Cassazione Penale, Sez. 4, 19 ottobre 2017, n. 48287 - Infortunio durante i lavori di rimozione della pavimentazione in metallo di un soppalco. Responsabilità di un datore di lavoro


 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: PEZZELLA VINCENZO Data Udienza: 26/09/2017

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Venezia, pronunciando nei confronti di D.F., con sentenza del 4.2.2016, in parziale riforma della sentenza emessa in data 28.4.2014 dal Tribunale Monocratico di Padova, appellata dall'imputato, dichiarava non doversi procedere nei suoi confronti ex art. 20 D.L.vo 758/94 in ordine ai reati dei capi B) e C) e riduceva la pena a mesi 6 di reclusione in ordine al capo A) ed € 2.000,00 di ammenda in ordine al capo D); confermava nel resto.
2. Il giudice di primo grado aveva dichiarato il D.F. responsabile dei seguenti reati:
a) del reato p. e p. dall'art. 590 commi 1°, 2° e 3° in riferimento all'art. 583 comma 1° n. 1 cod. pen. perché, quale legale rappresentante e datore di lavoro delle ditte: EUROSERVICE Srl con sede in Vigonza, via Spagna 24e EUROPSTAND Srl con sede in Vigonza, via Germania 38, operando nel cantiere della Europstand Srl per i lavori di rimozione della pavimentazione in metallo di un soppalco posta ad una altezza di circa 3 metri, per il trasloco dell'attività verso i locali della Euroservice Srl, per negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza di leggi e regolamenti, nel fatto di specie in violazione alle norme di prevenzione per la sicurezza sui lavoro di cui, relativamente alla sua posizione di datore di lavoro della Euroservice Srl:
1) art. 122 D.Lgs, 81/2008 per avere consentito che fossero effettuati i lavori per la rimozione della pavimentazione in metallo di un soppalco posta ad una altezza di circa 3 metri, in assenza di apprestamenti di sicurezza collettivi o individuali atti ad evitare il rischio di caduta dall'alto degli addetti;
2) art. 96 comma I. lett. g) in relazione all'art. XV D.L.vo 81/2008 per non avere indicato nel POS gli apprestamenti e le misure preventive e protettive previste per i lavori di smontaggio del soppalco al fine di proteggere i lavoratori contro il rischio di caduta dall'alto;
relativamente alla sua posizione di datore di lavoro della Europstand Srl:
1) art. 122 D. Lgs. 81/2008 per avere consentito che fossero effettuati i lavori per la rimozione della pavimentazione in metallo di un soppalco posta ad una altezza di circa 3 metri, in assenza di apprestamenti di sicurezza collettivi o individuali atti ad evitare il rischio di caduta dall'alto degli addetti;
2) art. 90 comma 4 D.Lgs. 81/2008 per non avere, quale committente, per i lavori di smontaggio del soppalco svolti da più imprese (Euroservice Srl e Europstand SRL), designato il coordinatore per l'esecuzione dei lavori;
3) art. 96 comma I lett. g) in relazione all'art. XV D.L.vo 81/2008 per non avere redatto il POS con indicati gli apprestamenti e le misure preventive e protettive previste per i lavori di smontaggio del soppalco al fine di proteggere i lavoratori contro il rischio di caduta dall'alto, così, per colpa, cagionava al dipendente della ditta Euroservice Srl B.S. lesioni personali gravi (politrauma con contusioni cerebrali multiple e frattura orbita sin, sospetta frattura mandibolare, fratture costali multiple e frattura scapola destra, versamento pleurico, ferita le temporale sin), dalle quali derivava una malattia della durata di oltre sette mesi e comunque con prognosi giustificata fino al 01.3.2012, in quanto il B.S., in data 25.7.2011, nell'esecuzione dei lavori di smontaggio di un soppalco in metallo ad una altezza di circa 3 metri, mentre stava facendo scivolare a terra una lamiera appena smontata dalla struttura, spostandosi metteva i piedi nel vuoto precipitando a terra e procurandosi in tal modo le lesioni già descritte. In Vigonza il 25.7.2011.
