Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 ottobre 2017, n. 24764 - Prestazioni previdenziali per infortunio: inverosimile l'origine professionale del trauma


Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: CAVALLARO LUIGI Data pubblicazione: 19/10/2017

 

Fatto

 


che, con sentenza depositata il 13.12.2011, la Corte d'appello di Ancona ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda C.B. volta a conseguire le prestazioni previdenziali asseritamente dovutegli in conseguenza dell'infortunio occorsogli il 16.5.2007;
che avverso tale pronuncia C.B. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura; che l'INAIL ha resistito con controricorso;
 

 

Diritto

 


che, con il primo motivo, parte ricorrente denuncia violazione degli artt. 2697-2721 c.c., degli artt. 61, 115, 116 e 191 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per avere la Corte di merito ritenuto inverosimile l'origine professionale del trauma denunciato, in quanto «non si comprende [...] come possa strapparsi un tendine tra i più robusti del corpo umano e soggetto a sollecitazioni e sforzi ingentissimi semplicemente per aver battuto il retro del piede con un movimento che [...] non implicava sforzo alcuno», cioè «mentre [il ricorrente] usciva dalla sua autovettura parcheggiata accanto alla sua bottega di barbiere» (così la motivazione della Corte, riportata a pag. 2 del ricorso per cassazione); che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell'art. 152 att. c.p.c. per avere la Corte territoriale posto a suo carico l'onere delle spese di lite, nonostante che egli avesse reso l'apposita dichiarazione prescritta dalla disposizione cit. ai fini dell'esonero;
che, con riguardo al primo motivo, è sufficiente rilevare che la Corte di merito ha motivato il rigetto del gravame in considerazione del fatto che il ricorrente aveva dato una ben diversa versione dei fatti in occasione delle visite presso i presidi medici consultati subito dopo i fatti (e precisamente che lo strappo al tendine si era verificato in esito ad uno scatto effettuato appena iniziato a correre) e che, liberamente interrogato sui fatti di causa, non aveva saputo offrire alcuna spiegazione del contrasto tra la prima versione dei fatti e quella successivamente descritta in ricorso (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata), di talché, costituendo l'intrinseca inverosimiglianza di quest'ultima non già il fondamento fattuale della ratio decidendi, quanto piuttosto un argomento ad colorandum impiegato per escludere la ricorrenza di un'occasione di lavoro, non può che darsi continuità al principio di diritto secondo cui la proposizione con il ricorso per cassazione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l'inammissibilità del motivo di ricorso, non potendo quest'ultimo essere configurato quale impugnazione rispettosa del canone di cui all'art. 366 n. 4 c.p.c. (v. in tal senso Cass. n. 17125 del 2007 e numerose successive conformi); che, con riguardo al secondo motivo, questa Corte ha da tempo fissato il principio secondo cui, ai fini dell’esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali, la dichiarazione sostitutiva di certificazione delle condizioni reddituali, da inserire nelle conclusioni dell'atto introduttivo ex art. 152 att. c.p.c., è inefficace se non sottoscritta dalla parte, poiché a tale dichiarazione la norma connette un'assunzione di responsabilità non delegabile al difensore, stabilendo che «l'interessato» si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito (Cass. n. 5363 del 2012, cui ha dato continuità, tra le più recenti, Cass. n. 22952 del 2016);
che, nel caso di specie, la dichiarazione contenuta nelle conclusioni del ricorso in appello è sottoscritta esclusivamente dal difensore, né risulta dall'indice degli atti riprodotto in calce altro che il deposito della dichiarazione dei redditi;
che il ricorso va conclusivamente rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, da addossarsi a carico del ricorrente in ragione della soccombenza e dell'inefficacia della dichiarazione ex art. 152 att. c.p.c. contenuta nelle conclusioni del ricorso per cassazione, siccome parimenti sottoscritta dal solo difensore;
 

 

P. Q. M.
 

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.700,00, di cui € 2.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 5.7.2017.