Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 27 aprile 2018, n. 18409 - Infortunio di un lavoratore a causa del malfunzionamento del sensore di riempimento del silos. Responsabilità del direttore di stabilimento e procuratore con delega in materia di sicurezza


Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: PEZZELLA VINCENZO Data Udienza: 28/03/2018

 

Fatto

 


1. La Corte di Appello di Torino, pronunciando nei confronti dell'odierno ri-corrente, O.P., con sentenza del 3/7/2017, in parziale riforma della sentenza emessa, in data 16/5/2014, dal Tribunale di Aosta, riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche, riduceva la pena a giorni 15 di reclusione, con sostituzione con la corrispondente pena pecuniaria di € 3.750,00 di multa ai sensi dell'art. 53 I. 689/81.
Il Tribunale aveva dichiarato O.P. responsabile del reato di cui all'art. 590 c. 3) cod. pen. perché, in qualità di direttore di stabilimento e procuratore con delega in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, per colpa, cagionava al lavoratore D.L., dipendente della LAVAZZA spa con qualifica di torrefattore e mansioni di controllo e conduzione degli impianti di tostatura nonché di verifica della qualità del prodotto, lesioni personali consistenti in trauma toracico, fratture costali multiple, frattura scapola e frattura D2 inizialmente giudicate guaribili in gg. 138 s.c. (infortunio ancora in corso alla data del 7/6/2013): lesioni verificatesi in quanto il lavoratore, dovendo porre rimedio ad un malfunzionamento del sensore di riempimento e, quindi, provvedere ad un reset di tipo manuale - con la necessità di oscurare con entrambe le mani il sensore posizionato in cima al silos 408, a m. 3,80 da terra - saliva su una scala a pioli e, durante la descritta operazione, perdeva l'equilibrio e cadeva a terra impattando contro il pavimento; fatto commesso per negligenza, imprudenza, imperizia e con violazione, tra l'altro delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro di cui all'art. 64 c. 1 lett. e) d.lgs. n. 81/08 come mod. dal d.lgs. n. 106/09 per non avere sottoposto l'impianto di degasaggio del caffè - in particolare la parte inerente i silos 403 e 408 - a manutenzione tecnica al fine di eliminare, quantomeno in via temporanea, i difetti di funzionamento da tempo rilevati sul sensore di prossimità, onde evitare la prassi di adottare procedure alternative pregiudizievoli per i lavoratori - quale quella posta in essere dal D.L..

