Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 20 giugno 2018, n. 16248 - Borsite alla spalla destra. Esclusa la natura professionale della malattia


Presidente: BRONZINI GIUSEPPE Relatore: CURCIO LAURA Data pubblicazione: 20/06/2018

 

 

 

Ritenuto

 

Che con sentenza del 23.10.2012 la corte d'Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Forlì che aveva respinto la domanda di M.C. diretta a far accertare la malattia professionale consistente in una sindrome algodisfunzionale del rachide cervicale da sforzo ripetuto (borsite alla spalla destra), contratta in ambiente di lavoro, con condanna della datrice di lavoro Electrolux Italia spa al risarcimento del danno biologico da inabilità permanente, danno esistenzial, morale e patrimoniale, oltre che delle spese vive e con condanna anche dell'Inail al riconoscimento della malattia professionale.
Che la corte territoriale ha confermato l'iter argomentativo della sentenza di primo grado che aveva escluso, sulla base della CTU medico legale, la sussistenza del nesso causale tra la malattia, con genesi multifattoriale, e l'attività lavorativa espletata, stante la breve durata della esposizione a situazioni di possibile rischio qualora fosse stato provato che il peso delle portine, che la lavoratrice trasportava nel periodo in cui era stata addetta al reparto silicone, fosse di 14 kg e non di 9,2 g come emerso dal sopraluogo svolto in sede di perizia d'ufficio.
Che la corte territoriale ha ritenuto che non potesse accogliersi la richiesta della M.C. di riqualificare la fattispecie in esame come infortunio sul lavoro, stante la diversità di causa petendi e che le critiche mosse alla perizia di primo grado fossero infondate , tenuto conto anche dell'integrazione alla CTU effettuata in grado di appello, che aveva acclarato la brevissima durata dell'esposizione , tenuto conto anche delle modalità di lavoro e del fatto che si trattava di malattia multifattoriale implicante quindi diversi fattori, non ultimo anche una possibile predisposizione genetica.
Che la corte ha escluso che la borsite della M.C. potesse rientrare in concreto tra quelle previste dalla nuova tabella, lista1 , del DM 9.4.2008, mancando la prova del nesso eziologico ricollegabile all'esposizione a rischio, in relazione ai tempi di tale esposizione ed alla successiva manifestazione della malattia.
Che la corte ha poi respinto l'appello principale della lavoratrice e quello incidentale di Elettrolux spa in relazione alla compensazione delle spese disposta dal tribunale, giustificata dalla effettiva esistenza della malattia.
Che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la M.C. affidato a sette motivi, a cui ha resistito Elettrolux con controricorso affidato ad un unico motivo , a cui ha opposto difese la M.C. con controricorso.
Che hanno resistito con controricorso Zurich Insurance Limited Company e l'INAIL .
Che Elettrolux spa e Zurich Insurance hanno depositato memoria ex art.380bis 1 c.p.c.
 

 

Diritto

 


