Cassazione Penale, Sez. 4, 13 ottobre 2017, n. 47261 - Caduta nella vasca di pescaggio dell'acqua. Responsabili un preposto ed il lavoratore collega della vittima


Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: GIANNITI PASQUALE Data Udienza: 20/07/2017

 

Fatto

 

1. La Corte di appello di Ancona con la sentenza impugnata, in punto di affermazione di penale responsabilità, ha integralmente confermato la sentenza 14/04/2015 con la quale il Tribunale di Pesaro aveva ritenuto S.G. e M.G. responsabili del reato p. e p. dagli arti. 113-590 commi 1, 2 e 3 c.p., commesso ai danni di N.M. il 1/10/2009.
Era accaduto che il lavoratore N.M., mentre accompagnava il capo turno F.G. nella cabina posta all'esterno dello stabilimento, per provare di riattivare la pompa del quadro elettrico, era caduto nella vasca di pestaggio delle pompe (posta al di sotto del pavimento della cabina stessa) attraverso l'apertura (di cm. 60 per 56) lasciata scoperta, subendo lesioni personali (policontusioni ed escoriazioni multiple) giudicate guaribili in oltre quaranta giorni.
Delle lesioni subite dal N.M. erano stati chiamati a rispondere, in cooperazione colposa tra loro, il S.G. ed il M.G.: il primo in qualità di preposto ed in violazione dell'art. 19 comma 1 lett. a) D.Lgs. 81/08, in quanto non aveva vigilato circa la chiusura del foro creatosi dopo che era stato tolto il tubo di pescaggio della pompa di raffreddamento (pur essendosene accorto almeno il giorno stesso dell'infortunio); il M.G., in qualità di lavoratore dipendente e collega di lavoro dell'infortunato, in violazione dell'art. 20, comma 2 lett. b) D.Lgs. 81/08 in quanto non aveva ricoperto con apposito o altro coperchio la buca creatasi dopo aver tolto (circa una settimana prima) il tubo di pescaggio dell'acqua dell'impianto di raffreddamento.
In punto di trattamento sanzionatorio, il Tribunale aveva condannato entrambi gli imputati alla pena finale di euro 1.500,00 di multa ciascuno, oltre al risarcimento dei danni - da liquidarsi in separata sede in favore della costituita parte civile N.M. - ponendo a carico degli stessi una provvisionale di euro 7.500,00. Ma la Corte di appello di Ancona con la sentenza impugnata, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti ad entrambi gli imputati, ha ridotto la pena agli stessi inflitta ad euro 300,00 di multa ciascuno, condannandoli altresì al rimborso delle spese di giudizio, sostenute dalla parte civile.
2. Avverso la citata sentenza, tramite difensore di fiducia, propone ricorso il M.G., il quale, dopo una articolata sintesi del fatto dedotto in giudizio e dello svolgimento del processo, articola 5 motivi di doglianza.
2.1. Nel primo e nel secondo motivo denuncia violazione di legge in punto di ritenuta sussistenza del rapporto di causalità e di erronea applicazione dei disposti di cui agli artt. 41 e 590 c.p.
Il ricorrente si lamenta che la Corte territoriale, affermando la sussistenza del nesso causale tra le conseguenze dirette ed immediate dell'infortunio e le patologie neurologiche successivamente lamentate dal N.M., non solo ha violato gli artt. 41 e 590 c.p., ma ha anche rigettato la richiesta, formulata dal suo difensore in via principale, di declaratoria di improcedibilità dell'azione per difetto di querela.
In particolare, si lamenta che la Corte si è limitata a fondare la propria decisione sull'apodittica affermazione secondo la quale "i traumi di natura neurologica ben possono dipendere dall'infortunio in questione, tenuto conto che il N.M. era caduto in un pozzo contenente acqua, profondo circa 4 metri" e che "la persona offesa aveva specificato, durante la deposizione testimoniale ... di essere rimasto dentro questo buco pieno d'acqua una mezz'oretta abbondante, senza toccare in fondo"; mentre, sulla base di riscontri documentali, avrebbe dovuto considerare tutte le circostanze del caso concreto escludendo processi causali alternativi, in guisa da sostenere in termini di certezza processuale - e cioè di alta credibilità razionale o probabilità logica - che il protrarsi della malattia fosse stato determinato dall'evento lesivo originario. Sottolinea inoltre che il collegamento tra le due patologie non era stato acclarato da nessuna certificazione medica.