In primo grado il D.F., era stato, inoltre, condannato per le seguenti contravvenzioni al D.Lgs. 81/2008:
relativamente alla sua posizione di datore di lavoro della Euroservice Srl:
b) art. 122 D.Lgs. 81/2008 per avere consentito che fossero effettuati i lavori per la rimozione della pavimentazione in metallo di un soppalco posta ad una altezza di circa 3 metri, in assenza di apprestamenti di sicurezza collettivi o individuali atti ad evitare il, rischio di caduta dall'alto degli addetti;
c) art. 96 comma 1 lett. g) in relazione all'art. XV D.L.vo. 81/2008 per non avere indicato nel POS gli apprestamenti e le misure preventive e protettive previste per i lavori di smontaggio del soppalco al fine di proteggere i lavoratori contro il rischio di caduta dall'alto; In Vigonza, accertato il 25.7.2011.
relativamente alla sua posizione di datore di lavoro della Europstand Srl:
d) art. 122 D.Lgs. 8112008 per avere consentito che fossero effettuati i lavori per la rimozione della pavimentazione in metallo di un soppalco posta ad una altezza di circa 3 metri, in assenza di apprestamenti di sicurezza collettivi o individuali atti ad evitare il rischio di caduta dall'alto degli addetti;
e) art. 90 comma 4 D.Lgs. 81/2008 per non avere, quale committente, per i lavori di smontaggio del soppalco svolti da più imprese (Euroservice Srl e Europstand SRL), designato il coordinatore per l'esecuzione dei lavori;
f) art. 96 comma i lett. g) in relazione all'art. XV D.Lgs. 81/2008 per non avere redatto il POS con indicati gli apprestamenti e le misure preventive e protettive previste per i lavori di smontaggio dei soppalco alfine di proteggere i lavoratori contro il rischio di caduta dall'alto. In Vigonza, accertato il 25.7.2011.
L'imputato veniva condannato in primo grado alla pena, per il capo A), di mesi 9 di reclusione ed € 5.000,00 di multa, per il capo B) e il capo D) in concorso formale tra loro, € 4.000,00 di ammenda, per il capo C) € 2.000,00 di ammenda, per il capo E) € 2.500,00 di ammenda, per il capo F) € 2.000,00 di ammenda, giungendo così ad una pena complessiva di mesi 9 di reclusione, € 5.000,00 di multa ed € 10.500,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, con pena sospesa.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, D.F., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Capo A: erronea applicazione della legge penale, in particolare degli artt. 41, 43, 590 cod. pen., nonché degli artt. 122, 96 comma 1 lettera, g), 90 comma 4 D. Lgs. n. 81/2008, in relazione alla ritenuta responsabilità penale dell'imputato ed altresì dell'art. 192 c.p.p. per quanto riguarda la valutazione della prova. Vizio di legittimità rilevante ex art. 606 comma 1 lettera b) cod. proc. pen.
Il ricorrente contesta la sussistenza della responsabilità dell'imputato in relazione alle condotte contestate, per erronea applicazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro.
In particolare l'art. 122 T.U., che prevede l'adozione, secondo lo sviluppo dei lavori, di adeguate impalcature o ponteggi o opere idonee e precauzioni tali da evitare il pericolo di caduta, sarebbe stato pienamente rispettato.
Viceversa, non sarebbe stata in alcun modo valutata la condotta del lavoratore, che, nonostante lo svolgimento di adeguata formazione e la presenza di strumenti di sicurezza, parapetto e sollevatore pantografo, invece di compiere lo smontaggio dei ripiani del soppalco, come previsto, iniziando dalla trave più esterna ed operando sempre dall'interno della cesta, operava dall'esterno della cesta del sollevatore, facendo scivolare a terra la lamiera dell'esterno della cesta, dopo aver smontato le travi non in ordine progressivo.
Pertanto si sostiene in ricorso che l'infortunio non sarebbe stato causato da condotte omissive o negligenti del datore di lavoro, come ritenuto dall'impugnata sentenza, ma dalla condotta colposa del lavoratore.
