Cassazione Penale, Sez. 4, 14 settembre 2017, n. 41964 - Artigiano precipita in un'apertura del solaio
chiusa da una lastra in polistirolo e da un foglio in plastica. Responsabili il proprietario/committente, il titolare dell'impresa edile e il CSE


 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 18/01/2017

 

 

Fatto

 

 

1. La Corte di appello di Genova il 19 febbraio 2016, in riforma della sentenza del Tribunale di Savona del 20 gennaio 2015 di condanna di L.M., di M.R. e di N.M. per il reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, fatto contestato come commesso il 2 ottobre 2007, ha dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili risarcitorie nei confronti della parte civile.
2. In particolare, gli imputati erano stati ritenuti in primo grado responsabili del reato di lesioni colpose gravi, con violazione della normativa antinfortunistica, nei confronti del lavoratore autonomo G.T., artigiano operante nel settore della controsoffittatura, il quale aveva fatto accesso il 2 ottobre 2007 per valutare la stima dei lavori di installazione di cornici murarie ancora da compiersi, su chiamata di N.M., titolare dell'omonima impresa edile, che, siccome quel giorno malato, aveva avuto l'iniziativa di farsi sostituire da G.T., all'interno dell'immobile in Albenga di proprietà di L.M.. In tale immobile, abitato effettivamente al piano terra dal proprietario, erano in corso lavori di ristrutturazione, in relazione ai quali era coordinatore per l'esecuzione e direttore dei lavori l'ing. M.R.: ebbene, G.T. quella mattina era precipitato dentro un'apertura del solaio del piano rialzato dell'immobile, che, esistente da almeno sei mesi e destinata allo sbocco di una scala interna in legno che avrebbe dovuto collegare i due piani dell'immobile, era chiusa esclusivamente da una lastra in polistirolo e da un foglio in materiale plastico, che era stato fissato con nastro adesivo alla parte inferiore, certamente non in grado di sorreggere il peso di una persona, all'esclusivo fine di evitare il passaggio di polvere al piano sottostante. Non essendo l'apertura segnalata né protetta in alcun modo ed essendo la stessa, cosi come concretamente strutturata, una botola costituente insidia, G.T. era, appunto, precipitato nel foro, cadendo sul pavimento sottostante tre metri, riportando politrauma al capo causativo di uno stato di coma per tredici giorni e, comunque, di una malattia di durata assai superiore ai quaranta giorni.


Gli imputati sono stati chiamati a rispondere dell'addebito in cooperazione colposa tra di loro e nelle qualità:

-L.M. di proprietario dell'abitazione, su due piani, e di committente dei lavori di ristrutturazione della stessa, intervenuto direttamente ed ingeritosi nella gestione del cantiere;

- N.M. di titolare dell'omonima impresa edile individuale, già appaltatrice dei lavori di ristrutturazione dell'unità abitativa di L.M., esecutore dei lavori;

- M.R. di coordinatore per l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione edile di ristrutturazione dell'abitazione di L.M., di responsabile dei lavori e nel contempo di direttore dei lavori in questione, nominato dal committente;
tutti, nelle rispettive qualità, sia per non avere provveduto o verificato che si fosse provveduto a coprire il foro con tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore al piano di calpestio ovvero a circondare l'apertura con parapetti e tavole fermapiede sia per non avere fornito alla persona offesa dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro in cui la stessa era chiamato ad operare, con specifico riferimento al foro sprovvisto di adeguati mezzi di protezione;
M.R. inoltre - anche - per non avere sospeso i lavori sino alla verifica della effettuazione dei necessari adeguamenti, pur avendo direttamente riscontrato la situazione di grave ed imminente pericolo causato dalla presenza del foro in questione, avendo preso parte, in veste di direttore dei lavori, allo svolgimento di accertamento tecnico preventivo nell'immobile disposto dal Tribunale civile di Savona, effettuato nell'agosto 2007, e, anzi, per avere ciononostante consentito la ripresa dei lavori da parte dell'impresa di N.M..

3. Ricorrono tempestivamente per la cassazione della sentenza gli imputati, mediante difensori, deducendo, sotto plurimi profili, sia violazioni di legge che difetto motivazionale e chiedendo l'annullamento dell'impugnata sentenza.