Che i motivi del ricorso principale hanno riguardato:
1) la violazione della normativa europea in materia di malattie professionali e dell'igiene lavorativa in relazione alla raccomandazione Europea 90/326/CE e alla raccomandazione della Commissione Europea 19.9.2003, recepite dal DM del 9.4.2008, in relazione all'art.360 c.l n.3 c.p.c., per non aver considerato la corte territoriale che detta normativa europea avrebbe incluso nel novero delle malattie professionali anche quelle relative a disturbi musco scheletrici dell'arto superiore correlati con il lavoro, tra cui la borsite della spalla,operando così una presunzione legale della natura professionale della malattia, laddove invece il CTU si sarebbe discostato, nella valutazione della malattia, di considerare tale presunzione ed egualmente avrebbe fatto poi la sentenza impugnata
2) la nullità della sentenza per omessa motivazione, ex art.360 c.l.n.4 c.p.c., sulla richiesta prospettata in corso di causa di sostituzione del CTU che, nella indagine sulle mansioni svolte , aveva esaminato non le linee di produzione dove aveva lavorato la M.C., ma linee simili , avvalendosi di dati tecnici forniti solo dall'azienda. Il CTU comunque avrebbe dovuto escludere che la attività lavorativa costituisse solo una concausa della malattia , non avendo in realtà individuato una causa extralavorativa che, da sola, determinasse l'insorgere della stessa. 
3) La violazione dell'art.24 Cost. e del 195 c.p.c. in termini di diritto al contraddittorio nella formazione della prova, per essere stata violata la procedura inerente la consulenza tecnica d'ufficio, stante la mancata comunicazione da parte del CTU al CPT di parte del deposito della perizia d'ufficio e dunque del contenuto di detta perizia , impendendo cosi di interloquire sulle conclusioni rassegnate dal CTU.
4) Violazione di legge per non avere la corte di merito preso posizione sull'eccezione di nullità della perizia d'ufficio per violazione dell'art.195 comma 3 c.p.c. e in subordine violazione dell'art.112 c.p.c. per mancata pronuncia da parte della corte su tale eccezione di nullità, ai sensi dell'art.360 c.l n.3 e 4 c.p.c.
5) La nullità della sentenza per omessa motivazione sulla mancata sostituzione del CTU ai sensi dell'art.360 c.l n.5 c.p.c. Secondo la ricorrente vi sarebbe difetto di motivazione perché la corte di merito formava il proprio convincimento su un elaborato peritale da cui non emergeva alcuna prova esaustiva che giustificasse la negazione del nesso eziologico tra la patologia della M.C., borsite, e l'attività lavorativa, essendosi riportata la sentenza impugnata acriticamente alle risultanze della perizia, d'ufficio.
6) la violazione dell'art.360 c.l n.4 c.p.c. in ordine alla mancata ammissione delle prove orali dedotte dall'impugnante, secondo i capitoli di prova dedotti sin dal ricorso di primo grado.
7) la violazione, ai sensi dell'art.360 c.l n.3 c.p.c., relativa alla mancata ammissione delle ulteriori istanze istruttorie dedotte e comunque la violazione dell'art.360 c.l.n.5 "attenendo ad un fatto processuale determinante ", per avere la corte di merito disatteso le istanze istruttorie relative anche alle prove orali e a tutte le istanze istruttorie articolate in primo grado e non accolte dal tribunale; tale rigetto di integrazione istruttoria avrebbe compromesso la posizione della odierna ricorrente.
Che con il ricorso incidentale la società datrice di lavoro ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell'art.92 c.p.c. e omessa motivazione, in relazione all'art.360 c.l.n.3 e 5 c.p.c. per avere la corte disposto una compensazione non consentita dalla legge, non potendosi ritenere sussistenti giusti motivi atteso che in appello non vi era l'incertezza evidenziata dal giudice di prime cure sulla eziologia della malattia della lavoratrice e comunque per non averla motivata.
Che è in parte inammissibile ed in parte infondato il primo motivo di gravame che deduce una violazione di legge con riferimento alle citate raccomandazioni , recepite in Italia con DM 27.4.2004 in vigore all'epoca del ricorso introduttivo del giudizio e poi dal DM 9.4.2008 che ha sostituito il primo. Le norme a cui la ricorrente fa riferimento, ed in particolare i decreti ministeriali di recepimento, non hanno forza di legge e pertanto la loro natura di atti meramente amministrativi rende ad essi inapplicabile il principio "iura novit curia" di cui all’art. 113 cod. proc. civ., con la conseguenza che spetta alla parte interessata l'onere della relativa produzione, la quale non è suscettibile di equipollenti (cfr Cass.SU n. 9941/2009, Cass. n.15065/2014); tale produzione, quanto meno nella parte relativa alla classificazione oggetto di causa, non risulta essere stata effettuata, con violazione del principio di autosufficienza di cui all'art.366 c.2 n.6 e 369 c. 1 n.4 c.p.c.
