SENATO DELLA REPUBBLICA
XVII LEGISLATURA
Giunte e Commissioni

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con particolare riguardo al sistema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro

 

Seduta n. 67ª, martedì 25 luglio 2017
 

Schema di relazione intermedia
 

Presidenza della presidente FABBRI

Premessa

LE NUOVE INCHIESTE ATTIVATE DALLA COMMISSIONE
La Commissione infortuni ha deliberato, il 14 marzo 2017, un'inchiesta in ordine ai profili di sicurezza sul lavoro connessi al crollo di un cavalcavia, avvenuto il 9 marzo 2017, nel tratto di autostrada A14 tra Loreto e Ancona. In data 28 marzo 2017 l'inchiesta è stata estesa al tema della sicurezza nei cantieri autostradali, anche a seguito dell'incidente verificatosi il 26 marzo 2017 nel tratto di autostrada A10 tra Albissola e Celle Ligure.

I SOPRALLUOGHI DELLA COMMISSIONE
Successivamente all'approvazione della terza relazione intermedia, la Commissione ha effettuato un sopralluogo, dal 13 al 15 luglio 2017, nelle province di Nuoro e Sassari, del quale si darà conto di seguito.

IL CROLLO DEL PONTE 167 SULL'AUTOSTRADA A14
Il 9 marzo 2017 lungo l'autostrada A14 nell’ambito del cantiere edile per l’innalzamento del ponte 167 si verificava il crollo e la distruzione del ponte stesso e quindi il decesso di due persone che transitavano a bordo di un’autovettura che transitava su quel tratto autostradale nonché si arrecavano lesioni personali a tre lavoratori dipendenti della ditta subappaltatrice dei lavori De.la.bech.
A seguito di tale evento la Commissione in relazione al grave allarme sociale destato nell’opinione pubblica, alla violazione delle norme in materia di sicurezza del lavoro e al pericolo per la pubblica incolumità (atteso che quel tratto di autostrada era rimasto in eserciziole conseguenze potevano essere ancora peggiori), procedeva a una serie di audizioni dei tecnici e rappresentanti delle società coinvolte nell’esecuzione dell’opera nonché ad acquisire varia documentazione ritenuta rilevante per l’approfondimento delle cause.
Nell’ambito delle competenze e prerogative costituzionali la Commissione, in sintonia e in collaborazione con la Procura della Repubblica di Ancona competente per territorio, ha ritenuto di accertare la dinamica dei fatti, le misure di prevenzione e protezione effettivamente adottate e la gestione della sicurezza del cantiere in cui si è verificato l'evento.
Dal complesso dell’istruttoria si può delineare la vicenda amministrativa, contrattuale e organizzativa relativa alla gestione della esecuzione dei lavori di innalzamento del ponte 167.
Rileva in primo luogo la ricostruzione della vicenda amministrativa e contrattuale. La società Autostrade Italiane dà in appalto alla società Pavimental dello stesso gruppo societario i lavori per l’innalzamento di una serie di ponti lungo l’autostrada A14; contemporaneamente il medesimo committente dà in appalto ad altra società del proprio gruppo Spea Engineering la progettazione e direzione dei lavori che vengono in un primo tempo subaffidati al Consorzio Matarrese (che non concluderà le opere per la chiusura della propria attività). A tale consorzio subentra quale subappaltatrice la società De.la.bech con il compito di occuparsi dell’innalzamento di tre ponti lungo l’autostrada.
La prima notazione che emerge dall’istruttoria della Commissione riguarda l’affidamento dell’esecuzione dei lavori alla società De.la.bech: dagli atti prodotti dalle stesse società contraenti non emerge in alcun modo quale sia stata la effettiva (e non burocratica) verifica dell’idoneità tecnico professionale della ditta esecutrice, in relazione all’opera da realizzare, principio normativo espressamente previsto dagli art. 26 dal titolo IV del testo unico sicurezza del lavoro, la cui omissione integra l’esempio tipico di culpa in eligendo.
Al riguardo risulta opaco quale fosse al momento del sub affidamento l’esperienza specifica della De.la.bech nel campo dell’innalzamento di ponti (anziché di altri edifici).
La seconda considerazione è costituita dalla presenza di un solo progetto per la sopraelevazione di tutte e tre i ponti e come tale talmente generico da essere considerato più un progetto-tipo bisognevole di un altro progetto esecutivo (poi redatto dalla stessa De.la.bech) e indubbiamente superficiale. Infatti descrive una complessa attività edile, di certo foriera di una serie di rischi per i lavoratori e per la circolazione stradale, non adattabile automaticamente e semplicemente a tutte e tre i ponti da elevare per la loro diversa connotazione strutturale, topografica e soprattutto per gli aspetti operativi.
La dimostrazione di tale prima anomalia che evidentemente non è stata ben attenzionata dal soggetto committente Autostrade Italiane, emerge dalla considerazione che il progetto redatto dalla Spea Engineering per conto del committente Autostrade Italiane di fatto si deve una progettazione di massima che rinvia alla ditta esecutrice la vera progettazione sottoforma di progetto esecutivo. Si tratta di una anomalia incompatibile con il sistema normativo di sicurezza nell’ambito dei cantieri edili laddove si prevede che a priori vi sia una progettazione della sicurezza che comprenda analiticamente tutte le fasi operative dei lavori con le relative misure di prevenzione e di protezione in base all’avanzamento dei lavori.
La mera considerazione per la quale nel caso de quo sia stato affidato un appalto e quindi un subappalto alla ditta esecutrice sulla base di un progetto-tipo che richiedeva comunque una precisazione dell’entità dei lavori, della qualità, quantità, tipologia delle misure di prevenzione e protezione, dell’organizzazione stessa della sicurezza e quindi in definitiva di una valutazione vera dei costi inerenti alla sicurezza, depone a favore di una grave corresponsabilità da parte di tutti i contraenti. Aver ideato la gestione di tre opere così complesse sulla base di un unico progetto di massima è la dimostrazione evidente che la programmazione, la progettazione e i costi della sicurezza sono stati sostanzialmente trascurati, accantonati e rinviati all’attività del subappaltatore.
Ciò costituisce una violazione del principio di organizzazione dei cantieri che presuppone necessariamente programmazione e progettazione della sicurezza insieme alla progettazione dell’opera. Laddove l’opera è progettata genericamente e non in modo specifico in relazione ai lavori da eseguire evidentemente vi è una trascuratezza dei profili inerenti all’attività lavorativa.
Infatti ciò è accaduto nel caso concreto laddove dalla lettura dei progetti, dalle audizioni, dalla documentazione acquisita emerge chiaramente che la progettazione per l’opera da eseguire presso il ponte 167 ha necessitato di un’ulteriore progettazione specifica ed esecutiva da parte del subappaltatore De.la.bech.
Si tratta di un’ulteriore anomalia: il subappaltatore prima di accedere ad un contratto deve conoscere e poter valutare esattamente l’opera da eseguire e i relativi costi. La considerazione per la quale la De.la.bech abbia provveduto, a detta dei tecnici e del rappresentante legale della stessa, addirittura a modificare e migliorare la progettazione che era oggetto del contratto di appalto e quindi di subappalto, indica indubbiamente una strana lacuna anche di carattere economico.
Necessario chiedersi al riguardo come abbia potuto il subappaltatore valutare l’economicità dell’opera e quindi aderire a un contratto di subappalto senza avere un progetto esecutivo da porre in opera e come abbia potuto il committente Autostrade Italiane e il subcommittente Pavimental giudicare la competenza tecnico professionale della ditta esecutrice in relazione a un opera la cui definizione in dettaglio alla fine era rimessa alla stessa De.la.bech. Se infatti il progetto esecutivo è stato redatto, migliorato comunque modificato dal subappaltatore risulta impraticabile il controllo da parte del committente e del subcommittente circa la corrispondenza della sicurezza dell’opera rispetto al progetto.
In definitiva, sul piano della progettazione e dell’appalto emergono già delle lacune che hanno costituito la base della insicurezza dell’esecuzione dell’opera sia a livello progettuale sia a livello esecutivo, con ricadute dirette sul ruolo delle società contraenti, dei loro dirigenti, dei datori di lavoro e dei coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori.