Secondo il ricorrente, il nesso causale tra le due patologie sarebbe del tutto insussistente, con la conseguenza che sarebbero state erroneamente applicate nel caso di specie non soltanto le disposizioni in tema di concorso di causa e di lesioni personali colpose, ma anche le statuizioni di cui all'art. 590 ultimo comma c.p.
2.2. Nel terzo motivo denuncia violazione di legge in punto di mancata ritenuta abnormità della condotta del N.M..
Il ricorrente si lamenta che la Corte ha considerato l'incidente come conseguenza di una violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ed ha escluso che la condotta del lavoratore presentasse i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione ricevute; mentre avrebbe dovuto valorizzare la deposizione resa dal capo turno F.G., che, soprattutto in punto di compito del N.M. al momento dell'evento, era stata del tutto coerente a quanto affermato non solo dal Dott. F., dipendente della medesima azienda e responsabile della sicurezza del lavoro, ma anche dalla Ispettrice C., accertatrice accorsa sul luogo del sinistro. Entrambi detti testi infatti avevano riferito che il N.M. aveva la qualifica di "operaio di colata", con la conseguenza che la manovra in contestazione non era di sua competenza.
In definitiva, secondo il ricorrente, il N.M., di sua iniziativa, aveva tenuto un comportamento anomalo, quale per l'appunto sarebbe stato quello di entrare nella cabina (invece di attivare un interruttore presente in un quadro elettrico situato sulla sinistra della porta d'ingresso): detto comportamento anomalo avrebbe dovuto essere considerato causa sopravvenuta, da sola sufficiente a cagionare l'evento, con conseguente esclusione di ogni responsabilità sia del datore di lavoro che del preposto (e, più in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione).
2.3. Nel quarto denuncia violazione dell'art. 20 del d. lgs. n. 81/2008 laddove era stata affermata la sua responsabilità per non aver apposto la griglia di chiusura per coprire il buco nel momento in cui si sospendeva la lavorazione (e per non aver così neutralizzato un pericolo particolarmente insidioso ed idoneo a mettere in serio pericolo l'idoneità, fisica e psichica, altrui), con conseguente mancata applicazione dell'art. 131 bis c.p.
Il ricorrente rileva che l'addebito a titolo di colpa specifica, che può essere mosso al lavoratore ai sensi del citato art. 20, si somma alla responsabilità del datore del lavoro; mentre nel caso di specie nessuna violazione era stata contestata al datore di lavoro. Rileva altresì che lui aveva puntualmente ottemperato alle disposizioni di cui al citato art. 20, avendo in particolare segnalato immediatamente al preposto la condizione di pericolo, con la conseguenza che a lui avrebbe dovuto essere applicata la causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis c.p.
2.4. Nel quinto motivo denuncia violazione dell'art. 541 c.p.p. in punto avvenuta liquidazione di ulteriori spese nei confronti della parte civile costituita.
Il ricorrente ricorda che la parte civile, nel costituirsi anche in grado di appello, aveva espressamente chiesto, oltre alla conferma della sentenza impugnata, la liquidazione di un danno quantificato (per la prima volta in fase di appello) in euro 50 mila oltre accessori; ma detta richiesta risarcitoria era stata dichiarata inammissibile, in quanto il giudice di primo grado si era limitato a concedere una provvisionale di euro 7.500 e tale statuizione avrebbe dovuto formare oggetto di puntuale gravame da parte dell'interessato.
In definitiva, secondo il ricorrente, l'integrale rigetto della domanda spiegata dalla parte civile avrebbe dovuto indurre i giudici di appello a non liquidare alcuna somma in favore della parte civile, come invece sarebbe erroneamente avvenuto. 
