Categoria: Cassazione penale
Visite: 16277

Cassazione Penale, Sez. 4, 20 luglio 2018, n. 34311 - Infortunio mortale all'interno dell'impianto di betonaggio. Evidenti carenze del DVR sul rischio connesso all'operazione di lubrificazione e responsabilità del datore di lavoro e del RSPP


Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: MENICHETTI CARLA Data Udienza: 04/05/2018

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte d'Appello di Torino, con sentenza in data 16 novembre 2016 confermava la condanna resa dal Tribunale cittadino nei confronti di G.G., CA.P.e V.C. quali responsabili del reato di omicidio colposo ai danni dell'operaio C.P., deceduto all'interno dell'impianto di betonaggio, reparto produzione B, dello stabilimento della Aset s.r.l. di Chivasso.
2. Per detto evento erano stati imputati, il G.G., quale amministratore delegato, legale rappresentante della Aset s.r.l. e datore di lavoro del C.P., il CA.P. quale direttore di stabilimento, il V.C. quale responsabile del servizio di protezione e prevenzione.
La contestazione attribuita ad ogni singolo imputato riguardava profili di colpa generica e precise violazioni della normativa antinfortunistica di cui al D.Lgs. n.81/2008 avendo gli stessi consentito, cooperando tra loro con condotte indipendenti, che il C.P. eseguisse operazioni di ingrassaggio delle parti interne della vasca di mescolamento di un impianto di betonaggio, installato presso la Aset s.r.l., senza che, da parte del G.G., fosse stato redatto un DVR che individuasse i fattori di rischio connessi alle dette operazioni, necessarie prima dell'inizio di ogni ciclo di produzione di calcestruzzo e che comportavano l'ingresso di un lavoratore in zona ad alto rischio; disponendo e consentendo, il G.G. ed il CA.P., che tali operazioni avvenissero in un impianto privo di una bobina di sgancio di minima tensione, con tutto il circuito elettrico di sicurezza (compresi i pulsanti di emergenza per l'interruzione dell'alimentazione e gli interruttori di sicurezza) isolato dal resto dell'impianto ed assolutamente inservibile, mettendo quindi a disposizione del lavoratore un'attrezzatura che presentava rischi di contatto meccanico e non idonea ai fini della salvaguardia della salute e della sicurezza sul lavoro; ancora, senza aver predisposto, i medesimi due imputati, una procedura di verifica, anche periodica, dell'efficienza delle sicurezze dell'impianto elettrico, sicurezze che impedissero la rotazione degli alberi durante la presenza dell'addetto all'interno della vasca per le operazioni di lubrificazione. Al V.C., nella indicata qualità, veniva invece ascritta la omessa individuazione dei fattori di rischio con riferimento all'esecuzione quotidiana delle attività di ingrassaggio delle parti interne della vasca di mescolamento del detto impianto, e di non aver contribuito all'elaborazione di un adeguato DVR da parte del datore di lavoro, attestando tra l'altro in data 23.3.2011 che il manuale di previsione dei rischi della Aset s.r.l. era regolarmente aggiornato.
Altri due imputati, e precisamente il preposto M. ed il C., Responsabile dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e addetto alla cabina di controllo dell'impianto, erano stati separatamente giudicati ed avevano definito la loro posizione con applicazione della pena ex art.444 c.p.p.
2. Il fatto è stato così ricostruito dai giudici di merito.
L'impianto di betonaggio, sopraelevato rispetto al piano terreno, ed accessibile tramite una scala, era formato da una vasca di miscelazione degli inerti, posta su di un soppalco, accessibile mediante l'apertura di un coperchio soprastante.
A distanza di circa un metro e mezzo dalla vasca era ubicata una cabina di controllo, nella quale si trovavano l'armadio contenente il quadro elettrico e, affianco, la consolle dei comandi munita di "funghi" per l'arresto in sicurezza dell'impianto.
Il processo produttivo prevedeva che quotidianamente i due alberi rotanti interni alla vasca venissero ingrassati tramite un pennello, in modo da impedire che sugli angoli si depositassero residui di calcestruzzo; terminato l'ingrassaggio, dalla cabina di comando, previa impostazione delle quantità di materiale necessario alla preparazione dello specifico composto richiesto dal cliente, veniva dato impulso all'impianto, di talché gli alberi cominciavano a ruotare ed a mescolare gli ingredienti.
Terminata la lavorazione, il calcestruzzo veniva scaricato tramite un'apertura inferiore di cui era dotata la vasca e seguiva poi un processo serale automatico di lavaggio, tramite un'idropulitrice, per eliminare i diversi detriti ed approntare la vasca per la produzione del giorno dopo.