La causa materiale del crollo
L’istruttoria ha consentito di definire in modo non approssimativo quale sia stata la dinamica del crollo avvenuto il 9 marzo 2017. In particolare si è potuto appurare che nella fase di innalzamento del ponte 167 di circa 35 cm attraverso l’uso di quattro martinetti, comandati da una centralina elettronica, l’elevazione era già avvenuta per circa 32 cm, ed è probabile che si stava provvedendo alla collocazione dei collari necessari nella fase di elevazione. Il prosieguo delle indagini preliminari affidati alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ancona potrà probabilmente stabilire qual era il momento esecutivo dell’opera che in quei minuti stava per essere realizzato.
In questa sede l’aspetto tecnico appare prioritario ai fini della determinazione di quali siano state le cause anche materiali del crollo del ponte e quindi della responsabilità delle persone fisiche e delle società coinvolte, aspetto che allo stato è oggetto delle indagini peritali dell’A.G. di Ancona; pertanto la Commissione si riserva altre valutazioni nel prosieguo.
Dalla lettura del piano di sicurezza e coordinamento, del progetto (uno per tre ponti), e soprattutto dalle audizioni delle persone presenti, o comunque contattate e informate di quello che stava accadendo, emerge una descrizione dei comportamenti assunti in loco divergente se non contraddittoria e lacunosa, nonché la superficialità della gestione del rischio per un’opera di una certa importanza.
Infatti viene notato sia dagli operai sia dall’ingegner Sepe uno scostamento tra i giunti di alcuni centimetri nella piattaforma superiore del ponte, subito letto quale anomalia sorprendente: una disgiunzione non di pochi centimetri (come riduttivamente narrato da alcuni auditi) e non dovuta alla normale elasticità del movimento (come sostenuto dall’ing. Marnetto). L’allarme del personale presente con la segnalazione degli operai all’ing. Sepe e la sua diretta osservazione addirittura spingevano quest’ultimo immediatamente a fotografare la realtà e ad avvertire il proprio superiore geometra Ferretti, e a telefonare anche in azienda per colloquiare urgentemente con l’ingegner Marnetto. Almeno a quest’ultimo è stata inviata una o più foto della realtà che si stava precipitosamente modificando.
La Commissione intende soffermarsi su questo momento della dinamica perché costituisce probabilmente l’aspetto più evidente della cattiva organizzazione della sicurezza nell’esecuzione del progetto di innalzamento del ponte. Infatti si nota una sprovvedutezza ed una improvvisazione circa la gestione dell’evento che si stava verificando nella consapevolezza che appariva evidente una grave anomalia. Infatti se non fosse stata rilevata come allarmante anomalia, ma come mera eventualità fisiologica dell’esecuzione dell’opera, non ci sarebbe stato alcun motivo da parte dell’ingegner Sepe di avvisare con urgenza dell’emergenza sia il proprio superiore Ferretti sia l’ingegner Marnetto, vero dominus sul piano tecnico della progettazione esecutiva (ampiamente modificativa e adattativa del progetto). In quel momento però a parte le riprese fotografiche mediante un normale telefono cellulare, nulla viene attivato in termini di sicurezza e specificamente di protezione; non si opera in alcun modo circa la chiusura del tratto autostradale che avrebbe potuto essere immediatamente richiesto al direttore di tronco, all’evacuazione dei lavoratori anche dell’altra ditta presente Dori, o comunque a tentare di mettere in sicurezza la struttura e allontanare il pericolo per la pubblica incolumità.
Non vi erano nemmeno astrattamente altre misure di protezione pronte ad essere adottate per arginare quello che stava per accadere. È probabile che in quel momento l’ingegner Sepe, l’ingegner Marnetto, il geometra Ferretti mediante i loro contatti telefonici si rendano conto che stanno perdendo il controllo dell’opera. La necessità di una consultazione telefonica e l’incapacità di adottare subito le misure preventive e protettive dettate dall’emergenza (il ponte sta sfuggendo di mano alla direzione dei lavori ma le persone presenti e quelle assenti non si trovano pronte ad adottare alcuna misura) dimostra che non v’era un programma di sicurezza per fronteggiare l’emergenza in quel cantiere mediante ad es. evacuazione, interruzione del traffico, messa in sicurezza urgente con misure alternative etc.
L’istruttoria finora espletata ha consentito di ricostruire la dinamica materiale del crollo del ponte 167. Intorno alle 13 cede uno dei quattro martinetti che regge la pesante struttura di circa 400 tonnellate ed avviene una torsione con sbilanciamento del ponte che porta al crollo dello stesso ed alla conseguente tragedia, con la morte di due coniugi e le lesioni dei tre operai presenti nonché la distruzione totale della struttura.
È opportuno rilevare che la tragedia poteva avere un bilancio ancora più grave se non fosse intervenuto uno spontaneo blocco stradale ad opera di altri automobilisti che così hanno evitato l’impatto di tutto il traffico automobilistico sul muro di cemento che si era calato improvvisamente sul tratto autostradale.
Riservandosi di leggere le conclusioni dei consulenti tecnici del pubblico ministero e di eventuali altre allegazioni tecniche da parte dei protagonisti della vicenda, la Commissione deve comunque evidenziare che da nessun atto è emersa una conferma dell’ipotesi del collasso strutturale avanzata nel corso delle audizioni dai tecnici e dal rappresentante legale della ditta esecutrice.
Tale congettura non è suffragata allo stato da nessun documento, da nessuna argomentazione tecnica e soprattutto è smentita dalla mera considerazione per la quale se vi fosse stata una fragilità intrinseca del ponte 167 questa dai tecnici della De.la.bech avrebbe dovuto essere oggetto di una valutazione precedente e contestuale all’opera e non certo di una costatazione successiva. Se il fonte fosse stato veramente così debole strutturalmente, ben altra attenzione si sarebbe dovuta rivolgere all’esecuzione dell’opera.
In breve non è condivisibile l’ipotesi del collasso strutturale, avanzata con comprensibile intento difensivo, quale mera fatalità, atteso che la formula "collasso strutturale" necessita pur sempre di una spiegazione tecnica su tale collasso e cioè sulla forza che ha portato che insieme alla gravità ha portato allo sbilanciamento dei martinetti, alla torsione e quindi al crollo del ponte.

