Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 11 luglio 2018, n. 31640 - Caduta dal tetto e mancanza del P.O.S. Lavori in subappalto


Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 03/05/2018

 

Fatto

 

1. I.C., a mezzo del difensore, ricorre avverso la sentenza resa in data 12 settembre 2017 dalla Corte di appello di Bologna, sez. 1, che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, revocata la sospensione condizionale della pena, ha sostituito la pena detentiva di un mese di reclusione nella corrispondente pena pecuniaria di euro 7.500,00 e lo ha condannato al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile, confermando nel resto.
2. Il ricorrente, quale legale rappresentante della I.C. Edilmarmo s.r.l., impresa esecutrice dei lavori, veniva riconosciuto colpevole, unitamente a L.C., del reato di cui agli arti. 113 e 590, comma 2, cod. pen. perché per colpa, imperizia ed imprudenza, in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, cagionava a E.D.E. lesioni personali gravi conseguenti a una caduta al suolo mentre lavorava sul tetto di un fabbricato (in Bagnacavallo il 5 novembre 2010). Gli si rimprovera, in particolare, la colpa specifica di non aver redatto il Piano Operativo di Sicurezza di cui all'art. 89, comma 1, lett. h), d.lgs. n. 81/08, anche nel caso in cui nel cantiere operi un'unica impresa.
3. I fatti possono essere così riassunti: G.P. concludeva un contratto di appalto con la Solar System s.p.a. (il cui delegato alla sicurezza era L.C.) avente ad oggetto la realizzazione di un impianto fotovoltaico nella propria abitazione sita in Bagnacavallo; a sua volta, la Solar System affidava in subappalto l'esecuzione del lavoro alla Solarest, ditta individuale, di cui era titolare D.V. e responsabile tecnico, dipendente, l'infortunato E.D.E.. Durante l'esecuzione dei lavori, il E.D.E., accortosi che la scala motorizzata di cui disponeva non poteva essere utilizzata per spostare i pannelli sul tetto dell'edificio, si recava presso la vicina società I.C. Edilmarmo a chiedere se potessero svolgere loro il lavoro di sollevamento dei pannelli. Il mattino successivo, un dipendente della I.C., alla guida di un mezzo articolato dotato di gru, raggiunta l'abitazione, si posizionava sul lato nord, fuori dalla recinzione della stessa.
E.D.E., illustrati al gruista i lavori da svolgere, saliva sul tetto per indicare con precisione il punto in cui avrebbe dovuto appoggiare i pannelli fotovoltaici, senza indossare l'attrezzatura antinfortunistica. Iniziata la manovra di trasferimento dei moduli, la gru colpiva il tetto provocando lo scuotimento degli stessi e il loro scivolamento dall'imbracatura; il E.D.E., nel tentativo di impedire la caduta dei pannelli, perdeva l'equilibrio e rovinava a terra.
4. La responsabilità del I.C., così come ritenuta dalla sentenza del primo grado cui la Corte di appello si richiama per relationem, è stata affermata in ragione del fatto che un suo dipendente e un suo macchinario erano presenti e operativi nel cantiere, derivandone pertanto la considerazione dell'impresa I.C. come impresa esecutrice. In conseguenza, il titolare avrebbe dovuto predisporre un piano operativo di sicurezza contenente la valutazione di tutti rischi, compreso quello di caduta dal tetto, trattandosi per l'appunto di un lavoro sul tetto ed essendo egli stato altresì messo a conoscenza, da un altro suo dipendente, dell'assenza di misure di protezione. La Corte di appello di Bologna sostiene, inoltre, che irrilevante è la ricostruzione dell'esatta dinamica del sinistro atteso che, se fossero state adottate le cautele necessarie per svolgere la delicata e pericolosa operazione con la redazione di uno specifico piano operativo di sicurezza (diverso da quello esistente il quale non prevedeva l'intervento di altra impresa esecutrice), l'incidente non si sarebbe verificato. Osserva l'impugnata sentenza che nel momento in cui l'imputato, nella piena consapevolezza dell'alto rischio lavorativo, accettò di far eseguire da un suo operaio e con un suo mezzo il pericolosissimo lavoro, assunse, in forza del disposto dell'art. 89, comma 1, lett. h), d.lgs. n. 81/2008, l'obbligo giuridico di predisporre il piano operativo di sicurezza dovendo la sua impresa reputarsi «esecutrice» dei lavori da eseguire. Al I.C. fu infatti richiesto di fornire uomini ed attrezzature idonee alla specifica situazione che comportava una particolare modalità di esecuzione dell'opera rispetto alla quale non esisteva alcuno specifico piano di sicurezza perché quello esistente escludeva l'intervento di ulteriori imprese.
