Ministero del lavoro
Lettera Circolare 20 giugno 1974
Sicurezza del lavoro - Collaborazione Ispettorato del lavoro e Organizzazioni sindacali dei lavoratori

 

In attesa di un organico riordinamento della disciplina sulla sicurezza del lavoro, anche nel quadro della riforma sanitaria, l’intervento pubblico in materia deve assumere un maggior contenuto partecipativo delle componenti sociali operanti nel quadro istituzionale che si concretizzi in un diretto coinvolgimento degli enti locali – particolarmente tra essi gli Enti regione – e dei lavoratori interessati, per il tramite delle loro organizzazioni sindacali, titolari di un riconosciuto diritto all’esercizio dell’attività prevenzionale.
In vista di tale preminente obiettivo, le SS.LL. dovranno imprimere carattere prioritario, nell’esercizio dei compiti di legge, all’attività di prevenzione degli infortuni e per la tutela della salute dei lavoratori.
Nell’esercizio dell’attività di competenza, gli uffici dovranno attenersi alle seguenti direttive.

1) Collaborazione Ispettorato del lavoro e Organizzazioni sindacali dei lavoratori
I rapporti tra l’Ispettorato del lavoro e le Organizzazioni sindacali dei lavoratori debbono assumere carattere di sistematica continuità ed intensità, nel rispetto reciproco delle diverse sfere di intervento e dei differenti strumenti operativi, entrambi finalizzati alla promozione della condizione e della personalità dei lavoratori. Non sfugge infatti che solo un tipo di prevenzione che inizi sul luogo di lavoro, a cura degli stessi lavoratori interessati, e che prosegua poi per la successiva fase dell’intervento ispettivo, può assicurare un’azione antinfortunistica che sia permanente ed incisiva.
Questa impostazione trova il suo fondamento nell’art. 9 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il quale, come è noto, crea, tra l’altro, un vero e proprio diritto soggettivo dei lavoratori a controllare – mediante loro rappresentanze – la applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali.
Pertanto va ribadita innanzi tutto l’esigenza che le ispezioni siano sempre precedute da colloqui preliminari con le Organizzazioni sindacali aziendali, il cui contributo potrà rivelarsi prezioso per l’individuazione più sollecita e puntuale delle infrazioni in materia di sicurezza, anche attraverso la collaborazione che sarà richiesta durante il corso degli stessi accertamenti.
Inoltre risponde perfettamente alla logica del citato art. 9 della legge n. 300/1970, l’instaurazione di una metodologia che, rilevate in sede ispettiva le infrazioni alle norme sulla sicurezza e sull’igiene del lavoro, ne preveda la comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali.
Tale collaborazione non dovrebbe determinare perplessità, in ordine all’eventuale insorgenza di responsabilità di carattere penale, in violazione degli obblighi cui sono tenuti i pubblici ufficiali in generale, e gli Ispettori del lavoro in particolare, a causa della complessa qualificazione giuridica delle loro attribuzioni.
Tassative remore alla pubblicizzazione delle infrazioni sono costituite dall’obbligo del segreto istruttorio, in merito alle inchieste infortuni, sia di iniziativa che disposte dall’Autorità giudiziaria, e da quello del segreto industriale, inerente cioè i processi di lavorazione (art. 4, L. 22 luglio 1961, n. 628).
Al di fuori di questi elementi rigidamente ostativi, non si ravvisano sul piano della legittimità ulteriori impedimenti alla metodologia che si intende introdurre, nell’ambito del precetto di cui all’art. 9 della citata legge n. 300/1970. Se i lavoratori, come si ripete, hanno un diritto di controllo, da esercitare collettivamente in corrispondenza dell’obbligo dell’imprenditore di adottare le misure necessarie per la tutela dell’integrità fisica dei propri dipendenti, é logico argomentare, anche in base a tale importante principio innovativo, che l’ispettore del lavoro non violi la sfera di riservatezza dell’imprenditore, né alcun segreto d’ufficio, nel momento in cui partecipa alle rappresentanze sindacali le irregolarità riscontrate.
Né può essere diversamente, in quanto l’Organo di vigilanza deve rendere conto dell’attività svolta a quei soggetti che ne sono legittimati dagli interessi di cui sono portatori e alla cui tutela l’attività amministrativa è finalizzata.
In coerenza a quanto sopra, appare evidente che l’ispettore del lavoro non possa sottrarsi all’obbligo di fornire notizie quando – dopo aver interpellato gli organismi sindacali di fabbrica, come è prassi ormai invalsa – ne riceva segnalazioni verbali o addirittura dichiarazioni scritte che assumono forma e contenuto di denunce. Anche a queste, bisogna quindi fornire riscontri puntuali ed esaurienti.
Del resto l’accertamento di infrazioni in materia di prevenzione ed igiene del lavoro, che costituisce la constatazione di un fatto illecito obiettivo, non è da confondersi con quelle "notizie" comunicate all’Ispettorato o da questo richieste o rilevate per le quali sussiste l’obbligo di riservatezza, previsto dall’art. 4 della citata legge n. 628/1961. La mancanza di un mezzo protettivo, l’inefficienza di un dispositivo di sicurezza, la carenza di idonee attrezzature igienico-sanitarie, non possono essere considerate "notizie" in quanto elementi concreti, già noti o rilevabili dagli stessi lavoratori, quando non addirittura da essi segnalati, prima o durante lo svolgimento degli accertamenti.
Infine è di intuitiva evidenza che, di fronte a constatate situazioni di pericolo vi sia la necessità di rendere edotti per primi i lavoratori che al pericolo sono esposti, sia per consentire ad essi ogni possibile forma di difesa sia il controllo sulla rimozione delle cause di pericolo.