2.1. Il C.P., operaio addetto alla manutenzione ordinaria della macchina, precedente l'inizio della lavorazione vera e propria, si era introdotto all'interno della vasca per lubrificare gli alberi, circostanza desunta dal fatto che all'interno di essa erano stati trovati un secchio di grasso ed un pennello, mentre alla consolle si trovava il collega C., che aveva evidentemente dato avvio all'impianto senza avvedersi della persona all'interno, nonostante la vicinanza della cabina alla betoniera: gli alberi avevano quindi iniziato la loro rotazione ed il C.P. era rimasto schiacciato tra gli stessi, senza che il C. riuscisse a fermare l'impianto.
3. All'esito del sopralluogo, lo Spresal aveva evidenziato numerose violazioni della normativa antinfortunistica: i dispositivi di sicurezza individuali non erano adeguati; il corpo era entrato in contatto con gli organi in movimento; la manutenzione dell'impianto doveva avvenire a macchina ferma; il documento di valutazione dei rischi non comprendeva i rischi connessi alla specifica mansione di ingrassaggio e, dunque, nulla dettava in termini di misure di sicurezza necessarie, né, tantomeno, prevedeva un periodico controllo sulla sicurezza dell'impianto, tali non potendosi ritenere i verbalini di ispezione per controllo qualità. Era quindi violato l'art.71 e relativi allegati al D.Lgs.n.81/08, essendo possibile l'avvicinamento del corpo ad un organo in movimento, quando, invece, gli organi mobili devono essere protetti contro il contatto accidentale oppure in condizioni di sicurezza tali da garantire l'incolumità dell'operatore.
Si era quindi appurato che responsabile del completo stand by di tutte le misure di sicurezza era la bobina di sgancio sita in un alloggiamento coperto, all'interno del quadro / comandi: tale bobina, che costituiva il "cervello" del sistema di sicurezza, era totalmente X-J mancante, probabilmente da tempo. Ciò aveva comportato che, nonostante la vasca fosse presumibilmente aperta perché il C.P. vi era entrato sollevando il coperchio, quando il C. aveva azionato l'impianto di accensione, le pale avevano iniziato a girare, in quanto nessun messaggio di circuito aperto, dovuto al coperchio alzato, poteva essere registrato da una bobina di sgancio, appunto mancante. Il C. ad un certo punto era riuscito ad arrestare la macchina.
4. Concludevano i giudici di merito che la non contestata assenza della bobina aveva svolto un'efficienza causale nell'infortunio: se la bobina ci fosse stata ed avesse funzionato l'incidente non si sarebbe verificato, in quanto l'impianto non si sarebbe azionato a coperchio della vasca aperto. Sarebbe stata quindi sufficiente la previsione di un periodico controllo per verificare il sistema delle sicurezze, come pure vietare l'ingresso in vasca dell'addetto, almeno senza un previo disarmo dell'impianto, ma nulla di tutto ciò era stato previsto e prescritto.
4.1. Passando ad esaminare le posizioni di garanzia del datore di lavoro e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione - odierni ricorrenti - la Corte territoriale, conformemente a quanto già argomentato dal Tribunale, rilevava che effettivamente il DVR non contemplava affatto l'operazione quotidiana di ingrassaggio delle pale, e nulla quindi specificava su come tale intervento dovesse essere realizzato, se dall'interno o dall'esterno della vasca, né con quali dotazioni di protezione individuale, né con quali norme di sicurezza rispetto all'accensione dell'impianto; nulla si diceva altresì riguardo alle operazioni di manutenzione straordinaria, che veniva per forza svolta dall'interno della vasca. Si trattava dunque di un documento palesemente e incontestatamente lacunoso. A tali lacune non suppliva il sistema di qualità, invocato a difesa quale parte integrante e complementare del DVR, in quanto volto ad una finalità diversa, quella cioè di garantire la realizzazione del prodotto nel rispetto degli standards di qualità e sicurezza, in favore dei clienti. In ogni caso le istruzioni operative, che componevano il manuale del Sistema Qualità, elencavano semplicemente le operazioni da compiere, ma non si soffermavano sulle modalità di esecuzione ed i connessi rischi - anzi era prevista una pericolosa accensione della betoniera prima dell'ingrassaggio delle pale - e comunque non erano integrative del DVR, non presentando i contenuti legislativamente previsti per tale documento.
4.2. Escludeva altresì la Corte di merito qualunque comportamento eccezionale o abnorme del C.P., interruttivo del nesso causale, atteso che dalla espletata istruttoria era risultato per nulla imprevedibile l'ingresso dell'operaio all'interno della vasca per le operazioni di ingrassaggio, che anzi avvenivano di frequente con quelle modalità.
