Cassazione Penale, Sez. 4, 31 luglio 2018, n. 36736 - Capo impianto investito dalla cabinovia e rottura della rete sottostante


 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 27/04/2018

 

 

 

Fatto

 


1. Con sentenza del 26 aprile 2017 Corte di appello di Palermo ha riformato la sentenza del Tribunale di Trapani con la quale E.C., nella sua qualità di datore di lavoro, M.B., nella sua qualità di responsabile del servizio di prevenzione e protezione e D.A., nella sua qualità di direttore di esercizio erano stati assolti con la formula "per non aver commesso il fatto", dal reato di cui all'art. 590 cod. pen., condannando tutti e tre gli imputati nella loro rispettiva qualità alla pena ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento del danno, in solido con il responsabile civile Funierice Service s.r.l. in favore di A.P.- da liquidarsi in sede civile- e dell'I.N.A.I.L, cui ha riconosciuto il diritto al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva pari ad euro 100.000,00, per avere causato per imprudenza, negligenza ed imperizia, nonché per violazione delle norme disciplinanti la prevenzione infortuni sul lavoro, ad A.P. lesioni multiple, da qui derivava indebolimento permanente della deambulazione e dell'organo della respirazione, con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a quaranta giorni.
2. Il fatto nella sua dinamica è così descritto nelle sentenze di merito: in data 18 novembre 2010 intorno alle 13,40 A.P., dipendente della FuniErice s.r.l. che gestiva in concessione dalla Provincia di Trapani l'impianto di cabinovia Tapani-Erice, con mansioni di caposervizio e capo impianto, si recava nella zona dell'avanstazione della stazione di monte della cabinovia per ricevere informazioni dal direttore amministrativo della società, dott. F., circa l'imminente arrivo di un autocarro che doveva depositare delle attrezzature da presso la stazione di monte. Egli si portava nella zona dell'avanstazione -ma non in quella ove passava ordinariamente la cabinovia nel suo ordinario tragitto- e urlando al telefono per il rumore esterno, si spostava via via più al centro, portandosi fino alla zona di passaggio della cabinovia che lo investiva alle spalle, sia pure di striscio, determinandone la caduta sulla rete sottostante la quale, non reggendo il peso, si apriva facendolo precipitare a terra da un'altezza di 5/6 metri e cagionandogli le lesioni descritte.
3. Avverso la sentenza della Corte d'appello propongono ricorso gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, articolando una pluralità di motivi, in parte sovrapponibili, anche con quelli proposti da Funiservice s.r.l..
4. Con i primi tre motivi proposti dall'imputato D.A., sostanzialmente coincidenti con il primo articolato motivo proposto dall'imputato M.B., si lamenta il vizio di motivazione, nonché l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di norme ad essa connesse, in relazione all'art. 533 cod. proc. pen. ed all'art. 6 parr. 1 e 3 lett. d) CEDU. Si rileva che la corte territoriale, pur condividendo i presupposti del ragionamento del giudice di primo grado, anche relativamente alle modalità di ricostruzione del fatto, ne stravolge, tuttavia, le conclusioni, senza rinnovare l'istruttoria dibattimentale, quantomeno con riferimento alle testimonianze raccolte in primo grado, considerate decisive da entrambi i giudici di merito, ma alle quali il giudice d'appello attribuisce significato diverso rispetto a quello ritenuto dalla sentenza riformata. E ciò, in violazione non solo del canone processuale del "ogni oltre ragionevole dubbio", ma soprattutto del principio comunitario di cui all'art. 6 parr. 1 e 3 lett. d) CEDU..
5. Si osserva che il ribaltamento della sentenza impugnata, sulla base del medesimo compendio probatorio ed in assenza della riapertura dell'istruttoria dibattimentale, in assenza di nuovi elementi sconfessanti il convincimento del primo giudice, non può non violare il principio del "ogni oltre ragionevole dubbio", quando il giudice d'appello non ottemperi all'obbligo di motivazione rafforzata, dimostrando in modo incontrovertibile l'insostenibilità degli argomenti posti a fondamento della prima decisione, limitandosi a decidere sulla base di una mera diversa valutazione degli stessi fatti e delle stesse prove.
