Cassazione Penale, Sez. 4, 28 febbraio 2018, n. 9137 - Movimentazione massi e successiva caduta di un masso sui due operai presenti sul fondo della cava. La sconsiderata condotta di un DL è così imprudente da interrompere il nesso rispetto all'altro DL


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 10/01/2018

 

 

 

... "La sconsiderata condotta del datore di lavoro (En.L.) che ha, peraltro in maniera del tutto estemporanea, impartito l'ordine a R.DF. e a S.G. di lavorare sul fondo della cava mentre il medesimo movimentava pesantissimi massi in posizione sopraelevata rispetto ai due sciagurati operai è, in realtà, talmente grave ed imprudente da avere interrotto ogni nesso di causalità rispetto alla posizione di Er.L.:
in altre parole, En.L., con la descritta condotta, ha assunto in proprio la posizione di garanzia, così provocando l'affievolimento e non già il rafforzamento, come invece illogicamente sostenuto nella sentenza impugnata (p. 5), della posizione di garanzia dell'altro datore di lavoro astrattamente equiordinato."


 

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte di appello di Trieste il 17 ottobre 2016, in riforma della sentenza di assoluzione emessa il 9 maggio 2014 all'esito dell'abbreviato dal G.u.p. del Tribunale di Trieste, ha riconosciuto Er.L. responsabile del reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina antinfortunistica, fatto commesso il 22 novembre 2011, e, riconosciute le attenuanti generiche e quella del risarcimento del danno stimate prevalenti sull'aggravante, lo ha condannato, con la diminuente di cui all'art. 442, comma 2, cod. proc. pen., alla pena di giustizia.
2. E' necessario premettere alcune informazioni fattuali che si traggono dalle sentenze di merito.
2.1. All'esito delle indagini preliminari scaturite dall'infortunio sul lavoro in data 22 novembre 2011, nel quale ha perso la vita R.DF. ed ha riportato lievi ferite S.G., entrambi operai che stavano lavorando all'interno di una cava, il Pubblico Ministero ha esercitato l'azione penale nei confronti di tre persone, cioè En.L., Er.L. e S.S..
2.1.1. Al primo, En. E.L., è stato addebitato, nella triplice veste di sorvegliante di cava, di legale rappresentante della s.r.l. Aurisina Quarry, alle cui dipendenze lavorava il deceduto, e di autore materiale del fatto, di avere provocato la morte di R.DF. ed il ferimento di S.G., per colpa sia generica che specifica, in quanto, essendo in corso attività di movimentazione di massi al fine di creare un terrapieno funzionale alla successiva attività di estrazione di roccia, En.L. (responsabilità omissiva) ha omesso di segnalare adeguatamente l'area di cava in cui venivano gettati i massi, ha omesso di adottare le misure affinché i lavoratori non autorizzati accedessero alle aree pericolose, ha omesso di adottare le misure necessarie affinché gli operai autorizzati all'accesso a tali aree fossero protetti, ha omesso di progettare, costruire, organizzare e gestire l'area in modo da garantirne la stabilità e da salvaguardarne la sicurezza dei lavoratori, ed inoltre (responsabilità commissiva) ha direttamente disposto che R.DF. e S.G. la mattina del 22 novembre 2011 si recassero sul fondo della cava per riparare un mezzo meccanico Caterpillar che ivi era fermo da giorni perché in avaria e mentre i due si trovavano, appunto, sul fondo della cava, manovrando personalmente En.L. una pala gommata, prelevando massi dal fondo della cava e trasportandoli nella parte superiore al fine di creare un terrapieno, provocava incautamente la caduta di un masso che, rotolando verso il fondo della cava e provocando il rotolamento di altre pietre, cagionava la morte di R.DF.. Infatti, un masso pesante 2.700 chilogrammi, dopo avere urtato il braccio del mezzo che l'operaio stava riparando, colpiva al capo R.DF., provocandone la morte immediata; nel contempo, un frammento di roccia colpiva al capo S.G., che non indossava l'elmetto, provocando all'operaio (dipendente della s.r.l. Duino Scavi) una ferita guaribile in dieci giorni.