Conclusioni
La Commissione - fermo restando il prosieguo delle indagini preliminari - può avanzare a tal punto una serie di conclusioni su tale tragedia.
In primo luogo si deve rilevare che anche in questo caso la catena degli appalti, dei subappalti, dell’affidamento e dell’esecuzione dei lavori nei cantieri edili si rivela ancora una volta il punto debole della programmazione e progettazione della sicurezza. Nonostante le tassative previsioni legislative circa i costi della sicurezza negli appalti e subappalti vi è ancora spazio per una malevola discrezionalità delle imprese nella gestione economica della sicurezza. Si tratta di un ossimoro vietato dalla legge che pone la valutazione dei costi della sicurezza a priori rispetto a qualsiasi valutazione economica dell’opera da eseguire e quindi del contratto d’appalto stesso.
In secondo luogo è opportuno rilevare che la progettazione e l’esecuzione costituiscono momenti integranti la sicurezza del lavoro e a loro volta integrati dalla competenza, attenzione, specificità degli interventi preventivi e protettivi. Non può esserci una buona progettazione senza una sicura esecuzione e viceversa non può esserci una sicura esecuzione senza una buona progettazione.
Ancora una volta vi è la dimostrazione tragica che gli adempimenti in materia di sicurezza nei cantieri edili sono impostati quale espressione burocratica e mera produzione e adempimento di oneri formali senza considerare che una vera pianificazione della sicurezza esige il rispetto anche della vita esterna al cantiere edile e in particolare degli utenti, cittadini, collettività che possono essere messi in pericolo dalla gestione del cantiere, come purtroppo è accaduto nel caso concreto.
Nel caso specifico si deve anche rilevare che sul progetto qui posto sotto osservazione critica è intervenuta anche un’autorizzazione ministeriale che merita un approfondimento nel prosieguo dell’attività di questa Commissione.
Infine si deve rilevare che l’esempio negativo del crollo del ponte 167 dimostra il coinvolgimento e la politica della sicurezza da parte delle imprese contraenti l’appalto e il subappalto e quindi un coinvolgimento diretto per la responsabilità amministrativa degli enti che però nel caso concreto potrà tutt’al più applicarsi soltanto in relazione all’omicidio colposo e alle lesioni colpose ma non al crollo colposo e al disastro colposo che eventualmente dovesse essere ritenuto dall’autorità giudiziaria, poiché tali ultimi reati non sono previsti tra quelli che fondano la responsabilità degli enti.
A tal punto pare necessario sottolineare il bisogno che il legislatore provveda ad un’integrazione del decreto legislativo 231 del 2001 in relazione ai reati che possono verificarsi con violazione delle normative in materia di sicurezza del lavoro che mettono a rischio le strutture e la pubblica incolumità.

L'APPLICAZIONE DELLA LEGGE 199 DEL 2016 SUL CONTRASTO AL CAPORALATO E ALLO SFRUTTAMENTO DEL LAVORO CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'ATTIVITA' AGRICOLA.
La Commissione d’inchiesta, in linea con gli impegni assunti con le precedenti relazioni, ha proseguito il monitoraggio dello sfruttamento del lavoro in vari campi dell’attività lavorativa.
In particolare si è preoccupata di monitorare l’applicazione della legge 199 del 2016 volta al contrasto al lavoro irregolare, al caporalato e allo sfruttamento del lavoro con specifico riferimento al settore agricolo.
In tal senso sono state monitorate tutte le notizie relative ad attività di indagini che hanno avuto un notevole impulso a seguito dell’entrata in vigore della legge 199 del 2016.
Tale applicazione risulta in pochi mesi di straordinaria efficacia poiché ha consentito di mettere in evidenza un’ampia diffusione dello sfruttamento del lavoro con particolare riferimento al settore agricolo.
Si consideri che il legislatore ha inteso riformulare la sanzione penale e la fattispecie penale dell’articolo 603 bis del codice penale ma ha giustapposto a tale fattispecie riformata una serie di istituti che costituiscono complessivamente l’intervento sistematico a tutela di soggetti deboli che vengono sfruttati sul luogo di lavoro.
Tra tali istituti spicca la collaborazione processuale, l’istituto del controllo giudiziario, il sequestro e la confisca dei beni, del profitto, della stessa azienda in cui viene prestata l’abusiva attività lavorativa oggetto di sfruttamento. Di tali istituti non vi è ancora una notizia circa l’applicazione diretta, a tappeto, capillare, pur sussistendone in ampi settori i presupposti per la relativa applicazione.
In particolare si ha notizia soltanto di una prima attività di indagine con l’applicazione del controllo giudiziario di un’azienda agricola nella provincia di Siracusa.
Appare interessante tutta la panoramica che giunge da nord a sud del Paese circa l’applicazione specificamente del nuovo articolo 603 bis del codice penale.
Nei primi mesi di applicazione della legge 199 del 2016, soprattutto in agricoltura tenendo conto dei mutamenti stagionali per tali caratteristiche attività lavorative, è emersa la diffusione su tutto il territorio nazionale in vari settori dello sfruttamento dei lavoratori soprattutto immigrati e dell’intermediazione abusiva di manodopera. Varie indagini anche recentemente espletate dalla Polizia di Stato con l’arresto in flagranza di reato in sei province italiane ha dimostrato che il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento del lavoro è radicalmente diffuso su tutto il territorio nazionale. Mantova, Foggia, Caserta, Cremona, Brindisi, Ragusa, Siracusa, Reggio Calabria solo per citare alcune delle province in cui si sono effettuate le operazioni di polizia che hanno indubbiamente accertato in modo diffuso l’esistenza del reato di caporalato e di sfruttamento del lavoro.
Di conseguenza la Commissione ritiene che bisogna tenere alta la vigilanza su tale attività e focalizzare l’attenzione del parlamento sugli aspetti critici che tale normativa presenta.
In primo luogo è stato rilevato l’eccessivo rigore della normativa penale relativamente alla gravità dei fatti. Ma tali osservazioni non sono condivisibili poiché non tengono conto che l’articolo 603 bis del codice penale ha diminuito le pene nella fattispecie base e ha mantenuto le pene già previste dal codice penale solo per le fattispecie aggravate.
Inoltre deve notarsi che la gravità dei fatti evidenziati dalle inchieste e dagli arresti in flagranza dimostra che non si tratta di prevenire un crimine costituito dalla violazione delle norme contrattuali o semplicemente delle norme in materia di sicurezza, ma si tratta di impedire la diffusione di fatti di sfruttamento legati soprattutto alle condizioni di povertà, allo stato di necessità economica, al bisogno di intere famiglie di ricorrere a qualsiasi attività lavorativa accettandone le miserevoli condizioni retributive. Si è potuto accertare che la reale (e non apparente) retribuzione oraria media di un bracciante agricolo da sud a nord varia da 2,5 a 4 euro allora per lavori di certo usuranti, spesso con esposizione alle intemperie, senza nessuna garanzia sindacale, contrattuale, di tutela della salute e della sicurezza.
Infatti, per rimanere nelle competenze di questa Commissione, si deve notare che laddove vi è sfruttamento del lavoro e soprattutto lavoro irregolare che approfitta dello stato di bisogno non si ha nessuna condizione di sicurezza. È inverosimile che un datore di lavoro assuma per poche euro al giorno un lavoratore e poi lo metta in condizioni di sicurezza, di valutazione del rischio, di sorveglianza sanitaria; di conseguenza laddove vi è sfruttamento del lavoro vi è indubbiamente assenza totale di condizioni di tutela della salute del lavoratore.
Pertanto appare grave la reazione di talune categorie nel rivendicare un eccessivo regime sanzionatorio dimenticando peraltro che con specifico riferimento al settore agricolo la medesima legge 199 del 2016 prevede anche forme positive per aiutare le imprese nel mercato e nella commercializzazione dei prodotti mediante l’istituto della rete del lavoro agricolo di qualità. Ma una mera consultazione del numero di domande giunte soprattutto da quelle province in cui è maggiormente diffuso lo sfruttamento e il caporalato dimostra che taluni imprenditori agricoli preferiscono giacere nella loro attività nell’ambito dell’illecito sfruttamento del lavoro anziché regolarizzare e incentivare la propria azienda attraverso la rete lavoro agricolo di qualità.
Rimane sullo sfondo il tema dei controlli. Senza controlli non si potrà mai applicare alcuna legge che tuteli effettivamente il lavoro nella dignità, nell’uguaglianza, nelle garanzie di diritti che il nostro paese ha conquistato ormai da molti decenni. La considerazione che l’Ispettorato Nazionale del Lavoro debba ancora completamente decollare e che comunque nel campo dell’agricoltura abbia ridotte possibilità di intervento in materia di sicurezza, dimostra che ancora bisogna insistere sulla competenza e sul coordinamento degli ispettori del lavoro e degli ispettori delle aziende sanitarie locali che rimangono l’organo di vigilanza per definizione nell’ambito della sicurezza del lavoro.