In conclusione, stante la lacunosità del DVR e la sua incidenza causale nella produzione dell'infortunio - dato che se esso avesse previsto le modalità concrete di svolgimento delle operazioni di lubrificazione dall'esterno e con appositi dispositivi di protezione individuale, l'incidente non si sarebbe verificato - e considerata la non delegabilità del ruolo di valutazione dei rischi gravante sul datore di lavoro, era certa la responsabilità del G.G..
Sul punto, la impugnata sentenza evidenzia ancora la mancata previsione dello svolgimento della delicata mansione di lubrificazione dell'ingranaggio, e di un controllo periodico dei sistemi di sicurezza, gravante sul direttore di stabilimento e prima ancora sul datore di lavoro, data l'insufficienza delle schede di qualità, compilate dal M. per altre finalità: lo stesso preposto aveva del resto parlato di ispezioni su chiamata e principalmente visive, e dell'assenza di una manutenzione ordinaria e tantomeno di controllo periodico della sicurezza dell'impianto (n.4931 del 2013, dep. 31.1.2014).
Quanto alla posizione del V.C., si ribadiva che, "essendo quella di lubrificazione degli alberi un'operazione essenziale, quotidiana, delicata eppure non contemplata nel DVR e solo menzionata nelle istruzioni operative, sarebbe dovuto balzare agli occhi del RSPP una tale approssimazione. La pericolosità di tale operazione, legata al ciclo produttivo, era in re ipsa, consistendo nella manutenzione quotidiana di un organo potenzialmente in movimento. Il V.C. aveva rivisitato il DVR sei mesi prima dell'infortunio ed aveva rassicurato che le procedure erano le medesime e che nulla andasse aggiornato quanto alla valutazione dei rischi, né aveva segnalato che fosse mancante del tutto la parte relativa alla verifica dei sistemi antinfortunistici legati all'impianto di betonaggio, avendo proposto come suggerimenti solo dei corsi sulla sicurezza.
Riteneva, in definitiva, la Corte territoriale che il rischio inerente il compimento delle operazioni di lubrificazione/ingrassaggio degli alberi della vasca di mescolazione non fosse stato assolutamente previsto e dunque il DVR risultasse carente sul punto, così come conseguentemente non era stato in alcun modo valutato specificamente il rischio inerente l'eventuale contatto, anche accidentale, nell'esecuzione di tale operazione con le parti mobili.
Stante poi il carattere non delegabile dal datore di lavoro dell'obbligo di valutazione dei rischi inerenti l'attività aziendale, la collaborazione prestata dal RSPP nello svolgimento di tale attività e nell'individuazione delle misure atte a fronteggiare i rischi presenti in azienda, il G.G. avrebbe dovuto sottoporre il documento redatto dal professionista ad una approfondita analisi critica e ad una verifica circa la concreta individuazione e indicazione di tutte le situazioni di rischio e delle misure precauzionali atte a fronteggiarle.
Di qui la pronuncia di condanna di entrambi gli imputati (oltre che del direttore di stabilimento CA.P. non ricorrente).
5. Il ricorso di G.G. è affidato a tre motivi.
5.1. Con il primo motivo si insiste nell'incompetenza del Giudice monocratico del Tribunale di Torino, in luogo del Tribunale di Ivrea, eccezione tempestivamente sollevata davanti al giudice di primo grado e respinta con ordinanza in data 25 novembre 2013, impugnata anch'essa con l'atto di appello. Sostiene il ricorrente che in base alla corretta interpretazione del decreto "Severino" n.155/2012 di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e della tabella A ad esso allegata, era divenuto territorialmente competente il Tribunale di Ivrea per i fatti consumati a Chivasso, con decorrenza dal 13 settembre 2013. Ciò imponeva al G.I.P., quando aveva pronunciato il decreto ex art.429 c.p.p. il 20 maggio 2013, di fissare la citazione degli imputati, successiva al 13 settembre 2013, dinanzi al Tribunale di Ivrea e non di Torino, come invece avvenuto. Rileva che quando era stato emesso il decreto che disponeva il giudizio non era stato ancora emanato il decreto del Presidente del Tribunale di Torino n.62/2013, pubblicato il giorno 1 agosto