2.1.2. Ad Er.L. il P.M. ha contestato, nella duplice veste di legale rappresentante della s.r.l. Aurisina Quarry, alle cui dipendenze lavorava il deceduto, e di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, di avere contribuito colposamente a provocato la morte di R.DF. ed il ferimento di S.G., per colpa sia generica che specifica, in quanto, essendo in corso, come si è detto, attività di movimentazione di massi al fine di creare un terrapieno funzionale alla successiva attività di estrazione di roccia, ha omesso di segnalare adeguatamente l'area di cava in cui venivano gettati i massi, ha omesso di adottare le misure affinché i lavoratori non autorizzati accedessero alle aree pericolose, ha omesso di adottare le misure necessario affinché gli operai autorizzati all'accesso a tali aree fossero protetti ed ha omesso di progettare, costruire, organizzare e gestire l'area in modo da garantirne la stabilità e da salvaguardarne la sicurezza dei lavoratori (si tratta di profili di colpa omissiva identici a quelli contestati ad En.L. E.L.).
2.1.3. A S.S. è stato addebitato, invece, in qualità di direttore dei lavori di cava, di avere omesso di dare attuazione a quanto previsto dal "documento coordinato di salute e sicurezza" a proposito delle precauzioni da adottare quando vengono gettati massi dai piazzali e di assicurare che le aree di stoccaggio dei materiali fossero adeguatamente individuate e poste in zone piane e con stabilità geologica onde evitare scivolamenti o rotolamenti dei blocchi.
2.2. Mentre la posizione di En.L. è stata definita con sentenza di applicazione di pena ex art. 444 cod. proc. pen., invece Er.L. e S.S., all'esito del giudizio abbreviato, sono stati assolti dal G.u.p. del Tribunale di Trieste, per non avere commesso il fatto.
In sintesi, ha ritenuto il Giudice di primo grado che la responsabilità dell'accaduto sia tutta in capo ad En.L., che ha materialmente provocato la caduta del pesante masso e che aveva assegnato i vari lavori alle persone che lavoravano nelle cave, di cui era anche il sorvegliante.
Quanto ad Er.L., uno dei due legali rappresentanti della s.r.l. Aurisina Quarry, concessionaria della cava denominata "Duino scavi", il Giudice ha ritenuto non influenti in concreto le violazioni, pur allo stesso riconducibili, delle prescrizioni allo stesso impartite dal Servizio geologico regionale, in particolare per essere l'area in cui sono gettati i blocchi non segnalata in modo visibile e per non essere state prese misure appropriate per proteggere i lavoratori, in quanto violazioni prive di efficacia causale. Ha ritenuto, infatti, che è stato (solo) En.L. a disporre che i due lavori (1. quello di spostamento dei massi con il mezzo meccanico da lui direttamente condotto; 2. quello di riparazione del mezzo in avaria fermo nella parte bassa della cava) si svolgessero in contemporanea, senza che la presenza di cartelli o di disposizioni generali (in effetti nella responsabilità concorrente di Er.L.) potessero prevalere sugli ordini giornalieri e puntuali impartiti da sorvegliante di cava En.L., ordini che gli operai non avrebbero potuto disattendere, precisando anche che non può addebitarsi ad Er.L. la scelta di En.L. quale profilo di culpa in eligendo in quanto il sorvegliante di cava aveva le qualifiche, formali e sostanziali, per svolgere quel ruolo.
E' stata esclusa ogni responsabilità del geologo S.S..
La sentenza del G.u.p. (p. 2) dà atto che le parti civili sono state risarcite.
2.3. Presentato appello da parte del Procuratore generale, la Corte di appello, nel confermare l'assoluzione del geologo, ha, invece, ribaltato la decisione di primo grado per quanto riguarda Er.L..
Premesso che Er.L. non era solo legale rappresentante (così come En.L.) ma anche responsabile del servizio di prevenzione e di protezione, i Giudici di appello, ripercorsa la responsabilità di En.L. sostanzialmente negli stessi termini ricostruiti in primo grado, ha evidenziato che, in realtà, su entrambi i datori di lavoro grava l'onere di garantire la sicurezza dei lavoratori, tra l'altro impedendo ogni attività nella zona sottostante durante l'impiego delle macchine nella zona superiore e che detto onere permaneva in capo ad Er.L. anche quando En.L. aveva assunto il ruolo di operatore diretto, mettendosi alla guida del mezzo meccanico, addirittura in tal caso rafforzandosi la posizione di garanzia dell'ulteriore datore di lavoro, che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, non poteva ritenersi esclusa siccome assorbita dalla pluralità di azioni sconsiderate poste in essere da En.L., non potendo le decisioni operative di uno dei due datori di lavoro interrompere il nesso causale tra la condotta omissiva dell'altro datore di lavoro e l'evento.