5. Il ricorso si articola in due censure che si traducono sostanzialmente in vizi di motivazione relative all'omessa valutazione delle doglianze difensive proposte in appello e al travisamento delle risultanze probatorie in ordine alla ricostruzione del fatto. Si deduce altresì l'errata applicazione, nel caso di specie, dell'art. 89, comma 1, lett. h), d. Lgs. n. 81/2008: sul ricorrente non gravava affatto il relativo obbligo essendo emerso, in dibattimento, il ruolo e l'ambito di operatività del E.D.E. che non poteva essere definito un semplice lavoratore essendo il titolare di fatto della ditta Solarest di cui era, per esperienza e competenza, il responsabile tecnico. Egli, dunque, per l'imprudenza ed imprevedibilità della condotta, è l'unico responsabile dell'infortunio occorsogli. Sbaglia il Giudice d'appello a definire la ditta I.C. esecutrice, poiché ad essa era stato unicamente chiesto, dal E.D.E., di fornire una gru ed un gruista per sollevare dei pannelli su un tetto. Non di sub-appalto si trattava quanto del c.d. nolo a caldo. In quest'ultima ipotesi, al I.C. non spettava di redigere alcun POS. La responsabilità dell'accaduto deve quindi addebitarsi non al datore di lavoro della ditta che ha fornito «a caldo» l'attrezzatura ma al titolare dell'impresa che l'ha presa a nolo.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
2. Per quanto riguarda l'asserita omessa valutazione delle doglianze difensive proposte in appello e il denunciato travisamento delle risultanze probatorie, si osserva che il ricorrente ripropone una ricostruzione alternativa del fatto già compiutamente disattesa dal Giudice territoriale.
L'articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., peraltro, non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. È principio non controverso, inoltre, che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non è tenuta a stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né a condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la motivazione della Corte di merito appare ineccepibile da un punto di vista logico e giuridico laddove evidenzia, come sopra ricordato, la rilevanza della violazione dell'obbligo di predisporre adeguate cautele proprio in considerazione della pericolosità dell'intervento richiesto, pericolosità di cui egli era perfettamente a conoscenza. Indubbio essendo il nesso di causalità tra le violazioni delle regole cautelari allo stesso ascritte e l'evento lesivo occorso al E.D.E..
3. E opportuno richiamare i principi generali in tema di colpa.
La colpa è l'inosservanza di cautele doverose nell'esercizio di attività consentite; l'elemento peculiare della responsabilità colposa è che l'offesa non deve essere oggetto di volizione: il concetto di antidoverosità, invero, richiama una nozione di imputazione normativa dell'offesa. In altri termini, il giudizio colposo si sostanzia nel raffronto fra il comportamento effettivamente tenuto dal soggetto agente e il comportamento (ottemperante alla regola cautelare) che avrebbe potuto e dovuto realizzare. La colpa presenta dunque un profilo oggettivo (l'antidoverosità) e uno soggettivo (la concreta capacità dell'agente di adeguarsi alla regola cautelare). In particolare, la colpa specifica, presa in considerazione dall'art. 43, comma 1, III alinea, cod. pen., è determinata dall'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline concernenti l'esercizio di attività considerate pericolose dall'ordinamento e perciò consentite subordinatamente al rispetto di regole cautelari compendiate in atti normativi (leggi, regolamenti) ovvero provvedimentali (ordini) ovvero codificate in discipline (circolari, regole dell'arte o dell'esperienza). La differenza fra colpa generica e colpa specifica riposa sulla diversa tecnica di redazione del modello legale. Nella prima specie di colpa, i concetti di negligenza, imprudenza e imperizia sono concretizzati attraverso la previsione di regole cautelari extragiuridiche di estrazione sociale, parametrate sulla figura immaginaria del c.d. agente modello della stessa condizione sociale e professionale del soggetto attivo. Per converso, nella seconda specie di colpa, come sopra rilevato, le regole cautelari a contenuto preventivo sono codificate in documenti normativi o provvedimentali. In linea di principio, l'osservanza di queste regole esclude il profilo dell'antidoverosità, salvo che residui un margine di colpa generica.
Per dar luogo all'addebito a titolo di colpa specifica non è sufficiente la mera inosservanza della regola cautelare codificata (profilo oggettivo), ma è altresì necessario che l'autore avesse in concreto la possibilità di evitare il prodursi dell'evento offensivo (profilo soggettivo). Opinando altrimenti verrebbero a profilarsi i contorni di una culpa in re ipsa derivante della mera trasgressione, in contrasto con il principio costituzionale della personalità della responsabilità penale (art. 27, comma 1, Cost.).
Ai medesimi fini, è infine opportuno precisare che per configurare l'ascrizione dell'evento a titolo di colpa specifica, è necessario che, a seguito della violazione della regola preventiva trasgredita, si sia prodotta proprio l'offesa che essa mirava a evitare (c.d. nesso di congruità fra regola cautelare violata ed evento verificatosi).
