Cassazione Penale, Sez. 3, 14 giugno 2017, n. 29556 - DPI e necessaria formazione e informazione ai lavoratori. Applicabilità dell'art. 131 bis cod. pen.


Presidente: AMORESANO SILVIO Relatore: CIRIELLO ANTONELLA Data Udienza: 28/02/2017

 

 

 

Fatto

 


Con sentenza del 8 giugno 2015 il Tribunale di L'Aquila condannava l'imputato alla ammenda di euro 2000,000, ritenuta la continuazione, perché: a) non ottemperava alla prescrizione secondo cui "il datore di lavoro ed i dirigenti che organizzano e dirigono le attività ad essi conferite, devono fornire ai lavoratori necessari e idonei dispositivi di protezione individuale (ex art.18 co 1 e art 55 co 5 lett d d l.vo n.81/2008); b) poiché non ottemperava alla prescrizione secondo cui "il datore di lavoro provvede affinchè ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione sui rischi per la salute e per la sicurezza sul lavoro connessi alla attività della impresa in generale sui rischi specifici cui è esposto in relazione all'attività svolta, (art. 36 co 1 e art.55 co 5 lett c) d.lvo 81/2008) c) poiché non ottemperava alla prescrizione secondo cui il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e di sicurezza anche rispetto alle conoscenze linguistiche (art.37 col e art. 55 co 5 lett c) d.lvo 81/2008)
Fatti commessi in Fossa il 18/04/2013, in cantiere sito località Cerro.
2. Avverso la sentenza ha proposto un'impugnazione qualificata come appello il difensore dell'imputato sul rilievo della mancanza di prove sufficienti alla condanna, chiedendo altresì la declaratoria non punibilità del fatto ex art. 131 bis c.p.
 

 

Diritto

 


3. - La impugnazione - che deve essere qualificata come ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., perché proposta contro sentenza non appellabile, ai sensi dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., in quanto recante condanna alla sola pena dell'ammenda - è in parte inammissibile, in quanto contenente doglianze di merito (segnatamente in ordine alla valutazione delle prove, volte all'assoluzione dell'imputato ai sensi dell'art. 530 comma secondo) che non trovano ingresso nel giudizio di legittimità.
3.1. E' tuttavia ammissibile la doglianza relativa alla omessa valutazione della non punibilità del fatto in ragione della causa di non punibilità ora prevista dall'art. 131 bis cod. pen., introdotto dal d.lgs. n. 28 del 2015.
La natura sostanziale dell'istituto di nuova introduzione implica la possibilità di applicare la nuova disposizione anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, per la retroattività della legge più favorevole, secondo quanto stabilito dall'art. 2, comma 4, cod. pen.
Nel caso di specie, come emerge dagli atti consultabili in ragione del motivo dedotto, il ricorrente aveva chiesto l'applicazione del nuovo istituto, al giudice di primo grado il quale, nella motivazione, ha omesso ogni pronuncia al riguardo.
3.2. L'applicabilità dell'art. 131 bis cod. pen. presuppone, tuttavia, valutazioni di merito, oltre che la necessaria interlocuzione dei soggetti interessati. Da ciò consegue che, nel giudizio di legittimità, dovrà preventivamente verificarsi la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto, procedendo poi, in caso di valutazione positiva, all'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito, affinché valuti se dichiarare il fatto non punibile. E la causa di non punibilità potrà ritenersi sussistente solo in presenza del duplice requisito della particolare tenuità dell'offesa e della non abitualità del comportamento, dovendosi desumere la particolare tenuità dell'offesa dalle modalità della condotta e dall'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall'art. 133 cod. pen., ovvero: natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell'azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa (sez. 3, 8 aprile 2015, n. 15449, rv. 263308; sez. 3, 22 aprile 2015, n. 21474, rv. 263693). A ciò deve aggiungersi che, in ragione della necessità di contemperare l'obbligo di rilevazione d'ufficio della particolare tenuità del fatto, discendente dal disposto dell'art. 129 cod. proc. pen., con la fisiologia del giudizio di legittimità, che preclude a questa Corte di esprimere valutazioni in fatto, spettanti al solo giudice di merito, l'apprezzamento della Corte non può che essere limitato ad un vaglio di astratta non incompatibilità dei tratti della fattispecie, come risultanti dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali, con gli indici appena sopra menzionati (sez. 3, 15 luglio 2015, n. 38380, rv. 264795).
4. Ciò posto, ritiene il Collegio che, alla stregua di quanto risulta dalla sentenza impugnata, una valutazione di astratta sussistenza della particolare tenuità del fatto non possa essere esclusa a priori, tenuto conto della natura della lavorazione (posa in opera di pavimenti) e della non abitualità del comportamento (essendo l'imputato incensurato); quanto, poi, all'elemento soggettivo (che, vale la pena di precisare, non può essere escluso dagli indici-requisiti valutabili, perché l'art. 133, primo comma, cod. pen. è stato richiamato dal legislatore nella sua interezza) nemmeno può escludersi a priori, che il grado della colpa attribuibile all'imputato sia tenue, anche se dovranno essere valutate a tal fine gli elementi della subordinazione da cui discende la configurabilità degli obblighi datoriali a carico del ricorrente.
In conclusione, la sentenza impugnata va annullata, limitatamente alla applicabilità dell'art. 131 bis c.p., con rinvio ad altra sezione del Tribunale di L'Aquila, risultando per il resto inammissibile il ricorso.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla applicabilità dell'art. 131 bis cod. pen, e rinvia al Tribunale di L'Aquila. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2017.