Cassazione Civile, Sez. 3, 19 settembre 2017, n. 21595 - Morte di due soci lavoratori della Compagnia Unica Lavoratori Portuali per mesotelioma pleurico


 

 

Presidente: SPIRITO ANGELO Relatore: DE STEFANO FRANCO Data pubblicazione: 19/09/2017

 


 

 

Fatto

 


1. Per conseguirne solidale condanna al risarcimento dei danni, iure proprio ed iure hereditatis, derivanti dalla morte di A.B. e G.B., già soci lavoratori della Compagnia Unica Lavoratori Portuali Pippo R. scarl del Porto di Savona (d'ora in avanti, anche solo CULP), da loro ascritta al mesotelioma pleurico contratto per le condizioni di lavoro in cui quelli avevano per lunghissimo tempo operato rimanendo esposti alle polveri di amianto durante le operazioni di carico e scarico merci, i rispettivi congiunti - per il primo, C.M., Anna e Marco B.; per il secondo, S.P., nonché Laura, Lucia e Milena B. - convennero dinanzi al tribunale di Savona la detta Compagnia, nonché l'Autorità Portuale di Savona - quale avente causa ex lege dall'Ente Porto di Savona - e P.C., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Camagen srl, esercente attività di agente e raccomandatario marittimo in quello stesso porto.
2. Notificata la citazione il 25/03/2003 e costituitisi i convenuti, l'Autorità Portuale ed il P.C. spiegarono domanda di manleva nei confronti, rispettivamente, delle assicuratrici e dall'armatore (cioè INA-Assitalia, Assicurazioni Generali ad essa subentrata, Milano Assicurazioni subentrata a SASA ass.ni, nonché Genchart BV); e, all'esito di una complessa istruttoria orale e per mezzo di consulenza tecnica, l'adito tribunale di Savona, con sentenza n. 191 dei 24/02/2011, escluse la passiva legittimazione dell'Autorità Portuale e del P.C. e, ritenutala unica responsabile, condannò soltanto la Compagnia Unica Lavoratori Portuali al risarcimento del danno, per totali e complessivi € 2.233.357,50, oltre accessori e spese di lite per € 22.010,00.
3. La CULP propose appello ed i danneggiati e la stessa Autorità Portuale interposero gravame incidentale, gli uni per ottenere la condanna anche nei confronti degli altri originari convenuti in primo grado e comunque una più favorevole liquidazione del risarcimento, l'altra, per il solo caso di ritenuta sua responsabilità, per contestare la liquidazione operata dal primo giudice; e, disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le altre parti già in causa, la corte d'appello ligure, esaminando i gravami, accolse soltanto in punto di quantum debeatur quello dei danneggiati, determinando in plus l'entità della condanna, che lasciò però limitata nei confronti della sola CULP, che sola condannò pure alle spese del grado.
4. Per la cassazione di tale sentenza, pubblicata col n. 417 il 24/03/2015, ricorre oggi, affidandosi a sei motivi, la Compagnia Unica; resistono, dispiegando ricorso incidentale su sei motivi e con unitario controricorso, C.M. ed Anna B. (non anche Marco B.), dichiaratesi superstiti ed eredi di Alessandro B., in uno a S.P., Laura e Lucia G.B., dichiaratesi superstiti ed eredi di G.B., nonché Milena G.B.; notificano separato controricorso per resistere al ricorso principale e a quello incidentale sia P.C. - in proprio e nella (cessata) qualità di legale rappresentante della Camagen srl - che la Generali Italia spa, quale succeditrice di INA-Assitalia spa, mentre pure la Genchart BV - dispiegando ricorso incidentale condizionato - e l'Autorità Portuale di Savona notificano separati controricorsi per resistere al ricorso principale della CULP; la quale poi, dal canto suo, notifica controricorso per resistere al ricorso incidentale delle eredi dei lavoratori B. e G.B..
5. Infine, per la pubblica udienza di discussione del 06/07/2017, depositano memorie ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ. sia la ricorrente principale che quelle incidentali, ma pure la Genchart BV e la succeditrice dell'Autorità Portuale di Savona, Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, che eccepisce preliminarmente, del ricorso incidentale delle eredi dei lavoratori, l'inammissibilità per 1 difetto di notifica del controricorso che lo dispiegava. 
 

 

Diritto

 


1. È opportuno, per la complessità della controversia, identificare le questioni da affrontare, cui ricondurre i motivi di doglianza sviluppati dalle diverse parti:
A) una prima questione riguarda la sussistenza o meno della responsabilità della Compagnia dei Lavoratori: e ad essa si riferiscono il primo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo del ricorso principale;
B) una seconda questione riguarda la sussistenza o meno della responsabilità dell'Autorità Portuale: e ad essa si riconducono il secondo motivo del ricorso principale, nonché il primo - e, in parte, il terzo - motivo del ricorso incidentale degli eredi dei lavoratori;
C) una terza questione concerne la sussistenza o meno della responsabilità del raccomandatario, in proprio e nella qualità: e ad essa attengono il terzo motivo del ricorso principale, nonché il secondo - e, in parte, il terzo - motivo di ricorso incidentale degli eredi dei lavoratori; e solo in esito alla quale potrà apprezzarsi la necessità di prendere in esame il ricorso incidentale condizionato di Genchart BV, chiamata in garanzia dal P.C.;
D) un ultimo gruppo di questioni è agitato con i motivi quarto, quinto e sesto del ricorso incidentale delle eredi dei lavoratori, con riguardo alla data di insorgenza della malattia professionale, in varia misura alle liquidazioni dei danni ai diversi danneggiati ed a dedotte imprecisioni o incompletezze della gravata sentenza.
 

 