4. Quanto al ricorso di L.M., committente dei lavori e proprietario dell'immobile, si premette che risulterebbe dimostrato dall'istruttoria in punto di fatto:
che il proprietario, incaricato l'ing. M.R. della responsabilità dei lavori e del coordinamento sia per la progettazione che per l'esecuzione degli stessi, non si sarebbe mai ingerito nella gestione operativa del cantiere;
che il proprietario non avrebbe scelto la ditta per l'esecuzione delle opere di controsoffittatura, avendo l'ing. M.R. indicato la ditta N.M., ditta che non aveva la facoltà di subappaltare gli interventi, quantomeno senza il previo consenso del committente e dell'ing. M.R.;
che non era nemmeno prevedibile che N.M. affidasse ad altri le opera di completamento del controsoffitto, in quanto minimali ed eseguibili in non più di due giorni;
che ciononostante, illegittimamente e clandestinamente, senza avvisare né il committente né l'ing. M.R., N.M. aveva inviato sul cantiere, in sua vece, G.T., il cui accesso in sostituzione deN'imprenditore non era stato autorizzato da alcuno;
che N.M. non aveva né personalmente avvisato né fatto avvisare G.T. del pericolo rappresentato dalla botola.
4.1. Ciò posto, deduce L.M. con il primo motivo promiscuamente violazione di legge e difetto motivazionale, anche sotto il profilo del travisamento della prova, per avere l'imputato totalmente trasferito, mediante le complessive, onerose, deleghe conferite, la responsabilità per la sicurezza nel cantiere all'ing. M.R., soggetto professionalmente competente e qualificato.
La sentenza impugnata valorizza la conoscenza da parte dell'Imputato dell'apertura nel pavimento e della sua pericolosità, per essere stata la situazione chiaramente illustrata dal perito, ing. A., nominato dal giudice civile nell'ambito del procedimento con oggetto accertamento tecnico preventivo, il giorno 7 agosto 2007, sia a L.M. che a M.R., entrambi presenti.
Ebbene, assume il ricorrente che, essendo al sopralluogo in questione presente anche l'ing. M.R., tenuto a provvedere era il tecnico e che il committente non dubitava che lo stesso vi provvedesse, non essendo, del resto, esigibile un controllo continuo e pressante da parte del committente sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, altrimenti profilandosi - si assume - una responsabilità oggettiva del proprietario.
La ritenuta ingerenza diretta di L.M. nell'attività lavorativa deriverebbe, secondo il ricorrente, da un travisamento, ad opera dei giudici di merito, sia della normativa di riferimento che delle risultanze istruttorie, che deporrebbero in senso diametralmente opposto.
Quanto al primo aspetto, si sarebbe indebitamente esteso il concetto di concreta ingerenza, rilevante al fine in questione, delineato da plurime sentenze di legittimità, che si richiamano.
La Corte non avrebbe in ogni caso spiegato in che cosa si sarebbe concretizzata la indebita ingerenza, rimanendo apodittica la relativa affermazione, non avendo peraltro L.M. né fornito i materiali né le attrezzature né acquistato alcunché né impartito ordini o istruzioni alle maestranze ma soltanto, secondo il ricorrente, sollecitato N.M. a concludere sollecitamente i lavori e in alcune occasioni, diverse tuttavia da quella dell'Infortunio, consegnato le chiavi ad alcune ditte per accedere al sottotetto, oltre ad avere stipulato nuovi contratti, senza avvertire il direttore dei lavori: condotte tuttavia non implicanti, secondo il ricorrente, ingerenza né esercizio di potere gestionale operativo, peraltro essendo l'ing. M.R., quanto ai nuovi contratti, perfettamente a conoscenza sia dei preventivi degli stessi sia dell'interesse del proprietario ad una celere conclusione dei lavori.
Si sottolinea, inoltre, che l'imputato non ha mai revocato il - remunerato - incarico conferito all'ing. M.R., al quale va esclusivamente addebitata la mancata sospensione dei lavori; ne discenderebbe anche la non credibilità di M.R. allorché afferma di non essere stato a conoscenza della ripresa (o continuazione) dei lavori da parte della ditta N.M..
Il richiamo operato da parte della Corte di appello anche ad un criterio di imputazione della responsabilità fondato sulla posizione di garanzia quale custode della cosa celerebbe, infine, secondo il ricorrente, una illegittima responsabilità di tipo puramente oggettivo.
4.2. Denunzia ulteriormente il ricorrente, in maniera promiscua, violazione di legge e difetto motivazionale, anche sotto il profilo del travisamento della prova, per non avere i giudici di merito escluso l'avvenuta interruzione del nesso di causalità per effetto dell'intervento di una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento, rappresentata dalla illegittima condotta di N.M., di cui si è detto, che ha introdotto un estraneo - G.T., che non ha informato dei rischi la p.o. - all'interno del cantiere, peraltro a totale insaputa del committente e dell'ing. M.R., cosi assumendosi, in via assolutamente esclusiva, la posizione di garanzia per avere introdotto un rischio nuovo o radicalmente esorbitante rispetto a quello prevedibile (richiamando al riguardo recente sentenza della S.C., Sez. 4, n. 22378 del 19/03/2015).
Il comportamento tenuto da N.M. nell'occasione sarebbe comunque concretamente imprevedibile da parte del committente.
Si sottolinea, in ogni caso, che sarebbe non conforme all'istruttoria e frutto di vero e proprio travisamento della prova l'affermazione dei giudici di merito secondo cui la botola non era conosciuta dagli operai che lavoravano nel cantiere, in quanto, al contrario, i testimoni B., P. ed I., le cui dichiarazioni sono riportate per stralcio nell'impugnazione, hanno detto di sapere dell'apertura nel pavimento.
4.3. L'ultimo motivo di ricorso censura violazione di legge e difetto motivazionale quanto alle statuizioni civili, sotto un duplice profilo: in primo luogo, per non avere ripartito percentualmente la responsabilità tra i tre coimputati, richiamando il ricorrente l'art. 2055 cod. civ., secondo il quale gli oneri risarcitori debbono dividersi tra i responsabili nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa ed evidenziando che la colpa del proprietario sarebbe nel caso di specie significativamente inferiore a quella degli altri due chiamati a rispondere; inoltre, per mancanza di motivazione circa la riconosciuta provvisionale, avendo, ad avviso del ricorrente, la Corte di appello immotivatamente respinto le doglianze che in appello erano state mosse alla ritenuta mancanza di motivazione della disposta condanna provvisionale.