Ha sottolineato, inoltre, che le aree di lavoro, sia superiore che inferiore, non erano segnalate, che nessuna misura era stata adottata per proteggere i lavoratori autorizzati ad accedere alle zone di pericolo e che non era stata garantita la stabilità dell'area. Inoltre, «[...] il lavoratore S.G. rimase ferito a causa di una scheggia perché non indossava l'elmetto, circostanze che evidenzia lo scarso livello di sorveglianza in concreto prestato dal datore di lavoro, pur presente in loco, sebbene occorre al pari considerare che l'elmetto non sarebbe comunque servito ad evitare lo sfondamento del cranio al R.DF. a causa del peso del masso cadutogli in testa» (così alla p. 5 della sentenza impugnata). 
In sostanza, secondo la Corte di appello di Trieste, Er.L. avrebbe dovuto autonomamente prevenire le situazioni di pericolo anche se causate dall'altro datore di lavoro, En.L..
3. Ricorre tempestivamente per la cassazione della sentenza, tramite difensore di fiducia, l'imputato E.L., che si affida a tre motivi, con i quali denunzia violazione di legge (il primo) e difetto motivazionale (gli ulteriori).
3.1. Con il primo motivo, richiamata giurisprudenza di legittimità stimata pertinente, censura mancanza della motivazione "rafforzata" che è necessaria ogni qualvolta il Giudici di appello ribalti l'esito assolutorio del primo grado. La Corte territoriale, infatti, partendo dalla stessa identica ricostruzione fattuale del Giudice di primo grado, ha preferito trarne conclusioni opposte, senza tuttavia adeguatamente spiegare perché la responsabilità di En.L. non sia da ritenersi in concreto assorbente ed interruttiva del nesso casale rispetto alla posizione di E.L.. Non spiega in alcun modo quale condotta di Er.L. avrebbe potuto impedire l'evento, non giustificando, ad esempio, perché l'apposizione di una cartellonistica da parte del ricorrente avrebbe potuto prevalere rispetto all'ordine impartito agli operai dall'altro datore di lavoro.
3.2. Denunzia, poi, mancanza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, essendo fisicamente mancante, secondo il ricorrente, l'apparato giustificativo per quanto riguarda il nesso di condizionamento, non essendo stato svolto il pur necessario giudizio controfattuale, posto che fu l'altro datore di lavoro, peraltro alle ore 08.00 del mattino e senza che Er.L. ne avesse alcuna contezza, ad ordinare agli operai di lavorare in basso e a mettersi a spostare contemporaneamente massi nella zona in alto, sicché la presenza di eventuali cartelli non avrebbe potuto prevalere sui puntuali ordini di En.L. né sulla sua condotta materiale posta in essere; non senza osservare che, come già osservato dalla Corte territoriale, l'elmetto non avrebbe comunque potuto evitare la morte, atteso il peso del masso caduto.
3.3. Censura, infine, mancanza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, in relazione a due passaggi motivazionali che il ricorrente stima gravemente illogici e non giustificati da alcuna regola, nemmeno di esperienza empirica: l'uno (alla p. 5) allorché si sostiene che la posizione di garanzia di uno dei datori di lavoro si rafforzerebbe, cioè si accentuerebbe, ove l'altro datore decida di dedicarsi ad attività materiale di conduzione diretta di mezzo meccanico; e l'altro (sempre alla p. 5) ove si assume che l'ottemperanza da parte dei dipendenti dell'ordine di uno dei due datori, nel contempo sorvegliante di cava, non solleverebbe l'altro datore delle proprie responsabilità, essendo chiamato a prevenire situazioni di pericolo; 
mentre, al contrario, dovrebbe ritenersi che En.L., nel contempo datore di lavoro, sorvegliante di cava in possesso dei necessari requisiti, si sia, nella concreta situazione, assunto tutti gli oneri relativi alla scurezza.
La Corte di appello, limitandosi ad attestarsi alla qualifica formale di Er.L., avrebbe, in realtà, fatto ricorso ad un criterio di responsabilità oggettiva in violazione del principio, di rilievo costituzionale, della personalità della responsabilità penale, trascurando che il vero unico responsabile, En.L., cumulava in sé le qualifiche sia di datore di lavoro che di sorvegliante di cava. Si registrerebbe, insomma, palese mancanza di motivazione rispetto ad un punto decisivo della ritenuta penale responsabilità.
 