A) La responsabilità della Compagnia.
2. Quanto alla prima questione da affrontare, giova premettere che effettivamente sulla conclusione che la Compagnia dei lavoratori portuali assuma particolari obblighi a seconda che svolga o meno attività di impresa, la giurisprudenza di questa Corte è stata finora sufficientemente chiara: fin da tempi remoti ha escluso tale attività quando tali Compagnie si limitano a collocare, come loro obbligo, le squadre di lavoratori presso l'utente del porto, oppure presso l'impresa concessionaria dei servizi portuali, incaricata dall'utente delle operazioni di imbarco o sbarco delle merci, ancorché le prime forniscano ai lavoratori i mezzi meccanici ausiliari, necessari, nella moderna tecnica delle operazioni portuali, ad agevolarli nella loro fatica; avendo, una volta collocate le squadre ed eseguite le operazioni, la compagnia il solo compito di curare la distribuzione tra i lavoratori dei compensi riscossi per la prestazione del servizio (Cass. 08/11/1984, confermata, sul punto, da Cass. 10/03/1995, n. 2796); e, in più di un'occasione, ha affermato che tali Compagnie sono esenti da responsabilità per infortuni (perfino anche solo in sede di rivalsa), se non svolgono attività di impresa (Cass. 15/03/1995, n. 2992; Cass. 08/10/2012, n. 17092; Cass. 27/05/2015, n. 10967), esigendosi, per la responsabilità, l'istituzione di un rapporto di lavoro fra compagnie - costituite in forma cooperativa ed aventi personalità giuridica - e singoli lavoratori-soci (ciò che accade quando le prime gestiscono direttamente le operazioni di carico e scarico e non già quando si limitano a fornire manodopera qualificata alle imprese portuali: al riguardo, basti un richiamo alla compiuta disamina operata da Cass. 10/12/2014, n. 26037, punto 2.3 della motivazione in diritto).
3. E però, argomento dirimente e decisivo dell'odierna controversia sta in ciò, che, in sensibile - ma, per quel che si dirà, condivisibile - scostamento dalla riportata soluzione tradizionale, la responsabilità della Compagnia Portuale è dalla corte territoriale fondata «sulla violazione di un debito o dovere di sicurezza nei confronti dei lavoratori portuali, che le imponeva - a prescindere dall'esercizio dell'attività di impresa e dall'assunzione della qualità di datore di lavoro - di dotare i lavoratori che avviava al lavoro di idonei presidi antinfortunistici personali e di controllarne l'effettivo utilizzo»; e tale dovere è poi fatto discendere dal fatto che la stessa Compagnia «se pure non assumeva l'appalto del servizio - assumeva comunque un compito che non si limitava al mero collocamento della manodopera, ma comprendeva per quanto di sua competenza anche l'organizzazione del lavoro dei portuali, che - per l'appunto - erano avviati al lavoro organizzati in squadre predisposte per l'esecuzione del servizio»; sicché «essa era destinataria delle norme in materia di sicurezza, normativa primaria e secondaria, che le imponeva di dotare i lavoratori dei presidi personali atti a tutelarli contro l'inalazione di polveri nocive», poi risultando identificate tali norme negli artt. 2 e 21 del Regolamento per la sicurezza del lavoro nel porto di Savona, nonché nell'art. 4 del d.P.R. 19 marzo 1956, n. 303.
4. In merito a siffatta specifica ragione di responsabilità, la CULP:
- col primo motivo di ricorso principale lamenta: «violazione o falsa applicazione degli artt. 108, 109, 110, 111, 112 e 1254, secondo comma, cod. nav., 140, 142, 148, 202 e 203 reg. cod. nav., 9 e 27 d.P.R. 30.6.1965 n. 1124, 4 d.P.R. 19.3.1956 n. 303, 2 e 21 "Regolamento per la sicurezza del lavoro nel porto di Savona", nonché 10, 11, 18 e 20 delle "Norme di lavoro per le operazioni di sbarco, imbarco e movimento in genere delle merci nel Porto di Savona-Vado Ligure"»; «connessa violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c. con riferimento ai citati articoli del "Regolamento e delle Norme di lavoro»; ed infine «violazione o falsa applicazione degli artt. 1655 e segg., cod. civ., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.»;
- col quarto motivo di ricorso principale, lamenta «violazione o falsa applicazione dell'art. 2697, cod. civ. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.» e, «sotto connesso profilo: nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c.».
5. Al riguardo e, rispettivamente, la ricorrente principale:
- contesta radicalmente il proprio inquadramento, evidentemente presupposto quale unico e solo requisito legittimante la propria responsabilità per la malattia professionale, quale datore di lavoro dei soci lavoratori: tali dovendo qualificarsi, a norma delle disposizioni richiamate, i Consorzi o Enti Autonomi dei porti (e, oggi, le Autorità portuali), o comunque coloro che fossero in possesso di apposita licenza e previa richiesta di maestranze portuali con specifica Indicazione del tipo di operazione e delle modalità di esecuzione e della qualità della merce; sicché, applicandosi le norme antinfortunistiche alle imprese portuali e tale non potendo definirsi la CULP, o a tutto concedere dovendo risponderne l'Ente pubblico che aveva il compito di vigilare sull'esecuzione della prestazione lavorativa, essa ricorrente principale doveva andare esente da responsabilità;
- censura l'accertamento, da parte del tribunale, della circostanza che nel porto di Savona le operazioni di carico e scarico della merce all'Interno delle navi e sulle banchine erano gestite, eseguite e dirette da personale della Compagnia, che organizzava e dirigeva il lavoro del portuali, al quali Impartiva le istruzioni necessarie allo svolgimento delle operazioni, così esercitando di fatto poteri di organizzazione e direzione del lavoro a partire almeno dalla fine degli anni Settanta; dal che desume che, per essere stata confermata la sentenza di primo grado, è stata anche dalla gravata sentenza di appello affermata la natura di rapporto di lavoro subordinato tra il socio-lavoratore e la cooperativa, nonostante tanto potesse concludersi solo dopo un positivo riscontro dei presupposti dell'esercizio dell'attività di Impresa da parte di essa Compagnia, riscontro invece mal operato dal giudice di appello, nonostante la prova sul punto articolata perfino dall'Autorità portuale e mai ammessa già In primo grado e a dispetto della presenza di elementi istruttori chiari in senso contrario.
6. Ribattono al primo motivo di ricorso principale le eredi dei lavoratori: doversi applicare, per l'equiparazione del soci-lavoratori al lavoratori subordinati disposta dagli artt. 3, co. 2, d.P.R. 547/55 e 3, co. 2, d.P.R. 303/56, anche alle società cooperative di lavoratori portuali, tra cui la CULP, la normativa antinfortunistica e, di essa, gli obblighi posti ai datori di lavoro, di avviso e di dotazione di adeguate misure di protezione; rilevare comunque tali normative a prescindere dalla qualità di datore di lavoro, inerendo i relativi obblighi proprio all'avviamento al lavoro; doversi qualificare la CULP come imprenditore portuale, del resto operando nel porto di Savona soltanto i titolari di concessione e, dinanzi al carattere pacifico dell'operatività della Compagnia in quel luogo, mai essendo stata offerta la prova negativa pure agevolmente somministrabile proprio da parte di questa; doversi applicare gli artt. 9 e 27 del d.P.R. 1124/65, nonostante la perfino prevalente funzione di «avviatori di manodopera» pure da riconoscersi alle compagnie portuali, mentre la responsabilità di altri soggetti viene ad affiancarsi e non ad elidere quella di queste; riferirsi le norme del «Regolamento per la Sicurezza del lavoro nel Porto di Savona» a tutti indistintamente coloro che vi operano e quindi proprio anche alla CULP, pure ricavandosi a carico di questa un obbligo di protezione per il lavoratore anche dall'art. 4 del d.P.R. 547/55; definirsi il lavoro portuale come anomalo, peculiare e complesso, allo svolgimento del quale concorrono più soggetti, pubblici e privati, sicché ciascuno dei soggetti originariamente convenuti avrebbe potuto evitare la causa dell'evento dannoso, cioè, rispettivamente, l'inalazione di amianto e la malattia professionale con esito mortale; incombere alla CULP fino al 1970 l'obbligo di avviare al lavoro i lavoratori dotandoli dei necessari presidi di sicurezza e, dopo, allorché aveva iniziato a prendere parte anche alle operazioni di pesatura delle merci sbarcate e imbarcate, derivare tale dovere di sicurezza dal ruolo attivo nell'organizzazione del lavoro.