5. Quanto al ricorso di N.M., titolare della omonima ditta edile incaricata dell'esecuzione dei lavori, il ricorrente premette che risulterebbe dimostrato:
che, già sin da prima dell'affidamento alla ditta N.M. dell'incarico avente ad oggetto esecuzione di lavori di controsoffittatura l'organizzazione e la gestione complessiva dei lavori era stata affidati alla ditta società DEMA 2001 s.r.l.;
che nel corso dell'anno 2007, sino a quando la ditta N.M. aveva lavorato sul cantiere, l'apertura era protetta da un'adeguata protezione sorretta da puntelli installati sul pavimento del piano inferiore;
che, non essendo stato terminato l'impianto di climatizzazione da parte della ditta a ciò incaricata, nel febbraio 2007 fu chiesto a N.M. di interrompere i lavori di controsoffittatura, per poi riprenderli in un secondo momento; che, quindi, nel marzo 2007 i lavori furono sospesi e la ditta N.M. uscì dal cantiere, per non farvi più ritorno sino al 1^ ottobre 2007;
che a fine settembre 2007 il proprietario dell'immobile aveva contattato telefonicamente N.M. chiedendogli di terminare i lavori, sicché, appunto il Io ottobre 2007, il ricorrente si recava presso l'immobile unicamente per valutare la situazione e il materiale occorrente, senza riprendere concretamente i lavori;
che, però, nel frattempo, cioè tra marzo ed ottobre 2007, erano stati tolti dal proprietario L.M. i puntelli che in precedenza sorreggevano, dal basso, l'impalcato, ma che di ciò N.M. non aveva alcuna conoscenza;
che alla data del I^ ottobre 2007 lavorava nel cantiere, almeno da due settimane, la ditta B.G., si presume in sostituzione della ditta Dima 2001;
che la mattina del 2 ottobre l'imputato, ammalato, chiedeva di essere sostituito all'artigiano indipendente G.T.: questi, accompagnato da un dipendente di N.M., faceva accesso nell'appartamento, la cui porta veniva aperta dall'interno da un imbianchino, e poi, come noto, si infortunava.
5.1. Ciò posto, denunzia il ricorrente violazione di legge e difetto motivazionale, anche sotto il profilo di omessa motivazione, per non avere la Corte di appello fornito risposta alle doglianze che erano state mosse in appello circa la inconsapevolezza da parte dell'imputato della avvenuta rimozione della protezione del foro nel pavimento, con tutte le implicazioni sotto i profili: della sussistenza del prescritto elemento soggettivo; della sussistenza del nesso causale; dell'esistenza di un dubbio ragionevole sulla responsabilità dell'imputato; della non adeguata considerazione degli elementi favorevoli alla difesa.
5.2. Censura, poi, violazione di legge e difetto motivazionale, anche sotto il profilo del travisamento della prova, per non avere la Corte di appello tenuto conto che già da almeno due settimane prima del 1° ottobre 2007 la ditta B.G. eseguiva lavori edili e di tinteggiatura dentro l'abitazione, sicché sulla stessa e, in ogni caso, sulla committenza e sulla direzione dei lavori incombeva l'obbligo di mettere in sicurezza il cantiere, ed inoltre che L.M. il 1° ottobre non aveva informato N.M. di avere rimosso i puntelli che sostenevano la tavola in precedenza posta a protezione dell'apertura nel pavimento.
L'avere trascurato tale, fondamentale, circostanza implicherebbe l'illegittimità e l'erroneità della decisione da parte dei giudici di merito sotto i profili della mancanza di elemento soggettivo in capo all'imputato, di sussistenza di una causa sopravvenuta idonea ad interrompere il nesso di causalità, di mancanza totale di motivazione, anche relativamente all'omessa attivazione sotto il profilo della prevenzione del rischio nei confronti anche dello stesso N.M. non solo del proprietario e del direttore dei lavori ma anche della ditta B.G., di cui si è detto.
5.3. L'ulteriore motivo è incentrato sul dedotto difetto motivazionale quanto alle statuizioni civili, sotto un duplice profilo: per non avere ripartito percentualmente la responsabilità tra i coimputati, essendo la colpa di N.M. inferiore a quella del direttore dei lavori e responsabile degli stessi; e per mancanza di motivazione, avendo, ad avviso del ricorrente, la Corte di appello immotivatamente respinto le doglianze che in appello erano state mosse al riguardo.
5.4. Si avanza, infine, istanza di sospensione della condanna civile ai sensi dell'art. 612 cod. proc. pen., poiché dall'esecuzione deriverebbe all'imputato, artigiano edile titolare di modesto reddito, un pregiudizio grave ed irreparabile.