In Verrès il giorno 11/10/2012.
L'imputato era stato condannato in primo grado, concessagli la circostanza attenuante di cui all'art 62 n. 6 cod. per. ritenuta prevalente sulla contestata aggravante, alla pena di giorni 20 di reclusione, con sostituzione della pena de-tentiva in € 5.000,00 di multa.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei proprio difensore di fiducia, O.P., deducendo l'unico motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. 
Mancanza e contraddittorietà della motivazione, a valere ai sensi dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen. in punto di ravvisata responsabilità in capo al datore di lavoro e sussistenza del nesso di causa, e violazione di legge, a valere ai sensi dell'art. 606 lett. b) cod. proc. pen., in relazione all'art. 64 co. I lett. e) D.Lgs. 81/08 come modificato dal d.lgs. n. 106/09 in materia di obblighi del datore di lavoro.
Il ricorrente premette che è stata processualmente accertata la circostanza che la struttura organizzativa, gli impianti ed i dispositivi dello stabilimento di Verres della società Lavazza fossero adeguati alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori da ogni rischio preventivabile.
L'infortunio -secondo la tesi sostenuta in ricorso- si sarebbe verificato a causa di un banale malfunzionamento del sensore di riempimento di un macchinario che gli stessi operatori avrebbero dovuto segnalare al reparto manutenzione, unità preposta e fornita di mezzi idonei alla riparazione, riparazione che, peraltro, non era assolutamente gravosa
Ci si duole, però, che la corte di appello, pur riconoscendo che l'O.P. non era stato informato dell'inconveniente, ha confermato invece la responsabilità dello stesso, nella sua qualità di direttore di stabilimento.
Sostanzialmente la Corte territoriale ha ritenuto, in capo all'O.P., un obbligo di attivazione, anche di propria iniziativa, al fine di prendere cognizione di eventuali criticità presenti nel processo produttivo, pur trattandosi di uno stabilimento di grandi dimensioni. Anche se, successivamente, la stessa corte ha precisato, secondo il ricorrente in maniera contraddittoria, che "l'esecuzione materiale di tale gravoso compito non può essere sempre e comunque demandata personalmente al direttore dello stabilimento", al quale spetta "di premurarsi di predisporre tali controlli e verificare che gli stessi vengano poi effettivamente posti in essere".
Pertanto, in tal modo, continua il ricorrente, i giudici di appello sarebbero caduti in evidente contraddizione riconoscendo l'impossibilità da parte di un ruolo apicale di controllare ogni singolo macchinario e, nello stesso tempo, un obbligo, genericamente individuato, di controllo dei controllori.
Osserva ancora il ricorrente che se effettivamente il direttore di stabilimento dovesse continuamente monitorare l'operato degli addetti ai controlli si realizzerebbe una sorta di duplicazione del compito gravante su ciascuno dei destinatari degli obblighi in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. In tal modo verrebbe meno la ripartizione delle responsabilità e dei doveri sui quali l'intero impianto normativo in materia di sicurezza si fonda.
Ancora il ricorrente ravvisa un'ulteriore carenza di motivazione laddove la stessa prima afferma che il direttore dello stabilimento avrebbe dovuto porsi in condizione di conoscere il malfunzionamento ma poi non indica quale comportamento sia stato omesso nel caso concreto.
Mancherebbe l'indicazione della specifica inefficienza presente ex ante nell'organizzazione del reparto manutenzione o dell'eventuale inidoneità generale strutturale, in materia di sicurezza dei lavoratori.
Il ricorrente ritiene, inoltre, che sia rimasto indimostrato il nesso di causalità tra il comportamento doveroso omesso e l’evento occorso al lavoratore.
Il ragionamento controfattuale operato dai giudici risulterebbe illogico e assertivo, basato su una serie di forzature del ragionamento.
Sarebbe emerso nel corso del giudizio che il lavoro era ben organizzato nel rispetto della sicurezza sul lavoro, il difetto non era stato comunicato dai soggetti preposti alla manutenzione e anche qualora l'O.P. si fosse posto nelle condizioni di conoscere il difetto, sarebbe stato indimostrabile che effettivamente gli venisse utilmente comunicato e che l'infortunio non avrebbe avuto luogo.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguenziale provvidenza di legge.
 

 

Diritto

 


