Cassazione Civile, Sez. Lav., 22 dicembre 2017, n. 30874 - Patologie del vigile dipendente del Comune di Roma


 

Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: BLASUTTO DANIELA Data pubblicazione: 22/12/2017

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 9809/2011, in accoglimento dell'appello proposto da P.V., in riforma della gravata sentenza, ha dichiarato l'ascrivibilità delle patologie lamentate dall'appellante, dipendente del Comune di Roma, nella VI categoria della Tabella A e, per l'effetto, ha condannato il Comune di Roma a pagare all’appellante l'equo Indennizzo nella misura di legge.
2. In particolare, la Corte territoriale ha condiviso le conclusioni espresse dal CTU nominato in grado di appello, le cui motivazioni, "rassegnate all'esito di numerosi accertamenti e non inficiate da avverse deduzioni", sono state ritenute "pienamente condivisibili".
3. Per la cassazione di tale sentenza il Comune di Roma ora Roma Capitale ha proposto ricorso affidato ad un motivo, cui resiste il P.V. con controricorso, seguito da memoria ex art. 378 c.p.c..
 

 

Diritto

 


1. Il Comune di Roma, ora Roma Capitale, con unico motivo, dopo ampia narrativa dei fatti di causa, da cui risulta che il P.V., Vigile del Corpo della Polizia Municipale, a seguito di plurimi traumi riportati nello svolgimento del servizio, propose domanda per il riconoscimento della ascrivibilità del complesso patologico nella V categoria delta Tabella A, censura la sentenza di appello per insufficienza di motivazione, in relazione all'art. 360 n 5 c.p.c., addebitando alla Corte territoriale di avere motivato la decisione mediante mero rinvio alle argomentazioni del CTU, ricorrendo a clausole di stile.
1.1. A sostegno della censura, deduce la lacunosità della relazione peritale, poiché il Consulente tecnico d'ufficio, operata la ricostruzione dei fatti di causa e delle censure delle parti, si era limitato a svolgere considerazioni di ordine generale relative alla "causa di servizio" e ai criteri medico-legali di valutazione del danno, senza alcuna analisi critica relativa al caso in esame: in particolare, il C.t.u. aveva affermato il modificarsi della situazione clinica in relazione all'istanza del 22 settembre 1989, facendo generico riferimento al sopraggiungere di nuove alterazioni patologiche relative a plurimi infortuni sul lavoro.
1.2. L'Amministrazione ricorrente deduce che la carenza della relazione medico-legale aveva inficiato la motivazione della sentenza, che si era limitata a recepirla pedissequamente.
2. Il ricorso è inammissibile.
3. Innanzitutto, non è riportata la c.t.u. nella sua integralità, essendo trascritti solo brevi stralci, del tutto inidonei a rendere conto degli accertamenti diagnostici (che la Corte di appello ha riferito essere stati numerosi), ne' delle valutazioni medico-legali svolte dal C.t.u., delle quali il Comune ricorrente si limita ad affermare la genericità. La mancata trascrizione della relazione peritale svolta in grado di appello, in violazione degli oneri di cui all'art. 366 n. 6 c.p.c., preclude in radice la stessa possibilità di valutare la fondatezza delle censure. 
3.1. In tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che addebita alla consulenza tecnica d'ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (o nella sentenza che l'ha recepita) ha l'onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamento ed alle conclusioni del consulente d'ufficio. Le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza devono pertanto possedere un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività direttamente in base al ricorso (Cass. n. 13845 del 2007, v. pure Cass. n. 3224 e 16368 del 2014), dovendosi escludere che la precisazione possa viceversa consistere in generici riferimenti ad alcuni elementi di giudizio, meri commenti, deduzioni o interpretazioni, traducentisi in una sostanziale prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice di merito, di cui si chiede a tale stregua un riesame, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 17369 del 2004, conf. Cass. n. 21090 del 2004, n. 79 del 2006, n. 9254 del 2007; v. Cass. n. 13845 del 2007).
4. Inoltre, non è affetta da vizio di motivazione la sentenza che si sia limitata a recepire gli esiti della c.t.u.. Va premesso che il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza della richiesta prestazione (Cass. n. 1652 del 2012). La giurisprudenza di questa Corte è del tutto consolidata al riguardo (cfr. ex multis, Cass. n. 569 del 2011; n. 8654 del 2008, 9988 del 2009, n. 15796 del 2004).
5. Solo allorché ad una consulenza tecnica d'ufficio siano mosse critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte, il giudice che intenda disattenderle ha l'obbligo di indicare nella motivazione della sentenza le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente le conclusioni del proprio consulente, ove questi a sua volta non si sia fatto carico di esaminare e confutare i rilievi di parte (incorrendo, in tal caso, nel vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (Cass. n. 10688 del 2008, 25862 del 2011, 23637 del 2016).
5.1. Nel caso di specie, non risulta prospettato con il ricorso per cassazione che il Comune di Roma avesse mosso specifiche censure successivamente al deposito dell'elaborato peritale e che tali censure non fossero state esaminate dalla Corte.
6. Il ricorso va dichiarato inammissibile, con onere delle spese a carico di parte soccombente e distrazione in favore del procuratore, avv. omissis, dichiaratosi antistatario.
 

 

P.Q.M.
 

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.000,00 per compensi e in € 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario. Roma, così deciso nella camera di consiglio dell' 11 ottobre 2017