La Corte distrettuale avrebbe dovuto rilevare sia l'assenza di colpa dell'imputato che la carenza delle mancanze dell'art. 122 D.L.vo 81/2008, in quanto il luogo di lavoro era munito di parapetto e di sollevatore pantografo e, in caso di condotta diligente nello smontaggio, la caduta non sarebbe mai potuta avvenire.
Una corretta analisi del caso di specie - si sostiene nell'atto di impugnazione - avrebbe consentito di escludere sia la colpa dell'imputato che la sussistenza degli elementi delle contravvenzioni contestate.
In relazione all'art. 96 comma 1 lett. g) D.L.vo 81/2008, il ricorrente deduce che la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare che il POS, datato 1.7.2011, quindi stipulato prima dell'esecuzione dei lavori, era stato redatto con la previsione di tutti gli elementi sulle misure di prevenzione e protezione per lo smontaggio. La norma stessa lascia, infatti, al datore di lavoro libertà di scelta sui sistemi di sicurezza ritenuti più idonei secondo lo sviluppo dei lavori.
Infine, in relazione all'art. 90 comma 4 D.L.vo 81/2008, il ricorrente deduce che il caso di specie non sia riconducibile alla fattispecie prevista dalla norma, in quanto l'imputato era committente di appalto interno e non dell'intera opera edile, di conseguenza non possono configurarsi a suo carico gli obblighi previsti al capo I titolo IV D.L.vo 81/2008 e le violazioni contestate.
b. Capo A: erronea applicazione della legge penale., in particolare dell’art. 41 comma 2 cod. pen., in relazione al rapporto di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento. Vizio di legittimità rilevante ex art. 606 comma 1 lettera b) cod. proc. pen.
Il ricorrente deduce l'avvenuta interruzione del nesso causale, ai sensi dell'art. 41 comma 2 cod. pen., a seguito della condotta abnorme tenuta dal lavoratore.
Viene ribadito in proposito che quest'ultimo, come confermato dal collega escusso in dibattimento, nonostante fosse stato informato e formato sulle misure di protezione, violava le istruzioni ricevute procedendo allo smontaggio, dall'esterno della cesta del pantografo, presente e in funzione sul cantiere, e seguendo l'ordine inverso rispetto a quello impartito, dall'interno all'esterno.
c. Capo A): contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ri-sultante dal testo del provvedimento impugnato, in relazione all'asserita respon-sabilità penale dell'imputato in ordine alle contestazioni ascrittegli. Vizio di legittimità rilevante ex art. 606 comma 1 lettera e) cod. proc. pen.
Con il terzo motivo si deduce la contraddittorietà della motivazione laddove la sentenza impugnata rileva che il POS dell'Europstand non veniva consegnato, mentre quello della Euroservice, unica interessata dalle condotte, sarebbe stato generico e incompleto, successivamente, invece, la stessa sentenza afferma la piena valenza probatoria del documento, dichiarando che veniva acquisito al fascicolo dibattimentale senza alcuna obiezione del difensore dell'imputato.
Secondo il ricorrente, da un lato, non sarebbe comprensibile, per quale motivo l'acquisizione dello stesso doveva essere oggetto di censure della difesa, dall'altro, l'avvenuta acquisizione, proverebbe la sua corretta compilazione secondo le prescrizioni di legge.
Non sarebbe possibile, a dire del ricorrente, ripercorrere in maniera esaustiva le ragioni del convincimento della responsabilità dell'imputato. 
Carente sarebbe, poi, la motivazione in relazione alla mancata disamina della circostanza che l'imputato non era committente dell'intera opera ma solo di un appalto interno.
d. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, quanto al trattamento sanzionatone, in relazione all'asserita mancanza delle condizioni per la concessione del beneficio di cui all'art. 163 cod. pen.
Si lamenta che, in relazione alla pena comminata, i giudici di appello ne escludono la sospensione condizionale perché già concessa, senza precisare altro.
Si lamenta che la motivazione sul punto sarebbe, pertanto carente, in quanto non consente di valutare il ragionamento seguito per il rigetto del beneficio.
