sicurezza era evidente e nonostante che nel corso della stessa giornata si fosse verificato un altro infortunio con modalità pressoché identiche.
Il provvedimento impugnato appare, pertanto, collocarsi nell'alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell'imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2000,00 in favore della cassa delle ammende
Cosi deciso in Roma l'11 maggio 2017