Categoria: Cassazione penale
Visite: 12301

Cassazione Penale, Sez. 3, 13 giugno 2017, n. 29238 - Luoghi di lavoro idonei e macchinari non protetti. Regolarizzazione della prescrizione


Presidente: AMOROSO GIOVANNI Relatore: DI NICOLA VITO Data Udienza: 17/02/2017

 

 

 

Fatto

 


1. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti ricorre per cassazione Impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale ha assolto, per non aver commesso il fatto, D.C. dal reato previsto dagli articoli 64, comma 1, lettera a), e 68, lettera b), del decreto legislativo 8 aprile 2008, n. 81 perché, quale datore di lavoro della ditta "I.F.M. Srl", esercente attività di lavorazione di materiali lapidei con quarzo e suoi agglomerati, non predisponeva che i locali di lavoro rispondessero ai requisiti previsti dall'articolo 63 del decreto legislativo n. 81 del 2008 in riferimento a quanto disposto dall'allegato IV dello stesso decreto e dichiarava non doversi procedere in ordine al capo b) essendo estinto per intervenuta oblazione il reato previsto dagli articoli 71, comma 4, e 87, comma 1, decreto legislativo n. 81 del 2008 perché l'Imputato, nella qualità di cui al capo a), non prendeva le misure necessarie per l'uso in sicurezza della macchina rifilatrice SCM modello Si350N prodotta nell'anno 2004, in quanto l'organo lavoratore, costituito dalla lama in rotazione, era sprovvisto della cuffia di protezione.
Entrambi i reati accertati in sede di sopralluogo in Asti in data 2 agosto 2013.
2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza il ricorrente affida il ricorso a due motivi, qui enunciati ai sensi dell'articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale).
Sostiene che il tribunale ha assolto l'imputato dal reato di cui al capo a) sul presupposto che, alla data del 19 maggio 2014 quale termine ultimo di adempimento delle prescrizioni impartite dai funzionari della Asl, l'imputato risultava già dimesso dalla carica di amministratore, cessata in data 20 marzo 2014, con la conseguenza che l'obbligo penalmente sanzionato facesse capo a soggetto diverso dall'imputato.
Tuttavia, così opinando, il tribunale avrebbe confuso, secondo il ricorrente, due profili: da un lato, la responsabilità per il reato già commesso ed accertato a seguito del sopralluogo avvenuto in data 2 agosto 2013 e, dall'altro lato, la possibilità di estinguere detto illecito mediante il ricorso alla procedura di cui al decreto n. 758 del 1994, incorrendo pertanto nel vizio di violazione di legge denunciato perché, alla data del termine di scadenza dell'adempimento delle prescrizioni impartite, il reato era già consumato da parte dell'imputato, con la conseguenza che, a seguito della cessazione della carica di amministratore intervenuta medio tempore, egli non poteva esclusivamente giovarsi della causa di estinzione del reato di cui al citato decreto del 1994, senza che ciò potesse incidere sulla responsabilità in ordine al reato originariamente contestato.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente parimenti deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale).
Assume che, con riferimento al reato di cui al capo b), l'imputato sarebbe stato illegittimamente ammesso all'oblazione, ai sensi dell'articolo 162-bis del codice penale, nonostante che tale disposizione rinvìi alle ipotesi di cui all'articolo 99, comma 4, del codice penale per escludere l'ammissione al beneficio, posto che la recidiva reiterata è ostativa all'applicazione dell'oblazione facoltativa.
Né rileverebbe il fatto che, alla luce delle modifiche apportate all'articolo 99 del codice penale dalla legge n. 251 del 2005, la recidiva non è più configurabile con riferimento alle contravvenzioni, quale quella per cui si procede, perché comunque sarebbe sufficiente, pur in mancanza di pronunce di legittimità al riguardo, la mera cognizione giudiziale della sussistenza dello status di recidivo reiterato per integrare, anche nei confronti dei reati contravvenzionali, la preclusione all'ammissione all'oblazione facoltativa, di cui all'articolo 162bis del codice penale.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione sulla base del primo motivo.