L'INCENDIO DI PRATO CON LA MORTE DI SETTE OPERAI, L'ESPERIENZA TOSCANA E LE INDAGINI SULLO SFRUTTAMENTO DEL LAVORO
La Commissione trae notevoli spunti positivi da un’esperienza che potrebbe essere di esempio per il resto del Paese, maturata in Toscana grazie al protocollo straordinario "lavoro sicuro" intervenuto tra la Procura Generale presso la Corte d’Appello di Firenze e la Regione Toscana cosiddetto.
Tale protocollo muove dalle indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Prato dopo il grave infortunio sul lavoro avvenuto il 1 dicembre 2013 nel corso del quale persero la vita sette operai tessili cinesi, cinque dei quali clandestini a causa di un incendio devastante che provocava non solo la distruzione del capannone industriale ma la morte degli stessi operai che prestavano la loro attività alle dipendenze della ditta individuale denominata Teresa Moda.
È emerso a proposito di tale grave infortunio il modus operandi di una significativa quota di imprenditori cinesi operanti nel distretto tessile del circondario di Prato. Infatti il settore delle confezioni tessili gestite da imprenditori cinesi risulta ancora oggi a distanza di quattro anni dal grave infortunio spesso caratterizzato da luoghi di lavoro completamente privi del rispetto della normativa in materia di sicurezza.
Particolarmente interessante si rivela il percorso investigativo che ha coinvolto il cosiddetto secondo livello dei consulenti professionali, commercialisti, consulenti del lavoro che operano a stretto contatto con l’imprenditoria cinese in quel distretto agevolandone talvolta anche illecitamente il perseguimento delle finalità economiche.
Al riguardo la capillare azione di vigilanza e di prevenzione che ha potuto prendere le mosse dal protocollo straordinario citato ha dato frutti importanti che meritano di essere qui evidenziati.
Le indagini hanno evidenziato innanzitutto la possibilità e la difficoltà di individuare effettivamente nelle imprese gestite da imprenditori cinesi il vero responsabile di fatto dell’impresa verificandosi spesso soltanto dei prestanome cui vengono intestate le ditte individuali. Si è verificato indubbiamente che l’imprenditoria cinese spesso ricorre ad una facile successione del rappresentante legale dell’ente, allo scioglimento della società o alla costituzione di una nuova società in modo da creare un’elusione sostanziale di qualsiasi obbligo e l’evaporazione totale di ogni responsabilità.
In secondo luogo merita altresì di essere ricordato il ricorso ad un approccio interdisciplinare mediante la valorizzazione delle varie competenze delle forze di polizia e del comando provinciale dei Vigili del fuoco, del Dipartimento di prevenzione e sicurezza della ASL nonché della stessa polizia municipale, a dimostrazione che le sinergie nei controlli e nella vigilanza producono risultati ben superiori alla sommatoria delle stesse forze.
L’esecuzione del protocollo straordinario, stipulato proprio all’indomani della tragedia di Prato, avente come obiettivo il controllo di ben 7700 imprese di cui 4000 nel territorio di Prato, 2100 in quello di Firenze, 1300 in quello di Empoli, 300 in quello di Pistoia, ha dimostrato che si è potuto raggiungere quasi per intero tale risultato al 31 dicembre 2016 con il controllo di ben 6691 imprese su 7700.
Il dato emerso da tali ispezioni evidenzia un quadro di diffusa criticità e di illiceità sotto vari profili. Il 61% delle imprese ispezionate non è risultato in regola nonostante i limitati parametri di sicurezza oggetto del controllo; è stato quasi sempre accertato l’impiego illecito dei locali adibiti al luogo di lavoro, destinati anche a scopi abitativi e talune volte in condizione di irregolarità e di insicurezza dell’impianto elettrico, delle macchine nonché dell’eventuale uso di bombole del gas.
I controlli condotti fino al 31 gennaio 2017 hanno permesso di accertare ben 886 dormitori abusivi e 265 cucine abusive oltre a 1429 impianti elettrici non in regola ed in molti casi fatiscenti. Complessivamente sono stati notificati 8347 prescrizioni che si sono tradotti in 3857 notizie di reato.
Le conseguenze di tali controlli a tappeto hanno portato innanzitutto a una regolarizzazione delle imprese cinesi: in particolare nel primo mese di controlli nel settembre 2014 si erano regolarizzate soltanto il 15,9% delle imprese mentre nell’ultimo periodo del 2017 tale regolarizzazione è salita al 49,2% dei casi, a dimostrazione che i controlli effettivamente provvedono a sanzionare e a ripristinare la legalità.
Il dato che emerge anche dal coordinamento regionale del progetto portato dal protocollo straordinario segnala come ancora oggi nella maggior parte dei casi la messa in regola da parte di imprenditori cinesi non rappresenti un dato di adesione spontanea in funzione preventiva bensì costituisce la necessitata conseguenza dell’adeguamento all’esito negativo dei controlli di vigilanza.
A ciò si aggiunga la tendenza all’impiego dell’ambiente di lavoro con finalità di uso promiscuo con lavoratori subordinati anche clandestini che non si limitano ad operare per l’impresa ma vivono notte e giorno nei locali rendendosi così funzionali totalmente alle esigenze di sfruttamento del lavoro in assoluta violazione di ogni norma di civiltà del lavoro.
Se a ciò si aggiunge che è ampiamente diffuso il ricorso a dei prestanome cui intestare la ditta individuale come forma giuridica privilegiata, si evidenzia a chiare lettere come l’obiettivo sia quello di garantire totale impunità al vero imprenditore occulto.
A ciò occorre collegare l’elevata mortalità delle imprese cinesi dichiaratamente volta ad esaurire nell’ambito di 2-3 anni la esistenza di un’impresa per sottrarsi alla procedura di riscossione forzata conseguente alla diffusa evasione fiscale e contributiva.

