Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 19 ottobre 2017, n. 48272 - Lavoratore precipita da un'impalcatura. Responsabilità del direttore tecnico di cantiere nominato dalla società mandataria di una ATI


Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: CAPPELLO GABRIELLA Data Udienza: 26/09/2017

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Frosinone, appellata anche da M.L. e dai legali rappresentanti della COMAT s.r.l. e della G.P. s.n.c. dei Fratelli G., con la quale il primo era stato dichiarato penalmente responsabile del reato di cui agli artt. 41 co. 1 e 589 co. 2 cod. pen. ai danni del lavoratore S.A. (previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, equivalenti all'aggravante contestata) e condannato, in solido con i responsabili civili, al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili, ha dichiarato le attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante contestata e prescritto il reato, confermando le statuizioni civili.
2. Si è contestato al M.L., nella qualità di direttore tecnico di cantiere e responsabile del rispetto del piano delle misure per la sicurezza fisica dei lavoratori, nominato dalla DC. s.r.l., società mandataria di una ATI, affidataria dell'appalto per la realizzazione del nuovo reparto per le malattie infettive dell'ospedale di Frosinone, di avere - per colpa [consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, oltre che nella violazione di legge e regolamenti e, segnatamente, per avere: omesso di curare le condizioni di sicurezza del cantiere con specifico riguardo all'approvvigionamento dei materiali e delle attrezzature occorrenti per l'attuazione delle misure di sicurezza previste dalle norme in vigore e dal piano aziendale, di responsabilizzare i collaboratori e i preposti, di esigere che ciascun lavoratore facesse uso dei mezzi personali di protezione e osservasse le norme di sicurezza e di emanare qualsivoglia ordine di servizio necessario per l'eliminazione delle deficienze riscontrate nell'allestimento delle opere protettive, in violazione dell'art. 18 co. 8 l. 55/1990 e dell'art. 9 del d.p.c.m. n. 55 del 1991; omesso di disporre che le armature del cantiere supportassero il peso delle strutture e quello delle persone e degli eventuali sovraccarichi, nonché le sollecitazioni dinamiche idonee a causare vibrazioni durante l'esecuzione dei lavori e quelle prodotte dalla spinta del vento e dell'acqua, in violazione dell'art. 66 del d.P.R. 164/1956; per non avere disposto affinchè l'impalcatura, dalla quale era precipitato il lavoratore, posta ad un'altezza superiore ai due metri, fosse provvista su tutti i lati prospicienti il vuoto di idoneo parallelo, in violazione dell'art. 24 dello stesso d.P.R.; per non avere adottato, nell'ambito del lavoro eseguito ad un'altezza superiore ai due metri, adeguate impalcature o ponteggi o idonee misure provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e cose, in violazione dell'art. 16 dello stesso d.P.R.; infine, per non avere disposto e preteso l'osservanza delle norme di sicurezza da parte dei lavoratori e l'uso dei mezzi di protezione da parte degli stessi, con particolare riguardo alle cinture di sicurezza, in violazione dell'art. 4 lett. c) del d.P.R. 547 del 1955 e dell'art. 10 del d.P.R. 164 del 1956] - cagionato la morte di S.A., lavoratore dipendente della PROCOGE s.r.l. (impresa partecipante all'ATI), il quale, mentre procedeva, privo di cinture di sicurezza e ad un'altezza di circa tre metri, all'assemblaggio di un'impalcatura nel cantiere, in conseguenza del cedimento di una trave di legno sulla quale si trovava, precipitava nel vuoto e decedeva per le gravissime lesioni riportate (in Frosinone il 28/11/2000).
3. L'imputato M.L. ha proposto ricorso a mezzo di difensore, formulando tre motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione del combinato disposto di cui agli artt. 494, 598 cod. proc. pen. e 24 Cost., con riferimento alla mancata audizione delle dichiarazioni spontanee dell'imputato, oggetto di specifica istanza dello stesso M.L., produttiva di nullità a regime intermedio.
Con il secondo, ha dedotto vizio della motivazione con riferimento alla condotta colposa omissiva ascritta al M.L., i cui presupposti assume assenti nel caso in esame, attesa la insussistenza di poteri di attivazione per mancata conoscenza e/o conoscibilità della situazione tipica, essendo stato l'imputato estraniato e depotenziato dal suo ruolo e rimasto, pertanto, all'oscuro della ripresa dei lavori, già sospesi.