6. Passando al ricorso di M.R., coordinatore per l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione edile di ristrutturazione dell'abitazione di L.M., responsabile dei lavori e direttore dei lavori in questione, richiamati, anche graficamente, i motivi di appello, la difesa si affida a cinque motivi di ricorso, quattro denunzianti difetto di motivazione, anche sotto il profilo di omissione di pronunzia, ed uno violazione di legge.
6.1. Con il primo motivo si censura non avere la Corte di appello tenuto in alcuna considerazione le seguenti emergenze istruttorie:
l'avere l'ing. M.R., sin da marzo 2007, a fronte di ritardi nei lavori, con ordine di servizio scritto n. 1 dell'8 marzo 2007, disposto la sospensione dei lavori, con divieto per chiunque, compresa la ditta N.M., di fare accesso al cantiere, ad eccezione della sola ditta Dema 2001, che era tenuta a recuperare il materiale, ad eliminare fonti di pericolo e a chiudere il cantiere, ed avere emesso un secondo ordine di servizio (20 marzo 2007), diretto alla Dema 2001, con il quale si ribadiva il precedente, così facendo quanto era in suo potere / dovere per la messa in sicurezza;
l'essere, perciò, da tale momento in poi, il cantiere ufficialmente chiuso, inerte, inoperoso;
l'essere l'ordine di sospensione dei lavori equivalente, seppure informalmente, alla rinunzia all'incarico;
l'avere nei mesi successivi a marzo 2007 la committenza deciso di sciogliere il contratto con la ditta Dema;
l'avere il 6 aprile 2007 concordato con la committenza una rescissione del contratto di appalto con le ditte incaricate;
l'essersi ritenuto l'ing. M.R. sciolto dall'Incarico ovvero comunque esautorato a seguito della rescissione del contatto con la Dema 2001 da parte della committenza;
l'avere, ma per mera cortesia, nell'estate 2007 l'imputato presenziato alla perizia disposta nella causa civile e l'avere, sempre solo per mera cortesia, consigliato al proprietario di mettere in sicurezza la botola;
non avere nessuno informato l'ing. M.R. della ripresa dei lavori dopo Testate 2007;
in definitiva, la - ritenuta - macroscopica soluzione di continuità tra la condotta dell'imputato e l'incidente, occorso mesi dopo e senza alcuna responsabilità dello stesso.
6.2. Si denunzia, poi, la inadeguatezza degli argomenti svolti nella motivazione della sentenza impugnata a confutazione delle censure difensive mosse in appello quanto alla durata dell'incarico contrattuale dell'ing. M.R., che, malgrado le significative, in tesi difensiva, circostanze fattuali riferite (al punto che precede), integrate dal rilievo che era ormai privo delle chiavi dell'immobile, è stato ritenuto non già interrotto ma perdurante sulla base di considerazioni stimate, tuttavia, dal ricorrente apodittiche.
6.3. Posto che all'imputato si addebita la doppia veste di direttore dei lavori e di coordinatore per l'esecuzione dei lavori, anche alla stregua delle circostanze fattuali suesposte, si richiamano precedenti di legittimità che precisano che al coordinatore per l'esecuzione dei lavori spettano compiti di "alta vigilanza" e non già di continuo e costante controllo. In conseguenza, errata, siccome illegittima, sarebbe l'attribuzione di responsabilità al ricorrente, ritenuto chiamato ad un ruolo di vigilanza addirittura superiore a quello del datore di lavoro.
L'istruttoria, del resto, avrebbe dimostrato che la committenza aveva posto in essere nel cantiere qualcosa a totale insaputa dell'imputato.