3. In vista dell'odierna udienza (e precisamente in data 10 maggio 2017), tramite difensore di fiducia, deposita nota anche il S.G., il quale dichiara che intende avvalersi dell'effetto estensivo dell'impugnazione proposta dal coimputato M.G.. E, in particolare, denuncia:
3.1. ripercorrendo argomentazioni svolte dal ricorrente M.G., violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuto nesso causale tra l'infortunio occorso al N.M. ed il danno psichico per il quale quest'ultimo aveva avanzato richiesta di risarcimento danni (tanto più che lo stesso N.M. all'udienza del 18/12/2012, aveva dichiarato che, prima dell'incidente, aveva già avuto problemi di natura neurologica e psicologica);
3.2. sempre ripercorrendo argomentazioni svolte dal ricorrente M.G., violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta non abnormità del comportamento tenuto dal N.M., pur essendo risultato certo che quest'ultimo aveva violato il protocollo di sicurezza (anche con riferimento alla documentazione comprovante il protocollo che doveva essere seguito dai dipendenti della Profilglass in caso di malfunzionamento o spegnimento di una pompa idraulica, nonché la formazione fornita dall'azienda a tutto il personale in punto di protocolli di sicurezza);
3.3. violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione della sua penale responsabilità, senza considerare che: lui non era presente al momento dell'Infortunio (verificatosi verso le ore 76 del mattino); lui ricopriva il ruolo di capo reparto all'Interno del capannone reparto 21 (dove si trova per l'appunto la fonderia) e, in sua assenza, era il capo turno a svolgere le funzioni di capo reparto; peraltro in dibattimento era stato accertato che, dopo l'intervento di rimozione della pompa, il buco creatosi era rimasto scoperto, ma non era stato accertato quando la pompa fosse stata rimossa; d'altronde a lui non erano attribuite specifiche mansioni in materia antinfortunistica e, quale caporeparto, aveva mansioni limitate alla sorveglianza sull'espletamento dell'attività lavorativa; il M.G. aveva dichiarato di averlo informato, ma tale dichiarazione non aveva trovato alcuna conferma negli atti processuali; affermare che il responsabile della sicurezza aziendale di Profilglass (cioè il dr. F.) non sapesse che una pompa di raffreddamento era stata rimossa dalla propria sede e che il pozzo era rimasto privo di copertura significherebbe affermare che le operazioni di manutenzione straordinaria (quale è la rimozione di una pompa di raffeddamento) erano lasciate alla discrezionalità degli operai;
3.4. vizio di motivazione in punto di mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p., in quanto, a tutto voler concedere ed anche a prescindere dall'efficacia concausale della condotta del N.M., il suo ruolo nella causazione dell'evento sarebbe stato del tutto marginale: sia perché non era stato lui a determinare l'insorgenza della situazione di pericolo; sia perché lui non aveva una specifica funzione di responsabile della sicurezza; sia perché le sue mansioni di capo reparto erano delimitate dalla vigilanza sullo svolgimento dell'attività lavorativa all'interno del Capannone 21 e durante il proprio orario di lavoro; sia perché non era presente in azienda al momento del verificarsi dell'infortunio.
4. In vista dell'odierna udienza (e precisamente in data 29 maggio 2017), sempre tramite difensore di fiducia, il M.G. deposita nuovi motivi, nei quali deduce l'estinzione dei reati a lui ascritti per intervenuta prescrizione.
5. Per completezza espositiva, va infine dato atto che, con ordinanza in data 26 settembre 2017, si é provveduto alla correzione dell'omissione materiale contenuta nel dispositivo letto in udienza, laddove non si era provveduto sulla richiesta di rifusione delle spese di costituzione e giudizio formulata in sede di udienza 20 luglio 2017 dal difensore della costituita parte civile; donde la relativa statuizione di cui in dispositivo.
 