7. Degli altri controricorrenti il P.C., in proprio e nella qualità, ribatte: per l'irrilevanza della qualità di impresa in capo alla Compagnia nella motivazione della gravata sentenza, per la non limitazione, comunque, del suo ruolo al mero collocamento della manodopera, avendo pure la stessa CULP organizzato il lavoro del portuali, dirigendolo ed esercitando pure poteri disciplinari; per la sussistenza di un dovere di sicurezza anche In capo alla Compagnia, negando la rilevanza della giurisprudenza da questa richiamata, siccome relativa a realtà locali - come il Porto di Genova - connotate da diverse caratteristiche normative e di fatto ovvero - come quello di Venezia - In cui era stato provato positivamente che l'unico soggetto dotato di caratteristiche Imprenditoriali era l'Autorità Portuale. Nel ribattere poi al controricorso delle Moretto ed altri, Il medesimo P.C. protesta per la pretesa di riconsiderare in questa sede l'accertamento in punto di fatto, compiuto dalla corte territoriale, sulla limitazione dell'attività di esso P.C. a quella sola amministrativa di ricezione e consegna merce, con esclusione positiva della prova che egli - o la Camagen srl - abbia agito anche quale Impresa di sbarco e Imbarco; per poi ribadire che nessun obbligo spettante all'Impresa portuale graverebbe direttamente In proprio sul raccomandatario marittimo.
8. Dal canto suo, l'Autorità Portuale rimarca, a confutazione del primo motivo di ricorso principale qui In esame, che la giurisprudenza ex adverso invocata si riferiva alla peculiare situazione del Porto di Genova, mentre nella fattispecie la corte di appello aveva In punto di fatto, non revocabile in dubbio nella presente sede di legittimità, In concreto accertato la diversa serie di circostanze per le quali in quello di Savona proprio la CULP aveva esercitato di fatto poteri di organizzazione e direzione del lavoro, così sussistendo quel dovere generico di sicurezza posto a fondamento della sua responsabilità; / ma non manca di confutare la tesi avversarla sulla non configurabllità della qualità di datore di lavoro dei lavoratori poi deceduti, o, se non altro, la sua rilevanza al fini della decisione, anche alla stregua degli artt. 1 e 7 del Regolamento Interno della medesima compagnia (approvato ex art. 188 reg. es. cod. nav. e prodotto in giudizio fin dal primo grado), che riservava ad essa le operazioni anche di carico e scarico all'Interno del Porto e prevedeva la supervisione di Direttori di lavoro per le operazioni di banchina; prosegue ricordando che la stessa giurisprudenza ex adverso invocata ammette la responsabilità della Compagnia nel caso anche solo di fatto essa abbia esercitato attività di impresa o assunto la qualità di datore di lavoro; invoca in ogni modo applicarsi alla fattispecie la disciplina sulle cooperative di lavoro, quale doveva qualificarsi la controparte, con la conseguente responsabilità di quelle, alla stregua soprattutto della giurisprudenza penalistica di legittimità.
9. In ordine al quarto motivo di ricorso principale:
- le eredi dei lavoratori, pur precisando che le carenze di dotazione risalivano a ben prima del tempo ritenuto in sentenza, tanto da chiedere una rettificazione della motivazione sul punto, ribattono adducendo che in ogni caso la Compagnia aveva esercitato attività di impresa anche prima della riforma dell'ordinamento portuale, così dovendo rispondere quale effettiva datrice di lavoro; rimarcano che la circostanza dell'esercizio di attività di impresa - come pure ogni considerazione del ruolo della Compagnia nella determinazione o gestione delle tariffe del lavoro portuale - risulterebbe irrilevante ai fini della sussistenza dell'obbligo di informazione e dotazione di adeguati presidi;
- il controricorrente P.C. ricorda come l'obbligo di dotazione fosse imposto dall'art. 59 della Regolamentazione nazionale per i lavoratori delle compagnie e gruppi portuali, il cui art. 58 era stato invocato dalla ricorrente principale, mentre la prova dei poteri organizzativi in capo alla Compagnia poteva ricavarsi dall'attestazione da quella rilasciata al G.B., che riconosceva avere egli prestato attività lavorativa alle dipendenze della medesima; 
- la controricorrente Autorità Portuale ribadisce l'intangibilità, nella presente sede di legittimità, dell'accertamento in fatto, ma comunque ripropone gli argomenti a sostegno della correttezza della conclusione della corte territoriale in punto di riserva esclusiva alla CULP stessa dello svolgimento delle operazioni portuali e del controllo sulle medesime, con assunzione del ruolo di «appaltatore di fatto» ed espletamento di attività di impresa, come dimostrato pure dalla istruttoria svolta ed adeguatamente richiamata nel controricorso (v. pag. 22).
10. Col quinto motivo di ricorso principale, di «nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c.», la CULP lamenta poi: in primo luogo, un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, queste individuate nell'affermazione della sua responsabilità per violazione di un debito generale di sicurezza e nella contemporanea esclusione di responsabilità dell'Autorità portuale (per carenza di prova di normativa in materia di sicurezza nell'esercizio delle operazioni ad essa commesse, cioè la movimentazione della merce con la gru od altri mezzi di sollevamento meccanico in dotazione e senza le cautele del caso o con modalità improprie e tali da aver contribuito a disperdere l'amianto); in secondo luogo, la carenza di qualsiasi motivazione sul nesso causale quanto a ragioni scientificamente fondate tra omissione delle cautele prescritte dalla legge ed insorgenza della letale malattia professionale, carenza che trasmoderebbe in una mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico (e censurando quindi l'idoneità del passaggio motivazionale della gravata sentenza, nella parte in cui statuisce che «l'omissione delle cautele prescritte dalla legge e suggerite dal buon senso riconduce il rapporto di causalità a quello standard di certezza probabilistica - al quale fa riferimento l'affermazione della responsabilità della Compagnia - che rappresenta uno standard comunemente accettato e sicuramente accettabile in materia di responsabilità civile»).
11. Le controricorrenti eredi dei lavoratori escludono - da un lato - un contrasto, per di più inconciliabile, tra le circostanze poste a base della contemporanea esclusione della responsabilità degli altri convenuti e dell'affermazione di quella della Compagnia, nonché - dall'altro lato - la dedotta carenza di motivazione sul nesso eziologico, rifacendosi alla c.t.u. di primo grado del 22/03/2010, ampiamente richiamata appunto proprio dalla corte di appello; dal canto suo, il controricorrente P.C. nega sia l'inconciliabile contrasto che la carenza motivazionale e, quanto a quest'ultima, evidenzia i richiami nella gravata sentenza alla c.t.u. di primo grado; non espleta sostanziale attività difensiva sul punto, nel controricorso, l'Autorità Portuale.
12. Infine, col sesto motivo, la CULP censura la gravata sentenza di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., nonché nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c.»: al riguardo prendendo le mosse dal fatto che la corte di merito avrebbe accertato che solo a partire dalla fine degli anni Settanta essa CULP avrebbe esercitato di fatto poteri di organizzazione e direzione del lavoro nel porto di Savona, per poi arguire, sulla base del tempo medio di latenza di circa trent'anni, che allora la malattia si era, per entrambi i lavoratori, già causata in tempo anteriore a quando essa avrebbe, a tutto concedere, potuto rispondere quale datore di lavoro.
