Cassazione Civile, Sez. Lav., 12 ottobre 2017, n. 24023 - Rendita ai superstiti per malattia professionale contratta dall'ufficiale di coperta in navigazione


Presidente: MAMMONE GIOVANNI Relatore: MANCINO ROSSANA Data pubblicazione: 12/10/2017

 

 

 

Rilevato
1. che con sentenza in data 14 settembre 2011, la Corte di Appello di Genova ha riformato la sentenza di primo grado e, in accoglimento del gravame svolto dall'INAIL, ha rigettato l'originaria domanda proposta da S.N., in qualità di vedova di F.U., volta al riconoscimento della rendita ai superstiti per malattia professionale contratta dal coniuge, ufficiale di coperta in navigazione, e dell'assegno funerario;
2. che la Corte di merito, in adesione alle conclusioni dell'ausiliare officiato in sede di gravame, svolte tenuto conto della specificità del lavoro marittimo, escludeva, in considerazione dell'attività svolta dal F.U., un'esposizione lavorativa sufficiente ad ipotizzare una causalità tra lavoro e tumore; riteneva l'acquisita prova dell'assenza di esposizione superare anche la presunzione derivante dall'astratto inserimento, in tabella, della sostanza e della patologia da essa cagionabile; concludeva per un'incerta origine della malattia insorta, risalente a plurimi fattori causativi, rimarcando genericità e carenze probatorie in ordine al logorio fisico e mentale della permanenza lavorativa a bordo delle navi;
3. che avverso tale sentenza S.N. ha proposto ricorso affidato a due motivi, al quale ha opposto difese l'INAIL con controricorso;
 

 