Che comunque il motivo è infondato. Deve infatti rilevarsi che la presunzione legale sull'esistenza del nesso di causalità tra l'attività lavorativa e l'insorgere di una determinata malattia vale in materia di tutela assicurativa delle malattie professionali c.d. tabéllate, laddove la tabellazione rappresenta l'approdo e la cristallizzazione di giudizi scientifici specifici sul nesso di causalità, essendo la tabella redatta ed aggiornata in base alla legge , proprio allo scopo di agevolare la prova del nesso di causalità sul terreno assicurativo INAIL, così che , quando la malattia è inclusa nella tabella, al lavoratore basterà provare la malattia e di essere stato addetto alla lavorazione nociva (anch'essa tabellata) perché il nesso eziologico tra i due termini sia presunto per legge ( così Cass.n. 23653/2016).
Che nel caso in esame la domanda svolta dalla ricorrente nei confronti di Elettrolux è domanda risarcitoria del danno alla salute lamentato, nell'ambito di una causa petendi che deduce l'inadempimento della datrice di lavoro in termini di art. 2087 c.c. e pertanto non è sufficiente l'esistenza della malattia e il collegamento allo svolgimento di determinate attività per ritenere provato l'inadempimento ed il danno dedotti e dunque la nocività dell'ambiente di lavoro ed appunto la relazione causale tra l'uno e l'altro (cfr Cass. 2038/2013 ).
Che inoltre questa corte ha comunque chiarito che la presunzione legale circa la eziologia professionale delle malattie contratte nell'esercizio delle lavorazioni morbigene investe soltanto il nesso tra la malattia tabellata e le relative specificate cause morbigene (anch'esse tabéllate) e non può esplicare la sua efficacia nell'ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale, in cui il nesso di causalità non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di concreta e specifica dimostrazione - quanto meno in via di probabilità - in relazione alla concreta esposizione al rischio ambientale e alla sua idoneità causale alla determinazione dell'evento morboso ( cosi tra le tante Cass. n. 21360/2013).
Che nel caso in esame la Corte, proprio alla luce delle risultanze del CTU medico legale ha escluso la natura professionale della malattia in particolare in ragione della bassissima durata di esposizione di soli undici mesi, quando la stessa non è accompagnata da un elevatissimo carico biomeccanico, che non si ritrovava nella mansioni cui era stata adibita la lavoratrice presso il reparto, silicone.
Che del resto questa Corte ha sempre affermato che in tema di malattie professionali costituisce tipico accertamento di fatto la valutazione espressa dal giudice del merito in ordine alla obiettiva esistenza dell'infermità, alla sua natura ed entità, alla derivazione causale dall'ambiente di lavoro, come tale è accertamento è incensurabile in sede di giudizio di legittimità quando è sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici che consenta di identificare l'iter argomentativo posto a fondamento della decisione. Ciò in quanto il controllo di legittimità non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa, ma si estrinseca nella verifica, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, dell'esame e della valutazione compiuti dal giudice di appello, cui è appunto riservato l'apprezzamento dei fatti e degli elementi di prova acquisiti al processo (cfr Cass.n.15400/2011).
Che possono essere esaminati congiuntamente il secondo, il terzo e il quarto motivo, perché connessi trattandosi di censure che si riferiscono alla consulenza tecnica di ufficio , sia con riferimento al lamentato mancato accoglimento dell'istanza di rinnovo della CTU, sia con riferimento alla sostenuta violazione del contraddittorio in relazione alla procedura di cui all'art.195 c.p.c.