2013, che aveva disposto la prosecuzione davanti al Tribunale di Torino dei procedimenti pendenti davanti alle Sezioni di Ciriè e di Chivasso, pur entrando il territorio di tali Sezioni distaccate a far parte del circondario del Tribunale di Ivrea, e che per procedimenti pendenti doveva aversi riguardo al momento dell'irretrattabile esercizio dell'azione penale, momento che si identifica con l'emissione del decreto di citazione a giudizio. La difesa aveva obiettato che il decreto del Presidente del Tribunale di Torino contrastava con il chiaro disposto dell'art.9, comma 1, del decreto Severino, che imponeva che le udienze fissate dinanzi ad uno degli uffici destinati alla soppressione per una data compresa tra l'entrata in vigore del decreto medesimo (12 settembre 2012) e la data di efficacia stabilita dall'art. 11, comma 2 (13 settembre 2013), fossero tenute presso i medesimi uffici, mentre quelle fissate per una data successiva dinanzi all'ufficio competente a norma dell'art.2, e dunque la questione della pendenza o meno del procedimento dinanzi alla Sezione distaccata non doveva neppure porsi. La Corte d'Appello, nel rigettare l'eccezione di incompetenza, aveva risolto il dubbio interpretativo richiamando una pronuncia della Corte di legittimità in base alla quale dovevano considerarsi già pendenti davanti al Tribunale che costituisce sede principale, i procedimenti penali relativi a notizie di reato acquisite o pervenute presso gli uffici del P.M. presso di esso entro il 13 settembre 2013, data di efficacia del d.lgs.n.155 del 2012, come chiarito dalla disposizione interpretativa contenuta nell'art.8 del d.lgs.19 febbraio 2014, n.14. Il ricorrente censura tale interpretazione insistendo nel sostenere che per tutti i processi per i quali la notizia di reato era pervenuta agli uffici della Procura della Repubblica della sede principale del Tribunale prima del 13 settembre 2013, ma per cui vi fosse udienza fissata in data successiva, doveva essere applicato inderogabilmente l'art.9, comma 1, del decreto Severino e dunque la competenza fissata a norma dell'art.2, nel nostro caso presso il Tribunale di Ivrea. 
5.2. Con il secondo motivo deduce violazione della legge penale in tema di colpa del datore di lavoro per il caso di insufficienza di analisi e di carenza di indicazioni di procedure idonee a prevenire il rischio contenute nel documento di valutazione; manifesta illogicità della sentenza in punto attribuzione della responsabilità al datore di lavoro. Osserva che, con riferimento all'impianto di produzione di calcestruzzo, era emersa una insufficienza di formalizzazione in merito alle procedure di ordinaria manutenzione dell'impianto per quanto riguarda l'attività di lubrificazione ed ingrassaggio preventiva di alcuni organi mobili, la cui carenza è stata posta dalla Corte territoriale in relazione causale con il decesso del lavoratore. Tuttavia, rileva che al G.G. erano attribuite funzioni di natura commerciale e di stretta amministrazione, svolte in una sede diversa da quella in cui avveniva la produzione, e proprio per tale ragione egli era coadiuvato da una organizzazione aziendale che faceva capo al direttore di stabilimento CA.P. ed al preposto M., cui erano attribuite specifiche mansioni di manutenzione dei macchinari e produzione, entrambi ritenuti responsabili dell'illecito in contestazione. L'adeguatezza delle procedure di manutenzione dell'impianto, di quelle atte a prevenire il rischio di infortuni, nonché la rispondenza alla normativa tecnica di prevenzione antinfortunistica dell'impianto stesso costituivano materia altamente tecnica, alla cui conoscenza era stato deputato il responsabile della prevenzione, alle cui valutazioni si era positivamente attenuto il datore di lavoro. L'affermazione contenuta in senza circa il fatto che il datore di lavoro avrebbe dovuto sottoporre il documento di valutazione dei rischi redatto dal professionista, tecnicamente competente, ad una analisi critica e verifica circa la concreta individuazione di tutte le situazioni di rischio e delle misure precauzionali atte a fronteggiarle, costituiva una motivazione carente e non convincente della responsabilità personale dell'imputato, nel contesto di un'allargata affermazione di responsabilità estesa a diversi soggetti operanti a vario livello all'Interno dell'azienda.
5.3. Il terzo motivo attiene alla mancanza e manifesta illogicità della motivazione in punto di erronea affermazione di responsabilità penale del G.G., che doveva essere assolto per difetto di elemento soggettivo, posto che non era prevedibile per il datore di lavoro l'evento verificatosi nell'impianto di betonaggio Lorev perché non prevedibili ed eccezionali erano state sia la condotta di chi aveva azionato l'impianto (C.), sia del manutentore, ed inoltre perché non gravava sul medesimo la posizione di garante del rischio occorso durante la lavorazione di manutenzione dell'impianto di betonaggio, posto che l'operazione era soggetta al controllo in primis del preposto e ASPP M., cui in ogni caso era sovraordinato il direttore di stabilimento Ing. CA.P.. Richiama una recente sentenza di questa Corte (Sez.4, n. 37738 del 13/9/2013), che ha definito chiaramente la latitudine delle diverse posizioni di garanzia evocabili nelle organizzazioni complesse, quale era la Aset all'epoca del fatto, e porterebbe alla conclusione della non ascrivibilità al datore di lavoro dell'infortunio mortale, verificatosi nella fase esecutiva della lavorazione e non derivato da scelte gestionali di fondo.