 

Diritto

 


1. In via preliminare, occorre osservare che, tenuto conto del periodo di sospensione intercorso tra il 9 luglio 2013 ed il 1 marzo 2014, il reato in contestazione ad oggi non è prescritto.
Occorre altresì premettere, con riguardo alla memoria presentata nell'interesse dell'imputato S.G., che l'invocato effetto estensivo potrebbe astrattamente operare in relazione ai primi due motivi del ricorso presentato nell'interesse dell'imputato M.G.; ma è comunque precluso in relazione agli altri aspetti evidenziati nella memoria, che attengono a profili di carattere soggettivo.
2. Tanto premesso, il ricorso del M.G. non è fondato.
3. Non fondati sono i primi tre motivi di ricorso, che, in quanto strettamente connessi, sono qui trattati unitariamente.
3.1. Occorre in primo luogo precisare il perimetro del sindacato, ammissibile nella presente sede di legittimità.
Orbene, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (in tal senso, tra le tante, Sez. 3, sent. n. 4115 del 27.11.1995, 1996, Beyzaku, Rv. 203272).
Sotto altro profilo è stato precisato che la Corte di cassazione, nel momento del controllo di legittimità, non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, sent. n. 1004 del 30/11/1999, 2000, Moro, Rv. 215745).
Si deve infine ribadire, per condivise ragioni, l'insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale nessuna prova, in realtà, ha un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; occorre necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile; ed il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito, non potendosi il giudice di legittimità sostituirsi ad esso (Sez. 5, Sent. n. 16959 del 12/04/2006, dep. 17/05/2006, Rv. 233464).
3.2. Precisato nei termini che precedono l'orizzonte dello scrutinio di legittimità, occorre rilevare che la congiunta lettura di entrambe le sentenze di merito - che, concordando nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico complesso corpo argomentativo (cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000, Sangiorgi, Rv. 216906) - evidenzia che i giudici di merito hanno sviluppato un conferente percorso argomentativo, relativo all'apprezzamento del compendio probatorio, che risulta immune da censure rilevabili dalla Corte regolatrice; e che il ricorrente invoca, in realtà, una inammissibile riconsiderazione alternativa del compendio probatorio, proprio con riguardo alle inferenze che i giudici di merito hanno tratto dagli accertati elementi di fatto, ai fini della affermazione della penale responsabilità.
3.2.1.Invero, il Tribunale di Pesaro - dopo aver rilevato che "le modalità del fatto sono descritte nel capo di imputazione in maniera che risulta conforme a quanto accertato in dibattimento" - ha compiuto una analitica ricostruzione degli accadimenti sulla base delle testimonianze della vittima N.M., di F.G. (capo turno), F.M. (responsabile delta sicurezza sul lavoro), C.S. (funzionarla ASUR) ed è pervenuto al convincimento che sia M.G. che S.G. avessero violato la normativa antinfortunistica, in cooperazione colposa, cagionando così l'infortunio di N.M.: il primo, in qualità di materiale autore dell'intervento (aveva tolto il tubo di pescaggio), essendo tenuto ad adottare le necessarie misure di sicurezza temporanee onde evitare le cadute (rimettendo la griglia protettiva o comunque il coperchio sopra la buca), per violazione dell'art. 20 c. 20, lett. b) del D.L.vo n.81/2008; il secondo, quale capo reparto e preposto, per avere omesso di vigilare - dopo l'esecuzione di quell'intervento, da lui stesso richiesto nella sua qualità - in merito alla avvenuta adozione delle misure precauzionali (art.19 co.l lett. a DL.vo n.81/2008).
A causa delle condotte omissive degli odierni ricorrenti, secondo il giudice di primo grado, il N.M. era caduto nella vasca di pescaggio dell'acqua situata al di sotto del pavimento della cabina esterna allo stabilimento, ove il N.M. era accorso, accompagnando il capo turno F.G. in detta cabina, poiché era scattato l'allarme delle pompe di raffreddamento dell'impianto che dovevano essere urgentemente riattivate.