13. Sul punto, le eredi dei lavoratori contestano dell'argomento sia la rilevanza, visto che la corte di merito ha affermato la responsabilità della Compagnia a prescindere dall'assunzione della qualità di datore di lavoro o di imprenditore (portuale o meno), sia la fondatezza, riferendosi l'indicazione del tempo di latenza della malattia ad una valutazione media - sia pure effettivamente dovendo correggersi le conclusioni raggiunte dalla gravata sentenza in punto di inizio della malattia - e quindi ampiamente rapportabile ad un tempo in cui comunque era stato sussistente l'obbligo di informazione e di dotazione di presidi all'atto del solo avviamento al lavoro; ma pure il controricorrente P.C. nega la rilevanza della circostanza, anche per la positiva prova dell'esposizione al rischio del G.B. e del A.B. fin dal 1957 e dal 1963, con sostanziale irrilevanza eziologica delle esposizioni più recenti; ed infine la controricorrente Autorità Portuale rimarca non avere mai il consulente tecnico di ufficio asserito che il tempo di latenza sia sempre almeno di trent'anni, ma, ben diversamente, puntualizzato variare quello dai dieci ai quaranta, con una media di trenta.
14. I complessi ed articolati motivi non possono essere accolti, perché non si fanno idoneamente carico della chiara ed espressa ratio decidendi della corte territoriale, che fonda la responsabilità della Compagnia, apertis verbis premettendo la totale irrilevanza delle circostanze, lasciate quindi evidentemente impregiudicate (a dispetto di quanto in contrario argomentato espressamente dalla ricorrente principale col quarto motivo, ma effettivamente implicante un sindacato diretto, non ammissibile in questa sede di legittimità, sulle conclusioni della corte territoriale all'esito della valutazione del materiale istruttorio almeno su determinate rilevanti circostanze), dell'esercizio di attività di impresa e dell'assunzione della qualità di datore di lavoro da parte sua, su di un «debito o dovere di sicurezza nei confronti dei lavoratori portuali, che le imponeva ... di dotare i lavoratori che avviava al lavoro di idonei presidi antinfortunistici personali e di controllarne l'effettivo utilizzo». 
15. La contestazione, quindi, della sussistenza della qualità di datore di lavoro o dell'esercizio dell'attività di impresa, ampiamente sviluppata e a differenti epoche riferita, risulta effettivamente del tutto inconferente ai fini della decisione, perché rivolta a presupposti espressamente ritenuti irrilevanti dalla corte di appello, senza adeguata contestazione - da parte della ricorrente principale - dell'idoneità e congruità di quelli alternativi invece posti a base del riconoscimento di responsabilità.
16. Del resto, il ruolo di organizzazione, pure solo al momento iniziale e cioè dell'avviamento mediante formazione di squadre predisposte per l'esecuzione del servizio, nel lavoro, idoneo a fondare la responsabilità della Compagnia, non è adeguatamente contestato in quanto tale, anzi ponendosi in luce dalle altre parti perfino l'assunzione di un ruolo ancora più pregnante, a partire dal 1970, con la partecipazione anche alle operazioni di pesatura delle merci sbarcate e imbarcate e quindi di un compito sicuramente attivo nell'organizzazione e gestione del lavoro.
17. Tale ruolo di organizzazione viene anzi non infondatamente posto a base dalla corte territoriale di un dovere di sicurezza, ampiamente motivato a pag. 5 della gravata sentenza con riferimento agli artt. 2 e 21 del Regolamento per la sicurezza del lavoro nel Porto di Savona e art. 4 del d.P.R. n. 303/56, come generale e cioè appunto riferito a tutti indistintamente o comunque a coloro che prendevano parte a qualunque titolo all'organizzazione del lavoro: dovere di sicurezza ricavato da norme, quand'anche di rango secondario, c
he si affiancano a quelle di rango primario, solo per l'applicazione delle quali sarebbe stato invece necessario risolvere - cosa che appunto la corte territoriale, scientemente, può allora permettersi di evitare di fare, avendo dato preponderante rilevanza all'altro profilo - la preliminare questione dello svolgimento di attività di impresa da parte del responsabile o di datore di lavoro dei due lavoratori poi deceduti da parte anche della Compagnia.
18. Effettivamente, poi, secondo quanto rimarcano alcuni tra i controricorrenti, la giurisprudenza in contrario invocata dalla ricorrente principale non può essere applicata alla fattispecie, per la peculiarità della medesima: la quale impedisce di generalizzare le conclusioni cui quella perviene, siccome di volta in volta collegata a realtà locali caratterizzate da differenti elementi di fatto o presupposti normativi, ad esempio per la presenza di discipline locali di tenore diverso rispetto alla normativa del Porto di Savona o, ad ogni buon conto, per un accertamento di fatto ed in concreto - e quindi non generalizzabile - della concreta titolarità di caratteristiche imprenditoriali esclusivamente in capo all'Autorità Portuale, discipline ed accertamento che non rilevano dinanzi alla specifica ratio decidendi della qui gravata sentenza di assoluta e radicale irrilevanza del presupposto imprenditoriale e datoriale.
19. Quanto poi al nesso eziologico, è evidente che la gravata sentenza motiva idoneamente, con un giudizio in fatto che si sottrae a censura in questa sede in quanto scevro da quei soli gravissimi ormai rilevanti ai fini del controllo da parte di questa Corte sulla motivazione in fatto come rimodellato con la novella del n. 5 dell'alt. 360 cod. proc. civ. (come interpretato da questa Corte a partire da Cass. Sez. U. nn. 8053, 8054 e 19881 del 2014), sull'idoneità della prolungata esposizione all'inalazione di amianto ai fini dell'insorgenza della malattia: invero, è tutt'altro che apparente il fondamento della valutazione di certezza probabilistica su ragioni di buon senso e, implicitamente, sulle indicazioni desunte dall'ampio materiale di causa in ordine alla probabilità del nesso tra inalazione prolungata di polveri di amianto ed insorgenza della grave patologia neoplastica all'apparato respiratorio. 
20. Infine, la data di effettiva insorgenza del morbo non rileva, una volta che la ratio deciderteli della responsabilità della Compagnia è stata individuata, a prescindere dalla sua qualità di datore di lavoro e di esercente un'impresa, in virtù del suo ruolo, rivestito fin da sempre e certamente fin dal primo anno di servizio del primo dei lavoratori deceduti, di organizzatore del lavoro o, in ogni caso, di operatore all'Interno del Porto di Savona con compiti di gestione anche indiretta dei lavoratori stessi al momento del loro avviamento al lavoro; ruolo che è stato rivestito dalla Compagnia durante tutto il periodo di potenziale esposizione al rischio in base agli accertamenti di fatto compiuti dalla corte territoriale, non utilmente revocabili in dubbio in questa sede, per essere la valutazione delle prove tuttora rimessa al giudice del merito (tanto corrispondendo a consolidato insegnamento, su cui, per tutte, v. Cass. Sez. Un., n. 20412 del 2015, ove ulteriori riferimenti).
21. La prospettazione di contraddittorietà della motivazione per riconoscimento della responsabilità della CULP e non anche della stessa Autorità, che costituisce oggetto della doglianza, va invece esaminata in uno ai motivi di ricorso principale che tendono a fare affermare la responsabilità della seconda, visto che è riconosciuta qui la coerenza e congruenza, oltre alla correttezza, degli argomenti e delle ragioni poste a fondamento del riconoscimento della responsabilità della prima.
 