6. Il ricorso di V.C. consta di un solo motivo, con il quale si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt.40 cpv., 589 c.p. e degli artt.17, 28 e 29 del D.Lgs.n.81/2008, nonché manifesta carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alle doglianze dedotte con l'atto di appello. Osserva che nei motivi di gravame era stato ampiamente argomentato circa la completezza del documento di valutazione del rischio redatto dall'imputato ed, in particolare, in ordine alle misure ivi previste per evitare la realizzazione di eventi del tipo di quello verificatosi in concreto. Il documento di valutazione del rischio indicava, nell'integrativo manuale della "Qualità", l'esistenza di schede - denominate "di ispezione settimanale" e "ispezione visiva giornaliera", affisse sopra la consolle dei comandi della mescolatrice, - aventi la precisa funzione di realizzare un controllo dei sistemi antinfortunistici e di segnalare malfunzionamenti in genere. Nel caso in esame nulla era stato segnalato dal preposto M. nella scheda di ispezione settimanale e nemmeno in quelle visive giornaliere. Secondo la tesi difensiva sviluppata dal ricorrente, la compilazione di tali schede, facenti parte del sistema integrato qualità/sicurezza della ASET, avrebbe certamente impedito, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'evento mortale, atteso che, in presenza di un sistema con sicurezze totalmente disabilitate, solo una previa verifica circa il suo corretto funzionamento avrebbe evitato l'evento morte ed interrotto dunque il nesso causale. La Corte di Appello, condividendo quanto già espresso dal Tribunale, aveva disatteso la prospettazione difensiva, limitandosi ad affermare che le schede di controllo servivano unicamente a garantire standard di qualità nel calcestruzzo fornito alle ferrovie dello stato e dunque il richiamo ad esse, contenuto nell'aggiornamento del DVR, non costituiva adempimento al dovere imposto dagli artt.12, 28 e 28 D.lgs.n.81/2008. Con tale assunto i giudici di merito, si erano discostati sia da quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità circa i compiti attribuiti al responsabile del servizio di protezione e prevenzione, inoltre avevano ignorato la disciplina tecnica della norma OHSAS 18100 emanata dal British Standard Institution nel 1999 che identifica uno standard internazionale della sicurezza e della salute dei lavoratori, "sviluppato coerentemente con gli standard ISO 9001 e ISO 14001 allo scopo di facilitare l'integrazione dei sistemi di qualità, ambiente e sicurezza, come auspicabile", così come avevano ignorato la normativa in materia di qualità regolata dalla norma ISO 9001 che afferma che "Le varie parti dei sistemi di gestione di un'organizzazione possono essere integrate, assieme al sistema di gestione per la qualità, in un unico sistema di gestione, utilizzando elementi comuni", auspicando quindi l'integrazione tra il sistema di qualità e quello relativo alla sicurezza. 
Di qui l'esclusione di ogni sua responsabilità rispetto all'evento a giudizio, avendo egli adempiuto ai doveri insiti nella sua posizione di garanzia.
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi non sono fondati.
2. L'eccezione di incompetenza territoriale, da esaminare preliminarmente, è stata correttamente valutata e disattesa dalla Corte di Appello di Torino, la quale, con ampia ed approfondita motivazione, ha spiegato le ragioni per le quali, in adesione alla ordinanza resa dal primo giudice in data 25/11/2013, la revisione delle circoscrizioni giudiziarie aveva radicato presso la sede centrale del Tribunale di Torino la competenza a conoscere del procedimento che ci occupa.
Si richiamano in sentenza le norme di riferimento e precisamente la norma transitoria dell'art.9 del D.lgs.n.155/2012, nel testo originario di cui ai commi 1 e 2, successivamente integrato per risolvere dubbi interpretativi dai commi 2-bis e 2-ter.
Il contenuto di tale disposizione è il seguente:
"1. Le udienze fissate dinanzi ad uno degli uffici destinati alla soppressione per una data compresa tra l'entrata in vigore del presente decreto e la data di efficacia di cui all'art.11, comma 2, sono tenute presso i medesimi uffici. Le udienze fissate per una data successiva sono tenute dinanzi all'ufficio competente a norma dell'art.2.
2. Fino alla data di cui all'art.11, comma 2, il processo di considera pendente davanti all'ufficio giudiziario destinato alla soppressione.
2-bis. La soppressione delle sezioni distaccate di tribunale non determina effetti sulla competenza per i procedimenti civili e penali pendenti alla data di efficacia di cui all'art.11, comma 2, i quali si considerano pendenti e di competenza del tribunale che costituisce sede principale. I procedimenti penali si considerano pendenti dal momento in cui la notizia di reato è acquisita o è pervenuta agli uffici del pubblico ministero.