Si impongono pertanto una serie di considerazioni.
I dati emersi dall’esperienza della Procura di Prato, partiti dal grave incidente sul lavoro del dicembre 2013, dimostrano che il sistema legale con cui creare un’impresa sostanzialmente illegale è costituito in breve da una ditta individuale sotto falso nome che vive soltanto il tempo necessario a operare prima di essere intercettata da vari accertamenti, per poi cancellarsi e rinascere nello stesso sito. Nel frattempo opera mediante uno sfruttamento totale della manodopera senza sicurezza e con l’evasione di tutti gli obblighi fiscali, previdenziali, assicurativi e per ridurre i lavoratori extracomunitari in una condizione di sfruttamento totale.
In secondo luogo il ricorso alla manodopera irregolare spesso coincide con una forza lavoro fuori da ogni regola di mercato e da ogni garanzia contrattuale. Nessun contratto, nessun diritto, retribuzione infima.
In terzo luogo l’impresa illegale è l’esempio più lampante di un atto di concorrenza sleale: l’abbattimento dei costi della sicurezza, degli oneri sociali, fiscali e previdenziali, abbatte notevolmente i costi di produzione e quindi colloca l’impresa illegale in una condizione favorevole nel mercato ai danni delle imprese regolari che rispettano tutte le normative.
Tale circuito vizioso può essere interrotto solo con un coordinamento sinergico delle forze di polizia, degli organi di vigilanza e degli enti che sono sul territorio;
L’esperienza toscana dimostra che è sufficiente un incremento degli ispettori non solo per sradicare l’illiceità ma per tradurla velocemente in liceità e considerarla un investimento: basti pensare che i fondi dedicati all’assunzione straordinaria di 75 ispettori per 3 anni sono stati sopravanzati dagli introiti per la riscossione delle sanzioni.
Tale esperienza è facilmente esportabile su tutto il territorio nazionale e costituisce un’idea pilota già realizzata e provata sul campo.

Le ricadute sull’esperienza giudiziaria in merito al caporalato
L’attuazione di tale piano straordinario regionale ha avuto anche un importante impatto positivo sull’organizzazione giudiziaria e sull’efficacia della risposta delle istituzioni rispetto al fenomeno di cui ci occupiamo.
Prima dell’avvio del protocollo erano pendenti soltanto 272 procedimenti materia di sicurezza del lavoro presso la Procura della Repubblica di Prato. Dal 1 settembre 2014 al 31 dicembre 2014 si è verificato un enorme balzo in avanti a ben 643 procedimenti che hanno portato sostanzialmente ad un aumento del carico delle iscrizioni del 300% rispetto all’anno precedente. Tale trend positivo in crescita si è verificato anche negli anni fino a raggiungere una moltiplicazione esponenziale delle notizie di reato e dei processi effettivamente intervenuti.
I dati forniti dal Procuratore della Repubblica di Prato costituiscono indubbiamente un esempio non solo di efficienza applicativa ma anche di ottima capacità organizzativa per la sincronizzazione dell’azione di vigilanza rafforzata, grazie al protocollo straordinario, con l’altrettanto pratica e generalizzata efficiente risposta giudiziaria per la definizione dei procedimenti. Si tratta della dimostrazione che i controlli fanno emergere l’illecito e i procedimenti portano al ripristino della legalità e a introiti superiori agli investimenti effettuati.
Ciò ha comportato anche l’espansione dell’attività di indagine al contrasto efficiente del caporalato e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura financo nel prestigioso territorio del chianti.
Le indagini riferite in audizione dal Procuratore della Repubblica di Prato e dai sostituti dr. Lorenzo Gestri e Antonio Sangermano hanno consentito di illustrare anche gli estremi violenti e intimidatori del reclutamento e del dominio anche psicologico di lavoratori extracomunitari di origine orientale per il lavoro in agricoltura.
Gravissimi gli episodi narrati con indagini tuttora in corsa che hanno già portato all’applicazione di varie misure cautelari personali per reati associativi legati allo sfruttamento del lavoro e contro la persona (si noti un finto incidente automobilistico per dissimulare un’aggressione dolosa ai danni di un soggetto predispsoto alla collaborazione processuale).
Il caso merita di essere evidenziato perché costituisce il primo caso in Italia, ante litteram, di collaborazione processuale prevista dalla legge 199 del 2016.

IL DISASTRO FERROVIARIO DI CORATO-ANDRIA DEL 12 LUGLIO 2016
Circa il grave disastro ferroviario accaduto lungo la tratta Corato-Andria il 12 luglio 2016 la Commissione ritiene che dopo il sopralluogo e le audizioni tenutesi presso la Prefettura di Barletta-Andria-Trani e presso il Senato, e acquisita una notevole mole di documenti, può ritenersi in via di espletamento l’accertamento dei fatti e specificamente di talune modalità organizzative.
Allo stato degli atti è seriamente ipotizzabile che fattori organizzativi, formativi, decisioni tecniche correlate alla politica aziendale, siano stati di certo una delle concause del grave evento che ha portato alla morte di 23 persone e alle lesioni di altre 50 persone, tra viaggiatori e lavoratori.
Finora sono emersi tre piani cui ricondurre il tema della sicurezza dei trasporti ferroviari nelle reti regionali.
Un primo piano è costituito da una serie di fattori amministrativi e organizzativi: dal sistema dei controlli, alle concessioni, alle competenze e alla geografia delle responsabilità individuate dalla legge all’interno di ciascun esercente la rete ferroviaria.
Si tratta di un profilo che nel caso concreto del disastro di Corato ha avuto un determinante ruolo che potrà essere perfettamente istruito alla luce degli ultimi atti istruttori che devono ancora essere compiuti.
Un secondo piano è costituito dall’effettiva gestione della sicurezza dei lavoratori, del trasporto e dell’esercizio della tratta in concessione da parte della società Ferrotranviaria.
La mole di documenti acquisiti delinea un quadro di lacune, deficienze, superficialità, attenzione meramente formale all’organizzazione di un’impresa ferroviaria. Anche sotto tale profilo è opportuno giungere a considerazioni conclusive ed esaustive dopo il compimento di atti istruttori di natura tecnica, in particolare consulenza tecnica in via di completamento presso la Procura della Repubblica di Trani competente per territorio, nell’arco delle prossime settimane. Opportunità istituzionale, economia di tempi e di costi (si pensi ad es. agli esiti dell’esperimento giudiziario con cui è stato riprodotto l’impatto dei convogli) e spirito di leale collaborazione tra le istituzioni inducono quindi ad attendere per un brevissimo lasso di tempo al fine di poter acquisire dall’A.G. di Trani gli esiti. Si potrà così giungere celermente da parte della Commissione a conclusioni corrette anche sotto il profilo tecnico circa la dinamica dei fatti e le cause materiali che hanno portato allo scontro frontale dei due convogli ferroviari.
Altro piano di considerazione è costituito dalla confusione normativa che governa la disciplina della sicurezza nella materia del trasporto ferroviario le cui disposizioni si sovrappongono, si intrecciano in un coacervo normativo privo di organicità e sistematicità. Al riguardo la responsabilità di chi è chiamato ad applicare le norme a livello aziendale e a livello amministrativo può essere delineata in modo esauriente soltanto dopo aver completato i punti ora esposti.
Pertanto la Commissione, in collaborazione con l’A.G. procedente, tenuto conto dell’attuale segreto che copre gli atti delle indagini preliminari, ritiene opportuno deliberare una relazione autonoma che descriva in modo completo le cause, le dinamiche, il quadro della responsabilità amministrative aziendali, il coacervo normativo che hanno costituito la condizione in cui si è verificato il grave disastro ferroviario di Corato, in tempi immediatamente successivi alla trasmissione degli esiti degli accertamenti peritali prevista a breve.