Con il terzo, ha dedotto vizio di motivazione insufficiente con riferimento alla sussistenza del nesso eziologico tra l'evento morte e la condotta ascritta all'imputato, tenuto conto dello stato di sospensione dei lavori, al quale ricollega la non attualità dell'obbligo di attivarsi in capo al M.L., obbligo che, secondo parte ricorrente, sarebbe stato ravvisato dai giudici di merito in base ad una preconcetta riconduzione della responsabilità alla qualifica ricoperta, senza considerare l'affidamento riposto sulla condotta diligente del lavoratore, soprattutto in un caso, come quello di specie, in cui l'attività lavorativa era stata posta in essere senza il previo ripristino della messa in sicurezza del cantiere, a seguito della sospensione dei lavori, e senza valutare l'incidenza causale del comportamento anomalo tenuto dalla vittima nell'occorso.
4. La COMAT s.r.l., in persona del legale rappresentante M.L., ha proposto ricorso a mezzo dello stesso difensore, formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto violazione di legge in relazione alle statuizioni civili, avendo la Corte d'appello posto i relativi oneri a carico dei responsabili civili e degli imputati, in solido tra loro, omettendo di considerare però la struttura verticale della ATI in questione, caratterizzata da una suddivisione qualitativa del lavoro e, quindi, da una responsabilità delle singole imprese mandanti limitata all'esecuzione della propria prestazione.
In altri termini, la parte rileva che l'individuazione dell'impresa esecutrice e, quindi, della relativa posizione di garanzia rispetto agli obblighi di salvaguardia della sicurezza dei lavoratori, avverrebbe di volta in volta in base alla tipologia delle opere in esecuzione, atteso che, in sede di costituzione della ATI, la nomina di una mandataria riguardarebbe solo la gestione del contratto con la stazione appaltante, senza riflessi sull'autonomia gestionale delle singole imprese e sugli adempimenti ad esse spettanti, ivi compresi quelli in materia di sicurezza. Poiché il lavoratore deceduto era dipendente della PROCOGE s.r.l., unica impresa impegnata, al momento dell'incidente, ad eseguire lavori preliminari rispetto a quelli spettanti alla COMAT s.r.l., neppure presente sul cantiere con propri uomini e mezzi, gli obblighi di salvaguardia avrebbero riguardato solo la citata PROCOGE s.r.l. 
Quanto alla posizione del direttore tecnico di cantiere, inoltre, la parte ricorrente rileva che egli è responsabile del rispetto del piano per la sicurezza della ATI da parte di tutte le imprese e del coordinamento di esse.
5. La società G.P. s.n.c. dei F.LLI G., in persona del legale rappresentante G. Domenico, ha proposto ricorso a mezzo di proprio difensore, formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge con riferimento al diniego dell'autorizzazione a chiamare in causa la propria compagnia assicuratrice, rilevando un profilo di illegittimità costituzionale nel sistema normativo che riconosce tale diritto nel processo civile, negandolo in quello penale, nel quale, percome affermato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 112 del 1998, richiamata in ricorso, non vi sarebbe un principio costituzionale che prevede la necessità di garantire in sede penale le stesse azioni previste in quella civile, sebbene trattasi, secondo il deducente, di situazioni uguali che dovrebbero, pertanto ricevere, un uguale trattamento. La potestas attribuita al solo danneggiato (senza attenuazione e/o bilanciamenti con il soggetto terzo responsabile), così come delineata dalla Consulta, sarebbe pertanto in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, il secondo soggetto avendo meno diritti processuali delle altre parti, pur non avendo, se non indirettamente, alcuna colpa dei fatti.
Con il secondo motivo, ha dedotto violazione di legge con riferimento alla richiesta di estromissione dal giudizio, avuto riguardo ai profili concernenti la penale responsabilità degli imputati.