Il Tribunale ha espressamente escluso che al N.M. potesse essere imputato un comportamento abnorme e tale da escludere il nesso causale tra le accertate violazioni della normativa antinfortunistica e l'evento lesivo verificatosi, avendo lo stesso eseguito le direttive del superiore F.G. (e vi era una prescrizione aziendale secondo la quale, in un caso del genere, l'uscita dal reparto non fosse mai effettuata da un solo lavoratore, ma che si dovesse andare in coppia).
3.2.2 E la Corte territoriale - dopo aver sottolineato che la sentenza di primo grado era "puntuale nella ricostruzione della vicenda e nell'analisi dei dati salienti emersi dall'Istruttoria dibattimentale" e si presentava "fondata su coerenti, organici ed esaurienti elementi di fatto, oltre che su corrette argomentazioni e valutazioni logico-giuridiche" - ha condiviso il significato complessivo del quadro probatorio, che era stato posto in risalto nella sentenza del Giudice di prime cure, rilevando che:
- l'evidente discrasia tra la ricostruzione dell'infortunio fornita dal capo turno F.G. e quella del N.M., soprattutto in riferimento al compito dell'infortunato al momento dell'evento, si spiegava con l'interesse del primo ad evitare di essere coinvolto nel palleggiamento di responsabilità, tanto era vero che la Difesa del S.G. lo aveva definito una sorta di "preposto di fatto", quale capo-turno in assenza del capo reparto; secondo la Corte, il F.G., anche se titolare di posizione di garanzia, nel momento in cui avesse ammesso di aver detto al N.M. di andare a controllare se i motori funzionavano, quale sovraordinato rispetto al N.M., avrebbe implicitamente ammesso di avere violato le disposizioni organizzative che vietavano l'accesso ai non addetti ai lavori ed abilitavano solo il capo turno a riavviare le pompe; secondo la Corte, che fosse credibile il N.M. (e non il F.G.) si desumeva dalla circostanza che all'interno della cabina "era buio, non si vedeva niente"; e se, come era certo, era buio, tanto che lo stesso F.G. lo aveva confermato, N.M. non sarebbe mai entrato di sua spontanea iniziativa nella cabina, se non gli fosse stato intimato di farlo e se non vi fosse stata urgenza di provvedere;
- era pertanto "fermamente" da escludere che la condotta del lavoratore presentasse i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute;
- non era condivisibile la connotazione di marginalità del contributo concorsuale omissivo fornito dall'idraulico M.G.: questi, come norma di basilare ed intuitiva prudenza, avrebbe dovuto apporre la griglia di chiusura (o coperchio), per coprire il buco, nel momento in cui sospendeva la lavorazione; non averlo fatto era mancanza macroscopica, a nulla valendo il fatto che la cabina venisse chiusa con chiavistello e vi fossero cartelli che proibivano l'accesso, tenuto conto che vi era personale aziendale autorizzato ad aprirla e ad intervenire, come poi era successo, considerato pure che l'impianto rimaneva in funzione; indubbia era dunque la gravità della colpa per non avere neutralizzato un pericolo particolarmente insidioso ed idoneo a mettere in serio pericolo l'incolumità fisica e psichica altrui;
-contrariamente a quanto sostenuto dalle Difese, i traumi di natura neurologica ben potevano dipendere dall'infortunio in questione, in quanto: a) il N.M., come obiettivamente si leggeva nel primo certificato medico INAIL del 1/10/2009, era caduto in un pozzo contenente acqua, profondo circa 4 metri; b) lo stesso N.M. aveva specificato, durante la deposizione testimoniale, di essere rimasto dentro "questo buco pieno d'acqua" una "mezz'oretta abbondante", senza toccare il fondo; di essere in cura da uno psichiatra, nonché di assumere ansiolitici ed antidepressivi; c) in relazione all'Infortunio in esame l'istituto aveva certificato la cessazione dell'infermità in data 30/12/2009 (con idoneità al lavoro dal 31/12/2009 e netto superamento dei 40 giorni) e la difesa aveva prodotto una "miriade" di certificati INAIL-INPS comprovanti un periodo di idoneità al lavoro, senza limitazioni, dal gennaio 2010 ad ottobre 2011; d) tuttavia, il medico curante aveva certificato la riapertura del ridetto infortunio "per crisi di panico", con inabilità al lavoro a fine novembre 2011 e da allora in avanti l'inabilità al lavoro era proseguita con certificazioni INAIL-INPS; sempre l'INAIL, con certificato del 11/4/2013, aveva accertato la menomazione dell'integrità psico-fisica diagnosticando al N.M. "disturbo da stress post-traumatico da stress cronico di marcata entità" con gradiente di invalidità pari al 9%. 