1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
2. L'impugnata sentenza appare adeguatamente e logicamente motivata, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto si palesa immune dai denunciati vizi di legittimità.
Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che, a fronte di un malfunzionamento del sensore di riempimento del silos che durava da molti mesi ed era stato segnalato ai manutentori, determinando la prassi di oscurare manualmente il sensore, che ha dato causa all'infortunio, il direttore dello stabilimento, munito di delega per la sicurezza, avrebbe dovuto attivarsi per il controllo del funzionamento dei macchinari anche attraverso un confronto con il personale in grado di riferire sulle criticità esistenti.
L'O.P. come correttamente ritenuto dalla sentenza di appello aveva l'obbligo di garantire la sottoposizione degli impianti a regolare manutenzione tecnica, che nel caso di specie non vi è stata.
Né può ritenersi illogico, come sostiene il ricorrente il giudizio controfattuale compiuto che la tempestiva manutenzione del sensore avrebbe evitato il prodursi della situazione, ossia l'intervento manuale con una scala a pioli, che ha determinato l'incidente. 
3. E' pur vero, come rileva il difensore ricorrente, che, in tema di individuazione delle responsabilità penali all'interno delle organizzazioni complesse, non può attribuirsi, in via automatica, all'organo di vertice la responsabilità per l'inosservanza della normativa di sicurezza, dovendosi sempre considerare l'effettivo contesto organizzativo e le condizioni in cui detto organo ha dovuto operare (così questa Sez. 4, n. 13858 del 24/2/2015, Rota, Rv. 263286 che, in applicazione del principio, ha annullato con rinvio la sentenza di condanna del direttore generale con delega alla sicurezza, per le lesioni gravi occorse al lavoratore, perché non era stato accertato se l'imputato, in carica da meno di un anno, fosse stato portato a conoscenza della prassi lavorativa vigente nell'azienda, rivelatasi pericolosa per la salute dei lavoratori, di cui, al contrario, non poteva non essere al corrente il direttore di stabilimento, per il quale è stata, invece, confermata la sentenza di condanna, in ragione dell'obiettiva situazione di maggiore sua contiguità alle modalità di svolgimento delle attività lavorative).
Tuttavia -va ribadito- nel caso che ci occupa, è risultato pacificamente provato: 1. che il sensore da tempo non funzionava; 2. che la situazione era stata da tempo segnalata ai manutentori; 3. che era invalsa la prassi, per non interrompere o allungare i tempi del ciclo produttivo, dell'oscuramento manuale dello stesso, allorquando la macchina si fosse fermata; 4. che per compiere tale operazione un operaio saliva con la scala.
Orbene, il tema, mai posto in discussione, non è che lo stabilimento della Lavazza di cui ci si occupa fosse dotato di un'idonea organizzazione e di un settore manutentivo.
Il tema è che era in atto, per fronteggiare un'anomalia di funzionamento del macchinario una pericolosa prassi di oscuramento del sensore che l'O.P., che non era solo il direttore di stabilimento, ma anche il procuratore con delega in materia di tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro - posizione che l'imputato, per sua stessa ammissione, rivestiva sin dal giugno 2012 e, dunque, in epoca in cui era rilevabile, poiché già manifestatosi, il malfunzionamento del sensore di prossimità - ha colpevolmente tollerato.
Sul punto i giudici di merito danno credito alla circostanza che l'O.P., stando a quanto da lui stesso riferito, e confermato altresì dal teste L.D., non fu posto a conoscenza di tale difetto fino al momento dell'incidente di cui si discute.
Ma ciò è del tutto ininfluente.
Come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, infatti, non vale a mandare esente da responsabilità l'O.P. la sua non conoscenza del suddetto malfunzionamento e, conseguentemente, della pericolosa operazione compiuta dai dipendenti per supplire all'intervento dei manutentori. Egli, infatti, non ha appreso del guasto per una sua colpevole inerzia, dal momento che, nella sua qualità di direttore di stabilimento con delega in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, avrebbe dovuto sottoporre gli impianti dello stabilimento a regolare ed approfondita manutenzione, attività finalizzata, evidentemente, come desumibile dal tenore letterale dell'art. 64 comma I lett. c) D.lgs. 81/2008 contestatogli, a rilevare ed eliminare eventuali difetti che, come nel caso di specie, potessero pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori.
