Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 dicembre 2017, n. 30321 - Cavo al suolo e infortunio del dipendente di Poste Italiane. E' irrilevante che la società lo abbia segnalato


 

 

Presidente: DI CERBO VINCENZO Relatore: BRONZINI GIUSEPPE Data pubblicazione: 18/12/2017

 

Fatto

 


1. Con la sentenza del 24.5.2011 la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio che aveva dichiarato la responsabilità delle Poste Italiane spa in ordine all'infortunio occorso a LC.G. con condanna al risarcimento del danno biologico ( per inabilità temporanea e danno morale) detratto quanto corrisposto dall'INAIL.
2. A fondamento della propria decisione la Corte territoriale ricordava che risultava violato l'art. 8.1. del DPR n. 547/55 riguardante la sicurezza dei pavimenti degli ambienti di lavoro e che andava escluso il concorso di colpa del danneggiato. All'esito della CTU il danno permanente era stato determinato nel 4% che, tenuto conto delle menomazioni preesistenti, era stato collocato nella fascia tra il 35 ed il 39% : posto che potevano essere ravvisati gli estremi del reato era stato riconosciuto il danno morale nella misura della metà di quello biologico permanente. Ora, in ordine all'appello delle Poste, l'istruttoria aveva dimostrato la pericolosità del cavo collocato al suolo in modo precario che aveva provocato altri incidenti il che escludeva una colpa dell'infortunato: operava quindi il principio del danno differenziale per cui spettavo le somme non già risarcite dall'INAIL potendosi ravvisare gli estremi del reato. Il consulente aveva apportato chiarimenti sulla determinazione del danno ( il criterio adottato era quello della determinazione della differenza, per calcolare i 4 punti dell'infortunio, tra i valori indicati nelle tabelle in corso - comprensive del danno morale-, in corrispondenza delle due percentuali originaria e sopravvenuta, criterio da ritenersi accettabile) : per cui- anche alla luce dei conteggi delle parti- spettavano euro 39.903,00 non inferiore a quello determinato in prime cure, cui doveva aggiungersi quanto spettante per inabilità temporanea.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 100 cod. civ. proc., dell'art. 13 D. Lgs. n. 38/2000, degli artt. 10, 11 e 66 D.P.R. n. 1124/1965. Dopo la novella del 2000 l'INAIL doveva liquidare anche il danno biologico con conseguente copertura dell'entità complessiva del danno ex art. 13. Con il secondo motivo si allega l'omessa ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata circa il medesimo profilo.
I due motivi vanno trattati congiuntamente e sono infondati in quanto la sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte che anche recentemente ha riaffermato che "le somme eventualmente versate dall'Inail a titolo di indennizzo ex art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 non possono considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato o ammalato, sicché, a fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore di lavoro il risarcimento dei danni connessi all'espletamento dell'attività lavorativa (nella specie, per demansionamento), il giudice adito, una volta accertato l'inadempimento, dovrà verificare se, in relazione all'evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite dal d.P.R. n. 1124 del 1965, ed in tal caso, potrà procedere, anche di ufficio, alla verifica dell'applicabilità dell'art. 10 del decreto citato, ossia all'individuazione dei danni richiesti che non siano riconducibili alla copertura assicurativa (cd. "danni complementari"), da risarcire secondo le comuni regole della responsabilità civile; ove siano dedotte in fatto dal lavoratore anche circostanze integranti gli estremi di un reato perseguibile di ufficio, potrà pervenire alla determinazione dell'eventuale danno differenziale, valutando il complessivo valore monetario del danno civilistico secondo i criteri comuni, con le indispensabili personalizzazioni, dal quale detrarre quanto indennizzabile dall'Inail, in base ai parametri legali, in relazione alle medesime componenti del danno, distinguendo, altresì, tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, ed a tale ultimo accertamento procederà pure dove non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto all'indennizzo, ed anche se l'Istituto non abbia in concreto provveduto all'indennizzo stesso" ( Cass. n. 9166/2017). Nel caso in esame sussiste anche la violazione dell'art. 8.1. del DPR n. 547/55 riguardante la sicurezza dei pavimenti degli ambienti di lavoro con conseguente, univoca, responsabilità del datore di lavoro. Quanto corrisposto dall'INAIL è stato peraltro già detratto dalla somma spettante.
2. Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell'art. 8 DPR n. 547/55, e degli artt. 1176, 1218, 2087 e 2697: la presenza del cavo che era ben visibile era stata segnalata da tempo.
3. Il motivo è inammissibile perché in realtà diretto ad una " rivalutazione del fatto " già accertato concordemente dai Giudici di merito, il che appare inammissibile in questa sede. Appare, comunque, irrilevante che la società avesse segnalato la presenza del cavo telefonico giacché si doveva impedire ai lavoratori di operare in presenza di un cavo collocato al suolo in modo precario che aveva già causato altri incidenti.
4. Con il quarto motivo si allega l'insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La sentenza impugnata riferiva che erano stati richiesti chiarimenti al CTU, ma in realtà tali chiarimenti erano stati completamente disattesi.
5. Il motivo appare infondato in quanto la sentenza impugnata riferisce solo i chiarimenti del CTU in ordine alla liquidazione del danno spettante e li condivide e procede poi a calcolare la somma nel modo indicato in sentenza, tenuto conto dei conteggi proposti dalle parti. Non si vede, dunque, dove stia la contraddizione motivazionale posto che la stessa parte ricorrente sembra condividere i criteri generali offerti dal CTU e che la somma è stata calcolata direttamente dal Giudice di appello.
6. Con il quinto motivo si allega la violazione degli artt. 194, 195 e ss. cod. civ. proc.: la Corte prima ha disposto una integrazione della consulenza e poi ne ha disatteso i risultati.
7. Il motivo è infondato posto che il CTU è pacificamente un ausiliario del Giudice che quindi non è obbligato a seguirne le indicazioni; la Corte di appello in specifico, dopo aver accertato i criteri generali di liquidazione condividendo quelli segnati dal CTU, ha liquidato la somma (come era in suo potere fare) alla luce dei conteggi delle parti.
8. Con il sesto motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 152, 153, 154, 101, cod. civ. proc. e degli artt. 24 e 111 Cost. Le note della parte oggi intimata concernente i conteggi erano state depositate in ritardo e la Corte, invece, aveva utilizzato tali conteggi.
9. Il motivo appare infondato posto che la Corte di appello, pur dichiarando di tenere conto dei conteggi delle parti, ha calcolato direttamente il dovuto liquidandolo in favore del danneggiato e quindi facendo propria una certa impostazione dei conteggi che, ove ritenuta non corretta, andava impugnata in quanto tale mentre nel motivo in esame si prospetta una mera tardività nel deposito di note sui conteggi che non può rendere nulla la decisione circa il quantum che è stata operata direttamente dal Giudice di appello e sotto la sua responsabilità .
10. Si deve quindi rigettare il proposto ricorso: le spese di lite liquidate come al dispositivo- seguono la soccombenza.
 

 

PQM

 


Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 4.00,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali al 15% ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 14.6.2017