2. Sul punto, è opportuno richiamare sinteticamente le disposizioni sulla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro, di cui al decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, che qui rileva.
2.1. L'art. 20 d.lgs. n. 758 del 1994 stabilisce, con riferimento alle contravvenzioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro punite con pena alternativa, che l’organo di vigilanza deve impartire al contravventore una apposita prescrizione, fissando un termine per la regolarizzazione.
Il successivo art. 21 prevede che, nel caso di adempimento della prescrizione, l’organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare, nel termine di trenta giorni, una sanzione amministrativa, comunicando al pubblico ministero, entro 120 giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l’adempimento della stessa nonché l’eventuale pagamento della predetta somma. Qualora invece la prescrizione rimanga inadempiuta, l’organo di vigilanza deve darne comunicazione al pubblico ministero entro 90 giorni. 
L'art. 22 prescrive che se il pubblico ministero riceve aliunde la notizia del reato, deve darne comunicazione all'organo di vigilanza perché emetta la prescrizione.
L'art. 23 dispone la sospensione del procedimento penale fino al momento in cui il pubblico ministero riceve dall'organo di vigilanza la comunicazione che il contravventore non ha adempiuto. Infine, l'art. 24 stabilisce che la contravvenzione si estingue se il contravventore ha adempiuto la prescrizione ed ha pagato, nei termini, la sanzione amministrativa.
2.2. Ne consegue che il procedimento amministrativo, la cui completezza il giudice è tenuto ad accertare d'ufficio, configura una condizione di procedibilità dell'azione penale (Sez. 3, n. 43825 del 04/10/2007, Di Santo, Rv. 238260) e che il pagamento tardivo non comporta l'estinzione del reato in quanto, per la realizzazione dell'effetto estintivo previsto dall'art. 24 del D.Lgs. 19 dicembre 1994 n. 758 il contravventore deve eliminare la violazione secondo le modalità prescritte dall'organo di vigilanza nel termine assegnatogli e poi provvedere al pagamento della sanzione amministrativa nel termine di giorni trenta. Il mancato rispetto anche di una sola delle due citate condizioni impedisce la realizzazione dell'effetto estintivo (ex multis, Sez. 3, n. 24418 del 10/03/2016, Sollano, Rv. 267105).
Il pagamento da parte del contravventore della sanzione amministrativa, che deve seguire l'esatto adempimento della prescrizione diretta a rimuovere le violazioni accertate in materia di sicurezza sul lavoro, chiude il procedimento amministrativo e comporta l'estinzione del reato.
2.3. Con fondamento, allora, il ricorrente si duole del fatto che il tribunale abbia erroneamente ritenuto che, rispetto ad un reato pienamente perfezionato, la cessazione della carica sociale di amministratore (peraltro per dimissioni e, quindi, per fatto proprio del contravventore) avesse determinato lo spostamento dell'obbligo a carico di un diverso soggetto, che ne dovrebbe poi inammissibilmente rispondere a titolo di responsabilità oggettiva, con la conseguenza che, in sostanza, l'autore del reato dovesse essere sollevato dalla responsabilità penale per non aver commesso il fatto.
Al di là, quindi, delle intuibili elusioni della normativa amministrativa e penale, posta a presidio di violazioni costantemente avvertite come serie e gravi in quanto dirette a reprimere condotte realizzate in violazione delle norme sulla sicurezza e l'igiene dei luoghi di lavoro assicurando protezione ai prestatori di lavoro, resta il fatto che il contravventore rimane in via principale obbligato ad eseguire sia la prescrizione che il pagamento, anche se sia l'una che l'altra possono essere eseguite anche da un terzo e giovano al contravventore.
2.4. Il ricorrente opina diversamente affermando che la perdita della qualifica giuridica soggettiva comporterebbe che il contravventore non possa più giovarsi della causa di estinzione del reato prevista dall'art. 24 d.lgs. n. 758 del 1994.
