Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 3, 11 gennaio 2018, n. 776 - Nessuna causa di non punibilità se si è responsabili di varie violazioni di norme afferenti a reati della stessa indole in quanto lesivi del medesimo bene giuridico: la sicurezza sul lavoro


 

 

 

 

Presidente: CAVALLO ALDO Relatore: GALTERIO DONATELLA Data Udienza: 04/04/2017

 

 

 


Fatto

 


l. Con sentenza in data 1.7.2015 il Tribunale di Asti ha condannato G.DG. alla pena di € 4.000 di ammenda ritenendolo colpevole, in qualità di titolare dell'omonima ditta e datore di lavoro di H.L.dei reati di cui agli artt.18, comma 1 lett. a) e g), 36, commi 1 e 2, 37 commi 1,7,9 e 10 d. lgs. 81/2008 per aver omesso di nominare il medico competente per la visita sanitaria; di inviare il dipendente alla visita medica entro i termini previsti dalla sorveglianza sanitaria; di provvedere affinchè costui ricevesse un'adeguata informazione sui rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro, anche rispetto alle conoscenze linguistiche. Avverso la suddetta pronuncia l'imputato ha proposto per il tramite del difensore ricorso per Cassazione articolando un unico motivo con il quale contesta il mancato riconoscimento sia della causa di non punibilità di cui all'art.131 bis deducendo che la pluralità delle violazioni contestategli non poteva prescindere dall'unicità del contesto in cui erano state generate che ne escludeva conseguentemente la reiterazione trattandosi di un unico lavoratore assunto da pochi giorni, e che il bene giuridico tutelato non poteva essere mai di ostacolo all'applicabilità della norma il cui aspetto valutativo era limitato alla tipologia ed all'entità della sanzione edittale; sia delle circostanze generiche senza che su tale punto fosse stata spesa alcuna motivazione malgrado l'incensuratezza e la corretta condotta processuale.
 

 

Diritto

 


1. Come è noto, la speciale causa di non punibilità ex art. 131 bis cod.pen. applicabile, ai sensi del comma 1, ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta, è configurabile in presenza di un duplice condizione essendo richiesta, congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale del citato articolo, la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento. Il primo dei due requisiti richiede, a sua volta, la specifica valutazione della modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall'art. 133 c.p., cui segue, in caso di vaglio positivo e dunque nella sola ipotesi in cui si sia ritenuta la speciale tenuità dell'offesa, la verifica della non abitualità del comportamento che il legislatore, con previsione piuttosto ambigua, esclude nel caso in cui l’autore del reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Con riferimento invero alla speciale tenuità dell'offesa, pur essendo l'elemento del l'esiguità del danno o del pericolo sostanzialmente eliso dalla natura degli stessi reati in contestazione, che in quanto configurabili come reati di pericolo presunto correlano la condotta criminosa alla mera lesione potenziale del bene giuridico tutelato dalla norma penale (la sicurezza sul lavoro), ciò nondimeno, come affermato dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa che prenda in esame tutte le peculiarità della fattispecie concreta riferite alla condotta in termini di possibile disvalore e non solo di quelle che attengono all'entità dell'aggressione del bene giuridico protetto che comunque ricorre senza distinzione tra reati di danni e reati di pericolo. E' stato perciò ritenuto che il parametro di riferimento, sul quale calibrare il giudizio sulla particolare tenuità del fatto sia costituito, anche in presenza, come nell'ipotesi delle contravvenzioni in esame, di reati meramente omissivi, in relazione ai quali, attesa la modesta caratterizzazione della fattispecie tipica, non può non assumere valore dirimente l'elemento temporale, ovverosia la protrazione della stessa omissione, dal primo comma dell'art.133 cod. pen. tenendosi pertanto conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo. (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 - dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Per quanto concerne il secondo requisito, afferente alla non abitualità della condotta, si ritiene, in conformità ad un recente condivisibile arresto di questa Corte, che la causa di esclusione della punibilità non possa essere applicata, ai sensi del terzo comma dell'art. 131-bis, qualora l'imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima "ratio punendi"), poiché è la stessa previsione normativa a considerare il "fatto" nella sua dimensione "plurima", secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l'eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola. (Sez. 5, n. 26813 del 10/02/2016 - dep. 28/06/2016, Grosoli, Rv. 26726201). Ed invero proprio una lettura non superficiale del disposto dell'art. 131 bis, co. 3, c.p., non consente di applicare al caso in esame la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, posto che la menzionata disposizione normativa esclude, tra l'altro, di poter riconoscere siffatta causa in favore di chi abbia commesso più reati della stessa indole, anche nell'ipotesi in cui ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità. Nulla autorizza a ritenere che, con tale previsione, il legislatore abbia voluto riferirsi solo ai casi in cui l'autore del reato sia gravato da precedenti penali specifici, posto che altrimenti si sarebbe espresso in termini di recidiva specifica, apparendo, invece, logicamente coerente dedurre dalla menzionata disposizione normativa che, quando il soggetto agente abbia violato più volte la stessa o più disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi, egli non possa avvantaggiarsi della menzionata causa di non punibilità, in quanto, in tale evenienza, è la stessa norma a considerare il "fatto", secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l'eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola, connotato, nella sua dimensione "plurima", da una gravità tale da non potere essere considerato di particolare tenuità. Di ciò si trae conferma dalla relazione illustrativa al d.lgs. 28/2015 la quale, dopo aver premesso che il terzo comma dell'art.131-bis "descrive soltanto alcune ipotesi in cui il comportamento non può essere considerato non abituale, ampliando quindi il concetto di 'abitualità', entro il quale potranno collocarsi altre condotte ostative alla declaratoria di non punibilità", espressamente rileva, in relazione alla previsione contemplante l'ipotesi che "l'autore abbia commesso reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità", che "non vi è, nel testo, alcun indizio che consenta di ritenere, considerati i termini utilizzati, che l'indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria ed, anzi, sembra proprio che possa pervenirsi alla soluzione diametralmente opposta, con la conseguenza che possono essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell’ambito del medesimo procedimento, il che amplia ulteriormente il numero di casi in cui il comportamento può ritenersi abituale, considerata anche la ridondanza dell'ulteriore richiamo alle 'condotte plurime, abituali e reiterate".
Correttamente pertanto nel caso in esame, il Tribunale di Asti ha negato l'applicabilità della causa di non punibilità, essendosi l'imputato reso responsabile di una molteplice violazione di norme afferenti a reati della stessa indole, in quanto lesivi del medesimo bene giuridico tutelato, ovverosia la sicurezza sul lavoro.
2. Quanto al diniego delle attenuanti generiche, va osservato che il ricorrente non risulta aver svolto innanzi al Tribunale alcuna richiesta di applicazione delle circostanze di cui all'art.62-bis cod. pen., con conseguente inconfigurabilità dell'assunto vizio motivazionale in relazione a questione sulla quale il giudice a quo non si è mai pronunciato, venendo altrimenti meno la funzione propria del sindacato di legittimità cui è sotteso il giudizio demandato a questa Corte.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato, seguendo a tale esito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 4.4.2017