Cassazione Civile, Sez. Lav., 12 marzo 2018, n. 5957 - Esplosione all'interno della galleria ferroviaria di una mina rimasta nascosta. Artt.  2051 e 2087 c.c.


 

"Nel caso in cui un danno sia stato causato al lavoratore da cosa che il datore di lavoro ha in custodia - con il correlato obbligo di vigilanza e controllo su di essa - ove sia accertato il nesso eziologico tra il danno stesso e l'ambiente ed i luoghi di lavoro, sussiste ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2051 (danno cagionato da cose in custodia) e 2087 (tutela delle condizioni di lavoro) cod.civ, una responsabilità del datore di lavoro, salvo che lo stesso provi il caso fortuito".


Presidente: BRONZINI GIUSEPPE Relatore: LORITO MATILDE Data pubblicazione: 12/03/2018

 

Fatto

 


L.F. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Udine la Ferica Società Cooperativa a r.l. per conseguirne la condanna al risarcimento dei danni subiti all'esito dell'infortunio occorsogli in data 20/1/1994.
Esponeva che, mentre era intento a praticare dei fori con un macchinario all'interno di una galleria ferroviaria in costruzione, era esplosa una carica rimasta nascosta, arrecandogli gravi lesioni personali.
Resisteva al ricorso la società convenuta.
Il giudice adito rigettava le domande proposte con pronuncia che veniva confermata dalla Corte distrettuale.
A fondamento del decisum, la Corte osservava, per quanto in questa sede rileva, che il quadro probatorio delineato in prime cure aveva consentito di acclarare come l'eventus damni non fosse causalmente riconducibile a comportamento colposo del personale preposto al controllo del sito, il quale aveva provveduto alla preparazione della parete ove si sarebbero dovute posizionare le nuove cariche esplosive; né a carico del datore di lavoro, non essendovi sul sito segnali di pericolo per la esistenza di cariche rimaste inesplose.
Escludeva, poi, l'applicabilità alla fattispecie, dei dettami di cui all'art. 2051 c.c., prospettata per la prima volta in appello secondo modalità ritenute inammissibili, implicando ulteriori e precisi riscontri non consentiti per la prima volta in sede di gravame.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione L.F. sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso la società cooperativa intimata, in liquidazione.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell'art.378 c.p.c..
 

 

Diritto

 


l. Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt.2087 e 2051 c.c. nonché dell'art.41 Cost. in relazione all'art. 360 comma primo n.3 c.p.c..
Si argomenta che in sede di gravame, si era sostenuto che la corretta applicazione dell'art.2087 imponesse di ritenere come anche nella impossibilità tecnica di conseguire la sicurezza assoluta sul lavoro, il rischio e i costi degli eventuali incidenti non dovessero gravare sui dipendenti ma, piuttosto, sul datore di lavoro, grazie ad un meccanismo di responsabilità presunta, simile a quello di cui all'art.2051 c.c. del quale l'art.2087 era il corrispondente referente normativo in materia di infortuni sul lavoro.
Si desumeva dal ricorso di primo grado e dall'atto di appello che l'infortunio si era verificato "nel corso della attività lavorativa e a causa di una cosa impiegata in cantiere."
L'esplosione era stata infatti determinata da una precedente mina rimasta inesplosa e dalla indicazione data al lavoratore di eseguire il foro nel medesimo punto in cui era stata posizionata quella mina.
Si argomenta, quindi, come gli elementi che sotto il profilo fattuale definivano la vicenda scrutinata, mostrassero con evidenza la riconducibilità del danno di natura psicofisica risentito dal lavoratore, all'esplosione di materiale impiegato nella frantumazione di una parete rocciosa all'interno del cantiere gestito dalla parte datoriale, riconducibili a responsabilità gravante sul datore di lavoro.
2. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli artt.2087 e 2051 c.c. nonché dell'art.41 Cost. in relazione all'art. 360 comma primo n.3 c.p.c..
Si ribadisce che, ferma restando la descrizione della dinamica del sinistro, riferibile all'ambiente lavorativo secondo le modalità delineate in sede di ricorso introduttivo del giudizio, nell'atto di appello si era invocata, inter alia, anche la responsabilità da cose in custodia gravante sul datore di lavoro, quale riflesso dell'applicazione dell'art.2087 fondante una responsabilità contrattuale a carico dell'imprenditore.
3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art.112 c.c. ex art.360 comma primo n.3 c.p.c..
Si stigmatizza l'impugnata sentenza per essere incorsa in violazione del principio per cui la diversa qualificazione giuridica conferita dal giudice rispetto a quella prospettata dalla parte, non integra un'ipotesi di novum.
4. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono fondati.
Le doglianze formulate dal ricorrente, muovono tutte dalla considerazione dell'errore prospettico in cui sarebbe incorsa la Corte di merito, la quale non ha scrutinato la domanda sotto il profilo della responsabilità della parte datoriale ai sensi dell'art.2051 c.c., pur prospettata nei diversi gradi del giudizio di merito, erroneamente reputando violato il principio del divieto di nova in appello sancito dall'art.437 c.p.c..
Nel rispetto del principio di autosufficienza che governa il ricorso per cassazione - da intendere quale corollario del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione tradotto nelle disposizioni contenute nell’art.366 c.p.c., comma 1 - il L.F. ha riportato significativi stralci del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado dai quali si deduceva che la sera dell'infortunio, "dopo aver proceduto ad una prima esplosione, aver liberato il campo dai detriti ed aver consolidato la parete rocciosa con un getto di calcestruzzo, venivano segnati con vernice i punti ove dovevano essere praticati i fori per l'inserimento delle nuove cariche esplosive e veniva dato ordine a L.F. di eseguire gli ulteriori fori. Nel mentre il lavoratore stava praticando un foro ad un'altezza di circa un metro, si verificava un'esplosione ed egli veniva investito da una quantità notevole di detriti... ".
Il ricorrente ha in via ulteriore proseguito enunciando il tenore dell'art. 38 d.p.r. n.302/1956 secondo cui "Trascorsi i tempi di sicurezza indicati nell'art. 36, il caposquadra minatore, con i lavoratori strettamente necessari, deve provvedere: a) al disgaggio di sicurezza b) all'accurata ispezione della fronte di sparo per individuare le eventuali mine non esplose; c) all'accertamento della eventuale esistenza di residui di esplosivo nei fondelli. Nel caso di mine inesplose, e ove non sia rintracciabile la mina gravida sulla fronte e sia perciò presumibile l'avvenuta asportazione della stessa, si devono ricercarne attentamente i frammenti nel materiale abbattuto. In tal caso la rimozione del materiale deve essere effettuata con cautela. E' vietato scaricare l'esplosivo di cui sia stata accertata l'esistenza nei fondelli residui, esso deve essere fatto esplodere mediante una carica sovrapposta. I fondelli residui devono essere accuratamente ricercati e messi in evidenza con appositi segnali indicatori, affinché siano evitati nella perforazione di nuovi fori. I nuovi fori devono essere aperti parallelamente ed a sufficiente distanza dai fondelli residui".