Nulla vieta, infatti, sussistendo i presupposti sul quantum della pena di con-cedere nuovamente il beneficio, dovendosi lo stesso ancorare ad un giudizio prognostico sul futuro comportamento dell'imputato. Ora è indubbio che si tratti di un episodio isolato non ripetibile, non avendo, tra l'altro, il D.F. precedenti specifici.
L'aver già goduto del beneficio non giustificherebbe, perciò, il diniego né può esimere il giudicante dall'esplicare le valutazioni adottate.
Il ricorrente chiede, pertanto, l'annullamento, con o senza rinvio, della sentenza impugnata.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è manifestamente inammissibile, in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata che in questa sede non viene in alcun modo sottoposta ad autonoma ed argomentata confutazione.
2. E' ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett, c) cod, proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693). E ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
3. La sentenza impugnata risponde adeguatamente a tutte le questioni sollevate in quella sede ed oggi riproposte.
In relazione al comportamento del lavoratore, la sentenza impugnata rileva che non solo non vi è prova della sostenuta formazione e informazione del lavoratore, ma sul luogo e nell'immediatezza dell'incidente non è stato rinvenuto il sollevatore pantografo, dall'interno della cui cesta, avrebbe dovuto operare il lavoratore secondo quanto sostenuto dal ricorrente.
Precisa condivisibilmente la sentenza che la dichiarazione del teste Br., dipendente di Europstand, in merito alla circostanza di avere seguito dei corsi, non prova che il B.S., dipendente della Euroservice, che dichiarava di non ricordare nulla in merito, avesse seguito corsi di formazione, né la difesa ha prodotto documentazione attestante la frequenza di corsi.
Sulla questione relativa al POS va osservato che la sentenza impugnata rileva essere emersa la mancanza del POS della Europstand e l'assoluta carenza e inadeguatezza del POS della Euroservice. Nessuna contraddizione vi è nel chiaro e logico ragionamento seguito dalla Corte distrettuale, che pone in evidenza l'avvenuta acquisizione al fascicolo del dibattimento, del POS della Euroservice, carente e lacunoso, e, peraltro, previa visione dello stesso da parte del difensore che nulla obiettava né prospettava l'esistenza di altro POS.
In tal senso, non appare chiaro per quale motivo ritenga il ricorrente che l'avvenuta acquisizione dimostri la corretta compilazione dello stesso secondo le prescrizioni del D.L.vo 81/2008.
La sentenza impugnata evidenzia, inoltre, con motivazione logica e congrua, che l'ispettore C. rappresentava la mancanza di una valutazione del rischio di caduta e sulle modalità per ovviarvi. 
L'attività in opera aveva natura cantieristica in quanto gli operai stavano smontando una infrastruttura per motivi che non facevano parte del normale ciclo produttivo delle aziende, sicché non erano sufficienti le previsioni del POS ordinario della Euroservice.
Infine sulla questione che si sarebbe trattato solo di un appalto interno, la sentenza impugnata rileva in primo luogo che l'imputato era sia committente che diretto datore di lavoro dell'imputato, inoltre nel caso di specie operando operai di entrambe le imprese occorreva un coordinamento per la sicurezza dei dipendenti con previsione dei rischi interferenziali.
I motivi dedotti, dunque, non paiono idonei a scalfire l'impianto motivazionale della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale affronta con argomentazioni esaustive e logicamente plausibili le questioni propostele.
4. Quanto alla doglianza circa la mancata concessione del beneficio della sospensione della pena la stessa appare frutto di una evidente svista difensiva.
La Corte di appello ha risposto che "la sospensione condizionale della pena è stata già concessa" non per negarla (cfr. pag. XIV della sentenza impugnata), ma perché è già stata concessa in primo grado.
I giudici del gravame del merito negano, invece, l'ulteriore beneficio costituito dalla non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale ex art. 175 cod. pen. sul presupposto che l'imputato ne ha già beneficiato più volte.
Ebbene, la doglianza oggi riproposta sul punto si palesa del tutto generica ed aspecifica, in quanto l'art. 175 del codice penale prevede che tale beneficio possa essere concesso "con la prima condanna".
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. seni. n. 186 del 13.6 2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 26 settembre 2017