Sul punto, la parte svolge argomentazioni analoghe a quelle della difesa del M.L., con specifico riguardo alla natura verticale della ATI in questione e ai poteri - e connessi doveri - del direttore tecnico nominato dalla società capo gruppo, ribadendo che la costituzione di una ATI non supera e/o sostituisce la responsabilità del datore di lavoro in materia di sicurezza ed infortuni e che il piano di sicurezza della ATI non sostituisce, ma armonizza, quelli delle singole imprese del gruppo.
Rileva, inoltre, che - al momento dell'infortunio - la società ricorrente non era neppure presente sul cantiere, ove avrebbe iniziato ad operare solo nel settembre del 2002, contestando la attribuzione della responsabilità alla ATI sulla scorta del piano di sicurezza della stessa e la mancata considerazione del piano di sicurezza della PROCOGE s.r.l., neppure scrutinato nel processo.
Anche questa parte chiama in causa il concorso colposo del danneggiato, che riconduce ad un comportamento del tutto anomalo del lavoratore, tale da incidere sul decorso causale, non avendo potuto parte ricorrente in alcun modo prevenire o evitare l'evento, al pari dei delegati dell'ATI o dell'ATI stessa.
Con riferimento, poi, agli indici che la Corte ha valorizzato per ritenere l'avvenuta ripresa dei lavori, la parte osserva che la fattura d'acquisto del legname da parte della COMAT s.r.l. dimostrerebbe nulla più che tale circostanza, ma non anche la presenza di operai della stessa sul cantiere e che i fogli di presenza provengono dalla PROCOGE s.r.l., non risultando sottoscritti dalla ATI e/o da suoi delegati, in entrambi i casi evidenziando l'irritualità dell'acquisizione di tali documenti, avvenuta successivamente alle prove testimoniali.
Quanto, poi, alla decisione avente ad oggetto la ripresa dei lavori, la parte osserva che dal relativo verbale emergerebbe la presenza di un - non meglio identificato - delegato ATI che, secondo gli assunti difensivi, sarebbe stato N.M., legale rappresentante della PROCOGE s.r.l., intervenuto in quella sede senza alcuna delega da parte della ATI, laddove il riferimento alla "impresa" ivi contenuto andrebbe riferito alla stessa PROCOGE s.r.l.
Infine, a sostegno degli assunti difensivi, la parte sottolinea che non risulta provato che il N.M. avesse informato la ATI o il duo M.L.-DP. di quanto da solo concordato con la direzione dei lavori, o invitato gli incaricati ATI della sicurezza a provvedere al ripristino preliminare delle condizioni di sicurezza del cantiere, prima della ripresa dei lavori.
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi vanno rigettati.
2. La Corte d'appello ha, preliminarmente, rilevato la irritualità della rinuncia alla prescrizione da parte del difensore del M.L., procedendo pertanto alla pronuncia di estinzione del reato, previa valutazione delle già concesse attenuanti generiche in termini di prevalenza rispetto alla contestata aggravante, avuto riguardo alla totale incensuratezza dell'imputato, al tempo trascorso dall'infortunio e, soprattutto, alle concrete modalità del fatto, per come ricostruito in sentenza.
Ha, quindi, esaminato il merito della vicenda ai fini civili, richiamando la ricostruzione della dinamica operata dal Tribunale sulla scorta delle testimonianze rese dai lavoratori presenti, contestata dalle difese solo con riferimento all'altezza dalla quale lo S.A. era precipitato e confermata dalle conclusioni rassegnate dagli ispettori della ASL di Frosinone.
In tal modo, ha ritenuto che la causa principale dell'infortunio fosse riconducibile alla mancanza di protezione durante la lavorazione e allo stato di pericolo in cui l'attività fu posta in essere. Nel cantiere, infatti, erano state rilevate molteplici carenze (assenza di presidi atti a scongiurare il pericolo di cadute; assenza sull'impalcatura di ganci per attaccarre le cinture di sicurezza; inidoneità della trave, siccome deteriorata), tutte imputabili al M.L., giusto quanto previsto dal piano di sicurezza della ATI, al medesimo spettando anche di verificare la coerenza tra i piani adottati dalle singole ditte partecipatane (quindi COMAT s.r.l., PROCOGE s.r.l., G.P. s.n.c. dei F.LLI G. & Co.) e quello predisposto dalla capo gruppo DC. s.r.l.