2-ter. La disposizione di cui al comma 2-bis si applica anche ai casi di nuova definizione, mediante attribuzione di porzioni di territorio, dell'assetto territoriale dei circondari del tribunali diversi da quelli di cui all'art.l, oltre che per i procedimenti relativi a misure di prevenzione per i quali, alla data di cui all'art.11, comma 2, è stata formulata la proposta al tribunale".
Appare chiaro dunque che il momento determinativo della competenza in relazione agli uffici di cui è stata ridisegnata la circoscrizione territoriale, con soppressione dei tribunali minori ovvero di sezioni distaccate accorpate alla sede centrale, del medesimo o di altro tribunale, fa riferimento alla "pendenza" del processo, pendenza che, per quanto attiene ai procedimenti penali, corrisponde al momento in cui la notizia di reato è acquisita o è pervenuta agli uffici del pubblico ministero.
L'appellata sentenza cita poi correttamente la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che è intervenuta sul tema affermando che "In tema di competenza, ai fini dell'applicazione delle disposizioni introdotte con i decreti legislativi nn.155 e 156 del 2012 in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, si considerano già pendenti davanti al tribunale che costituisce sede principale, con conseguente attribuzione della regiudicanda alla sua cognizione, i procedimenti penali relativi a notizie di reato acquisite o pervenute agli uffici del p.m. presso di esso entro il 13 settembre 2013, data di efficacia del d.lg.n.155 del 2012, come chiarito dalla disposizione interpretativa contenuta nell'art.8 del d.lg.19 febbraio 2014, n.14 (fattispecie in cui la Corte ha dichiarato la competenza del tribunale costituente sede principale del circondario al quale spettava la cognizione del procedimento al momento della ricezione della notizia di reato, anche se il Comune nel quale erano stati commessi i fatti, per effetto del d.ig.n.155 del 2012, e con decorrenza dalla data della sua entrata in vigore, era stato poi compreso nel circondario di altro tribunale)" (Sez.l, n.20344 del 8/4/2014, Rv.259799; più recente Sez.l, n.5502 del 7/3/2017, Rv.271898).
Nessun dubbio dunque sulla competenza del Tribunale di Torino, presso i cui uffici di procura era stata già acquisita la notizia di reato al momento della soppressione della sezione distaccata di Chivasso e del suo accorpamento al Tribunale di Ivrea.
3. Con il secondo motivo di ricorso il G.G. contesta la sua posizione di garanzia, sia per le mansioni amministrative svolte presso altra sede, sia per la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, Ing. V.C., che aveva redatto il DVR.
L'esame di tale motivo di ricorso impone alcune considerazioni sulle posizioni di garanzia degli odierni ricorrenti.
La Corte di Torino, dopo aver richiamato il principio generale dettato dall'art.2087 cod.civ., che vede il datore di lavoro primo garante della salute ed incolumità fisica e morale dei prestatori di lavoro, ha rimarcato che il principale obbligo impostogli dall'art.17 d.lgs.n.81/2008, espressione ed attuazione del citato dovere generale di sicurezza, sia innanzitutto la valutazione di ogni rischio che può presentarsi sul luogo di lavoro e la conseguente redazione del documento di valutazione rischi (DVR). Il contenuto di tale documento è chiaramente definito dall'art.2 lett.q) del citato d.lgs., laddove parla di "valutazione globale di tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori presenti nell'ambito dell'organizzazione in cui essi prestando la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza". Per la redazione di tale documento, fondamentale per lo svolgimento in sicurezza della vita lavorativa all'interno di ogni azienda, il datore di lavoro può avvalersi della collaborazione di un professionista, prevedendo la legge la consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, cui spettano, tra l'altro, in base all'art.33 del noto d.lgs., le seguenti funzioni: "l'individuazione dei fattori di rischio, la valutazione dei rischi e l'individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell'organizzazione aziendale; l'elaborazione, per quanto di competenza, delle misure preventive e protettive di cui all'art.28, comma 2, e i sistemi di controllo di tali misure; l'elaborazione delle procedure di sicurezza per le varie attività aziendali; la proposizione di programmi di formazione e informazione dei lavoratori".
Questa Suprema Corte, in plurime pronunce, ha affermato che in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro è tenuto ad analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alle singole lavorazioni o all'ambiente di lavoro, e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art.28 del d.lgs.n.81/2008, all'interno del quale è tenuto ad indicare le misure precauzionali ed i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (Sez.4, n.20129 del 10/3/2016, Rv.267253); ha ribadito altresì questa Corte Suprema che il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione di suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata (Sez.4, n.27295 del 2/11/2016, Rv.270355), con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni (Sez.4, n.22147 del 11/2/2016, Rv.266859).
