Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 7, 30 luglio 2018, n. 36214 - Ruolo e responsabilità del direttore dei lavori


 

 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: SERRAO EUGENIA Data Udienza: 14/03/2018

 

 

FattoDiritto

 


F.N. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro in fase di rinvio indicata in epigrafe, con la quale è stata confermata la condanna pronunciata il 16/07/2010 dal Tribunale di Vibo Valentia in relazione al reato di cui agli artt.40 e 589, comma 2, cod. pen. commesso con violazione delle norme in materia di infortuni sul lavoro in Vena di Ionadi il 17 novembre 2003.
La sentenza assolutoria emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro il 12/11/2012 era stata annullata con rinvio con sentenza n. 10905/14 dalla Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione per vizio di motivazione in merito al giudizio di responsabilità.
La sentenza emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro il 29/01/2015, con la quale, in riforma della sentenza emessa il 16/7/2010 dal Tribunale di Vibo Valentia, si è dichiarato non doversi procedere nei confronti di F.N. in ordine al reato ascrittogli, perché estinto per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili, è stata annullata con sentenza n. 30489/16 dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione con la seguente motivazione: «La sentenza non ha espresso alcuna motivazione in punto di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche (già riconosciute in primo grado e mai oggetto di impugnazione, con giudicato parziale sul punto) con la contestata aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen., con evidente ricaduta sulla prescrizione dei reato, pronunciata proprio in ragione di detto bilanciamento. D'altronde, la sentenza della quarta sezione di questa Corte n. 10905 del 27/11/2013, che ha annullato la precedente della Corte di appello, ha evidenziato sì la necessità che venisse specificato il rapporto che si intendeva applicare alle attenuanti ed aggravanti in esame, ma ha anche (implicitamente) richiesto che questo rapporto fosse sostenuto da adeguata motivazione. Invero dei tutto apparente ed illogica nei caso in esame, laddove la sentenza impugnata si è limitata ad affermare che «le riconosciute circostanze attenuanti generiche possono essere dichiarate prevalenti sulle contestate aggravanti» tenuto conto «dei parametri di cui all'art. 133 c.p. ed in particolare dell'incidenza sulla verificazione dell'evento della condotta dei proprietario del terreno». Condotta, però, come già esposto, intesa dalla stessa Corte non quale causa del decesso dei due operai, ma solo come mera occasione; dal che, l'illogicità dell'argomento qui impiegato».
L'esponente deduce violazione dell'art.157 cod. pen. in ragione del fatto che il termine di prescrizione del reato è decorso alla data del 5 settembre 2016; con un secondo motivo deduce travisamento del fatto laddove si è trascurato che la mattinata del 17 novembre 2003, quando l'imputato aveva avuto il colloquio/scontro con il proprietario, gli operai non erano in cantiere ma erano arrivati molto tempo dopo che il F.N. se ne era allontanato, onde nessun avvertimento avrebbe potuto dare agli stessi.
Con memoria del 28 febbraio 2018 l'INAIL ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il ricorso è inammissibile.
La Corte di Appello è stata chiamata a fornire motivato giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti generiche e la circostanza aggravante contestata. Il giudizio di bilanciamento è stato condotto nella sentenza sulla base dei fatti irrevocabilmente accertati nelle precedenti fasi, segnatamente attribuendo rilievo al grado della colpa ascrivibile all'imputato.
La prima sentenza di questa Corte Suprema aveva richiamato il principio enunciato da Sez. 4, n. 18445 del 21/02/2008, Strazzanti, Rv. 24015701, a mente del quale il direttore dei lavori è responsabile a titolo di colpa del crollo di costruzioni anche nell’ipotesi di sua assenza dal cantiere, dovendo egli esercitare un'oculata attività di vigilanza sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed in caso di necessità adottare le necessarie precauzioni d'ordine tecnico, ovvero scindere immediatamente la propria posizione di garanzia da quella dell'assuntore dei lavori, rinunciando all’incarico ricevuto.
Tale principio è stato, quindi, applicato dal giudice di rinvio e confermato dalla Terza Sezione Penale con la sentenza n.30489/16, in cui si è definitivamente accertato, con riguardo alla condotta tenuta dal F.N. il giorno dell'incidente, che l'imputato «Recatosi sul cantiere la mattina stessa, aveva per certo preso visione dello scavo realizzato, anche perché unica opera ai momento eseguita; scavo più esteso e profondo di quello previsto nei progetto, con uno. dei fronti di altezza pari a 4,80 mt., dritto «come una parete verticale», sottostante o comunque aderente al preesistente muro della proprietà confinante, in palese violazione di ogni regola tecnica volta ad evitarne il crollo. li tutto, peraltro, in difetto di qualsivoglia opera di contenimento o, comunque, a protezione delle pareti dello scavo medesimo; il tutto, ancora, in un contesto di elevata permeabilità dei terreno e disomogeneità dello stesso sotto il profilo idrogeologico, come da relazione geologica e geotecnica che il ricorrente aveva provveduto a redigere. Ancora, la Corte di appello ha sottolineato che - pur a fronte di questo stato di fatto, oggettivamente di estrema pericolosità - il F.N. non aveva inteso disporre alcuna misura, adottare alcuna sicurezza, ordinare alcun accorgimento (circostanza, peraltro, pacifica); sì da evidenziarsi la condotta gravemente colposa di cui all'imputazione, nei termini specificati dalla sentenza e prima richiamati, sul presupposto che «la gettata di cemento è stata occasione dell'incidente, ma non causa del crollo», addebitabile alle modalità contra legem con le quali lo scavo - nel quale sarebbero entrati i due operai poi deceduti - era stato realizzato, e che il ricorrente aveva per certo verificato la mattina stessa dell'incidente, senza obiettare alcunché».
Tale accertamento non può, in questa sede, essere nuovamente messo in discussione in quanto la sentenza pronunciata dal giudice di merito in fase di rinvio, secondo l'art.628, comma 2, cod.proc.pen., può essere impugnata soltanto per motivi non riguardanti i punti già decisi dalla Corte di Cassazione, ovvero nel caso in cui il giudice di rinvio non si sia uniformato alle questioni di diritto decise dalla Corte. Tale norma è stata ritenuta dalla Corte Costituzionale espressiva del principio della tendenziale irrevocabilità ed incensurabilità delle decisioni della Corte di Cassazione, che risponde alla finalità di evitare la perpetuazione dei giudizi e di conseguire quell'accertamento definitivo che, realizzando l'interesse fondamentale dell'ordinamento alla certezza delle situazioni giuridiche, costituisce lo scopo stesso dell'attività giurisdizionale, mostrandosi pertanto conforme alla funzione di giudice ultimo della legittimità affidato alla medesima Corte dall'art. III Cost. (Corte Cost. n.136 del 3/07/1972, n. 21 del 19/01/1982, n. 294 del 26/06/1995). La norma in esame ha, dunque, la funzione di impedire che quanto deciso dalla Corte Suprema venga rimesso in discussione attraverso l'impugnazione della sentenza del giudice di rinvio (Sez.2, n.41461 del 6/10/2004, Guerrieri, Rv.230578).
La sentenza impugnata risulta, dunque, essersi uniformata all'enunciato contenuto nella sentenza di annullamento, fornendo congrua motivazione in merito ai criteri seguiti per negare il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche.
Tanto premesso, il primo motivo è manifestamente infondato in ragione del fatto che l'operatività della circostanza aggravante prevista dall'art. 589, comma 2, cod. pen. ha comportato un termine di prescrizione pari a 15 anni, non ancora decorso alla data odierna.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 14 marzo 2018