Considerato
4. che con il primo motivo, denunciando violazione dell'art. 38 d.l. 6 luglio 2001, n.98, comma 1, lett. B) n. 2 e lett. D) n. 3 e dell'art. 152 disp.att. cod.proc.dv., la parte ricorrente si duole che l'INAIL, appellante, nel corso del giudizio di gravame, non abbia effettuato la prevista dichiarazione di valore della lite, a pena di inammissibilità del ricorso, come previsto dalla citata lettera D) n.3;
5. che con il secondo motivo, deducendo violazione di legge (art. 3 d.P.R.n. 1124/65, all.4 come modificato dall'art. 1 d.P.R. n. 366/1994, art. 2697 cod.civ.) e omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, si duole che la Corte di merito abbia fatto proprie le conclusioni dell'ausiliare officiato in sede di gravame con motivazione priva di specifiche argomentazioni, in particolare in punto di rilevanza del criterio epidemiologico, sulla sussistenza del nesso di causalità (esclusa dall'ausiliare per essere il F.U. un fumatore), discostandosi dai canoni scientifici e omettendo di valutare la seconda consulenza tecnica svolta nel primo grado di giudizio;
6. che ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso;
7. che il primo motivo è manifestamente infondato alla luce delle decisioni di questa Corte, già intervenute a chiarire che l'onere di rendere l'apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l'importo nelle conclusioni dell'atto introduttivo, è riferito al solo ricorso introduttivo del giudizio e non anche agli atti introduttivi dei giudizi d'impugnazione, come reso evidente dalla contestuale lettura dei periodi dell'art. 152 disp. att. cod.proc.civ. risultanti dalle novelle del 2009 (L. n. 69 del 2009, art. 52, comma 6), sul contenimento delle spese di lite in misura non superiore al valore della prestazione previdenziale dedotta in giudizio, e l’onere, per il ricorrente, introdotto nel 2011 (art. 38, co.l, lett. b), n.2), del d.l. 98/2011, conv. con modif., in L. n. 111/2011), di dichiarare l'esatto valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l'importo nelle conclusioni dell'atto introduttivo di lite, così colmando un'evidente lacuna nelle norme processuali e rendendo immediatamente verificabile, da parte del giudice, l’esatto ammontare del valore di causa e il limite massimo delle spese liquidabili all'esito del giudizio (v., fra le altre, Cass. sez.sesta-L 21 maggio 2013, n. 12439, in fattispecie in cui l'inosservanza del predetto onere era stato eccepito nei confronti dell'INPS, ricorrente in cassazione);
8. che il secondo motivo presenta profili di inammissibilità, per avere la parte ricorrente prospettato, in rubrica, il mezzo d'impugnazione nei profili, contestuali, della violazione di legge e del vizio di motivazione e devoluto alla Corte, con l'illustrazione del mezzo, solo le critiche all'elaborato peritale e agli elementi di giudizio valutati dall'ausiliare;
9. che, con specifico riferimento ai vizi di motivazione nelle ipotesi in cui il giudice respinga o accolga la domanda avvalendosi del parere di un consulente tecnico d'ufficio, tanto più quando è richiesto un accertamento di situazioni rilevabili solo con l'ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche, questa Corte ha più volte ribadito che il giudice del merito non è tenuto a giustificare diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o esse non siano specifiche, potendo, in tal caso, limitarsi a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall'esperto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione, mentre non può esimersi da una più puntuale motivazione allorquando le critiche mosse alla consulenza siano specifiche e tali, se fondate, da condurre ad una decisione diversa da quella adottata (cfr., explurimis, Cass. n. 1660 del 2014);
10. che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il principio per cui in sede di giudizio di legittimità non possono essere prospettati temi nuovi di dibattito non tempestivamente affrontati nelle precedenti fasi, trova anche applicazione in riferimento alle contestazioni mosse alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio - e, per esse, alla sentenza che le abbia recepite nella motivazione - le quali sono ammissibili in sede di ricorso per cassazione sempre che la tempestiva proposizione, davanti al giudice di merito, risulti dalla sentenza impugnata o, in mancanza, da adeguata segnalazione contenuta nel ricorso, con specifica indicazione dell'atto del procedimento di merito in cui le contestazioni predette erano state formulate, onde consentire alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità dell'asserzione, prima di esaminare nel merito la questione sottopostale (cfr., ex plurimis, Cass. n. 795 del 2014);
11. che, in definitiva, per le contestazioni alle conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio non vi è chiara indicazione di quando ed in quali esatti termini le stesse siano state proposte, onde verificarne, sulla base della sola lettura del ricorso per Cassazione, la tempestività e la rilevanza, ancor più considerato che la puntuale motivazione della sentenza impugnata ha evocato critiche alla consulenza di stampo essenzialmente formale; 
12. che neanche appare fondato l'ulteriore profilo di censura, incentrato sull'omissione di riferimenti alla seconda consulenza tecnica svolta in primo grado, per il dirimente rilievo, affermato dalla giurisprudenza di legittimità ed applicabile anche nella vicenda in esame in cui alle due consulenze espletate in primo grado ha fatto seguito una terza consulenza espletata in grado di appello, che, ove il giudice d'appello disattenda l'avviso del primo consulente tecnico d'ufficio ed accolga quello del secondo, l’eventuale accoglimento della tesi del secondo consulente d’ufficio non necessita di una confutazione particolareggiata delle diverse risultanze e valutazioni della prima consulenza, essendo necessario soltanto che detto giudice non si limiti ad una acritica adesione al parere del secondo ausiliario, ma valuti le eventuali censure di parte, indicando le ragioni per cui ritiene di dover disattendere le conclusioni del primo consulente (v., fra le tante, Cass. 16 agosto 2016, n. 17105 e la giurisprudenza ivi richiamata);
13. che, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, la Corte territoriale, come premesso nei paragrafi che precedono, ha parlato di incerta origine della malattia insorta per molteplici fattori causali, annoverando il fumo tra questi e non riferendosi al fumo come unico fattore causale, ha rimarcato la mancanza di prove atte a comprovare la sicura derivazione della patologia dall'attività lavorativa, anche solo concausale, ed evidenziato, ancor prima, la genericità e carenza di fondamento probatorio al pur dedotto logorio fisico e mentale della permanenza lavorativa a bordo delle navi, con statuizione non adeguatamente infirmate, in questa sede, dalle doglianze del ricorrente;
14. che pertanto il ricorso va rigettato;
15. che le spese vengono regolate secondo la regola della soccombenza come da dispositivo;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 1.500,00
per compensi professionali, oltre accessori di legge e spese generali in misura del quindici per cento.
Cosi deciso nella Adunanza camerale del 16 maggio 2017