LA TUTELA DEI LAVORATORI EX ESPOSTI ALL'AMIANTO NEGLI STABILIMENTI INDUSTRIALI DELLA SARDEGNA
La Commissione continua a tenere alta l’attenzione circa i problemi causati ai lavoratori dall’esposizione all’amianto.
In particolare dopo la presentazione del disegno di legge numero AS 2602, sulla base di diverse audizioni tenutesi nell’anno 2016 circa le condizioni dei lavoratori ex esposti ad amianto che prestavano attività presso gli stabilimenti industriali siti in Sardegna, la Commissione ha ritenuto in data 13 e 14 luglio 2017 di recarsi presso la Prefettura di Nuoro e la Prefettura di Sassari nonché presso lo stabilimento industriale di Porto Torres al fine di avere contezza diretta sul territorio e di audire una serie di esponenti degli enti, associazioni, uffici occupati e che hanno fornito una interessante mole di informazioni.
Sulla base delle audizioni degli assessori regionali alla salute e all’ambiente, del direttore regionale dell’Inps, del direttore regionale dell’Inail, del direttore dell’azienda tutela della salute Fulvio Moirano e dei suoi collaboratori, del Prefetto di Sassari, del Prefetto di Nuoro, del Sindaco di Sassari, degli amministratori e dirigenti comunali di Porto Torres nonché dei rappresentanti sindacali e dei loro legali, dei rappresentanti delle associazioni dei lavoratori che man mano si sono costituite per dare assistenza e tutela ai lavoratori disposti ad amianto, la Commissione ritiene di trarre una serie di considerazioni che di certo meriteranno ulteriori approfondimenti.
Nel corso delle audizioni e dei sopralluoghi sono stati acquisiti anche vari documenti che costituiranno a breve oggetto di lettura e di ulteriori considerazioni.
Allo stato degli atti si può rilevare che l’attenzione rivolta allo stabilimento di Ottana e allo stabilimento di Porto Torres non significa minore considerazione rispetto ad altre realtà industriali cui vi è stato un ricorso all’uso dell’amianto o a strutture, manutenzioni, impianti in cui era presente il micidiale materiale, come ad esempio Oristano e Assemini.
Un primo ordine di considerazioni riguarda i lavoratori dello stabilimento ex Eni di Ottana in provincia di Nuoro che hanno chiesto il riconoscimento delle malattie professionali denunciate in questi anni.
Dai dati Inail emerge che dal 1994 ad oggi a fronte dell’importante numero di occupati del sito industriale di Ottana sono state presentate soltanto 55 domande di riconoscimento di malattia professionale con un codice di possibile correlazione con l’esposizione all’amianto. Di tali domande ben 2/3 cioè 37 sono pervenute nel corso degli ultimi due anni.
Recentemente l’Inail anche sulla base di istanze locali per la revisione di tali domande ha proceduto a riesaminare tutti i 55 casi denunciati. In tali casi 7 sono stati definiti positivamente, 11 hanno riguardato patologie che non hanno scientificamente correlazione con l’esposizione all’amianto; 24 sono state respinte; 1 caso è stato definito negativamente ed è attualmente in contenzioso giudiziario ed altri 12 casi sono tuttora in istruttoria in quanto recentemente denunciati.
La Commissione osserva che in relazione al numero degli occupati e alla presenza di amianto all’interno dello stabilimento di Ottana il numero dei casi denunciati probabilmente dovrebbe essere molto più elevato. Tale dato riduttivo si può interpretare sia in relazione al periodo di latenza (atteso che lo stabilimento è stato chiuso dal 2003 ma non vi sarebbe dovuta avvenire lavorazione con esposizione ad amianto già nel 1992) sia in relazione alla scarsa sensibilità nel denunciare i casi di patologie professionali asbestoderivate, soprattutto del mesotelioma pleurico. Non è una novità infatti e non è un tema semplicemente e riduttivamente legato alla realtà sarda, che molti di tali tumori non vengano denunciati al COR e quindi al Registro Nazionale dei mesoteliomi. Accade spesso che i sanitari o le strutture che provvedono interventi terapeutici su soggetti affetti da mesotelioma pleurico non provvedono all’obbligo di referto previsto dall’articolo 365 del codice penale e alla comunicazione al centro operativo regionale.
Seppur negativo e biasimevole non sorprende quindi che questo dato sia effettivamente approssimato per difetto.
Rimane comunque indubbio che presso lo stabilimento di Ottana vi era esposizione ad amianto come si desume purtroppo dai dati provenienti dal numero di patologie ed ampiamente riportati dalle associazioni dei lavoratori ex esposti sia con casi umani sia con una serie di documenti consegnati a questa Commissione.

