Cassazione Civile, Sez. 6, 18 giugno 2018, n. 16092 - Domanda per il riconoscimento dell'etiologia professionale della malattia polmonare. Nessuna prova che l'amianto possa essersi disperso


 

"Pur potendosi presumere che i natanti sui quali il de cuius era stato imbarcato fossero stati costruiti «facendo uso di materiali contenenti amianto», non era stata fornita «alcuna prova delle condizioni necessarie affinché l'amianto [...] possa essersi disperso, così determinando una contaminazione nei confronti anche di lavoratori [...] che, come nel caso di specie, avessero svolto mansioni apparentemente non riconducibili a lavorazioni tecniche a bordo di natanti»".

 

Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: CAVALLARO LUIGI Data pubblicazione: 18/06/2018

 

 

 

Fatto

 


che, con sentenza depositata il 20.7.2016, la Corte d'appello di Messina ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di A.B. e di G. e M.F. volta al riconoscimento dell'etiologia professionale della malattia polmonare che aveva condotto a morte il loro dante causa Ga. F.;
che avverso tale pronuncia A.B. e i litisconsorti in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura;
che l'INAIL ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
 

 

Diritto

 


che, con il primo motivo, i ricorrenti denunciano nullità della sentenza per vizio di motivazione e violazione del principio di equivalenza delle cause di cui all'art. 41 c.p., per avere la Corte di merito ritenuto, sulla scorta della disposta CTU, che non vi fosse prova che il de cuìus fosse stato esposto ad amianto; 
che, con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell'art. 115 c.p.c., per non avere la Corte territoriale considerato che l'INAIL non aveva contestato la presenza di amianto sui natanti sui quali il de cuius aveva prestato attività lavorativa;
che, con il terzo motivo, la medesima censura di cui al motivo precedente è argomentata per avere la Corte di merito deciso il gravame senza pronunciarsi sul capo di impugnazione concernente la carenza di motivazione della sentenza di primo grado; che il primo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, involgendo entrambi - ed indipendentemente dal loro riferimento a violazioni e/o false applicazioni di legge processuale e sostanziale - il giudizio (di fatto) compiuto dalla Corte di merito in ordine alla insussistenza di alcuna prova dell'effettiva nocività dell'ambiente di lavoro;
che, invero, è ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità il principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell'art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. da ult. Cass. n. 24155 del 2017);
che parimenti consolidato nella giurisprudenza di questa Corte è il principio secondo cui, specie a seguito della riformulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. da parte dell'art. 54, d.l. n. 83/2012 (conv. con 1. n. 134/2012), può essere dedotto in sede di legittimità soltanto l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, restando viceversa esclusa la possibilità di dolersi dell'omesso esame di elementi istruttori, qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. n. 8053 del 2014); che, sempre con riguardo al vizio in esame, è stato precisato che l'unica anomalia motivazionale ormai rilevante è quella attinente all'esistenza della motivazione in se, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, restando esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. S.U. n. 8053 del 2014, cit.);
che nella specie la Corte di merito, dopo aver ricordato che il giudice di prime cure aveva motivato il rigetto facendo proprie le conclusioni del CTU, ha constatato che, pur potendosi presumere che i natanti sui quali il de cuius era stato imbarcato fossero stati costruiti «facendo uso di materiali contenenti amianto», non era stata fornita «alcuna prova delle condizioni necessarie affinché l'amianto [...] possa essersi disperso, così determinando una contaminazione nei confronti anche di lavoratori [...] che, come nel caso di specie, avessero svolto mansioni apparentemente non riconducibili a lavorazioni tecniche a bordo di natanti» (così la sentenza impugnata, pag. 4), per modo che è evidente che le doglianze di cui al ricorso, lungi dal denunciare l'omesso esame di fatti principali o secondari decisivi, si appuntano piuttosto sull'esito dell'esame che di essi ha compiuto la Corte territoriale, invocandone una rivisitazione non possibile in sede di legittimità; che infondate appaiono le residue doglianze concernenti la violazione del principio di non contestazione di cui al secondo motivo, non sussistendo alcun onere di contestazione di fatti propri di una parte soltanto e ignoti all'altra (cfr. da ult. Cass. n. 14652 del 2016);
che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;
 

 

P. Q. M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.200,00, di cui € 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi delTart. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 22.3.2018.