Tuttavia una tale opzione deve essere esclusa non fosse altro perché il contravventore è il soggetto legittimato ex lege ad eseguire entrambi gli adempimenti.
Inoltre, la ratio - che sottende alle dinamiche del procedimento amministrativo, quest'ultimo in grado, dapprima, di condizionare l'esercizio dell'azione penale e, successivamente, di polverizzare il reato - non esclude affatto, quanto alla realizzazione dell'effètto estintivo, che il contravventore possa giovarsi del fatto del terzo, tanto con riferimento all'adempimento della prescrizione (il cui assolvimento, in caso di perdita della qualità, può non pienamente rientrare nel dominio dell'agente) quanto con riferimento al pagamento, sul fondamentale rilievo che il legislatore collega la causa estintiva del reato all'adempimento delle due prestazioni (chiunque le esegua) e non a particolari atteggiamenti soggettivi che il contravventore deve aver necessariamente osservato per giovarsi della causa estintiva.
Questa Sezione ha già affermato il principio, al quale va dato continuità, che il pagamento della sanzione amministrativa effettuato ex art. 24 D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 dal legale rappresentante della società riverbera l'effetto estintivo anche a favore del dipendente-contravventore, che abbia operato come persona fisica all'interno dell'azienda (Sez. 3, n. 18914 del 15/02/2012, Simone, Rv. 252394).
La soluzione, praticata anche nei casi di adempimento di una obbligazione tributaria, la cui omissione costituisca reato, o nei casi di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti (Sez. 3, n. 4347 del 29/11/2011, dep. 2012, Vincenzoni, Rv. 251980), sembra aderente al dettato normativo ed alla ratio che lo sostiene, perché la fattispecie legale non richiede la spontaneità del pagamento o la resipiscenza del colpevole e neppure che l'importo sia corrisposto dall'imputato, facendo scattare la causa estintiva del reato alla sola condizione che la prescrizione sia stata eseguita e che il pagamento sia dotato dei requisiti della completezza e della tempestività, cioè che l'importo corrisponda alla sanzione amministrativa determinata dall'organo di vigilanza e che il pagamento avvenga nel termine di trenta giorni, con la conseguenza che, soddisfatta pieno iure la pretesa amministrativa, verrebbe meno, pur in costanza di pagamento non eseguito dall'imputato, l'interesse dello Stato ad esercitare la pretesa punitiva.
Del resto, ad una soluzione analoga sono giunte dottrina e giurisprudenza con riferimento all'attenuante del risarcimento del danno prevista in via generale dall'art. 62 n. 6 cod. pen., essendosi ritenuto che la circostanza attenuante della riparazione del danno non è collegata necessariamente con la cosiddetta resipiscenza del reo, potendo trovare la sua giustificazione in una mera utilità del danneggiante, cosicché essa ha natura oggettiva ed effetti soggettivi, con la conseguenza che, quando il risarcimento sia effettuato da un terzo, la circostanza va applicata se la riparazione sia riferibile al colpevole, nel senso che questi ne abbia coscienza e mostri la volontà di far proprio il risarcimento stesso (ex multis, Sez. 4, n. 23663 del 24/01/2013, Segatto, Rv. 256194).
2.5. Ciò chiarito, nel caso in esame, risulta essere stata eseguita la sola prescrizione, non anche il pagamento della sanzione amministrativa, sicché il ricorso va accolto in parte qua e la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio in ordine al reato di cui al capo a) della rubrica.
3. Non è fondato, per le ragioni di seguito precisate, il secondo motivo.