Dalla descrizione della complessiva dinamica degli eventi, culminata nella verificazione dell'eventus damni occorso al lavoratore era, dunque, chiaramente evincibile come la causa del pregiudizio alla salute risentito, fosse da ravvisare nell'esplosione di materiale impiegato nella frantumazione di una parete rocciosa all'interno del cantiere datoriale.
5. Orbene, l'esegesi del contesto fattuale in cui si è dipanata la vicenda sottoposta allo scrutinio di questa Corte e ad essa devoluta ex art. 112 c.p.c., esige il richiamo al quadro normativo di riferimento come definito dall'interpretazione resa da questa Corte nei suoi consolidati approdi.
Può dunque affermarsi che l'obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro in favore del lavoratore, è previsto in generale, con contenuto atipico e residuale, dall'art.2087 c.c. (vedi ex plurimis, Cass. 7/6/2013 n.14468, Cass. 17/02/2009 n.3788, Cass. 21/2/2004 n.3498) ed in particolare, con contenuto tipico, dalla dettagliata disciplina di settore concernente gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali e le misure di prevenzione.
In via generale, va altresì rimarcato come la disposizione di cui all'art.2087 c.c., si qualifichi alla stregua di norma di chiusura del sistema antinfortunistico, estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione, ed impone all'imprenditore l'obbligo di tutelare l'integrità fisiopsichica dei dipendenti con l'adozione - ed il mantenimento perfettamente funzionale - non solo di misure di tipo igienico-sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla sua lesione nell'ambiente od in costanza di lavoro in relazione ad eventi pur se allo stesso non collegati direttamente.
In riferimento a tale profilo, con orientamento costante, questa Corte ha quindi affermato che la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. è di carattere contrattuale, atteso che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, ai sensi dell'art.1374 c.c. dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale (ex aliis, vedi Cass. cit. n. 3788/2009, Cass. 13/8/2008, n.21590); anche se è possibile ipotizzare - per un fatto che viola contemporaneamente sia diritti che attengono alla persona in base al precetto generale del neminem laedere, sia diritti che scaturiscono dal vincolo giuridico contrattuale - il concorso della azione contrattuale basata sulla violazione degli obblighi di sicurezza posti a carico del datore di lavoro dall'art.2087 c.c. (così Cass. 20/6/2001 n.8381, cui adde, Cass. 27/6/2011 n.14107).
L’art. 2087 cod. civ., peraltro, non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento (cfr. Cass. 29/1/2013 n.3288). Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell'art.1218 c.c. circa l'inadempimento delle obbligazioni, da ciò discendendo che il lavoratore il quale lamenti di aver subito un danno da infortunio sul lavoro, deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, l'esistenza del danno ed il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure, per evitare il danno.
6. Nell'ottica descritta, pregnante è il richiamo ai principi del pari affermati in questa sede di legittimità, che vanno qui ribaditi, alla cui stregua, nell’ipotesi in cui il danno sia stato determinato da cose che il datore aveva in custodia (e la custodia non è da intendersi esclusivamente nel significato formalmente contrattuale, bensì come mera esistenza d'un potere fisico ad altri riconosciuto dal proprietario: Cass. 18/2/2000 n.1859; in relazione all'ipotesi di contratto di appalto, in cui la consegna dell'area di proprietà del committente è di regola sufficiente a trasferirne la custodia esclusiva, vedi Cass. 22/1/2015 n.1146), è richiesta, per la responsabilità prevista dall'art.2051 cod. civ., la sussistenza d'una relazione diretta fra la cosa e l'evento dannoso, ed il potere fisico, del soggetto sulla cosa, da cui discende il di lui obbligo di controllare in modo da impedire che la cosa causi danni (Cass. 14/6/1999 n.5885).