Ha, inoltre, ritenuto che il cantiere fosse, nell'occorso, regolarmente aperto, poiché al suo interno vi erano operai di diverse ditte e non solo della PROCOGE s.r.l., alle cui dipendenze lavorava lo S.A., come desunto dai "rapportini" delle presenze, dalla fattura della COMAT [della quale il M.L. era socio al 97,5% (le residue quote appartenendo alla madre), oltre che direttore tecnico] e dalla presenza dell'assistente tecnico del M.L. (DP.) in cantiere alla ripresa dei lavori.
Era pure emerso che la presenza del M.L. sul cantiere era stata solo saltuaria e mai si era tradotta nell'adozione di ordini di servizio in materia di sicurezza, pur avendo egli l'obbligo di controllare la qualità del materiale utilizzato nel cantiere, a prescindere da quello incombente su chi era invece preposto all'acquisto. Il rappresentante dell'ATI, inoltre, aveva sottoscritto l'ordine di ripresa dei lavori datato 03/02/2000 e, in ogni caso, il direttore tecnico aveva l'obbligo di sorvegliare che il cantiere non rimanesse in stato di abbandono durante la loro sospensione e che vi permanessero le misure provvisionali. Il lavoratore deceduto, nell'occorso, non aveva indossato le cinture di sicurezza anche e, soprattutto, perché non vi erano ganci cui ancorarle, mentre nella parte interna del banchinaggio non vi erano parapetti, né disponibilità di ulteriori scale, laddove la trave, nonostante fosse vecchia e inidonea all'impiego, si trovava in quel cantiere a disposizione dei lavoratori impegnati nelle opere di banchinaggio.
La Corte ha, quindi, ritenuto sconfessata la tesi difensiva secondo cui il M.L. sarebbe stato all'oscuro della ripresa dei lavori e convinto della chiusura del cantiere, richiamando alcuni indici rivelatori del contrario [contabilizzazione dei lavori (che mal si conciliava con un ingresso abusivo dei lavoratori all'interno del cantiere); rapportino giornaliero del cantiere relativo ai giorni antecedenti all'incidente; presenza dell'assistente del M.L. sul cantiere; inerzia totale del M.L. anche dopo l'infortunio, non avendo egli richiesto spiegazioni agli altri imputati sulle ragioni per le quali il cantiere, asseritamente chiuso, fosse stato riaperto a sua insaputa (a dimostrazione ulteriore della fragilità della tesi difensiva)].
Quanto, poi, agli appelli dei responsabili civili, la Corte ha ritenuto accertata, per quanto qui d'interesse, la posizione di garanzia del M.L. e del DP., in relazione alla rispettiva qualità di direttore e assistente tecnico del cantiere, giusta nomina da parte della DC. s.r.l., mandataria delle altre società partecipanti alla ATI, ritenendo altresì manifestamente infondata la riproposta questione di legittimità costituzionale dell'art. 83 cod. proc pen., nella parte in cui non riconosce al responsabile civile (parte eventuale del processo penale) la facoltà di richiedere, a sua volta, la citazione in giudizio, quale responsabile civile, della propria compagnia assicuratrice.
Ha, pertanto, rigettato la richiesta di estromissione dal giudizio dei responsabili civili citati, osservando che la funzione della ATI è quella di consentire a più imprese di riunirsi in via occasionale e temporanea per partecipare ad una gara d'appalto ed eseguire lo stesso congiuntamente, in caso di aggiudicazione, senza creazione di una nuova entità dotata di autonomia e personalità giuridica e connesso patrimonio, avendo il legislatore garantito per tale strada un centro d'imputazione unico, al quale riferire l'aggiudicazione dell'appalto, ricorrendo allo strumento del mandato speciale con rappresentanza che consente la contitolarità nel rapporto contrattuale a tutte le imprese coinvolte, assicura la responsabilità solidale per l'esecuzione dei lavori nei confronti dei terzi e della P.A., stazione appaltante e, soprattutto, l'unitarietà del rapporto e l'unicità dell'interlocutore in capo all'impresa capo
gruppo, ne! caso di specie, la DC. s.r.l., dalla quale il M.L. era stato nominato direttore tecnico di cantiere. Pertanto, tutte le società della ATI dovevano ritenersi responsabili per i danni patrimoniali e morali patiti dalle costituite parti civili, il comportamento ascritto al M.L. essendo stato posto in essere o, comunque, agevolato dalle incombenze al medesimo attribuite dall'impresa.