2) Soggetti destinatari delle comunicazioni delle infrazioni
Attesa la rilevata correlazione della prospettata correlazione con la disciplina dell’art. 9 della legge n. 300/1970, si ritiene che le comunicazioni delle infrazioni vadano effettuate laddove esistano rappresentanze sindacali aziendali.
In tal caso, tenuto conto che obiettivo primario è quello di prevenire il verificarsi o il ripetersi di eventi infortunistici, si manifesta l’esigenza che i lavoratori – tramite le predette rappresentanze – vengano informati con la massima tempestività sulle irregolarità accertate, mediante comunicazione da effettuarsi contestualmente al rilascio del foglio di prescrizione al datore di lavoro.
Si ritiene opportuno, peraltro, che ci si astenga dal dare notizia delle contravvenzioni elevate, o di altri reati eventualmente contestati.
Qualora invece presso i luoghi di lavoro non esistano rappresentanze sindacali di lavoratori, ed ove la natura ed il grado delle infrazioni riscontrate lo richiedano, gli scopi prefissi sembra possano essere ugualmente perseguiti mediante il rilascio di apposita diffida che vincoli, in forza degli obblighi stabiliti dall’art. 4, lett. b) del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, il datore di lavoro o chi lo rappresenti (dirigenti o preposti) a portare a conoscenza dei lavoratori interessati le prescrizioni e le disposizioni impartite

3) Uso del potere discrezionale e art. 437 cod. pen.
Il potere discrezionale di diffida, previsto dall’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 520/1955, costituisce indubbiamente una delle connotazioni peculiari dell’attività ispettiva.
Detto potere si giustifica nella misura in cui l’infrazione accertata non sia rivelatrice della tendenza del datore di lavoro all’inosservanza delle norme di sicurezza e non può mai assumere un carattere troppo generalizzato che, svisando i presupposti, induca i destinatari delle norme a considerarlo come un vero e proprio esimente delle responsabilità penali che la norma stessa prevede. Tale eventualità può verificarsi più spesso proprio per le norme di sicurezza, specie per quei settori produttivi – come l’edilizia – in cui la temporaneità dei lavori non sempre consente lo svolgimento di una vigilanza attenta e tenace, fino alla eliminazione delle infrazioni.
Si rappresenta pertanto l’opportunità che, nella vigilanza per la prevenzione degli infortuni, il potere discrezionale sia utilizzato in rigorosa applicazione del criterio di cui sopra, sicché assieme all’esigenza di conseguire l’osservanza della legge, sia rispettata anche quella di non vanificare la funzione intimidatrice e preventiva della sanzione penale.
In questo contesto sembra opportuno valutare con particolare attenzione l’interesse che da più tempo e in più occasioni la Magistratura va dimostrando verso una norma del codice penale, l’art. 437, che nel passato era stata invece scarsamente considerata.
La norma penale citata, infatti, elevando a delitto l’omissione di impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, da cui può derivare una situazione di comune pericolo, e stabilendo severe pene detentive, può rappresentare uno strumento operativo di notevole efficacia preventiva.
Si manifesta pertanto l’esigenza che, in relazione alle particolari circostanze ed alle situazioni accertate, i soggetti passivi, destinatari delle norme di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro, vengano esplicitamente edotti anche sulle conseguenze penali di una volontaria omissione, derivanti dall’applicazione dell’art. 437 cod. pen.