Quanto alla posizione di garanzia del V.C., giova rimarcare che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non operativo e gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente all'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione dei suoi doveri (S.U., n.38343 del 24/4/2014, Rv.261197; Sez.4, n.49821 del 23/11/2012, Rv.254094); si è ancora precisato che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur in assenza di una previsione normativa di sanzioni penali a suo specifico carico, può essere ritenuto responsabile, in concorso con il datore di lavoro o anche a titolo esclusivo, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa, che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle 
iniziative idonee a neutralizzare tale situazione (Sez.4, n.32195 del 15/7/2010, Rv.248555).
3.1. Fatta tale doverosa premessa, si osserva che la Corte torinese ha applicato correttamente la normativa in materia ed i richiamati principi di diritto, evidenziando la situazione di estremo pericolo in cui si trovava a lavorare il C.P., il quale quotidianamente provvedeva alle operazioni di pulizia entrando all'interno della macchina, sprovvista di un qualunque dispositivo di sicurezza idoneo ad evitare la messa in funzione dell'impianto in caso di coperchio aperto della vasca ed il contatto anche accidentale tra le parti rotanti e la persona addetta alla pulizia manuale, cui non era vietato compiere tale operazione entrando all'interno della vasca medesima. Il DVR era sul punto macroscopicamente carente, in quanto non conteneva alcuna valutazione dei rischi inerenti la specifica attività di lubrificazione ed ingrassamento degli organi mobili, che potevano costituire un pericolo per il lavoratore, non indicava le procedure per effettuare in sicurezza tale attività, in particolare dall'esterno e previo distacco della rete elettrica per evitare l'avviamento delle pale rotanti, e neppure prevedeva un controllo periodico del macchinario, circostanza dimostrata dal fatto che in occasione dell'evento mortale che ci occupa venne constatata l'assenza, da tempo imprecisato, del dispositivo di blocco (la bobina di sicurezza, di cui si è detto in narrativa, che era stata tolta in vista della sua successiva sostituzione).
Considerate tali carenze evidenti del DVR ed il carattere non delegabile dell'obbligo di valutazione dei rischi inerenti l'attività aziendale gravante sul G.G., i giudici di appello hanno ritenuto, con motivazione corretta in diritto ed immune da censure, che la collaborazione prestata dal responsabile del servizio di protezione e prevenzione nello svolgimento di tale attività e nell'individuazione delle misure atte a fronteggiare i rischi presenti in azienda, non esimeva il datore di lavoro dal sottoporre il documento redatto dal professionista ad una approfondita analisi critica e verifica circa la concreta individuazione e indicazione della evidenziata situazione di palese rischio e delle misure precauzionali atte a fronteggiarlo.
Hanno altresì ben argomentato, sotto il profilo del giudizio controfattuale, che se il compimento dell'operazione di lubrificazione/ingrassaggio delle pale e dei due alberi interni alla vasca di mescolamento del calcestruzzo fosse stato oggetto di compiuta procedimentalizzazione nel DVR e di conseguente specifica istruzione ai lavoratori, attraverso la previsione dell'obbligo di compiere dall'esterno tale attività mediante l'utilizzo di appositi strumenti posti a disposizione dall'azienda, che consentissero di arrivare anche ai punti più distanti dal bordo della vasca - senza necessità di introdursi all'interno o di sporgersi pericolosamente con rischio di perdita di equilibrio - o se fosse stata impartita specifica prescrizione affinché l'addetto svolgesse tale operazione sempre estraendo e custodendo la chiave che comandava l'avvio dell'impianto dalla cabina comandi - in modo da evitare che altri potessero accidentalmente azionarlo - era ragionevole ritenere, con elevato grado di probabilità logica, che un simile evento non si sarebbe verificato. Allo stesso modo hanno ritenuto i giudici di appello che un'incidenza causale sulla verificazione dell'evento aveva assunto la violazione del dovere di assicurare una periodica verifica ispettiva e manutentiva dell'impianto e del quadro comandi, atteso che ove fosse stata compiutamente disciplinata l'attività di verifica da eseguire per stabilire la perfetta efficienza del sistema di sicurezza, sarebbe stato ragionevolmente possibile rilevare come il circuito di sicurezza fosse stato "bypassato" - tanto da consentire il funzionamento dell'impianto anche operando con il coperchio aperto - e da ciò trarre le necessarie iniziative per ovviare a tale funzionamento, prescrivendo, in primo luogo, di non utilizzare l'impianto fino al ripristino della sua completa efficienza sul piano della sicurezza e della incolumità dei lavoratori.