I benefici previdenziali per i lavorati dello stabilimento di Ottana
A fronte di tale dato vi è un altro ordine di considerazione da porre circa il riconoscimento dei benefici previdenziali previsti dall’articolo 13 comma 8 della legge 257 del 1992.
A tal riguardo si deve rilevare che la situazione creatasi circa i lavoratori ex esposti dello stabilimento di Ottana costituisce una peculiarità che merita specifica attenzione.
Infatti emerge che a fronte di 1081 domande ben 1066 siano state respinte ritenendo da parte dell’Inail che nello stabilimento di Ottana vi era di certo la presenza di amianto ma non la prova di una esposizione qualificata prevista dalla legge per il riconoscimento delle speciali previdenze. Le 15 domande rimanenti non sono state accolte ma sono tuttora in istruttoria.
Si tratta quindi di un dato generalizzato di rigetto delle istanze per la mancata prova dell’esposizione qualificata. Tale determinazione muove da una relazione del 2003 della Direzione Regionale Sardegna CONTARP che sulla base di atti, sopralluoghi, consultazione delle parti sociali, ivi compresi gli esponenti aziendali e sindacali, nonché sulla base di altre valutazioni tecniche ha ritenuto che nello stabilimento di Ottana pur in presenza di amianto non vi sia stata un’esposizione qualificata cioè superiore al limite previste dalla normativa.
Tale posizione invero risulterebbe ribadita anche in relazioni successive.
Ciò ha provocato legittimamente una serie di ricorsi davanti al giudice del lavoro al fine di poter richiedere l’affermazione del diritto all’integrazione pensionistica con esiti invero altalenanti.
Ciò ha provocato un impegno straordinario delle istituzioni e delle famiglie dei lavoratori ex esposti che merita evidenza in questa sede.
In particolare si è creato un enorme contenzioso giudiziario sui benefici previdenziali che ha comportato e tuttora comporta costi legali per i lavoratori, per l’Inps che deve sostenere gli interessi dell’ente erogatore con un impegno costante e straordinario, dell’apparato giudiziario. In definitiva tutti sostengono costi per un risultato sostanzialmente ingiusto che sembra sacrificare le aspettative dei lavoratori in relazione non solo al riconoscimento dei propri anni di lavoro ma soprattutto all’esposizione qualificata ad amianto che gli stessi, quali protagonisti diretti dell’attività lavorativa, possono vantare nell’ambito della loro memoria.
La Commissione quindi ricevuti vari documenti, sentenze, consulenze tecniche d’ufficio, audite varie testimonianze, ritiene che vi possano essere nuovi elementi da sottoporre agli organi tecnici dell’Inail affinché la propria relazione possa essere aggiornata con le nuove risultanze ed emergenze.
Infatti si osserva che i dati messi a disposizione dalle parti sociali, soprattutto dall’azienda, prima dell’anno 2003 in funzione della relazione redatta nell’anno 2003 possano essere almeno aggiornati sulla base della mole del materiale che in questi ben 14 anni di contenzioso giudiziario è emerso nei vari processi del lavoro, con le varie testimonianze e soprattutto con i documenti che nel 2003 potevano non essere a conoscenza dell’Inail.
Di conseguenza la Commissione, fa propria la proposta del direttore regionale dell’Inps circa l’istituzione di un tavolo tecnico tra tutti gli enti, associazioni, operatori e con la stessa magistratura al fine di comprendere, nell’interesse della tutela della salute dei lavoratori e della collettività nonché dell’efficienza amministrativa e giudiziaria, il dato unico auspicabilmente oggettivo della sussistenza o meno di un’esposizione qualificata presso lo stabilimento di Ottana.
La Commissione si riserva comunque di valutare l’opportunità di procedere direttamente ad accertamenti peritali e tecnici che possano verificare la sussistenza di tale esposizione qualificata, soprattutto tenuto conto del tempo trascorso, delle patologie nel frattempo verificatesi, ancorché non tutte denunciate, del materiale documentale e testimoniale emerso in questi ultimi 14 anni e che per ovvie ragioni cronologiche non erano a disposizione dell’Inail nel 2003.
Si vuole comunque evidenziare ulteriormente che l’enorme contenzioso che grava sui lavoratori, sull’Inps, sull’apparato giudiziario ma soprattutto sulla giustizia sostanziale da offrire ai lavoratori che hanno prestato lunghi anni di attività lavorativa in presenza di amianto evidenzia ipso facto tutti i requisiti per dar luogo ad un atto di indirizzo politico per il riconoscimento generalizzato di tale esposizione.
Non si vuole nascondere infatti che ciò è avvenuto per altri stabilimenti anche dello stesso gruppo industriale dove vi erano identiche attività lavorativa, sebbene ciò non legittimi ad equiparare automaticamente tutte le condizioni di lavoro dei singoli lavoratori nei vari stabilimenti
Si noti che l’assenza di un atto di indirizzo politico crea allo stato un’ingiusta disparità di trattamento tra i lavoratori degli stabilimenti riconosciuti in via generalizzata e i lavoratori degli stabilimenti in cui ciò non è avvenuto i quali devono sostenere di propria iniziativa un contenzioso giudiziario degli esiti sostanzialmente incerti.
Non si deve infine trascurare che gli esiti di tali cause previdenziali non hanno sempre avuto un unico orientamento decisorio. Infatti i disorientamenti della giurisprudenza dovuti alle variabili soggettive delle singole situazioni, alle diverse prove portate nel caso concreto e anche alle formule equivoche e imprecise dell’articolo 13 comma 7 della legge 257 del 1992 rendono aleatorio l’esito del procedimento.
Si tratta di una realtà generalizzata che è bene precisare riguarda molte realtà italiane rispetto alle quali la vicenda di Ottana è paradigmatica e il medesimo scrupolo si deve avere per le altre realtà industriali della Sardegna quali quelle presenti a Oristano e Assemini.

La presenza diffusa di amianto, il censimento e la bonifica in Sardegna.
Un ulteriore elemento emerso nel corso dell’indagine specifica sulla realtà sarda in materia di esposizione ad amianto riguarda sempre il tema dell’applicazione della legge 257 del 1992 che ha ricevuto applicazione in Sardegna con una legge regionale soltanto del 23 dicembre 2005 numero 22.
Quindi la fase di rilevazione dei materiali contenenti amianto in Sardegna con il conseguente censimento di siti presenti sul territorio regionale al fine di individuare il grado di pericolosità ad essi associato è relativamente recente. Ciò nonostante emerge che i siti con presenza di amianto censiti aggiornati fino al 31 ottobre 2013 in Sardegna (dato comunque vecchio di quattro anni), sono ben 2029 di cui 1341 inerenti ad edifici pubblici o aperti al pubblico, 688 relativi a impianti industriali attivi dismessi; di cui 76 in provincia di Sassari e all’interno di tale numero ricade il sito di Porto Torres e Fiumesanto già dichiarato ad elevato rischio di crisi ambientale quindi sito di interesse nazionale.
Nel rispetto delle competenze di questa Commissione si deve rilevare che anche questi dati indicano in modo oggettivo la diffusa presenza sul territorio della regione Sardegna di numerosi siti industriali che tuttora necessiterebbero di un attento censimento e di una massiccia bonifica.
Fintanto che ciò non avverrà non potremmo considerare iniziato il conto alla rovescia per chiudere la guerra contro l’amianto. Fino a quando vi saranno stabilimenti ed edifici con presenza di amianto nell’ordine di migliaia di siti continuerà nel tempo, anzi è destinata ad aumentare con l’usura dei materiali, l’esposizione non solo dei lavoratori ancora attivi ma anche della collettività.
Infine è opportuno rilevare che sui temi del contenzioso giudiziario, della bonifica, dei riconoscimenti dei benefici previdenziali, dell’esposizione ad amianto, della tutela della collettività, degli incentivi alla bonifica attraverso il recupero delle aree industriali dismesse, questa Commissione ha già dedicato specifica attenzione con l’elaborazione di varie criticità e la produzione dell’elaborato normativo costituito dal testo unico amianto contenuto nel disegno di legge AS 2602 attualmente in discussione presso le Commissioni riunite lavoro e ambiente del Senato.