La questione che il ricorrente sottopone alla Corte è se, a seguito della legge 5 dicembre 2005, n. 251 che ha modificato l'articolo 99 del codice penale limitando la configurabilità della recidiva ai delitti dolosi e preterintenzionali, escludendola per i delitti colposi e per le contravvenzioni, rilevano le precedenti condanne, ai fini dell'ammissibilità all'oblazione di cui all'articolo 162-bis del codice penale in presenza delle ipotesi di cui all'articolo 99, quarto comma, stesso codice, o se invece di esse non si debba tenere conto sul presupposto che la recidiva non può essere più contestata quando si procede per un reato contravvenzionale, nonostante l'articolo 162-bis del codice penale, che regola l'applicabilità dell'oblazione proprio nelle contravvenzioni punite con pene alternative, precluda, anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 251 del 2005 che non ne ha intaccato la disciplina, l'ammissione all'oblazione quando, tra l'altro, ricorre il caso previsto dal terzo capoverso dell'articolo 99 del codice penale.
Nella specie, il ricorrente si duole del fatto che l'imputato, con riferimento al capo b) della rubrica, sia stato erroneamente ammesso all'oblazione ex art. 162- bis del codice penale, nonostante avesse riportato tre precedenti condanne, sia pure per delitti non dolosi, sostenendo che, anche dopo la legge n. 251 del 2005, le condizioni per l'ammissione all'oblazione di cui all'articolo 162-bis del codice penale, in presenza delle ipotesi di cui all'articolo 99, quarto comma, non dovrebbero affatto mutare, essendo sufficiente la mera cognizione della sussistenza dello status di recidivo reiterato, per il quale status non è richiesta una apposita dichiarazione giudiziale e posto che l'articolo 162-bis del codice penale subordina, tra l'altro, la non ammissibilità dell'oblazione al fatto che "ricorrano" i casi previsti dal terzo capoverso dell'articolo 99 del codice penale.
Questa Corte ha recentemente ribadito che, ai fini dell'ammissione dell'oblazione speciale prevista dall'art. 162-bis cod. pen., non è richiesto che la recidiva reiterata sia stata giudizialmente dichiarata, essendo sufficiente l'oggettiva sussistenza dello "status" di recidiva, né il giudice può escludere la causa ostativa, valutando la scarsa consistenza dei precedenti penali, se oggettivamente sussistenti (Sez. 3, n. 55123 del 04/10/2015, Derbali, Rv. 268776).
Tuttavia, ciò presuppone che la recidiva "ricorra" con riferimento a casi che abbiano la idoneità a radicare la situazione giuridica soggettiva cui è connesso lo "status" di recidivo, la qual cosa, a seguito delle legge n. 251 del 2005, è esclusa per le contravvenzioni e per i delitti colposi, con la conseguenza che la disposizione che precludeva l'ammissibilità dell'oblazione discrezionale in presenza della recidiva reiterata (ipotesi di recidiva come status) risulta oggi parzialmente ed implicitamente abrogata nella parte in cui non è più possibile riferire la recidiva alle contravvenzioni e ai delitti colposi, restando applicabile alle ipotesi di recidiva previste da leggi penali speciali, se ed in quanto deroghino all'articolo 99 del codice penale, e alle ipotesi in cui la recidiva si riferisce ai soli delitti dolosi o preterintenzionali, fermo restando che l'esistenza di precedenti condanne per reati contravvenzionali, soprattutto se della stessa specie, o per delitti colposi possono essere considerati ostativi all'accoglimento della domanda di oblazione ex articolo 162-bis del codice penale ai fini della gravità del fatto, sul rilievo che, a tali fini, l'apprezzamento del giudice va compiuto con riguardo ai parametri indicati in entrambi i commi dell’art. 133 cod. pen. (Sez. 1, n. 47032 del 05/12/2007, Tonghi, Rv. 238316) e, quindi, anche con riferimento ai precedenti penali e giudiziari, che pertanto possono essere valutati come espressione di una accentuata gravità del fatto sotto forma di maggiore capacità a delinquere e pericolosità sociale, consentendo al giudice, nell'esercizio del potere discrezionale di cui al comma 4 dell'articolo 162-bis del codice penale, di respingere, con adeguata motivazione, la domanda di oblazione anziché dichiararla inammissibile ai sensi dell'articolo 162-bis, comma 3, del codice penale.
Il motivo pertanto non è fondato ed il ricorso va in parte qua rigettato.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo a) e rinvia alla Corte di appello di Torino.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 17/02/2017