 

B) La responsabilità degli altri originari convenuti: l'Autorità Portuale.
22. Deve, in via preliminare, rilevarsi l'inammissibilità del secondo e del terzo motivo del ricorso principale, coi quali la CULP si duole, rispettivamente: di «violazione e falsa applicazione degli artt. 108, 109, 112 e 1254, cod. nav., 140, 142, 148, 202 e 203 reg. cod. nav., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.» e di «Sotto altro profilo: nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione del principio di vicinanza della prova derivante dagli artt. 116 e 88 c.p.c.»: in buona sostanza contestando l'esclusione della responsabilità dell'Autorità portuale, fondata dalla corte territoriale sull'elisione di un nesso causale diretto tra l'inosservanza dei poteri di vigilanza e controllo a quella facenti capo e l'esposizione all'amianto ad opera dell'interposizione della Compagnia; e di «violazione o falsa applicazione degli artt. 287, 288, 290, cod. nav. In relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.», nella parte in cui è stata dalla gravata sentenza esclusa la responsabilità del P.C., in proprio e quale legale rappresentante della srl Camagen, benché raccomandatario marittimo.
23. Al riguardo, non ha tecnicamente titolo, né interesse, il corresponsabile - riconosciuto tale con capo della pronuncia non impugnato ovvero (come nella specie) Impugnato con mezzo di censura inammissibile o infondato - a contestare la mancata condanna di altri convenuti originari, una volta affermata la sua responsabilità nella causazione del danno, ove non abbia - come non risulta avere, stando agli atti legittimamente esaminabili da questa Corte - dispiegato azione di rivalsa verso gli eventuali corresponsabili o richiesto tempestivamente la graduazione delle responsabilità, a fare affermare la corresponsabilità di altri, dovendo comunque egli rispondere dell'intero, ai sensi dell'art. 2055 cod. civ., nei confronti dei danneggiati.
24. Infatti (per tutte: Cass. Sez. U. 20/06/17, n. 15279, punto 26 delle ragioni in diritto; Cass. 10/05/2001, n. 6502; Cass. 02/02/2006, n. 2266; Cass. 16/02/2012, n. 2227), la solidarietà passiva nel rapporto obbligatorio è prevista dal legislatore nell'interesse del creditore e serve a rafforzare il diritto di quest'ultimo, consentendogli di ottenere l'adempimento dell'intera obbligazione da uno qualsiasi dei condebitori, mentre non ha alcuna influenza nei rapporti interni tra condebitori solidali, fra i quali l'obbligazione si divide secondo quanto risulta dal titolo o, in mancanza, in parti uguali; pertanto, l'impugnazione da parte di uno dei condannati, volta a sostenere la responsabilità anche di altro dei potenziali responsabili o una diversa misura della colpa tra i convenuti già condannati, presuppone il tempestivo e rituale dispiegamento davanti al giudice del merito della domanda di rivalsa nei confronti di costoro, non venendo meno, proprio in forza dell'art. 2055 cod. civ., la sua responsabilità per l'intero nei confronti del danneggiato: sicché, in difetto di tale domanda, la condanna non aggrava la sua posizione di debitore dell'intero, né pregiudica in alcun modo il suo eventuale diritto di rivalsa, non essendo stato dedotto in giudizio il rapporto interno che lo lega all'altro debitore; e, se domanda di rivalsa - in senso tecnico - non vi è stata - o, per quel che si è detto, non si adduce in ricorso esservi stata - da parte di uno dei convenuti nei confronti degli altri indicati come corresponsabili e riconosciuti tali, allora i primi non hanno titolo per dolersi della sorte della domanda contro gli altri (se non sotto il solo profilo, che comunque hanno svolto con gli altri motivi di ricorso e qui ritenuti infondati, dell'affermazione della sola propria responsabilità).
25. L'inammissibilità appena pronunziata delle doglianze della responsabile preclude logicamente l'ulteriore esame dell'ulteriore sua doglianza di contraddittorietà della decisione per esclusione della responsabilità di altri fra gli originari convenuti: non potendo la ricorrente principale utilmente fare valere quest'ultima, non può di conseguenza giovarsi neppure di una presunta contraddittorietà della esclusione dell'altrui responsabilità, sol che - per quanto fin qui argomentato - sia corretta l'affermazione della sua.
26. La responsabilità di altri fra gli originari convenuti, una volta che - con la reiezione del primo gruppo di doglianze della sola condannata - sia non più revocabile in dubbio almeno quella di uno di loro, può quindi legittimamente essere fatta valere, quale motivo di censura della sentenza di appello che l'ha esclusa, solamente dai danneggiati, sul punto tecnicamente soccombenti.
27. Ed in effetti le eredi dei lavoratori, col controricorso e ricorso incidentale:
- da un lato, condividono - e, così, fanno proprie, indirettamente reintroducendole nel thema decidendum legittimamente esaminabile da questa Corte - le censure sul punto mosse dalla ricorrente principale, la quale aveva negato che all'Autorità portuale fossero devolute mere funzioni amministrative, spettandole invece la regolamentazione del lavoro nel porto, con riguardo alla disciplina ed alla vigilanza delle operazioni di imbarco e sbarco delle merci, alla tenuta dei registri dei lavoratori portuali e all'irrogazione di eventuali sanzioni disciplinari nei loro confronti, oltre che alla determinazione di tutte le tariffe del lavoro portuale, nonché pure - in base alla legge istitutiva dell'Ente Autonomo del Porto di Savona - la «gestione diretta dei mezzi meccanici per l'imbarco, lo sbarco ed il movimento in genere delle merci»; in sostanza, richiamando le censure della CULP, anche le ricorrenti incidentali qui propongono la tesi in base alla quale, lungi dall'interporsi fino ad elidere il nesso causale tra le omissioni dell'Autorità portuale e l'esposizione all'amianto dei lavoratori, la stessa CULP non poteva in alcun modo interferire con la doverosa attività dell'unico soggetto dotato dei poteri di organizzazione, direzione e disciplina del lavoro;
- dall'altro lato, comprensibilmente si dissociano dal motivo di ricorso principale per negare l'esclusione della responsabilità della Compagnia, ribadendo che questa non si limitava all'avviamento al lavoro, ma formava le squadre anche sulla base delle informazioni sulla quantità e qualità della merce, gestiva i mezzi meccanici per l'imbarco e lo sbarco della merce ad alto tonnellaggio ed era onerata di fornire le istruzioni di comportamento ai propri lavoratori, per poi assumere, a partire dal 1970, anche le funzioni di pesatura e quindi un ruolo diretto nel processo esecutivo del lavoro delle maestranze portuali; le stesse eredi dei lavoratori escludono poi la rilevanza sia della giurisprudenza invocata dalla CULP, siccome riferita a situazioni peculiari, sia del «criterio di vicinanza» che la corte di merito adotta per elidere il nesso causale tra le omissioni dell'Autorità e l'inalazione di amianto, dinanzi alla prova di quelle e soprattutto in presenza di autentici poteri interdittivi, in capo all'Autorità, di avvicinamento e sbarco per le navi che trasportassero sostanze pericolose;
- ed infine lamentano, dal canto loro e col primo motivo (rubricato sub «A», a pag. 50 del loro controricorso) di ricorso incidentale, «violazione, falsa e/od omessa applicazione delle normative generali e di settore relative alle attività all'epoca svolte dall'EAP di Savona I. 1/3/1968 n. 173, R.D. 9/1/1941 n. 541 e D.L.C.P.S. 22/12/1947 n. 1697 ex artt. 2043, 2050, 2051, 2055, 2059, 2087 c.c.; artt. 110, 113, 185, 187, 589, commi 2 e 3 cod. pen.; artt. 108, 109, 110, 111, 112 e 1254, 2° comma, 1279 cod. nav., 140, 142, 148, 202, 203 reg. cod. nav.; artt. 9 e 27 d.P.R. 30/6/1965 n. 1124, artt. 3, comma 2, 4 lettere a b , 15 e 21 del d.P.R. n. 303/1956, nonché artt. 3, comma 2, 4 lettere a b c, 377, 378, 379 e 387 del d.P.R. n. 547/1955; artt. 1, 2, 21, 26, 31 del Regolamento della Sicurezza nel Porto di Savona; in relazione agli artt. 112, 371 e 360 n. 3 c.p.c.».
28. Al riguardo, esse contestano l'esclusione della responsabilità dell'Autorità Portuale di Savona, nonostante l'attribuzione ad essa - e, prima di essa, all'Ente Autonomo del Porto di Savona (EAP) - di funzioni di vigilanza e controllo sul lavoro portuale e, in generale, sulla movimentazione delle merci in ambito portuale, nonché del diretto esercizio di operazioni portuali (quali la manovra e la manutenzione di gru, trasporti interni e magazzinaggio): tanto che la responsabilità dell'Autorità portuale non era certo elisa da quella della Compagnia, ma anzi ad essa si affiancava, del resto risultando dal testimoniale escusso l'esposizione anche dei de cuius alla «nuvola di amianto» che si sollevava all'interno della stiva quando i sacchi caricati erano alzati appunto dopo essere stati imbragati e quindi da personale addetto alla gru e necessariamente dipendente dall'Ente Porto prima e dall'Autorità portuale poi.