E' evidente che in una struttura aziendale delle dimensioni di quella che ci occupa l'esecuzione materiale di tale gravoso compito - come evidenzia anche la sentenza impugnata- non può essere sempre e comunque demandata personalmente al direttore dello stabilimento, ma egli, in quanto destinatario degli obblighi che la normativa ora citata gli impone, deve, se non vi provvede direttamente, premurarsi di predisporre tali controlli e verificare che gli stessi vengano poi effettivamente posti in essere, ed esigere altresì dal servizio di manutenzione a tal fine preposto una puntuale e costante informazione in ordine all'attività svolta e alle anomalie riscontrate, di talché, una volta preso atto di eventuali problemi in grado di ripercuotersi sulla sicurezza e salute dei lavoratori, possa conseguentemente dare disposizioni per eliminarli, così adempiendo all'ulteriore obbligo che la disposizione in esame gli impone (provvedere affinché "vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori").
In altri termini, il soggetto che riveste la posizione di garanzia deve dapprima impartire le necessarie indicazioni per ovviare ad eventuali criticità presenti all'Interno dello stabilimento che possano compromettere la sicurezza o la salute dei dipendenti, provvedendo, in particolare, a predisporre un regolare e frequente controllo, tra le altre cose, dei macchinari e degli impianti utilizzati nella produzione, sottoponendoli quindi ad opportuna manutenzione tecnica (ad opera di personale eventualmente a ciò adibito).
Tale operazione - che come argomentatamente rilevano i giudici di merito nel caso di specie non risulta essere stata fatta- non può poi prescindere da un continuo monitoraggio, da parte del direttore-delegato, sull'operato e sull'esito di tale attività di manutenzione, non potendosene disinteressare, ed in questa fase egli è tenuto ad attivarsi personalmente e, se del caso, a sollecitare il personale dell'apposito servizio affinché gli riferisca dell’eventuale presenza di anomalie cui deve porsi rimedio, poiché solo in tal modo può efficacemente adempiere all'obbligo di eliminare, essendo lui, e non già il personale del servizio di manutenzione, munito di delega in materia di salute e sicurezza dei lavoratori e, dunque, destinatario delle prescrizioni sopra enucleate.
4. Questa Corte ha recentemente affermato - e va qui ribadito- che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l'infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 22606 del 4/4/2017, Minguzzi, Rv. 269972 nella cui motivazione la Corte ha precisato che l'impiego di un macchinario di elevata pericolosità, quale la macchina polmone a nastro, privo dei requisiti generali di sicurezza, per la natura della norma prevenzionale violata, rientra nella sfera gestionale riconducibile al vertice societario).
Si è anche precisato che, ai fini dell'individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l'infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l'incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, n. 24136 del 6/5/2016, Di Maggio ed altri, Rv. 266853, nella cui motivazione la Corte ha precisato che deve ritenersi, comunque, responsabile il datore di lavoro, per il potere-dovere generale di vigilanza su di lui gravante, in tutte le ipotesi in cui l'organizzazione aziendale non presenta complessità tali da sollevare del tutto l'organo apicale dalle responsabilità connesse gestione del rischio).
Costituisce peraltro ius receptum di questa Corte di legittimità l'affermazione che, in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'Incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. il 2015, Ottino, Rv. 263200). E, ancora, va qui ribadito che, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (così questa Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253850 in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata dedotta l'esistenza di un preposto di fatto).
Va anche sottolineato che la prassi invalsa di oscurare manualmente il sensore, che innegabilmente riduceva i presidi di sicurezza, potrebbe essere sintomatica non di mera omissione della sorveglianza da parte del datore di lavoro, bensì dell'avallo di siffatto modus operandi in funzione di una maggiore efficienza produttiva e soprattutto di un risparmio di spesa. Ma al di là di tale considerazione, va anche ribadito che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, non adempie agli obblighi derivanti dalle norme di sicurezza l'imprenditore che, dopo l'avvenuta scelta della persona preposta al cantiere o incaricata dell'uso degli strumenti di lavoro, non controlla o - se privo di cognizioni tecniche - non