6.4. Si censura anche mancanza assoluta di motivazione, per non avere preso in considerazione le doglianze difensive svolte in appello a proposito della duplicità di ruolo assunta dall'imputato nell'esecuzione dei lavori.
6.5. Si denunzia, infine, omissione di pronunzia per non avere la Corte territoriale risposto in maniera adeguata alle censure difensive relative al profilo risarcitorio, relativamente alla mancata diversificazione del quantum della responsabilità civile degli imputati, messi tutti - si assume in maniera illegittima ed erronea - indistintamente sullo stesso piano, ed alla mancanza delle condizioni per la immediata esecutività della statuizione provvisionale.
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.
I plurimi profili di doglianza sono tutti (ad esclusione di quelli relativi al profilo risarcitorio) incentrati su pretesi difetti motivazionali, seppure costruiti dai ricorrenti anche come violazioni di legge e come travisamento delle risultanze istruttorie, in realtà inesistenti: la sentenza impugnata, valutata insieme a quella di primo grado, trattandosi di doppia conforme circa l'an della illiceità delle condotte degli imputati, resiste a tutte le doglianze svolte.
1.1. Quanto, in particolare, al ricorso nell'interesse di L.M., infatti, i motivi di impugnazione trascurano la circostanza, emergente della decisioni di merito, che il proprietario dell'immobile viveva dentro l'abitazione (p. 2 della sentenza impugnata), sicché risulta impensabile che non conoscesse l'esistenza dell'apertura, peraltro oggetto di accertamento tecnico preventivo il 7 agosto 2007, apertura cosi incautamente celata da uno strato di polistirolo e da fogli di plastica, insufficienti per sorreggere alcun peso, sì da costituire un vero e proprio pericolosissimo trabocchetto nel piano di calpestio che fu attraversato dalla vittima.
L'esistenza di plurimi atti di concreta ingerenza del proprietario nella gestione dei lavori non è poi discutibile in sede di legittimità, essendo stata sia motivatamente ritenuta esistente da parte dei Giudici di merito (con riferimento alla stipula di nuovi contratti, p. 3 della sentenza impugnata) sia sostanzialmente ammessa, quanto alla sua verificazione fenomenica (consegna delle chiavi ad alcune ditte per l'accesso all'Immobile e stipula di nuovi contratti senza previo avviso al direttore dei lavori), dalla stessa difesa ricorrente, che però ne assume - ma in maniera apodittica - la irrilevanza ai fini in esame (v. punto n. 4.1. del "ritenuto in fatto"): con il che viene meno la significatività della censura incentrata sul ritenuto trasferimento della posizione di garanzia da parte del proprietario all'ing. M.R..
Adeguato, congruo e logico il ragionamento svolto dai Giudici di merito a proposito della riconosciuta sussistenza del nesso di causalità (v. punto n. 4.1. del "ritenuto in fatto"), essendosi spiegato che tre operai che lavoravano nel cantiere (B.G., P. ed I.) erano all'oscuro dell'insidia e che risulta, dunque, irrilevante che L.M. non abbia autorizzato l'ingresso di G.T. nel cantiere, poiché comunque egli vi ebbe accesso come qualsiasi operaio che lavorava nel cantiere e che doveva essere tutelato, alla stessa stregua del resto di qualunque terzo che vi avesse fatto accesso (pp. 3-4 della sentenza impugnata).
1.2. L'intero ragionamento svolto nel ricorso di N.M. è inficiato dal presupporre l'impugnazione (punti nn. 5., 5.1. e 5.2. del "ritenuto in fatto") come accertate circostanze di fatto che, in realtà, non emergono come dimostrate processualmente ma soltanto ritenute dalla difesa (cioè che vi fosse stata, in passato, un'adeguata protezione del foro nel pavimento, poi imprudentemente tolta ma dopo che la ditta N.M. era uscita dal cantiere).