Che in particolare con riferimento al secondo e quarto motivo, deve rilevarsi preliminarmente una non chiara individuazione del vizio censurato, che spazia dalla lamentata nullità della sentenza al vizio di omessa motivazione per mancato esame di un' istanza di rinnovo della CTU in appello con sostituzione del perito già incaricato nel giudizio di primo grado, così da rasentare l'inammissibilità anche per mancata specificità dei motivi stessi.
Che tali censure sono comunque inammissibili alla luce della nuova formulazione dell'art.360 c. 1.n.5 c.p.c. , perché la corte di merito ha esaminato tutti i fatti decisivi posti alla sua attenzione dalla parte appellante , precisando come il CTU, nell' integrazione di perizia svolta in appello, avesse risposto ai quesiti posti, con riferimento all'accertamento della realtà lavorativa dove aveva prestato lavoro la M.C., accertamento svolto mediante l'acquisizione delle schede tecniche in contraddittorio delle parti e ritenendo di non particolare rilevanza il contestato peso delle portine che trasportava la lavoratrice , alla luce del ben più rilevante elemento della breve esposizione a rischio effettivo di soli undici mesi, con ciò implicitamente decidendo di non disporre nuove ed ulteriori indagini peritali. Né la parte ricorrente ha indicato specificamente il mancato esame di fatti decisivi non esaminati dalla corte ma che erano stati oggetto di discussione, solo avendo la ricorrente censurato la valutazione che la corte ha offerto dei fatti emersi in giudizio ed oggetto dell'elaborato peritale che a suo dire erano stato erroneamente valutati dal perito d'ufficio.
Che peraltro privo di autosufficienza e dunque inammissibile si profila anche il terzo motivo che deduce la violazione del contradditorio per mancata trasmissione della relazione peritale ai sensi dell'art.195 c.2 c.pc., avendo la ricorrente omesso di produrre , oltre che di trascrivere nella parte rilevante, le note conclusive difensive in cui aveva sollevato le eccezioni relative alle nullità inerenti l'espletamento dell'integrazione di consulenza tecnica esperita in sede di gravame.
Che altresì inammissibili sono gli ulteriori motivi sesto e settimo, da esaminarsi congiuntamente perché entrambi inerenti alla mancata ammissione di ulteriori istanze istruttorie aventi ad oggetto prove testimoniali non ammesse, perché anche in tal caso si tratta di censure tendenti a rimettere in discussione quanto già esaminato dalla sentenza impugnata,così finendo per richiedere una nuova ed inammissibile valutazione di merito, preclusa comunque in sede di legittimità, a maggior ragione dopo la nuova formulazione del vizio motivazionale di cui al n.5 del comma 1 art.360 c.p.c.
Che è infondato anche il ricorso incidentale della società Elettrolux con riferimento alla dedotta violazione di legge in relazione alla decisione di compensazione delle spese di lite anche per il grado di appello.
Che infatti la motivazione che ha portato la corte a respingere l'appello incidentale della società sulla compensazione effettuata in primo grado, ossia la effettiva esistenza in capo alla lavoratrice della grave patologia è stata di fatto la stessa ragione che ha supportato la decisione di compensare anche le spese del secondo grado, tenuto conto altresì della parziale soccombenza anche della società appellante incidentale , sia pure per un capo di domanda meno rilevante.
Che tale decisum non viola la norma di legge , nella formulazione vigente all'epoca della sentenza impugnata, perché la ragione considerata, ossia l'esistenza di una effettiva malattia la cui prova della natura professionale si presentava molto complessa, non può ritenersi né illogica né erronea, tanto da violare il disposto di cui all'art.92 c.p.c.
Che il ricorso principale e il ricorso incidentale devono pertanto essere respinti, con compensazione delle spese del presente giudizio tra M.C. e Elettrolux spa , giustificata dalla reciproca soccombenza e con condanna della ricorrente principale alla rifusione delle spese in favore delle altre due parti contro ricorrenti , liquidate come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese di lite del presente giudizio in favore di Zurich Insurance P.L.C. ed in favore dell'I.N.A.I.L. che liquida in euro 100,00 per esborsi, euro 3000,00 per compensi professionali, per ciascuna parte oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Compensa le spese del presente giudizio tra M.C. ed Elettrolux spa .

 

Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 13.12.2017