4. Quanto poi alla individuazione dei soggetti garanti, si rileva che il legislatore, tenuto conto della complessità dei processi produttivi moderni, che sempre più coinvolge un numero ampio di imprese, ha di recente rivisitato la materia relativa al contratto di appalto, che, passando dalla disciplina originariamente prevista dagli artt. 4 e 5 del d.P.R. n. 547/1995, ha trovato una sua prima regolamentazione nell'art. 7 del d. lgs. n. 626/1994, per poi giungere alla elaborazione del complesso normativo di cui al d. lgvo n. 494/96, oggi sostanzialmente trasfuso nel d. legislativo 81/08.
Con specifico riferimento all'esecuzione di lavori in subappalto all'Interno di un unico cantiere edile predisposto dall'appaltatore, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il principio in base al quale gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, grava non soltanto sull'appaltatore, ma anche su tutti coloro che esercitano i lavori, quindi anche sul subappaltatore interessato all'esecuzione di un'opera parziale e specialistica che ha l'onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro, pur se la sua attività si svolga contestualmente ad altra, prestata da altri soggetti, e sebbene l'organizzazione del cantiere sia direttamente riconducibile all'appaltatore, che non cessa di essere titolare dei poteri direttivi generali (Sez. 4, sent. n. 42477 del 16/07/2009, Cornelli, Rv 245786).
In generale, dalla sopra richiamata disciplina normativa si desume il principio, secondo il quale, in caso di contemporanea presenza di più imprese all'interno di un medesimo cantiere edile, tutti i soggetti titolari di una posizione di garanzia hanno il dovere di cooperare all'attuazione di misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto di appalto, informandosi, reciprocamente, anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese, coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva.
Quanto infine alla rilevanza di eventuali condotte negligenti riferibili al lavoratore infortunato, occorre osservare che, in tema di cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l'offesa, la giurisprudenza di legittimità ritiene che possano considerarsi tali quelle che diano luogo a una serie causale, sebbene non del tutto autonoma rispetto a quella riferibile all'agente, che si atteggi in termini di assoluta anomalia, eccezionalità e imprevedibilità (Sez. 4, sent. n. 13939 del 30/01/2008, Bauwens, Rv. 239593).
In ogni caso, quand'anche sussista una condotta colposa del lavoratore infortunato, questa non potrà comunque spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti destinatari di obblighi di sicurezza che abbiano violato prescrizioni in materia antinfortunistica (Sez. 4, sent. n. 12115 del 03/06/1999, Grande, Rv. 214999), in quanto le disposizioni prevenzionistiche hanno la funzione primaria di eliminare o almeno ridurre i rischi per l'incolumità fisica dei lavoratori intrinsecamente connaturati ai processi produttivi dell'attività di impresa, anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi derivino da condotte colpose dei prestatori di lavoro.
Riguardo l'invocata esclusiva responsabilità dell'infortunato in ordine all'evento occorsogli, la sentenza della Corte di appello è esente da vizi. Essa infatti afferma come, nel caso di specie, non sussistesse alcun comportamento anomalo del lavoratore, versandosi, al contrario, in una situazione in cui la condotta da questi tenuta, strettamente funzionale all'esecuzione dell'opera appaltata e posta in essere in presenza ed a causa della violazione di una specifica norma antinfortunistica, era di assoluta prevedibilità.
5. Del tutto fuorviante appare poi la doglianza secondo cui, essendo stato stipulato ed eseguito un contratto di «nolo a caldo» (per essere stati messi a disposizione non solo la gru, ma anche il gruista), la responsabilità per gli infortuni competerebbe al titolare dell'impresa locatrice (noleggiante), e non già a colui che noleggia macchinario e operatore, il quale non ha l'onere di predisporre il P.O.S.
Anche su questo specifico punto - invocato dal ricorrente al fine di escludere in capo a sé l'onere di predisporre il P.O.S. - la sentenza impugnata è esente da censure laddove afferma che tra il I.C. e il E.D.E. non era stato concluso alcun «nolo a caldo» posto che al primo non fu chiesto semplicemente di eseguire una modalità dell'opera così come già predisposta e organizzata da altri, ma di fornire uomini e attrezzature idonee alla specifica situazione di fatto in modo da realizzare una particolare modalità di esecuzione dell'opera rispetto alla quale non esisteva alcuno specifico piano di sicurezza e che le imprese appaltatrici e subappaltatrici non erano in grado di svolgere.
6. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di giudizio in favore della parte civile, E.D.E. , che si liquidano, considerata l'attività professionale svolta e le questioni trattate, in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di giudizio in favore della parte civile, E.D.E., che liquida in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso il 3 maggio 2018