In ogni caso, anche a voler seguire il ragionamento svolto nel ricorso, logico ed immune da vizi è il percorso motivazionale della Corte di appello, che ha ritenuto incauto da parte di N.M. avere disposto che un proprio dipendente accompagnasse G.T. all'interno di un cantiere di cui non conosceva la struttura e la pericolosità, senza previamente verificare i luoghi sotto il profilo della sicurezza (pp. 7-8 della sentenza impugnata).
In conseguenza, nessuna interruzione del nesso di causalità si apprezza; né l'eventuale - ipotizzabile - corresponsabilità della ditta B.G. che stava il giorno dell'infortunio eseguendo lavori vale ad escludere quella dell'imputato.
1.3. Infine, quanto al ricorso nell'interesse di M.R., si osserva che a tutte le doglianze (v. punti nn. 6., 6.1., 6.2., 6.3. e 6.4.), sostanzialmente ripetitive dei temi sviluppati nell'appello, ha fornito congrua risposta la Corte territoriale: «[...] la risoluzione del vincolo contrattuale tra committenza e ditta appaltatrice Dima nell'aprile 2007 non ha posto nel nulla le funzioni di M.R. giacché altro è il rapporto tra committenza e ditta appaltatrice altro è il rapporto tra committenza e il proprio direttore dei lavori e coordinatore della sicurezza. Si tratta di due rapporti tra loro indipendenti e pertanto la risoluzione del primo non ha effetti sul secondo [...] Che esso rapporto fosse vivo e vitale tra L.M. e M.R. e non solo formale all'epoca dell'infortunio lo si rileva anche dalla circostanza che dopo esso infortunio L.M. incaricò M.R. per la preparazione delle notifiche preliminari ex art. 11 del decreto legislativo 494/96 in relazione alla nuove ditte esecutrici B.G. e P.; d'altra parte M.R. non inviò mai a L.M. né in aprile quando [D]ima abbandonò i lavori né successivamente alcuna dichiarazione di dimissione dalle proprie funzioni [...] le norme di prevenzione vincolano in modo permanente i destinatari in ogni fase del lavoro senza che sia possibile configurare vuoti normativi o di responsabilità [...] le misure di sicurezza devono essere predisposte e mantenute, sia pure con diverse modalità, confacenti alla natura del lavoro da svolgere e alla fase produttiva, prima e durante ciascuna fase del processo lavorativo ed anche al termine di esso, ove siano residuate situazioni di pericolo [...] D'altra parte deve essere evidenziato come dirimente fonte di responsabilità di M.R. la circostanza che quasi un mese prima dell'infortunio questi fu presente all'accertamento tecnico preventivo proprio nella sua qualità (va da sé che l'esecuzione di un accertamento tecnico preventivo significa che i lavori devono proseguire senza indugio, altrimenti non vi sarebbe alcun bisogno di cristallizzare la prova, sarebbe sufficiente sigillare il cantiere e quando opportuno provvedere all'accesso per l'assunzione della prova nel corso del processo di cognizione) e in tale qualità il consulente tecnico d'ufficio gli mostrò la violazione in atto del già citato art. 68 e il pericolo che rappresentava la botola aperte per la incolumità dei lavoratori [...] incombendo su M.R. l'onere di cui all'articolo 5 lettera f del decreto legislativo 494/96 che impone al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione l'obbligo di sospendere in caso di pericolo grave ed imminente direttamente riscontrato le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalla imprese interessate» (così alle pp. 5¬6 della sentenza impugnata).