3. Le questioni che i ricorsi sottopongono al vaglio di legittimità possono raggrupparsi in tre distinti gruppi: il primo riguarda profili eminentemente processuali (nullità ex artt. 494 e 598 cod. proc. pen.; riproposta questione di legittimità costituzionale dell'art. 83 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la facoltà per il terzo responsabile civile citato nel processo penale di chiamare in causa la propria compagnia assicuratrice); il secondo la individuazione della posizione di garanzia ricoperta dal M.L.; il terzo i profili correlati della responsabilità civile degli enti, anche con riferimento alla natura della ATI in questione.
3.1.1. Il primo motivo formulato nell'interesse del ricorrente M.L. è infondato.
Va, intanto, rilevato che la Corte capitolina ha precisato che l'imputato M.L., presente all'udienza di trattazione, aveva formulato dichiarazione di rinuncia alla prescrizione mediante il difensore, procuratore speciale, con atto depositato alla precedente udienza. Tale rinuncia è stata ritenuta, tuttavia, inefficace - sebbene ritualmente proposta - poiché consentita solo dopo il maturarsi della causa estintiva e non anche, come nel caso all'esame, prima che fosse stato effettuato dal giudice di merito il più favorevole giudizio discrezionale di bilanciamento delle concesse attenuanti generiche con la contestata aggravante.
La conclusione cui è giunta la Corte d'appello è coerente con il costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte e di questa stessa sezione.
Si è, infatti, più volte affermato che la rinunzia dell’imputato alla prescrizione è inefficace se il termine di prescrizione non è ancora maturato al momento della rinunzia medesima [cfr. sez. 4 n. 119 del 12/11/2010 Ud. (dep. 04/01/2011), Rv. 249349; sez. 6 n. 42028 del 04/11/2010, Rv. 248739; sez. 2 n. 527 del 15/11/2005 Cc. (dep. 10/01/2006), Rv. 2 233145; n. 3900 del 14/11/2003 Cc. (dep. 30/01/2004), Rv. 227867; sez. 6 n. 2815 del 21/01/1999, Rv. 213472].
Ciò posto, deve rilevarsi che la Corte capitolina ha operato il necessario vaglio delle doglianze formulate dall'appellante ai fini civili, conformemente all'indirizzo più volte espresso da questa Corte [cfr. sez. 6 n. 16155 del 20/03/2013, Rv. 255666; sez. 5 n. 588 del 04/10/2013 Ud. (dep. 09/01/2014), Rv. 258670; sez. 6 n. 5888 del 21/01/2014, Rv. 258999; sez. 3 n. 12387 del 21/02/2017, Rv. 270308].
Quanto alla dedotta nullità, poi, deve rilevarsi che, nel giudizio di cassazione, relativo a sentenza che ha dichiarato la prescrizione del reato, non sono rilevabili né nullità di ordine generale, né vizi di motivazione della decisione impugnata, anche se questa abbia pronunciato condanna agli effetti civili, qualora il ricorso non contenga, come nel caso all'esame, alcun riferimento ai capi concernenti gli interessi civili [cfr. sez. 6 n. 23594 del 19/03/2013, Rv. 256625; sez. F. n. 50834 del 04/09/2014, Rv. 261888; sez. 2 n. 2545 del 
16/10/2014 Ud. (dep. 21/01/2015), Rv. 262277]. A tale indirizzo questa Corte intende uniformarsi, costituendo esso espressione del diritto vivente (cfr. Sez. U. n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275).
3.1.2. Anche il primo motivo formulato nell'interesse della ricorrente G.P. dei F.LLI G. s.n.c. è infondato, laddove la questione di incostituzionalità, neppure formalmente proposta, deve ritenersi inammissibile.
Questa stessa sezione ha già chiarito che, in caso di esercizio dell'azione civile in sede penale, non è consentita la chiamata in causa, da parte del responsabile civile, di altro responsabile civile (cfr. sez. n. 15591 del 23/01/2001, Rv. 219447).