 

Diritto

 


l. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
1.1. In primo luogo, infatti, si rileva mancanza della motivazione "rafforzata", espressamente denunziata nel ricorso (v. punto n. 3.1. del "ritenuto in fatto").
Costituisce, infatti, pacifico principio giurisprudenziale quello secondo il quale, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato.
Al riguardo, va assai sinteticamente rammentato che, anche a prescindere dagli interventi della Corte EDU nelle decisioni che hanno seguito la nota Dan vs. Moldavia del 5 novembre 2011 (tra le quali Manolachi vs. Romania del 5 marzo 2013), già la Corte di legittimità, a partire da Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti Rv. 226093, aveva elaborato l'esistenza nel sistema di un particolare dovere di motivazione che incombe sul giudice di appello che affermi la responsabilità dell'imputato assolto in primo grado. Nel solco di tale decisione si colloca, come ben noto, Sez U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679, secondo cui «In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato» (quanto alle Sezioni semplici, cfr. Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S., Rv. 262542, Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013, dep. 2014, Ciaramella e altro, Rv. 2622261, Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo e altri, Rv. 256869, Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012, dep. 2013, Berlingieri, Rv. 254275, Sez. 6, n. 22120 del 29/04/2009, Tatone e altri, Rv. 243946).
Si è, dunque, detto che «il ribaltamento dello statuto decisorio in sede di gravame [...] deve fondarsi non su una semplice divergenza di apprezzamento tra giudici "orizzontalmente" proiettati verso un - reciprocamente autonomo - sindacato dello stesso materiale di prova, ma sul ben diverso versante di un supposto "errore" di giudizio che l'organo della impugnazione reputi di "addebitare" al giudice di primo grado, alla luce delle circostanze dedotte dagli appellanti ed in funzione dello specifico tema di giudizio che è stato devoluto. Ad una plausibile ricostruzione del primo giudice, non può, infatti, sostituirsi sic et simpliciter, la altrettanto plausibile - ma diversa - ricostruzione operata in sede di impugnazione (ove così fosse, infatti, il giudizio di appello sarebbe null'altro che un mero doppione del giudizio di primo grado, per di più "a schema libero"), giacché, per ribaltare gli esiti del giudizio di primo grado, deve comunque essere posta in luce la censurabilità del primo giudizio; e ciò, sulla base di uno sviluppo argomentativo che ne metta in luce le carenze o le aporie che giustificano un diverso approdo sui singoli "contenuti" che hanno formato oggetto dei motivi di appello. La sentenza di appello, dunque, ove pervenga ad una riforma (specie se radicale [...]) di quella di primo grado, deve necessariamente misurarsi con le ragioni addotte a sostegno del decisum dal primo giudice, e porre criticamente in evidenza gli elementi, in ipotesi, sottovalutati o trascurati, e quelli che, al contrario, risultino inconferenti o, peggio, in contraddizione, con la ricostruzione di fatti e della responsabilità poste a base della sentenza appellata» (così Sez. 2, n. 50643 de 18/11/2014, Fu e altri, Rv. 261327).
In termini ancora più netti, si è affermato che, nel caso di riforma da parte del giudice di appello di una decisione assolutoria emessa dal primo giudice, il secondo giudice ha l'obbligo di dimostrare specificamente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati, trova applicazione persino in caso di radicale rovesciamento di una valutazione essenziale nell'economia della motivazione (Sez. 5, n. 35762 del 05/05/2008, Aleksi e altri, Rv. 241169), specie in considerazione del maggior rigore motivazionale che progressivamente si è ritenuto esistere nel caso di riforma in peius, anche in conseguenza della sollecitazione derivante dalla nota decisione Dan vs. Moldavia del 5 luglio 2011 della Corte europea dei diritti dell'uomo (i cui effetti sull'ordinamento interno, anche sotto il profilo della eventuale necessità di rinnovazione dell'istruttoria in appello, sono stati evidenziati, da Sez. 2, n. 34843 del 01/07/2015, Sagone, Rv. 264542; Sez. 3, n. 38786 del 23/06/2015, U. e altro, Rv. 264793; Sez. 5, n. 25475 del 24/02/2015, Prestanicola ed altri, Rv. 263903).