29. Le stesse ricorrenti incidentali lamentano, poi, col terzo motivo (rubricato sub «C», a pag. 64 del controricorso con ricorso incidentale), «omessa valutazione e declaratoria della responsabilità solidale e/o concorrente dei soggetti originariamente convenuti in primo grado e parti in giudizio di appello ex art. 371 epe e la normativa civile e penale infra ed ultra indicata: violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, n. 3, cpc»: sostanzialmente dolendosi della mancata considerazione della solidale responsabilità di tutti i convenuti, ciascuno per i titoli rispettivamente esaminati, nella causazione dell'evento.
30. E però tale complessiva doglianza delle danneggiate, quanto alla (cor-)responsabilità dell'Autorità Portuale, è anch'essa ed a sua volta inammissibile, in questo caso per insanabile e non sanato difetto di notifica del controricorso, contenente il ricorso incidentale che quella censura alla gravata sentenza muoveva, proprio (anzi, solo) alla parte nei cui confronti essa era diretta.
31. Infatti, soltanto in sede di udienza di discussione le ricorrenti incidentali si inducono a versare l'avviso di ricevimento della raccomandata (n. 76594664053-3, spedita in data 01/12/2015) con cui avevano avviato per la notifica a mezzo posta il loro controricorso, contenente il ricorso incidentale; ma da esso si ricava (stando alla relata chiaramente appostavi in data 04/12/2015) che l'atto, spedito all'avv. Raffaella Turco quale difensore e domiciliatario della stessa Autorità Portuale al domicilio eletto per il giudizio di appello, cioè in corso A. Podestà n. 11/2 Genova, non è mai stato notificato per irreperibilità del destinatario, senza che a tale negativa relata sia seguita mai alcuna altra attività del notificante per riprendere il procedimento notificatorio e meno che mai nei rigorosi e ristretti tempi ora riconosciuti dalla giurisprudenza di questa Corte (nel limite massimo di una ulteriore metà del termine originario: Cass. Sez. U. 15/07/2016, n. 14594).
32. Ora, è noto che la notifica a mezzo del servizio postale non si esaurisce affatto con la spedizione dell'atto, ma si perfeziona necessariamente con la consegna del relativo plico al destinatario (tra molte: Cass. 04/06/2010, n. 13639; Cass. 21/07/2014, n. 16574): sicché, non rinvenuto sic et simpliciter quest'ultimo e restituito con questa sola annotazione sulla relata al mittente l'atto, la notifica non si è mai perfezionata in quanto tale.
33. Va certo tenuto presente che, di recente, le Sezioni Unite di questa Corte hanno ridefinito la distinzione tra nullità ed inesistenza della notifica del ricorso per cassazione, sancendo che (Cass. Sez. U. 20/07/2016, n. 14916, già seguita, tra le altre, da Cass. ord. 27/01/2017, n. 2174) «l'inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità», sicché, al fine di distinguere una nullità - sanabile - da una inesistenza - insanabile - occorre verificare, per quel che qui rileva, se, nella fase di consegna, vi sia stato o meno il raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall'ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, così, esclusi (e rientrando pertanto nella categoria della inesistenza non sanabile) soltanto i casi in cui l'atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.
34. Ritiene il Collegio che la restituzione dell'atto da notificare con annotazione di irreperibilità del destinatario nel luogo in cui quello è stato indirizzato integra una non-notificazione, stando ai concetti presupposti dalla appena richiamata sentenza delle Sezioni Unite (che rievoca la distinzione tra atto e non atto), ma soprattutto consacra la carenza, in detto luogo, di qualunque potenziale collegamento tra l'uno e l'altro e comporta che la notifica non si sia mai perfezionata: ciò che va perciò inteso come inesistenza della notificazione ovvero come notificazione non eseguita, non potendo dirsi che quell'atto sia entrato in alcun modo nella sfera di conoscibilità del destinatario (v. punto 2.6 della motivazione in diritto della richiamata Cass. Sez. U. 14916 del 2016).
35. Se ne conclude che quindi un tale controricorso, non mai notificato alla parte nei cui confronti la decisiva censura era destinata, non ha mai potuto attivare validamente nei confronti di quella stessa il contraddittorio sulla censura avverso la sentenza di secondo grado che la assolveva da ogni pretesa dei notificanti nei suoi confronti.
36. Né in contrario rileva che sul punto il destinatario dell'atto abbia potuto aliunde trarre conoscenza o comunque in qualche modo dispiegare le sue difese: sotto entrambi i profili, basti annotare che la connotazione pubblicistica del giudizio di legittimità, altamente formale ed ispirato alla necessità di rigorosi criteri per la sua stessa introduzione (anche di recente ritenuti non solo del tutto compatibili coi principi del giusto processo, ma anzi ad esso funzionali: Cass. ord. 05/04/2017, n. 8845, punto 7 delle ragioni della decisione), esige che  la sua instaurazione abbia luogo secondo le regole processuali sul punto fissate, a tutela del diritto di difesa della controparte e del superiore interesse alla formazione del giudicato, funzionale a quello della certezza del diritto. 
37. Inoltre, in via dirimente, il (successore del) destinatario dell'atto non notificato, nel prendere in qualche modo posizione sul medesimo con la memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ., ha esordito chiaramente ed espressamente premettendo di non accettare il contraddittorio sul controricorso con ricorso incidentale dispiegato nei suoi confronti e di volersi avvalere delle conseguenze a lui favorevoli dell'omessa notificazione; premessa e dichiarazione alle quali, a tutela effettiva del diritto della parte nei cui confronti l'impugnazione per cassazione è rivolta, va attribuito soltanto il significato di sollecitazione al rilievo, da parte di questa Corte, di questioni rilevabili comunque di ufficio, ma non anche quello di sanare la non mai eseguita, né diligentemente ritentata, notificazione dell'indispensabile atto di instaurazione dell'impugnazione stessa in questa sede.
38. Tanto esclude che alcuna altra questione - come l'apparente coincidenza del luogo dove la notificazione è stata tentata, ma non eseguita, con quello indicato nell'elezione di domicilio risultante dalla stessa intestazione della sentenza di appello - possa utilmente in questa sede svolgersi in punto di notificazione del controricorso delle eredi dei lavoratori contenente il ricorso incidentale, attesa la rilevata inerzia dei notificanti nel lungo lasso di tempo seguito al conseguimento dell'avviso di ricevimento con l'indicazione di irreperibilità del destinatario all'indirizzo e perdurata anzi fino all'udienza di discussione, con violazione quindi dei termini perentori - a presidio, come detto, del giudicato - a tal fine fissati e senza neppure l'allegazione dell'incolpevole impossibilità di rispettarli.
39. Infine, non può ordinarsi, né su istanza di parte - che non vi è stata - né di ufficio, alcuna rinnovazione della notificazione o alcuna integrazione del contraddittorio: non la prima, non potendo applicarsi l'art. 291 cod. proc. civ. ai casi di inesistenza della notificazione (per un caso assolutamente analogo: Cass. 26/03/2010, n. 7358), qual è quello per cui è causa; non la seconda, trattandosi di causa con ogni evidenza da qualificarsi scindibile, in quanto domanda risarcitoria rivolta verso più soggetti prospettati come tutti e ognuno egualmente o solidalmente responsabili (tra molte: Cass. ord. 12/02/2016, n. 2854; Cass. 30/08/2011, n. 17795) e senza che l'accertamento della responsabilità dell'uno dipenda da quello della responsabilità dell'altro (Cass. 10/04/2014, n. 8413; a contrario, v. Cass. 08/02/2012, n. 1771), sicché la domanda va qualificata come cumulativa e, trascorso il termine di cui all'art. 332 cod. proc. civ., la mancata applicazione di tale norma non produce alcun effetto (Cass. ord. 30/11/2016, n. 24482; Cass. 12/12/1997, n. 12608).
40. Con riferimento (solo) all'Autorità portuale, pertanto, il ricorso incidentale delle eredi dei lavoratori è inammissibile: e tanto comporta l'inammissibilità del secondo e, in parte qua, del terzo motivo, essendo i medesimi, sotto questo profilo, diretti appunto nei confronti di quella parte nei cui confronti non è stato instaurato il contraddittorio nella presente sede di legittimità.
41. Va solo notata l'irrilevanza od inammissibilità, nella presente sede, dell'eccezione di inoperatività della polizza sollevata, in via subordinata, dalla Generali Italia spa nel primo controricorso: a tale riguardo prospettandosi l'alternativa tra la necessità della sua formalizzazione con ricorso incidentale condizionato - del quale mancherebbero peraltro i requisiti di contenuto-forma di cui ai nn. 3 e 6 dell'art. 366 cod. proc. civ. - e la sufficienza della sua riproposizione in sede di giudizio di rinvio, ove non siano maturate in precedenza preclusioni sul punto.

