Cassazione Penale, Sez. 1, 28 giugno 2017, n. 31681 - Mancanza di dispositivi di protezione idonei ad evitare le cadute dall'alto. Responsabilità del direttore tecnico. Ricorso tardivo


 

 

Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA Relatore: TALERICO PALMA Data Udienza: 07/04/2017

 

 

 

FattoDiritto

 

1. Con sentenza del 26 aprile 2011, la Corte di appello di Roma confermava la pronuncia del Tribunale di Latina datata 4.11.2009, con la quale I.M. era stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 437 cod. pen. (perché, nella sua qualità di direttore tecnico della ditta Edil Kagi s.r.l., aveva omesso di collocare all'Interno del cantiere dispositivi di protezione per prevenire infortuni sul lavoro, consentendo anche l'utilizzo di cavi elettrici esposti al calpestio pedonale e carrabile) e, conseguentemente, era stato condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi sei di reclusione.
La Corte rilevava che - come correttamente osservato dal primo giudice - il cantiere della ditta di cui l'imputato era direttore tecnico presentava al primo piano l'assenza di qualsiasi dispositivo di protezione (in particolare, mancava la perimetrazione esterna; il ponteggio installato era privo di alcune tavole, dei fermapiedi e di parapetto; le derivazioni elettriche erano sprovviste di protezione ed esposte al calpestio pedonale e carrabile); riteneva, quindi, che dai rilievi effettuati da personale dell'ASL di Fondi emergeva un quadro di oggettiva e diffusa gravità incompatibile con la riduttiva prospettazione difensiva e che le violazioni erano idonee a determinare, anche in concreto, un pericolo per l'incolumità dei lavoratori e tali da configurare in termini oggettivi l'ipotesi delittuosa contesta; che proprio la rilevanza delle violazioni era indicativa di una gestione assolutamente carente e sintomatica della sussistenza dell'elemento psicologico del delitto; che la globale assenza di presidi antinfortunistici, destinati a impedire la caduta dall'alto dei lavoratori, nel contesto di precarietà indicato, era necessariamente riferibile a una omissione dolosa da parte dell'imputato, trattandosi di omissioni di cautele destinate a prevenire il verificarsi di eventi dannosi manifestamente pericolosi per l'incolumità dei lavoratori.
2. Avverso detta sentenza lo I.M. ha proposto ricorso per cassazione per il tramite del suo difensore di fiducia, avvocato Omissis, denunciando, con un unico motivo, violazione di legge e difetto di motivazione.
Ha, in proposito, osservato che la Corte territoriale ha solo "presunto il dolo in capo all'imputato, desumendolo da quella che essa stessa, del tutto contraddittoriamente, ritiene una carente e trascurata gestione"; che tale locuzione, al contrario, più che individuare una consapevole coscienza e volontà di non osservare le prescrizioni antinfortunistiche, appare senz'altro più idonea a segnalare l'elemento della colpa; che, inoltre, la Corte non ha considerato che appena le violazioni furono contestate lo I.M. regolarizzò la situazione secondo le disposizioni impartitegli dal funzionario dell'ASL; che, inoltre, la Corte non ha motivato in ordine alla dedotta circostanza che i cavi non erano collegati alla tensione elettrica, sicché l'unico elemento di irregolarità accertato consiste nella mancanza del parapetto alle scale e al solaio della struttura edilizia, circostanza che appare dubitabile possa fare ritenere sostanziato qual grave pericolo per l'incolumità pubblica, che sotto il profilo oggettivo, costituisce l'altro elemento che concorre a definire l'ipotesi criminosa in discussione.
3. Il ricorso è inammissibile.
A prescindere dalla circostanza che il ricorso prospetta censure assolutamente generiche senza confrontarsi con le precise e puntuali argomentazioni della sentenza impugnata, va preliminarmente rilevato che lo stesso è tardivo.
E in vero, risulta dagli atti che la sentenza della Corte di appello di Roma è stata notificata all'imputato il 31 marzo 2015 e al difensore, avvocato Omissis, il 10 aprile 2015; sicché il ricorso presentato da quest'ultimo in data 11 giugno 2015 è tardivo perché proposto oltre il termine di cui all'art. 585, comma 1, lett. c) cod. proc. pen..
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - non escludendosi profili di colpa nella proposizione dell'impugnazione (cfr. Corte Cost. sent. n. 186 del 2000) - al versamento a favore della Cassa delle ammende della somma che la Corte determina nella misura congrua ed equa di euro millecinquecento.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di millecinquecento euro alla cassa delle ammende.
Così deciso, il 7 aprile 2017