In tale situazione, ai fini della configurabilità della responsabilità del datore di lavoro, ai sensi dell'art.2087 cod.civ., nell'ipotesi in cui il danno sia stato causato al lavoratore da cose che il datore di lavoro aveva in custodia e, a maggior ragione, in quella in cui lo stesso datore, a cagione dell'attività da lui esercitata, abbia ricevuto in consegna un oggetto che il lavoratore sia stato incaricato di elaborare - pur non configurandosi una responsabilità oggettiva del datore - sussiste una presunzione di colpa a carico del datore che è nel contempo custode della cosa da cui il danno deriva, scaturente dalla concorrente applicabilità degli artt.2051 e 2087 cod.civ., che può essere superata solo dalla dimostrazione dell'avvenuta adozione delle cautele antinfortunistiche, ovvero dall'accertamento di un comportamento abnorme del lavoratore (ex plurimis, Cass. 20/6/2002 n.9016), e, ove non sia in discussione la colpa di quest'ultimo, nel caso fortuito che si invera, ex art.2051 cod. civ. nella natura imprevedibile ed inevitabile del fatto dannoso (vedi Cass. 20/6/2003 n.9909, Cass. 14/8/2004 n.15919, Cass. S.U. 8/7/2008 n.18623).
7. Orbene, nello specifico va rimarcato come la Corte distrettuale non si sia conformata agli enunciati principi per avere escluso la riconducibilità agli archetipi normativi di cui alle clausole generali degli artt.2087-2051 c.c. adducendo a motivo l'esistenza di un profilo di violazione del divieto di nova in appello.
Secondo i dicta di questa Corte, ai quali va data continuità, il principio del tantum devolutum quantum appellatum (artt. 434 e 437 cod. proc. civ.), non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma, rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi e, in genere, all'applicazione di una norma giuridica, diversa da quella invocata dalla parte (vedi Cass.22/8/2013 n.19424, Cass. 24/3/2011 n.6757).
Per il principio "iura novit curia" sancito dall'art.113, comma primo, cod. proc. civ., il giudice può infatti assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all'azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione princìpi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, ferma restando la preclusione di una decisione basata non già sulla diversa qualificazione giuridica del rapporto, ma su diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa (vedi ex plurimis, Cass.24/7/2012 n.12943), con immutazione della fattispecie e conseguente violazione - in ultra ovvero extrapetizione - del principio di correlazione tra il chiesto ed il pronunciato ex art.112 cod.proc.civ. (cfr.Cass. 11/5/2017 n.11629).
Nello specifico, dallo storico di lite, si evince come il ricorrente sin dall'atto introduttivo del giudizio, abbia indicato i dati fattuali posti a fondamento della domanda di risarcimento dei danni subiti ed abbia ricondotto chiaramente la causa dei suddetti danni alla esplosione.
Detta prospettazione è rimasta immutata in grado di appello, introdotto con ricorso nel cui contesto non è stata configurata alcuna situazione che possa definirsi sostitutiva o in rapporto di alternatività rispetto a quella delineata in primo grado, in quanto riferentesi alla medesima situazione giuridica sostanziale generata dal fatto per il quale era stato promosso il giudizio.
Consegue, dalle considerazioni svolte, che nella fattispecie considerata non è ravvisabile alcun elemento ostativo alla individuazione dell'art.2051 c.c. quale concorrente titolo di responsabilità a carico della parte datoriale in ordine alla causazione dell'evento dannoso, non essendo configurabile, alla luce dei principi testé richiamati, alcun mutamento degli elementi identificativi della domanda, giacché non richiesta l'attribuzione di un bene diverso da quello domandato né risultando introdotti nel tema controverso nuovi elementi di fatto (vedi ex aliis, Cass. 1/9/2004 n.17610, Cass. 14/5/2005 n.10922, Cass. 12/4/2006 n.8519, Cass.24/07/2012 n.12943), la cui qualificazione compete, per quanto innanzi argomentato, al giudicante.
8. Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d'Appello designata in dispositivo la quale, scrutinando la vicenda di merito, si atterrà al seguente principio di diritto: "Nel caso in cui un danno sia stato causato al lavoratore da cosa che il datore di lavoro ha in custodia - con il correlato obbligo di vigilanza e controllo su di essa - ove sia accertato il nesso eziologico tra il danno stesso e l'ambiente ed i luoghi di lavoro, sussiste ai sensi del combinato disposto di cui agli artt.2051 (danno cagionato da cose in custodia) e 2087 (tutela delle condizioni di lavoro) cod.civ, una responsabilità del datore di lavoro, salvo che lo stesso provi il caso fortuito".
Il giudice di rinvio provvederà alla regolamentazione delle spese, anche di questo giudizio di legittimità.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d'Appello di Trieste in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 5 dicembre 2017.