3.3. In definitiva, la Corte di merito ha chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto di confermare la valutazione espressa dal primo giudice, sviluppando un percorso argomentativo che non presenta aporie di ordine logico e che risulta perciò immune da censure rilevabili in questa sede di legittimità. In particolare - fermo restando che l'accertamento della riconducibilità all'incidente di tutte le conseguenze lamentate dalla persona offesa formerà oggetto di valutazione in sede civile - la Corte territoriale ha correttamente respinto la richiesta di derubricazione, essendo comunque stata certificata la cessazione della malattia alla data del 30/12/2009 (e, quindi, ben oltre 40 giorni dal fatto).
4.Infondati sono anche il quarto motivo, concernente la mancata applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis, nonché il quinto motivo, concernente le statuizioni civili.
4.1. Sotto il primo profilo, come è noto, due sono i presupposti applicativi dell'istituto, introdotto nel nostro ordinamento con l'art. 1 comma 2 del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28: la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento. Si tratta di requisiti - il primo (di natura oggettiva) riguardante il fatto di reato e il secondo (di natura più soggettiva) inerente all'autore - che devono necessariamente sussistere congiuntamente. In tale ambito, come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266591), il fatto particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori: le modalità della condotta, l'esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza. L'art. 131-bis non definisce il concetto di abitualità, ma le Sezioni Unite di questa Corte nella citata sentenza hanno anche chiarito che la norma intende escludere dall'ambito della particolare tenuità del fatto comportamenti "seriali".
Orbene la sentenza impugnata si rivela del tutto conforme ai principi affermati delle Sezioni Unite laddove - pur concedendo al M.G. le attenuanti generiche (in considerazione del fatto che lo stesso era, al pari del S.G., collega di lavoro dell'infortunato N.M., nell'ambito di una attività lavorativa complessa, articolata anche in orari notturni e probabilmente usurante) - ha ritenuto ostativo al riconoscimento della invocata esimente il comportamento gravemente colposo del M.G. (per non aver per l'appunto neutralizzato un pericolo particolarmente insidioso ed idoneo a ledere l'incolumità altrui). D'altronde la natura e l'entità delle lesioni riportate dal N.M. escludono comunque che l'offesa arrecata alla salute dello stesso possa essere ritenuta di particolare tenuità.
4.2. Quanto poi alle statuizioni civili, è sufficiente osservare che la Corte territoriale ha confermato quelle contenute nella sentenza di primo grado, e, stante l'intervento della parte civile anche nel grado di appello, ha condannato, in via solidale, gli imputati anche al rimborso delle spese relative a detto grado di giudizio, con ciò dando corretta applicazione al generale principio di soccombenza.
5. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Alla pronuncia di rigetto segue la condanna dell'Imputato al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile che ha rassegnato le conclusioni ritualmente e tempestivamente in questo giudizio di legittimità, secondo il dispositivo corretto con la menzionata ordinanza 26 settembre 2017.
 

 

P.Q.M

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della costituita parte civile, spese che liquida in euro 2.500, oltre accessori di legge.
Così deciso il 20/07/2017.