Tale principio è stato affermato proprio prendendo le mosse dalla pronuncia del giudice delle leggi, pure richiamata, in termini critici, da parte ricorrente (il riferimento è alla sentenza della Corte Costituzionale n. 112 del 1998, con la quale è stata dichiarata la incostituzionalità dell'art. 83 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevedeva la facoltà, per l'imputato, di citare l'assicuratore nel processo penale nel caso di responsabilità civile derivante da circolazione di autoveicoli).
Il giudice di legittimità, dal canto suo, con la citata sentenza n. 15591 del 2001, ha ritenuto manifestamente infondata la censura sollevata dal ricorrente con riferimento al medesimo art. 83, nella parte in cui prevede che la citazione del responsabile civile può essere chiesta soltanto dalla parte civile o dal P.M., nel caso previsto dall'art.77 co. 4 cod.proc. pen., mentre, a seguito dell'intervento della Consulta, l'assicuratore può essere citato nel processo penale a richiesta dell'imputato soltanto nel caso di responsabilità civile derivante dall'assicurazione obbligatoria prevista dalla legge n. 990/69 e ciò in quanto la Corte ha ritenuto violato il principio costituzionale di uguaglianza configurato dal citato art. 83 soltanto nella particolare ipotesi di responsabilità civile ex lege n. 990 del 1969, istitutiva dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante della circolazione dei veicoli a motore e dei natanti. Se, infatti, è ammessa la chiamata in garanzia dell'assicuratore da parte dell'assicurato in un giudizio civile per il risarcimento del danno provocato con la circolazione di autoveicoli sottoposti alle norme della legge per l'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile, analogo potere doveva essere attribuito all'imputato nel processo penale in quanto la posizione del convenuto chiamato a rispondere del proprio fatto illecito in autonomo giudizio civile e quella dell'imputato per il quale, in relazione allo stesso tipo di illecito, vi sia stata costituzione di parte civile del danneggiato nel processo penale, sono assolutamente identiche. La disciplina si configura in maniera diversa, invece, pe le assicurazioni che hanno la loro fonte esclusiva nel contratto, come nel caso in esame, poiché in questi casi l'assicuratore è tenuto soltanto verso l'assicurato (nei limiti del capitale assicurato), l'azione civile diretta del danneggiato contro l'assicuratore in sede civile essendo esclusa così come la citazione dell'assicuratore - responsabile civile nel processo penale - come rilevato dalla Corte Costituzionale nella citata decisione, riportandosi alla giurisprudenza di questo Supremo Collegio.
Né si dimostra conferente un richiamo alle disposizioni dettate dagli artt. 1917 ult.co. cod civ. e 106 cod. proc. civ., essendo stato escluso dalla Corte Costituzionale, con la citata sentenza, che la particolare disciplina dettata dal codice di procedura civile per la chiamata in garanzia possa essere utilizzata nello speciale contesto del giudizio civile di danno innestato nel processo penale mediante la costituzione di parte civile (cfr. in motivazione sez. 4 n. 15591 del 2001 citata).
Questa Corte ritiene di dover condividere tali principi e, conseguentemente, manifestamente infondata, alla stregua di essi e di quelli rinvenibili nella richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 112 del 1998, la relativa questione (invero neppure formalmente riproposta da parte ricorrente).
3.2. Il secondo motivo formulato nell'interesse del M.L., così come il secondo motivo formulato nell'interesse della G.P. dei F.LLI G. s.n.c. e il motivo unico formulato nell'interesse della COMAT s.r.l. sono infondati e possono essere congiuntamente trattati, riguardando essi il medesimo profilo della natura del raggruppamento temporaneo d'imprese e della responsabilità indiretta delle singole imprese che ne fanno parte, ravvisata dai giudici del merito con riferimento alla posizione di garanzia assunta dal M.L. quale direttore tecnico dei lavori, nominato dalla mandataria DC. s.r.l., capo gruppo dell'ATI.
La lettura proposta dalle difese omette di considerare che la posizione di garanzia di cui si discute è stata assunta dal M.L. in base ad una nomina riferibile a tutte le imprese facenti parte del raggruppamento, proprio in virtù del mandato conferito dalle partecipanti alla capo gruppo e mai contestato.