 


C) La responsabilità del raccomandatario.
42. Va affrontata a questo punto la terza delle questioni indicate sopra al punto 1 delle ragioni della decisione, che è posta dal terzo motivo del ricorso principale e dal secondo motivo - e, in parte qua, dal terzo - di quello incidentale: tuttavia, per quanto su argomentato (sopra, punti 23 e 24), il primo di quelli appena menzionati, siccome proposto dal corresponsabile che non ha svolto domanda di rivalsa od espressa richiesta di determinazione delle quote di concorso nella causazione del danno, è inammissibile, sicché possono esaminarsi solo le doglianze delle eredi dei lavoratori.
43. Al riguardo, per la verità, la sentenza di appello, pur dato atto avere il giudice di primo grado escluso la passiva legittimazione tanto del P.C., in proprio e quale legale rappresentante della srl Camagen, benché raccomandatario marittimo, che di detta società, ha poi a chiare lettere definito non provata la circostanza di fatto che essi non si sarebbero limitati al disbrigo dell'attività amministrativa di ricezione e consegna della merce - su soli documenti - e senza mai entrare in contatto coi carichi, ma anzi avrebbero agito anche quale impresa di imbarco e sbarco della merce, richiedente la manodopera portuale e quindi committente e datore di lavoro in senso lato delle stesse maestranze portuali; per poi escludere - a tutto concedere - in concreto un nesso di causalità tra i soli sporadici sbarchi di amianto da navi sicuramente assistite dal P.C. e l'inalazione di amianto da parte del G.B. o del A.B. (ed anzi uno di tali episodi, quello relativo al carico della nave Tropeoforos, essendo risultato insussistente).
44. Anche in questo caso le ricorrenti incidentali aderiscono alla - qui dichiarata inammissibile - impostazione difensiva della ricorrente principale, secondo la quale avrebbe la stessa corte territoriale dato atto che il P.C. aveva svolto il ruolo di raccomandatario dell'armatore Genchart BV, per arguirne, da un lato, la rappresentanza sostanziale e processuale del primo rispetto al secondo pure in ordine alle relative obbligazioni risarcitone, nonché, dall'altro lato, la qualità di effettivo datore di lavoro del secondo; ricordano che la sua attività era ben maggiore di quella di mero agente, tanto risultando sia dall'intestazione stessa di una fattura esibita, sia da un estratto di visura storica della C.C.I.A.A., avendo svolto anzi la Camagen srl pure l'attività di «caricatore» proprio nel periodo dello sbarco del carico di 700 tonnellate di amianto nel gennaio del 1987 dalla motonave Christina Smits di proprietà della GenChart BV; e comunque dovendo l'agente raccomandatario marittimo qualificarsi, siccome richiedente la manodopera portuale, datore di lavoro delle maestranze.
45. In via autonoma impugnando la gravata sentenza sul punto, le ricorrenti incidentali M.-B.-P.-G.B. si dolgono, poi, col secondo motivo (rubricato sub «B», a pag. 53 del controricorso con ricorso incidentale), di «violazione, falsa e/od erronea applicazione della normativa generale e di settore relativa alle attività all'epoca svolte dal P.C. - in proprio e nella qualità - artt. 2043, 2050, 2051, 2055, 2059, 2087 c.c.; artt. 110, 113, 185, 187, 589, commi 2 e 3 cod. pen.; artt. 108, 109, 110, 111, 112 e 1254, 2° comma, 1279 cod. nav., 196, 197 reg. cod. nav.; artt. 4 9 e 27 d.P.R. 30/6/1965 n. 1124, art. 4 d.P.R. 19/3/1956 n. 303, artt. 1, 3 comma 2, 4 lettere a b c, 377, 378, 379 e 387 deld.P.R. n. 547/1955;  artt. 3, comma 2, 4 lettere a b c, 15 e 21 d.P.R. n. 303/1956; artt. 2, 21, 26, 31 del Regolamento della Sicurezza nel Porto di Savona; in relazione agli artt. 112, 371 e 360 n. 3 c.p.c.».
46. Al riguardo, esse negano che il P.C. svolgesse unicamente attività di raccomandatario puro, sulla base dell'intestazione della fattura del 10/08/1989 e di un'attestazione della CCIAA, come pure dei documenti di un'attività di carico almeno in occasione dell'imbarco della motonave Christina Smits il 26/01/1987, nonché di altri, un primo del 06-07/06/1989; deducono avere il medesimo Camposano sino al 1989 svolto l'attività di agente raccomandatario dell'armatore, così risultando irrilevante che egli non avesse ottemperato a quanto a lui ingiunto dalla USL di Savona anche ex art. 4 d.P.R. 547/55; negano rilevanza al carattere sporadico dell'assistenza prestata dal Camposano alle navi che trasportavano amianto, avendo quegli svolto le funzioni di agente raccomandatario per tutte quelle che quei trasporti avevano operato; richiamano le risultanze di un verbale di accertamento di sversamento di amianto anche durante precedenti operazioni di scarico sulla M/n Tropeoforos.
47. Il controricorrente P.C., replicando al ricorso della CULP, premette l'irrilevanza dello scalo del giugno 1989 della M/n Tropeoforos, siccome conclusosi senza fare sbarcare il materiale, per poi precisare che per lo scalo della Christina Smits la sola attività prestata si era limitata all'invio della domanda di accosto, per poi ricordare le incombenze del raccomandatario marittimo (che non viene a contatto con la merce, ma presta attività esclusivamente su documenti) in senso stretto, osservando che la pur sussistente rappresentanza processuale e sostanziale dell'armatore non rileverebbe se non perfino per escludere la legittimazione passiva in proprio del raccomandatario stesso; ricorda non essere stato provato che egli fosse preposto ad una sede secondaria dell'impresa di trasporto o avesse l'incarico di promuovere stabilmente dei contratti; infine, rammenta avere egli speso il nome dell'armatore, Genchart BV, come riconosciuto dalla gravata sentenza.
48. Nel ribattere al ricorso incidentale, il medesimo P.C. nega partitamente rilevanza o fondatezza delle tesi desumibili dagli elementi addotti, rimarcando non esservi prova né che la Camagen abbia mai operato quale caricatore, né che siano stati mai lui o la Camagen datori di lavoro delle maestranze portuali; e, poi: nega vi sia la prova che lui stesso o la Camagen abbiano richiesto le maestranze portuali o che siano coloro nel cui interesse le operazioni portuali sono state compiute ai sensi anche dell'art. 27 d.P.R. 1124/65, in subordine prospettando che, altrimenti, unico legittimato passivo sarebbe stato l'armatore o il noleggiatore o il vettore rispettivamente mandante; nega di avere mai assunto la qualità di datore di lavoro, nemmeno in via indiretta, di maestranze portuali, così mai esercitando o dirigendo le operazioni portuali di movimentazione dei carichi; rimarca essere stato accertato dalla corte di merito che né lui, né la Camagen avevano procurato carico per le navi per le quali avevano svolto attività di raccomandazione, o svolto attività di caricatore della merce trasportata dalla M/n Christina Smits; ricorda la valutazione in punto di fatto, compiuta dalla corte di merito, sull'irrilevanza ai fini di causa dello scalo della M/n Tropeoforos nel giugno 1989; sottolinea che l'intestazione della fattura non dà conto certo di attività molto diverse e di minore ampiezza in concreto svolte e che, in senso analogo, la possibilità di svolgere attività più ampia non significa che esse siano state appunto in effetti esercitate, contrariamente a quanto, ancora una volta in punto di fatto, in questa sede insindacabilmente accertato dal giudice del merito; nega ammissibilità e rilevanza del diretto riesame invocato di documenti in questa sede; nega potersi riferire le precedenti operazioni di carico e scarico dalla Tropeoforos, oggetto del verbale del giugno 1989, allo stesso porto di Savona.
49. La censura delle eredi dei lavoratori, che stavolta è ammissibile per essere stata ritualmente notificata alla controparte nei cui confronti è direttamente rivolta, è tuttavia infondata, perché, con valutazione in fatto non censurabile in questa sede in quanto scevra da quei vizi gravissimi soli a rilevare dopo la novella del n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. di cui già si è detto sopra (al punto 19) e riservata al giudice del merito (v. sopra al punto 20), la gravata sentenza qualifica non provata la circostanza che il P.C. avrebbe agito anche quale impresa di imbarco e sbarco e quindi datore di lavoro in senso lato delle maestranze portuali, per escludere poi l'esistenza di un rapporto di causalità tra gli sporadici sbarchi di amianto effettuati nel porto di Savona da navi assistite dal P.C. e l'inalazione di amianto proprio da parte dei lavoratori deceduti G.B. e A.B.; né valendo in contrario dedurre la qualità del P.C. stesso o la sua potenziale assunzione del ruolo dedotto, ove sia stato appunto in fatto escluso che, nei soli episodi provati, questi possano avere rivestito la qualità di presupposti causali o concausali dell'inalazione di polvere di amianto.
50. L'infondatezza del secondo motivo di ricorso incidentale comporta la definitiva reiezione anche del terzo, con cui le eredi dei lavoratori hanno denunziato l'erronea esclusione della concorrente e solidale responsabilità, in uno a quella della Compagnia Unica dei Lavoratori Portuali, pure degli altri due originari convenuti Autorità Portuale e P.C.: infatti, non può concorrere la responsabilità della CULP con quella che va definita inesistente corresponsabilità di altri fra gli originari convenuti (e cioè, dell'Autorità Portuale per inammissibilità della censura da ascriversi al non emendabile vizio della carenza originaria di notifica del ricorso incidentale, del P.C. per infondatezza della censura relativa, benché stavolta ammissibile).
51. Il ricorso incidentale condizionato proposto da Genchart BV, infine, con l'unico motivo del quale è proposta la doglianza di «difetto di legittimazione passiva di Genchart B.V. - violazione dell'art. 288 cod. nav. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. - omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.», a prescindere dai serissimi dubbi di ammissibilità quanto ai requisiti di contenuto-forma ed in particolare quanto all'osservanza dei nn. 3 e 6 dell'art. 366 cod. proc. civ. (anche sotto il profilo dell'indicazione della sede processuale della sottoposizione al giudice del merito della tesi oggi lamentata come non considerata, con indicazione del tenore testuale dell'atto con cui tanto sarebbe avvenuto), resta in ogni caso assorbito dal qui pronunciato rigetto delle doglianze nei confronti della parte chiamante in garanzia P.C., in proprio e nella qualità. 
 

