Cassazione Civile, Sez. Lav., 10 maggio 2018, n. 11336 - Infortunio sul lavoro nel reparto di macellazione. Onere probatorio del ricorrente


 

 

Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: ARIENZO ROSA Data pubblicazione: 10/05/2018

 

 

 

Fatto

 


1. Con sentenza del 5.3.2013, la Corte di appello di Torino respingeva il gravame proposto da O.A. avverso la decisione di primo grado che aveva rigettato, per ritenuta mancanza di prova circa le modalità dell'infortunio sul lavoro, il ricorso proposto dal predetto, inteso ad ottenere la condanna della datrice di lavoro, O.R.A. AGRICOLA s.r.l., al risarcimento dei danni conseguenti all'infortunio sul lavoro occorsogli il 26.1.2006 mentre svolgeva la propria attività lavorativa presso il reparto di macellazione dello stabilimento.
2. Riteneva il giudice del gravame che, sulla base dei principi in materia di ripartizione dell'onere probatorio incombenti rispettivamente sul lavoratore e sul datore di lavoro, il ricorrente non aveva assolto il proprio, non solo per non avere allegato nel ricorso introduttivo le circostanze utili per l'individuazione di una condotta rilevante sotto il profilo della causazione dell'evento lesivo, ma per avere altresì reso una versione dell'accaduto non solo inconsistente sotto il profilo dei requisiti della specificità e della determinatezza, ma anche in assoluto ed irrimediabile contrasto con altri atti e documenti provenienti dal lavoratore medesimo.
3. Pacifica l'assenza di testimoni, la Corte rilevava che anche la prova del legame causale con la malattia conseguitane era mancata in rapporto alla succinta descrizione dell'infortunio contenuta nel ricorso e che tale descrizione dei fatti risultava in insanabile contrasto con quella contenuta nella richiesta di convocazione per il tentativo di conciliazione, ove si faceva riferimento alla mancata osservanza da parte del datore delle norme sulla sicurezza del lavoro con riguardo all'utilizzo di una spiumatrice sprovvista di apposita maniglia di presa del pannello laterale, versione questa anche difforme, nel suo contenuto, da quella contenuta nella relazione del medico legale che aveva riguardo allo spostamento di un tavolo di grande peso all'interno di una cella frigorifera. Quest'ultima peraltro era indicativa di fatti del tutto nuovi rispetto all'anamnesi effettuata il 26.1.2006 dai sanitari del Pronto Soccorso dell'ospedale S. Spirito di Bra il cui referto parlava esclusivamente di un trauma dorsale e di ipotermia, nonché dal tenore di certificato INAIL, che diagnosticava contusione sacrale riportata mentre l'infortunato puliva il locale magazzino con idropulitrice, ed in parte difforme anche da ulteriore descrizione del sinistro fornita dall'interessato il 9.5.2006. Non poteva, pertanto, secondo il giudice del gravame, l'infortunato dolersi del fatto che il primo giudice avesse ritenuto non raggiunta la prova della dinamica dell'incidente e del suo legame causale con le lesioni, tenuto conto dell'intervento dei testi escussi solo successivamente all'accadimento.
4. Tali considerazioni dovevano, poi, ritenersi assorbenti rispetto alla valutazione circa la mancata adozione da parte del datore delle cautele antinfortunistiche, con la conseguenza che quest'ultimo doveva essere mandato assolto dalla responsabilità ex art. 2087 c.c..
5. Di tale decisione domanda la cassazione l'O., affidando l'impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, l'ORA Agricola s.r.l.. La Fondiaria Ass.ni s.p.a è rimasta intimata. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo, viene denunziata violazione degli artt. 112 e 115, 116 c.p.c., assumendosi che a nulla rileva che l'evento sia stato descritto nella fase stragiudiziale in modo parzialmente diverso rispetto a quanto esposto in giudizio, solo a tale esposizione dovendo farsi riferimento, e che su questo il giudice del gravame doveva pronunciarsi astenendosi da ogni controllo probatorio per essere mancata una contestazione specifica (se non una lagnanza per il fatto che la dinamica riferita in ricorso non corrispondeva alla descrizione di cui alla richiesta risarcitoria stragiudiziale) dei fatti dedotti nei modi e termini di cui all'art. 183 c.p.c. ed all'art. 420 c.p.c. per il processo del lavoro. Si assume che sia preclusa ogni ulteriore indagine probatoria estranea al thema decidendum e si ritiene, pertanto, affetta da nullità la sentenza della Corte d'appello.
