Cassazione Civile, Sez. Lav., 20 giugno 2018, n. 16247 - Mobbing contro il dipendente di Poste Italiane


Presidente: BRONZINI GIUSEPPE Relatore: CURCIO LAURA Data pubblicazione: 20/06/2018

 

 

 

Rilevato
Che la Corte d'Appello di Ancona, dopo aver riunito l'appello proposto da R.C., dipendente di Poste Italiane spa , avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Ancona n. 509 del 30.9.2008, resa tra il R.C. e Poste spa, e l'appello promosso da INAIL avverso la sentenza n.268 del 20.4.2010 del Tribunale di Ancora, resa tra il R.C. ed INAIL, ha respinto l'appello principale e quello incidentale di Poste spa in relazione alla sentenza n.509 /2008 ed ha accolto l'appello dell'Inail in relazione alla sentenza n.268/2010 respingendo la domanda del R.C..
Che in relazione agli appelli principali del R.C. ed incidentale della società Poste spa avverso la sentenza n. 509/2008 la corte territoriale ha sostanzialmente confermato la decisione del Tribunale di mancato accoglimento della domanda di risarcimento del danno da mobbing e di accoglimento della domanda di illegittimità delle sanzioni disciplinari inflitte al lavoratore, ma escludendo la sussistenza di una condotta mobbizzante posta in essere dalla società datrice di lavoro, come ritenuto dal primo giudice.
Che la corte non ha ritenuto che vi fossero elementi per ravvisare il mobbing in quanto il R.C. si era rifiutato di svolgere le mansioni di portalettere che non erano dequalificanti, che non vi erano stati nei suoi confronti atti di ostilità, che anzi egli aveva effettuato molte denunce che avevano dato luogo a procedimenti penali risoltisi con assoluzioni; che non sussistevano manifestazioni di ostilità nei confronti del R.C. da parte dei colleghi di lavoro, essendosi trattato solo di qualche minima manifestazione di sarcasmo nei suoi confronti , ma pur sempre di manifestazioni critiche civili.
Che la corte territoriale ha respinto il ricorso incidentale di Poste ritenendo sproporzionate le sanzioni disciplinari, ma ha poi accolto l'appello dell'INAIL e ha riformato la sentenza n.268/2010 , escludendo l'esistenza di una patologia psichica come riscontrata dal consulente tecnico di ufficio in primo grado, in termini di tecnopatia ed affezione riconducibile all'ambiente di lavoro, essendo del tutto normali le condizioni di lavoro ed essendosi trattato solo di una malessere derivato solo da un 
disadattamento alla condizione lavorativa tutta propria del lavoratore non riconducibile all'ambiente lavorativo.
Che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il R.C. affidato a tre motivi. Hanno resistito Inail e Poste Italiane spa con controricorso, Poste spa svolgendo altresì ricorso incidentale affidato a tre motivi. R.C. ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis 1 c.p.c.
 

 