 

D) Per passare all'ultimo gruppo di questioni, vanno presi in esame gli ultimi tre motivi di ricorso incidentale.
52. Le ricorrenti incidentali M.-B.-P.-G.B. prospettano, col quarto motivo (rubricato sub «D», a pag. 70 del controricorso con ricorso incidentale), la necessità di «correzione della gravata sentenza ex artt. 371 e 384 ult. comma cpc»: argomentando nel senso della necessità di rettificare il riferimento della sentenza di appello, anziché al tempo di «iniziazione [sic] della malattia», a quello di «inizio del periodo di esposizione a rischio», per la differenza tra i due concetti.
53. Senza neppure la necessità di dar conto delle repliche dei controricorrenti, il motivo è radicalmente inammissibile, per totale difetto di interesse alla modifica di passaggi motivazionali ritenuti non conformi a diritto, quando il risultato finale è comunque di accoglimento della pretesa o, comunque e come avviene nel caso in esame, quando nessuna conseguenza pregiudizievole deriva in concreto da quelli sul riconoscimento della fondatezza della pretesa, anche alla stregua della ratio deciderteli della gravata sentenza, che ricollega le responsabilità ad una serie di condotte omissive tenute certamente anche nei periodi diversi che le impugnanti invocano espressamente considerarsi.
54. Ancora, col quinto motivo di ricorso incidentale (rubricato sub «E», a pag. 72 del relativo controricorso), è lamentata l'ingiustizia della gravata sentenza «in punto voci e/o titoli di danno iure successionis trasmissibili alle eredi e superstiti di G.B. e B. A.: violazione, falsa e/o erronea applicazione degli artt. 2055, 2056, 2057, 2059, 2087 e 1226 c.c., ai sensi degli artt. 112, 360 - n. 3 - e 371 cod. proc. civ.». In estrema sintesi, le ricorrenti incidentali contestano la gravata sentenza per avere mantenuto fermi i riferimenti alle cc.dd. «tabelle milanesi» vigenti nel 2009 e cioè al momento della pronuncia della sentenza di primo grado, anziché fare riferimento a quelle successive nel frattempo pubblicate, poi specificando la doglianza per l'ingiustificata differenziazione dei criteri di liquidazione del danno iure hereditatis, tra cui quella indotta dalla parametrazione di esso solo per uno dei due alla vita attesa anziché a quella effettiva, con finale determinazione in un importo venti volte inferiore rispetto all'altro; e non mancando di sostenere l'inadeguatezza della personalizzazione nonostante il prolungato periodo di sopravvivenza nella dolorosa attesa della morte.
55. Con lo stesso motivo, per entrambi i congiunti mancati ai vivi le M.-B.-P.-G.B. invocano poi il risarcimento del danno da perdita della vita, ai sensi di Cass. 1361/14, chiedendo di disattendere il contrario dictum di Cass. Sez. U. 15350/15 in relazione alle peculiarità del caso concreto; e, quanto ai danni iure proprio, contestano l'applicazione delle tabelle milanesi del 2009 anziché del 2014 almeno quanto a Milena .B., oltretutto secondo criteri non omogenei a quelli (prossimi ad una media tra i valori minimi e massimi) applicati per le altre liquidazioni.
56. Il controricorrente P.C., oltre a riservarsi di riproporre le contestazioni alla liquidazione in sede di eventuale rinvio, partitamente prende in esame le doglianze così avanzate dalle ricorrenti incidentali, per contestarne in radice tanto l'ammissibilità - anche solo per novità in relazione all'indeterminatezza della originaria formulazione della domanda - che la fondatezza.
57. Inammissibile la doglianza - ai sensi dell'art. 360-bis n. 1 cod. proc. civ., secondo l'interpretazione di recente affermata della norma da Cass. Sez. U. 21/03/2017, n. 7155 - sul danno da perdita della vita per non essere stati prospettati elementi idonei a superare il chiaro ed argomentato dictum di Cass. Sez. U. 15350/15, le altre doglianze sono a vario titolo inammissibili: quelle sulla mancata applicazione delle tabelle milanesi, sia perché non risulta in ricorso essere stato indicato il passaggio dell'atto del grado di merito in cui la relativa domanda e questione sarebbe stata sottoposta al giudice di appello, sia per la carenza di prospettazione delle conseguenze, sia ancora perché difetta in parte il presupposto della nuova applicazione, possibile quando vi è una riliquidazione complessiva del danno e non anche quando vi è una - anche solo parziale - conferma della prima pronuncia; quelle sulla liquidazione in base alla vita effettiva anziché alla relativa aspettativa, nonché quelle sulla disomogenea applicazione dei criteri, per mancata indicazione, in ricorso, della sede processuale di prospettazione della tesi al giudice del merito e delle specificità delle situazioni dei due defunti, da desumersi da quelle qui mancate allegazioni e che sarebbero state anche solo implicitamente disattese dal giudice di appello.
58. Eppure, va ribadita la necessità che, per consentire a questa Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, nel ricorso si rinvengano sia l'indicazione della sede processuale di produzione dei documenti o di adduzione delle tesi su cui si fondano ed in cui si articolano le doglianze stesse, sia la trascrizione dei primi e dei passaggi argomentativi sulle seconde (tra le innumerevoli, v.: Cass. ord. 26/08/2014, n. 18218; Cass. ord. 16/03/2012, n. 4220; Cass. 01/02/1995, n. 1161; Cass. 12/06/2002, n. 8388; Cass. 21/10/2003, n. 15751; Cass. 24/03/2006, n. 6679; Cass. 17/05/2006, n. 11501; Cass. 31/05/2006, n. 12984; Cass. ord. 30/07/2010, n. 17915, resa anche ai sensi dell'art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ.; Cass. 31/07/2012, n. 13677; tra le altre del solo 2014: Cass. 11/02/2014, nn. 3018, 3026 e 3038; Cass. 07/02/2014, nn. 2823 e 2865 e ord. n. 2793; Cass. 06/02/2014, n. 2712, anche per / gli errores in procedendo; Cass. 05/02//2014, n. 2608; Cass. f 03/02/2014, nn. 2274 e 2276; Cass. 30/01/2014, n. 2072; ancora: Cass. Sez. U. 04/04/2016, n. 6451; Cass. Sez. U., 01/07/2016, n. 13532; Cass. Sez. U., 04/02/2016, n. 2198). 
59. Infine, col sesto motivo (sviluppato sub «F», ma senza alcuna rubrica), le ricorrenti incidentali Moretti ed altre adducono quale vizio la mancanza, nella gravata sentenza, di qualsiasi cenno al rimborso e/o alla condanna alle spese di registrazione, invocando dovere quelle essere poste in modo espresso a carico dei soccombenti e tra loro in solido.
60. Anche tale motivo è inammissibile: non è prospettato alcuno dei vizi riconducibili ad una delle censure codificate dall'art. 360 cod. proc. civ. e, del resto, nemmeno questi sussistono, competendo alla parte vittoriosa il rimborso delle spese di registrazione in base a principi generali in tema di soccombenza (secondo principio affermato come corrispondente a giurisprudenza consolidata, ai sensi dell'art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., tra le altre, da Cass. ord. 29/07/2010, n. 17698, ma già, ad es., da Cass. 21/05/1991, n. 5707).
 

 

E) Conclusioni.
61. In conclusione: sono inammissibili il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale ed il primo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo di quello incidentale, mentre sono infondati il primo e gli ultimi tre motivi del ricorso principale ed il secondo ed il terzo del ricorso incidentale, restando assorbito il ricorso incidentale condizionato di Genchart BV; pertanto, concorrendo ragioni di inammissibilità e di infondatezza per ciascuno, la formula conclusiva è di rigetto per entrambi i ricorsi.
62. Quanto alle spese del giudizio di legittimità, tuttavia, applicandosi il testo dell'art. 92 cod. proc. civ. anteriore anche alla novella del 2005/06 attesa l'instaurazione del giudizio di primo grado in data 25/03/2003, sussistono nei rapporti fra tutte le parti giusti motivi di integrale compensazione, per la peculiare complessità delle questioni di diritto coinvolte in materia di responsabilità da malattia professionale in un settore - come il lavoro delle maestranze portuali - connotato da specificità assolutamente particolari.
63. Infine, va dato atto - mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) - della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 13, co. 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, co. 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito: e tanto sia per la ricorrente principale che per le ricorrenti incidentali eredi di G.B. ed A.B. (C.M. ed Anna A.B.; S.P., Laura e Lucia G.B., nonché Milena G.B.) per i ricorsi rispettivamente proposti; mentre, non essendovi reiezione, ma assorbimento, del ricorso incidentale condizionato della Genchart BV, nulla è dovuto da questa a tal titolo.
 

 

P. Q. M.

 


Rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale.
Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali M.-B.-P.-G.B., dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso rispettivamente proposto, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.