GLI INCIDENTI SUL LAVORO PRESSO LO STABILIMENTO PROFILGLASS DI BELLOCCHI DI FANO
La Commissione ha inteso avviare opportuni approfondimenti circa le condizioni di sicurezza in cui operano i lavoratori dell'azienda Profilglass, realtà imprenditoriale che occupa diverse centinaia di lavoratori.
Invero il 9 marzo 2017 nell'azienda Profilglass, stabilimento di Fano, si verificava un infortunio mortale causando il decesso del sig. Morris Furlani nel corso di operazioni lavorative di manutenzione delle coperture di un'area dello stabilimento; il 5 giugno 2017 nella medesima azienda si è verificato altro incidente mortale ai danni del sig. Rodolfo Cangiotti nel corso della movimentazione meccanica di carichi; il 13 giugno 2017 ancora si verificava altro incidente sul lavoro con conseguenze più lievi. Tali incidenti erano stati preceduti da altri fatti analoghi negli anni precedenti.
Si tratta di un indice di frequenza e di gravità intollerabile su cui la Commissione nell’ambito delle competenze e prerogative costituzionali ha avviato un'inchiesta circa le cause, le dinamiche e le responsabilità in relazione alle misure di prevenzione e protezione effettivamente adottate per la sicurezza del lavoro.
Pertanto in data 14 giugno 2017 si è proceduto a richiedere alla Prefettura di Pesaro una relazione circa tali fatti e quindi all'audizione del dr. Luigi Pizzi, Prefetto di Pesaro Urbino, e del dr. Antonio Crespi, u.p.g in servizio presso ASUR di Pesaro.
Alla luce di tali atti ulteriormente si è ritenuta la necessità di approfondire l'istruttoria con l'acquisizione in copia della documentazione relativa all'organizzazione della sicurezza del lavoro all'interno della società Profilglass e specificamente:
documento di valutazione del rischio della società citata adottato alla data del 9 marzo 2017 e le modifiche apportate successivamente;
documento unico di valutazione del rischio interferenziale ai sensi dell'art. 26 d.vo 81/08 aggiornato al 12 giugno 2017;
contratto di appalto, d'opera o comunque qualificato tra la ditta Profilglass e la ditta Gindor srl;
atti, documenti, direttive, ordini di servizio e quant'altro da cui risulti l'adempimento degli obblighi di formazione e informazione in materia di sicurezza del personale;
atto di individuazione del datore di lavoro;
atto di nomina del Responsabile e degli addetti al Servizio prevenzione e protezione;
eventuali deleghe di funzioni ex art. 16 d.lgs 81/08;
verbali delle riunioni periodiche ex art. 35 d.lgs 81/08 tenutesi negli anni 2016-2017;
modello di organizzazione e di gestione ai sensi dell'art. 30 d.lgs. 81/08, ivi compresa la composizione dell'organismo di vigilanza, se adottato.
Nello spirito di piena e totale collaborazione istituzionale la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro ha trasmesso tale copiosa documentazione giunta anche su supporto informatico in data 20 luglio 2017.
Pertanto tenuto conto degli elementi già raccolti, tenuto conto della proficua collaborazione con l'A.G. procedente, attesa la mole della documentazione raccolta si impone il prosieguo degli accertamenti anche mediante un'adeguata analisi di tale documentazione.

VALUTAZIONE DELLE POLITICHE PUBBLICHE
Nota per la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro sulla valutazione delle politiche per la sicurezza a cura del gruppo di Esperti CNR (Marco Accorinti, Francesco Gagliardi, Elena Ragazzi e Giuliano Salberini)

Aggiornamenti sugli avanzamenti del progetto di valutazione degli Incentivi ISI
Il Piano di valutazione è stato presentato e condiviso con la Commissione a luglio 2016 e, a seguito di discussione, è stato approvato. A quel punto le premesse, nonché l’esplicita richiesta manifestata dalla Commissione di inchiesta di poter disporre al più presto di risultati ed evidenze valutative, quand’anche parziali, ponevano le basi per l’avvio delle attività valutative.
L’avvio delle fasi operative ha richiesto di organizzare l’iter per ottenere l’accesso ai dati che ha mostrato che il contesto innovativo dell’analisi introdotta si accompagna a un aspetto di criticità nella complessità che governa oggi le relazioni istituzionali trattandosi di percorsi di dialogo non strutturati nelle ordinarie procedure.
L’attività di valutazione richiede micro dati strutturati che permettano di osservare l’andamento della variabile di outcome sui trattati e sui non trattati. Come esplicitato nel piano di valutazione, la scelta dettata dai vincoli temporali e dall’assenza di risorse per avviare un’indagine sul campo, è stata quella di basare la valutazione sui dati amministrativi, che sono disponibili presso l’ente di gestione della politica, cioè l’INAIL. Le interlocuzioni preliminari avviate dagli esperti CNR hanno portato alla luce una base dati di monitoraggio dei progetti finanziati con il bando ISI ampia, ben strutturata e qualitativamente valida in grado di alimentare un adeguato insieme di indicatori. Queste interlocuzioni hanno evidenziato un impegno dell’INAIL non limitato al monitoraggio, ma inclusivo anche di fasi valutative. Da una prima analisi degli indicatori, sono emersi altresì realizzazioni e risultati degli interventi finanziati complessivamente in linea con gli obiettivi che la politica intendeva perseguire. Si tratta quindi di una situazione positiva potendo disporre di una adeguata base informativa. E' emersa la disponibilità dell’INAIL a collaborare ma con modalità che si sono dovute confrontare con aspetti relativi ai rapporti inter-istituzionali per creare i presupposti per una modalità di collaborazione tra Enti pubblici che tutelasse ciascuno di essi. La soluzione prescelta ha portato a stipulare una convenzione che definisse finalità e modalità per l’accesso ai dati. La scelta è stata quella di farla non direttamente fra Senato e Inail ma fra Inail e CNR.
Il testo della convenzione è stato concordato fra le parti e firmato dal Direttore Generale del CNR in data 13 aprile.
Nelle more della ricezione del documento, a seguito di contatti nel mese di giugno con il Direttore della Direzione Ricerca dell’Inail, gli esperti hanno tenuto un incontro operativo all'INAIL il 28 giugno con i responsabili degli Uffici coinvolti INAIL formulando delle richieste di acquisizione di dati sul processo di erogazione della politica necessari per la predisposizione di un rapporto riguardante:
- il quadro della politica e le sue realizzazioni (numero e tipologia di imprese raggiunte nei vari anni, tipologia e caratteristiche dei progetti, importi erogati, tempistiche…).
- una prospezione dei dati e degli indicatori disponibili e valutazione della qualità dei dati amministrativi per la valutazione degli impatti
- Assessment dell’approccio metodologico Inail per il calcolo degli indicatori e degli impatti e raccolta delle evidenze sull’efficacia
- considerazioni sulla percorribilità futura di progetti di valutazione in ambito legislativo.
In questo momento sono stati trasmessi alcuni dati e si è in attesa di ricevere la documentazione completa.


Fonte: senato.it