Considerato
Che il ricorso principale ha riguardato : 1) l'omessa , insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell'art.350 comma 1 n.5 c.p.c.., quanto alla sussistenza del mobbing: secondo il ricorrente non può ricavarsi dalla motivazione della sentenza in base a quali risultanze processuali il collegio di merito abbia maturato il giudizio sulla inesistenza del mobbing , che era stato accertato dal giudice di prime cure in base ad ampia e complessa istruttoria completata con una consulenza medico legale, che aveva accertato una grave forma di "disturbo ansioso depressivo " riconoscendo un invalidità permanente del 15% ; ma neanche spiegato in base a quali elementi processuali la corte di merito avrebbe ricavato che il lavoratore era un simulatore, atteso che gli infortuni sul lavoro occorsogli erano tutti documentati da certificazioni mediche, come anche non era in contestazione l'estraneità del suo bagaglio professionale alle mansioni di portalettere alle quali era stato adibito , estraneità che aveva compromesso la sua capacità lavorativa determinando gli infortuni non essendo egli capace di condurre un motociclo; 2)l'omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, per avere omesso la Corte completamente di esaminare le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio; 3)l'omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio per avere la corte omesso qualsiasi motivazione circa il mancato riconoscimento del danno risarcibile.
Che i motivi del ricorso incidentale di Poste hanno riguardato : 1) l'omessa , insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell'art.360 comma 1 n.5 c.p.c., per avere la corte escluso la legittimità delle sanzioni disciplinari sebbene avesse ritenuto insussistente il denunciato mobbing in danno del R.C.; 2) l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e violazione e falsa applicazione dell'art.53 del CCNL e dell'art.116 c.p.c., ai sensi dell'art.360 c.l n.3 e 5 c.p.c., per aver ritenuto illegittime le sanzioni disciplinari con motivazione apparente, senza premurarsi neanche di riportare e quindi considerare in cosa siano consistite le mancanze disciplinari e quindi le sanzioni applicate , per poter esaminarne la asserita sproporzione.
Che è fondato il primo motivo di ricorso principale. Deve premettersi che sia il ricorrente principale che quello incidentale hanno non correttamente indicato in rubrica il vizio censurabile, avendo fatto ancora riferimento ad un' omessa , insufficiente e contraddittoria motivazione, usando la formulazione dell'art. 360 comma 1 n.5 non più in vigore all'atto della pubblicazione della sentenza impugnata . Va tuttavia rilevato che in concreto le censure in particolare contenute nel primo motivo di ricorso principale e di fatto ripetute negli stessi termini anche negli altri motivi , hanno posto in luce l'assoluta mancanza di motivazione della sentenza, vizio che si risolve in una violazione dell'art. 132 c.p.c. ricadendo nell'ambito dell'art. 360 c.l.n.4 c.p.c.
Che questa corte ha rilevato come "in tema di provvedimenti del giudice, ricorre il vizio di omessa pronuncia laddove il giudicante emetta una decisione sostanzialmente priva di argomenti coerenti, con motivazione figurativa e meramente apparente" (così Cass. 4882/2016) e tale deve invero ritenersi la motivazione della sentenza oggetto di gravame che non ha in realtà messo in condizione parte ricorrente di conoscere l'iter logico-argomentativo e giuridico seguito e posto a fondamento della decisione.
Che nel caso esame infatti non si è in presenza di un silenzio del giudice in ordine ad una ovvero ad alcune delle questioni giuridiche sottoposte al suo esame nell'ambito di una determinata domanda o eccezione" (Cass. sent. n. 7268/2012) ma la sentenza , del tutto omettendo di porre a fondamento della sua motivazione gli elementi fattuali emersi nel giudizio di primo grado, sia attraverso le testimonianze che attraverso la consulenza medico legale di ufficio, ha fornito una personale e non obiettiva valutazione della vicenda processuale del R.C., del tutto priva di qualsivoglia correlazione con le effettive risultanze della causa di primo grado , di cui ha omesso qualsiasi riferimento.
Che invero nell'escludere l'esistenza della condotta mobizzante in danno del dipendente R.C., posta in essere da Poste Italiane spa e riconosciuta in primo grado, la sentenza di appello ha ritenuto, con tono assertivo, che all'assenza di demansionamento rilevata dal anche primo giudice si contrapponeva in realtà una "viscerale repulsione per le mansioni di portalettere" da parte del R.C. che corrispondeva "ad una notoria ancestrale ripugnanza , largamente diffusa , per attività utili e sociali ...a fronte di Inveterate preferenze per mansioni da svolgersi seduti ad una scrivania...".
Che ancora la sentenza evidenzia che il lavoratore aveva denunciato un numero "straboccante" di infortuni sul lavoro, alcuni anche non riconosciuti dall'INAIL e " tali comunque , se non altro per il loro numero, da indurre il sospetto di simulazione e falso"e "da dare origine a procedimenti penali".."conclusisi , è vero, con assoluzioni...".
Che quanto alla patologia psichica riscontrata dal consulente d'ufficio , ritenuta sussistente dal Tribunale anche con la sentenza previdenziale In cui è stata riconosciuta la malattia professionale, la corte territoriale ha osservato che "l'affezione non poteva In alcun modo ricondursi a causa lavorativa.... bensì derivando il malessere ..da disadattamento alla condizione lavorativa tutta propria del lavoratore e della sua psiche e per nulla affatto riconducibile all'ambiente di lavoro".
Che ancora si osserva nella sentenza Impugnata che sui rapporti con i colleghi ed i superiori, aveva Influito necessariamente l'assenteismo del lavoratore, cagionato dalla denuncia di sinistri, dal rifiuto di mansioni e dalla mancanza di collaborazione e solidarietà nel confronti del colleghi , che ne subiscono le conseguenze negative.
Che Infine la sentenza ha osservato che nulla poteva addebitarsi al datore di lavoro non avendo questi "la possibilità e men che meno il dovere di Intervenire nel rapporti tra i dipendenti .... tanto più quando il dissenso si esprima mediante manifestazione di critica civile , modulata nella forma del sarcasmo , che costituisce pur sempre uno sfogo da considerarsi, In linea di massima , consentito ed ammissibile".
Che con la nuova formulazione del vizio di cui all'art.350 c.l n.5 c.p.c., il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del ” minimo costituzionale" richiesto dall'art. III comma 6, Cost., che è individuabile anche nell'Ipotesi di motivazione apparente, come deve essere definita quella di cui alla sentenza della corte d'Appello di Ancona , oggetto del presente gravame e che ne determina , pertanto, la nullità per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c..
Che ad avviso di questa Corte tale vizio si desume direttamente dalla sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, ( cfr Cass. SU n. 8053/2014 ) perché la sentenza per escludere il mobbing formula due premesse assertive, su cui poi fonda la restante incoerente, dunque apparente, ratio decidendi: la prima consistente nella "viscerale repulsa per le mansioni di portalettere", la seconda che le reazioni di sarcasmo dei colleghi nei confronti del R.C. dovevano essere considerate atteggiamenti ammissibili, quindi leciti e tollerabili, quando " come nel caso in esame, consistono in una reazione addirittura inevitabile e quindi non assimilabile a comportamento scorretto".
Va pertanto accolto il primo motivo di ricorso principale , restando assorbiti gli altri due ed anche i motivi di ricorso incidentale, con rinvio della causa alla corte d'appello di Bologna, che dovrà riesaminare i motivi di appello ed a cui va demandato anche di provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità.

 



P.Q.M.
 

 

accoglie il primo motivo del ricorso principale , assorbiti agli altri due, assorbito il ricorso incidentale di Poste spa , cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla corte di appello di Bologna , anche per le spese del giudizio di legittimità.
Cosi deciso in Roma , nell'Udienza camerale del 13.12.2017