2. In relazione alle doglianze che riguardano le statuizioni civili (v. punti nn. 4.3., 5.3. e 6.5. del "ritenuto in fatto"), il profilo relativo alla distribuzione percentuale dei profili di colpa non è ricorribile per cassazione, in quanto è principio consolidato, cui occorre dare ulteriormente continuità, quello secondo il quale «Le statuizioni del giudice di merito in ordine alla quantificazione delle percentuali di concorso delle colpe del reo e della vittima nella determinazione causale dell'evento costituiscono apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità (Fattispecie relativa a incidente di caccia cagionato dall'esplosione accidentale di un colpo di fucile in cui la Corte ha escluso il vizio di motivazione della sentenza di merito che era pervenuta alla determinazione della percentuale di responsabilità della vittima nella misura del 50%, dopo aver raffrontato i comportamenti dei due protagonisti delle vicenda e aver stabilito che a ciascuno di essi competeva l'obbligo di mettere in sicurezza il fucile)» (v. Sez. 4, n. 43159 del 20/06/2013, P.C. e Sparapani, Rv. 258083; in senso conforme, v. Sez. 4, n. 4537 del 21/12/2012, dep. 2013, Fatarella, Rv. 255099; Sez. 4, n. 9420 del 26/06/1988, Carlini, Rv. 179228; Sez. 4, n. 1728 del 15/07/1980, Zampa, Rv. 147886; Sez. 4, n. 7626 del 03/05/1982, Berto, Rv. 154870), essendo in ogni caso estremamente vaga l'asserita prospettazione difensiva circa differenti gradi di responsabilità, che potrà, in ogni caso, essere fatta valere nella sede civile.
Né meritano accoglimento le censure relative alla disposta condanna provvisionale sia perché generiche ed aspecifiche (v. punto n. 6.5. del "ritenuto in fatto") sia perché (v. punto n. 4.3. del "ritenuto in fatto"), secondo il costante insegnamento di legittimità, il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486; Sez. 2, n. 49016 del 06/11/2014, Patricola e altro, Rv. 261054; Sez. 6, 50746 del 14/10/2014, P.C. e G., Rv. 261536).
Resta infine assorbita dalle considerazioni che precedono e dal concreto esito del ricorso la - peraltro assai vaga - richiesta ex art. 612 cod. proc. pen. nell'interesse di N.M. (v. punto n. 5.4. del "ritenuto in fatto").
3.Discende da tutte le considerazioni svolte il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione in solido delle spese sostenute dalla parte civile, spese che si liquidano, vista la richiesta ed alla luce delle tariffe in vigore, in complessivi 2.500,00 euro, oltre accessori come per legge.
 

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione in solido delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi € 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 18/01/2017.