Con riferimento ad essa e alla responsabilità delle imprese nei confronti di terzi per attività riconducibili alla ATI, le doglianze difensive si risolvono nella prospettazione di una diversa lettura degli elementi di fatto valorizzati dalla Corte di merito, alla luce della quale si è inteso sostenere che il M.L., pur designato quale direttore tecnico dalla capo gruppo mandataria DC. s.r.l., non avesse tuttavia assunto nell'occorso alcuna posizione di garanzia, in relazione alle regole cautelari violate, riferibili alle imprese del gruppo, poiché la lavorazione nel corso della quale era avvenuto l'infortunio aveva riguardato la sola PROCOGE s.r.l., datore di lavoro del l'infortunato, che avrebbe assunto una posizione di garante assorbente rispetto al rischio considerato.
L'assunto, oltre a prescindere dalla circostanza, invero dirimente, che il M.L. era stato nominato direttore tecnico dell'intero cantiere dalla capo gruppo DC. s.r.l. e che tale nomina impegnava, pertanto, tutte le imprese mandatarie, si fonda su un dato fattuale (impegno delle sole maestranze PROCOGE s.r.l.) disconosciuto in fatto dai giudici di merito, in base ad una ricostruzione insindacabile in questa sede, siccome sorretta da un ragionamento probatorio congruo, non manifestamente illogico né contraddittorio.
Di nessun pregio si risolvono, pertanto, gli argomenti che intendono valorizzare la natura del raggruppamento d'imprese e la suddivisione qualitativa dei compiti, una svolta smentito l'assunto che solo la PROCOGE s.r.l. fosse impegnata in quel cantiere con proprie maestranze e mezzi, avuto riguardo agli obblighi che la legge prevede in capo alla figura del direttore di cantiere, certamente non riferibile alla sola PROCOGE s.r.l. 
3.3.1. Con riferimento a detti obblighi e ai profili più strettamente inerenti la causalità della colpa, si rileva altresì la infondatezza del terzo motivo formulato nell'interesse del M.L..
Deve, intanto, definitivamente chiarirsi, conformemente all'orientamento costante di questa sezione, che la titolarità di una posizione di garanzia, quale in concreto è ravvisabile in capo al M.L. n.q., non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, poiché il principio di colpevolezza impone di verificare, in concreto, sia la sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (c.d. concretizzazione del rischio), sia la sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso [cfr. sez. 4 n. 24462 del 06/05/2015, Rv. 264128; n. 5404 dell'08/01/2015, Rv. 26203 n. 1819 del 03/10/2014 Ud. (dep. 15/01/2015), Rv. 261768; n. 49707 del 04/11/2014, Rv. 263283; ]; ciò in quanto, ai fini della imputazione soggettiva dell'evento, la necessaria prevedibilità - anche sotto il profilo causale - non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità, nel senso che esso deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo [cfr. Sez. U. n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261106].
Quanto, poi, al rischio concretizzatosi nel caso di specie, si è precisato che, in materia anti infortunistica, risponde del reato di lesioni derivate dal crollo di un'armatura provvisoria per l'esecuzione di manufatti, per non avere impedito l'evento, il soggetto che, pur obbligato in quanto direttore tecnico di cantiere (quale era - nel caso di specie - il M.L.), abbia tuttavia omesso di predisporre i presidi imposti per impedirne il crollo, in violazione dell'art. 64 del d.P.R. n. 164 del 1956, secondo cui tale tipologia di strutture deve essere costruita in modo da assicurare in ogni fase del lavoro la necessaria solidità (cfr. sez. 3 n. 42684 del 07/05/2015, Rv. 265199).
Inoltre, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tra i destinatari degli obblighi dettati dall'art. 4 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, vi è certamente anche il direttore tecnico, figura inquadrabile nel modello legale del dirigente (cfr. sez. 4 n. 39606 del 28/06/2007, Rv. 237879), soggetto, cioè, preposto alla direzione tecnico-amministrativa dell'azienda con responsabilità diretta dell'andamento del servizio, cui spetta, in definitiva, di predisporre tutte le misure di sicurezza fornite dal capo dell'impresa e stabilite dalle norme, di controllare le modalità del processo di lavorazione, vigilare, per quanto è possibile, sulla regolarità antinfortunistica delle lavorazioni (cfr. sez. 4 n. 1345 dell'01/07/1992, Rv. 193034).