2. Con il secondo motivo, sono dedotti vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione degli art. 2709 c.c. 2730 c.c., 403 dPR 547/55 e 53 dPR 1124/1965, rilevandosi che l'impianto motivazionale è viziato dalla erronea considerazione di una dichiarazione stragiudiziale estranea al giudizio, formata in presenza di un'evidente difficoltà linguistica dell'infortunato, senza prendere in considerazione le risultanze certe di due documenti di valore confessorio (dichiarazione di infortunio e dichiarazione contenuta nel registro infortuni disciplinata dall'art. 430 dPR 547/55).
3. Al di là della questione dell'esatta individuazione del thema decidendum, i fatti decritti in ricorso sono stati ritenuti connotati da assoluta genericità e non provati stante l'assenza di testimoni e la decisione si fonda su una corretta applicazione delle regole di riparto dell'onere della prova in tema di infortunio sul lavoro, secondo cui il lavoratore che agisca, nei confronti del datore di lavoro, per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento ed il danno, ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione ex art. 1218 c.c.. In particolare, nel caso di omissione di misure di sicurezza espressamente previste dalla legge, o da altra fonte vincolante, cd. nominate, la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore; viceversa, ove le misure di sicurezza debbano essere ricavate dall'art. 2087 c.c., cd. innominate, la prova liberatoria è generalmente correlata alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi l'onere di provare l'adozione di comportamenti specifici che siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, quali anche l'assolvimento di puntuali obblighi di comunicazione, (cfr., da ultimo, Cass. 26.4.2017 n. 10319 e, precedentemente, tra le tante, Cass. 26.6.2009 n. 15078, Cass. 13.8.2008 n. 21590, Cass. 19.7.2007 n. 160039 ).
4. La censura con la quale si adduce l'erroneità della decisione perché non applicato correttamente il principio di non contestazione, che avrebbe dovuto indurre il giudice del gravame ad astenersi da ogni ulteriore controllo probatorio, deve essere disattesa e prima ancora ritenuta inammissibile, in forza del principio affermato da questa Corte, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorso, ai sensi dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., deve sia indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi (cfr. Cass. 9.8.2016, Cass. 15.7.2015).
5. Inammissibile è anche la censura riferita al contenuto ed al valore confessorio della dichiarazione di infortunio e della dichiarazione contenuta nel registro infortuni disciplinata dall'art. 430 dPR 547/55).
Ed invero, qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell'omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, per rispettare i suddetti principi di specificità e autosufficienza, egli ha l'onere di indicare nel ricorso il contenuto rilevante del documento stesso, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l'individuazione e il reperimento negli atti processuali e assolvendo, cosi, il duplice onere, rispettivamente previsto dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a pena di inammissibilità) e dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (Cass. SU 11/4/2012, n. 5698; Cass. SU 3/11/2011, n. 22726).
6. L'onere del ricorrente, di cui all'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., come modificato dall'art. 7 del d.lgs. n. 40 del 2006, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, munita di visto ai sensi dell'art. 369, comma 3, c.p.c., ferma, in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, c.p.c., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr. Cass. 11.1.2016 n. 195, Cass. , s.u., 3.11.2011 n. 22726 cit.).
7. Nella specie il ricorrente ha quindi disatteso i principi menzionati, ponendosi in dispregio degli oneri come sopra individuati, sicché è precluso l'esame della doglianza che si fondi su documenti non ritrascritti e non depositati, o rispetto ai quali non vengano fornite le precisazioni utili al relativo rinvenimento nei fascicoli dei gradi di merito.
8. Alla luce delle esposte considerazioni, deve pervenirsi al rigetto del ricorso.
9. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate, in favore della società Ora Agricola s.r.l., come da dispositivo. Nulla va statuito nei confronti della s.p.a. Fondiaria assicurazioni, che è rimasta intimata.
10. Sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%, in favore della parte costituita.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..
Così deciso in Roma, in data 8 febbraio 2018