Di qui la colposa condotta omissiva del datore di lavoro, il quale, a fronte di un DVR così inidoneo a consentire in sicurezza il lavoro cui era addetto il C.P., non ha svolto alcun doveroso controllo sul contenuto del documento, imponendone al professionista incaricato le necessarie integrazioni.
4. Con il terzo motivo il G.G. assume la mancanza dell'elemento soggettivo della colpa, stante la eccezionalità della condotta di chi aveva azionato l'impianto e la suddivisione dei ruoli all'interno dell'organizzazione aziendale.
Il motivo non è fondato.
Come finora detto, l'infortunio si è verificato poiché il rischio connesso all'operazione di lubrificazione affidata al lavoratore non era stato previsto e valutato e dunque non erano state assunte tutte le necessarie cautele per evitare che l'operaio potesse trovarsi a contatto con organi della macchina in movimento, nonostante si trattasse di un'attività di lubrificazione che si svolgeva quotidianamente.
La presenza di altri soggetti titolari di differenti posizioni di garanzia non esonerava, si ripete, il datore di lavoro dal preciso obbligo di legge posto a suo carico di individuare le situazioni di rischio proprie di quella specifica operazione e dall'approntare le procedure di sicurezza necessarie per fronteggiarle.
Il richiamo, contenuto in ricorso, alla pronuncia di questa Corte (Sez.4, n.37738 del 28/5/2013, Rv.256635) dalla quale dovrebbe argomentarsi nel senso dell'esclusione della responsabilità del G.G. per assenza di colpa è del tutto inconferente. Tale pronuncia, nell'affermare che il sistema prevenzionistico, tradizionalmente fondato su diverse figure di garanti che incarnano distinte funzioni e diversi livelli di responsabilità organizzative e gestionali, indica come prima e fondamentale figura proprio quella del datore di lavoro, che ha la responsabilità dell'organizzazione dell'azienda o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali di spesa. Nell'esaminare poi la concreta situazione a giudizio, ha operato una distinzione tra gli infortuni conseguenti a scelte assunte a livello apicale e quelli derivati da modalità tecniche esecutive della lavorazione, ed individuato chi fosse tenuto nella specie al governo del rischio specifico.
Nell'infortunio che ci occupa si è già detto della macroscopica carenza contenutistica del DVR in relazione all'uso del macchinario da cui è originato l'evento mortale e dell'obbligo, non delegabile, del datore di lavoro nella redazione del documento, ferma la possibilità della collaborazione di un responsabile del servizio per la protezione e prevenzione, di cui si è detto.
5. Passando ad esaminare il ricorso del V.C., si osserva che egli non contesta la titolarità di una posizione di garanzia, ma assume di aver perfettamente adempiuto all'incarico affidatogli: in calce al manuale della sicurezza, della prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro del marzo 2011 si rimandava infatti agli allegati al manuale della sicurezza del 15.9.2004 ed alle procedure identificate nel manuale del sistema di qualità, nel quale ultimo erano state date le opportune indicazioni e prescrizioni su come dovesse essere svolta proprio l'attività di lubrificazione ed ingrassaggio in parola.
Tale assunto difensivo, come acutamente osservato dalla Corte di Torino, comprova che l'imputato era pienamente consapevole del fatto che l'operazione di lubrificazione andava svolta quotidianamente e che, ciò nonostante, nel DVR e nei suoi aggiornamenti erano stati totalmente pretermessi i profili di rischio connessi allo svolgimento di tale attività, da sottoporre al datore di lavoro.
Quanto al richiamo alle schede di qualità compilate dal preposto, è stato acclarato - e se ne da compiutamente atto in sentenza - che queste avevano una diversa finalità, essendo volte a controllare la bontà del prodotto da consegnare all'acquirente all'esito della lavorazione, ma non attenevano ai sistemi di sicurezza dell'impianto né al loro periodico controllo.
Il richiamo in ricorso all'auspicio di una integrazione tra sistema di sicurezza e sistema di qualità, di cui alla norma ISO 9001, non può portare certo all'accoglimento della tesi difensiva, dovendosi escludere che la detta raccomandazione possa superare il contenuto del DVR normativamente previsto dal d.lgs.n.81/2008 e supplire alle carenze oggettive del caso di specie.
A ciò aggiungasi che anche il controllo di qualità del materiale necessariamente presuppone la valutazione dei rischi connessi all'uso del macchinario di produzione, e che il preposto addetto al controllo di qualità sarebbe stato sollecitato ad estendere il proprio controllo anche sulla sicurezza dell'impianto, solo se tale ulteriore e precisa verifica fosse stata prevista, quanto alle modalità, nel DVR.
Anche la doglianza del V.C. è perciò prima di fondamento.
6. Alle esposte considerazioni segue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 4 maggio 2018