Appare opportuno precisare che, in realtà, la nozione di motivazione rafforzata riguarda tanto il ribaltamento di un'assoluzione quanto quello di una condanna (infatti: «In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi la decisione di condanna pronunciata in primo grado, nella specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, deve, sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del "decisum" impugnato, metterne in luce le carenze o le aporie, che ne giustificano l'integrale riforma», Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu e altri, Rv. 261327; in senso conforme, Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Ricotta, Rv. 258005; Sez. 6, n. 46742 del 08/10/2013, Hamdi Ridha, Rv. 257332; Sez. 4, n. 35922 del 11/07/2012, Ingrassia, Rv. 254617).
1.2. A parte la rilevata mancanza, a corredo della decisione impugnata di una motivazione "rafforzata", nell'accezione di cui si è detto, si osserva che nel caso di specie tutto il ragionamento svolto dalla Corte di appello ruota attorno alla critica della conclusione raggiunta dal Giudice di primo grado a proposito delle interferenze o meno della condotta, per così dire, "dinamica", di uno dei due titolari di una posizione di garanzia (En.L.) sulla posizione di garanzia, in qualche modo, "statica", dell'altro titolare di posizione di garanzia, del pari datore di lavoro (Er.L.), ferma, tuttavia, la situazione di fatto emersa, avendo la Corte territoriale condiviso la ricostruzione svolta dal Tribunale.
La Corte di appello non ritiene, a differenza del G.u.p., interrotto il nesso causale dall'ordine impartito da uno dei due datori di lavoro (per così dire "equiordinati") ai dipendenti di lavorare in basso mentre in contemporanea, più in alto, lo stesso datore di lavoro, avente la qualifica di sorvegliante di cava, spostava pericolosamente pesanti massi, uno dei quali precipitato sugli operai.
Tale ragionamento però non resiste alle censure puntualmente mosse dalla difesa e che si sono riferite (ai punti nn. 3.2. e 3.3. del "ritenuto in fatto").
Non resiste perché trascura che la sconsiderata condotta del datore di lavoro (En.L.) che ha, peraltro in maniera del tutto estemporanea, impartito l'ordine a R.DF. e a S.G. di lavorare sul fondo della cava mentre il medesimo movimentava pesantissimi massi in posizione sopraelevata rispetto ai due sciagurati operai è, in realtà, talmente grave ed imprudente da avere interrotto ogni nesso di causalità rispetto alla posizione di Er.L.:
in altre parole, En.L., con la descritta condotta, ha assunto in proprio la posizione di garanzia, così provocando l'affievolimento e non già il rafforzamento, come invece illogicamente sostenuto nella sentenza impugnata (p. 5), della posizione di garanzia dell'altro datore di lavoro astrattamente equiordinato.
Nel concreto contesto ricostruito dai Giudici di merito, non hanno, peraltro, rilevanza sotto il profilo della efficacia impediente eventuali prescrizioni di sicurezza, quali cartelli che facessero divieto di accedere al fondo della cava o che impartissero, in caso di accesso, eventuali prescrizioni, in quanto i divieti e le prescrizioni sarebbero stati, in ogni caso, inefficaci o comunque subvalenti rispetto all'ordine puntuale che En.L. impartì alle persone offese di recarsi sul fondo della cava a lavorare mentre egli armeggiava pericolosamente proprio sulla loro verticale.
3.Consegue dalle considerazioni svolte l'annullamento della sentenza impugnata, senza rinvio (non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, avendo i Giudici di merito ricostruito in maniera conforme la situazione), per non avere l'imputato commesso il fatto.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non avere l'imputato commesso il fatto.
Così deciso il 10/01/2018.