fa controllare la rispondenza dei mezzi usati o delle attrezzature ai dettami delle norme antinfortunistiche. In tal caso, infatti, la presenza e la eventuale colpa del preposto non eliminano la responsabilità dell'imprenditore potendosi ritenere che l'infortunio non sarebbe occorso se il datore di lavoro avesse controllato e fatto controllare le attrezzature, le macchine e predisposto i mezzi idonei a dotarle dei requisiti di sicurezza mancanti, conferendo al preposto - come suo "alter ego" - non solo la generica delega a sorvegliare lo svolgimento del lavoro in cantiere ma anche dotandolo dei poteri di autonoma iniziativa - anche eventualmente di spesa o di modifica delle condizioni di lavoro, delle fasi e dei tempi del processo lavorativo - per l'adeguamento e l'uso, in condizioni di sicurezza, dei mezzi forniti (ancora attuale, sul punto, è il pur risalente precedente costituito da sez. 4, n. 523 del 26/11/1996, Rv. 206644).
Va dunque riaffermato il principio che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro quale responsabile della sicurezza gravato non solo dell'obbligo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente la loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei la-voratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro" (vedasi anche questa Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. il 2015, Ottino, Rv. 263200). E che, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile Sez. 4, n. 4325 del 27/10/2015 dep. il 2016, Zappalà ed altro, Rv. 265942).
5. Va rilevato, infine, che appare inconferente ai fini dell'odierno decidere il richiamo al precedente arresto giurisprudenziale di cui a Sez. 4, n. 8883 del 10/2/2016, Santini ed altro, Rv. 266073, in cui condivisibilmente questa Corte di legittimità affermò che il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore e nella cui motivazione si ebbe a precisare che il sistema della normativa antinfortunistica si è evoluto passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori.
Il caso che in quell'occasione impegnò questa Corte di legittimità, infatti, era quello di un datore di lavoro che aveva dotato il proprio stabilimento di ogni presidio antinfortunistico e di un elettricista esperto cui era stato affidato un lavoro in quota da svolgersi attraverso un elevatore e con una serie di strumenti di protezione di cui era stato dotato. Quel lavoro -secondo quanto ricostruito da un teste esperto e cerne aveva ricordato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione della ditta committente- poteva e doveva essere posto in essere in sicurezza dall'elevatore. L'elettricista in questione, che peraltro era un soggetto particolarmente esperto d' sicurezza sul lavoro essendo stato egli stesso nominato responsabile della sicurezza dei lavoratori della sua azienda, decise, estemporaneamente, forse per fare più in fretta, o comunque incautamente, di salire sul tetto per meglio posizionare i fili, percorse il tratto ricoperto da sottili lastre di eternit, che inevitabilmente si sfondarono, e precipitarono al suolo.
Ebbene, che tipo di rimprovero può rivolgersi ad un datore di lavoro o a un responsabile aziendale per la sicurezza - si domandò in quell'occasione la Corte che ha dotato il dipendente, esperto e formato in materia di sicurezza del lavoro, di tutti i presidi antinfortunistici e della strumentazione necessaria per effettuare il lavoro in sicurezza, analogo a quello che egli era chiamato a compiere da cinque anni, rispetto a siffatto comportamento? Avevano potuto incolpevolmente il datore di lavoro e il responsabile per la sicurezza fare affidamento sul fatto che un soggetto così esperto non ponesse in essere il comportamento che aveva cagionato l'incidente?
Le risposte da dare a simili quesiti, ad avviso del Collegio, furono in quel caso che nessun rimprovero potesse muoversi ad entrambi i ricorrenti, in quanto gli stessi si erano legittimamente fidati della professionalità del soggetto cui avevano affidato il lavoro de compiersi.
Ebbene, non sfugge, anche ad un lettore distratto, che il caso è ben diverso da quello che ci occupa.
Nel caso oggi in esame -va ribadito- siamo di fronte ad un soggetto, investito formalmente della posizione di garanzia, che non si pone in condizione di conoscere non un comportamento estemporaneo di un lavoratore imprudente, ma una pericolosa prassi operativa che andava ormai avanti da tempo finalizzata a sopperire al malfunzionamento di un macchinario che la normativa gli imponeva, nella sua qualità, di far sottoporre a manutenzione tecnica.
6. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 28 marzo 2018