3.3.2. Fatta tale premessa, l'attenzione di questa Corte, sollecitata dai motivi di ricorso, riguarda la imputazione soggettiva dell'evento, sia con riferimento alla ripresa dei lavori e alla conoscenza di essa da parte del M.L., che avuto riguardo alla incidenza del comportamento del lavoratore sul relativo decorso causale. 
Quanto al primo profilo, le doglianze difensive si risolvono nella prospettazione di una lettura degli elementi di prova, analiticamente valutati e indicati dal giudice di merito, difforme dal significato ad essi attribuito dalla Corte territoriale, sulla scorta di un ragionamento del tutto congruo, non manifestamente illogico, né contraddittorio. In altri termini, la parte ha invitato questa Corte a riconsiderare il significato di dati fattuali, non contestati nella loro storicità, ricavandone assunti non coerenti rispetto alle valutazioni discrezionali condotte dai giudici di merito. Il riferimento è agli indici rivelatori della circostanza che i lavori, al momento dell'infortunio, erano stati ripresi in conformità ad un deliberato della cui validità parte ricorrente dubita sulla scorta di un ragionamento in fatto precluso a questo giudice. Peraltro, la Corte capitolina affronta il tema specifico con dovizia di riferimenti ai dati probatori, dai quali era emerso che proprio la COMAT s.r.l. (della quale il M.L. era in defintiva l'effettivo dominus) aveva provveduto all'acquisto del legname per il cantiere, a riprova del fatto che i lavori erano ripresi e si doveva provvedere alle opere di "banchinaggio" per il secondo impalcato; che l'assistente del M.L. era presente in cantiere al momento dell'infortunio, a riprova della consapevolezza da parte del dirigente della circostanza che i lavori erano ripresi; che in cantiere non vi erano solo lavoratori PROCOGE s.r.l., ma anche dipendenti di altre imprese facenti parte del raggruppamento, come attestato dai "rapportini" della PROCOGE s.r.l.
Quanto, invece, al secondo profilo, deve rilevarsi che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (cfr. Sez. 4 n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259127). Sempre con riferimento al concetto di "atto abnorme", si è pure precisato che tale non può considerarsi il compimento da parte del lavoratore di un'operazione che, pure inutile e imprudente, non sia però eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (cfr. Sez. 4 n. 7955 del 10/10/2013 Ud. (dep. 19/02/2014), Rv. 259313).
L'abnormità del comportamento del lavoratore, dunque, può apprezzarsi solo in presenza della imprevedibilità della sua condotta e, quindi, della sua ingovernabilità da parte di chi riveste una posizione di garanzia. Sul punto, si è peraltro efficacemente sottolineato che tale imprevedibilità non può mai essere ravvisata in una condotta che, per quanto imperita, imprudente o negligente, rientri comunque nelle mansioni assegnate, poiché la prevedibilità di uno scostamento del lavoratore dagli standards di piena prudenza, diligenza e perizia costituisce evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. Il che, lungi dall'avallare forme di automatismo che svuotano di reale incidenza la categoria del "comportamento abnorme", serve piuttosto ad evidenziare la necessità che siano portate alla luce circostanze peculiari - interne o esterne al processo di lavoro - che connotano la condotta dell'infortunato in modo che essa si collochi al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso (cfr. in motivazione Sez. 4 n. 7955/2013 richiamata). In conclusione, tale comportamento è "interruttivo" (per restare al lessico tradizionale) non perché "eccezionale" ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 254094).
4. Da tutto quanto precede, discende il rigetto dei ricorsi, cui fa seguito anche la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al pagamento delle spese sostenute dalle parti civili costituite, che si liquidano, quanto a MARTINI Luciana, in complessivi €. 2.500,00, oltre accessori come per legge; quanto a ANGELUCCI Anna Maria, S.A. Maria Immacolata e S.A. Filomena, in complessivi €. 3.500,00, oltre accessori come per legge.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili che si liquidano quanto a M. L. in complessivi €. 2.500,00, oltre accessori come per legge; quanto ad A.A., S.M.I. e S.F. in complessivi €. 3.500,00 oltre accessori come per legge.
Deciso in Roma il giorno 26 settembre 2017