6. Innanzitutto, si rileva che il Tribunale aveva escluso la responsabilità degli imputati dopo avere ritenuto: che l'area dell'avanstazione ove è avvenuto l'incidente, avesse natura di luogo di lavoro; che il lavoratore, avuto riguardo alle sue specifiche competenze ed al suo ruolo di capo servizio avesse tenuto un comportamento negligente, seppure non abnorme; che la rete- sulla quale il medesimo era rovinato e che aprendosi aveva causato il volo del medesimo, il quale rovinando a terra si era procurato lesioni gravissime- era parte dell'impianto e quindi non solo presidio antinfortunistico a tutela dei lavoratori, ma anche a tutela dell'utenza; che nessuno avesse provveduto a qualche forma di manutenzione della rete medesima perché "tutti si erano dimenticati della rete". Ciò posto ha, tuttavia, concluso attribuendo la causazione del sinistro al vizio occulto della rete, composta da due spezzoni distinti e cuciti insieme da un filo sottile ed invisibile, talché alcuna manutenzione avrebbe consentito di avvedersi del difetto. Si sottolinea inoltre, come il primo giudice abbia ulteriormente precisato: che la rete era stata installata su richiesta della Leitner s.p.a, che l'aveva commissionata alla Gespi, che a sua volta l'aveva acquistata dalla FAR; che la rete, nonostante la falsa certificazione consegnata della Gespi non era una rete anticaduta; che in ogni caso, stante il vizio occulto il sinistro avrebbe potuto prodursi anche immediatamente dopo la sua installazione, non dipendendo dalla manutenzione ma dalla fattura; che comunque non vi era un obbligo giuridico di provvedere al controllo ed alla sostituzione della rete da parte degli imputati, né poteva dirsi imposto dal rispetto del canone di ordinaria diligenza; che sebbene le norme europee UNI-EN 1263 1-2 offrano indicazioni di massima sulla tenuta delle reti, quali controlli annuali e sostituzioni periodiche, esse non posseggono forza vincolante e pertanto non costituiscono un progetto giuridico per i soggetti responsabili dello stato della rete di protezione; che anche a voler pretendere un'opera costante di manutenzione, nessun controllo avrebbe svelato difetto strutturale, constatato solo a seguito dell'esame ravvicinato nel corso del dibattimento, dinanzi al costruttore, escusso come teste; che questi pur avendo indicato in quattro anni la durata massima della rete, aveva chiarito trattarsi di un'opinione personale del costruttore, che non poteva assurgere in maniera univoca di indicazione di durata massima delle reti; che pertanto l'unico criterio per valutare l'esistenza di un obbligo giuridico di controllo o di sostituzione della rete era dato dall'ordinaria diligenza; che a tal proposito, la deposizione del consulente di parte T., tra i massimi esperti di impianti funiviari, aveva chiarito che le reti negli impianti di solito si cambiano, esclusivamente a titolo precauzionale, ogni cinque anni e che tuttavia, non essendovi alcuna indicazione nei manuali di manutenzione nei regolamenti di esercizio, vi erano, presso gli impianti, molte reti installate da oltre cinque anni; che il costruttore aveva chiarito che il nylon di cui era composta la rete ha una durata di circa 7-8 anni e che la presenza di viraggio di colore o di licheni sulla rete medesima non sono sintomi di diminuzione di resistenza né di usura, trattandosi di fenomeni soggetti a variabili di clima ed umidità e che neppure il sole costituisce fattore di deterioramento del materiale; che, quindi, la rete di per sé reggeva e non esisteva un termine invalicabile per la revisione straordinaria dell'impianto al di là di quella della ordinaria diligenza; che, dunque, il sinistro era stato causato esclusivamente dal vizio strutturale occulto della cucitura della rete, composta da due spezzoni distinti tenuti insieme da un filo del medesimo colore, perciò sono indistinguibile dalle maglie che la componevano.
7. Ci si duole che, al contrario, la corte territoriale, sulla base di una mera presunzione preconcetta, abbia ritenuto la valutazione operata del tribunale del tutto inesatta, sconfinante nel travisamento del fatto, consistito, secondo il giudice dell'appello, nell'aver considerato la condotta dei soggetti di che avevano fabbricato fornita installato la rete, nonché del soggetto che aveva consentito l'apertura dell'impianto, come causa preesistente da sola sufficiente a produrre l'evento lesivo. Nondimeno, secondo i ricorrenti, per sconfessare il ragionamento della sentenza di secondo grado sarebbe sufficiente ricordare che del vizio strutturale mai nessuno si avvide, né durante l'operazione di montaggio, né durante le verifiche di collaudo dell'impianto, né, successivamente al sinistro, gli organi di polizia giudiziaria, né l'ingegner C., consulente del pubblico ministero che per primo ispezionò la rete smontata esaminandola de visu. Tanto è vero che solo cinque anni dopo, nel corso di una seconda perizia, affidata dal Tribunale al dott. S., al fine di verificare la sussistenza di anomalie strutturali della rete, fu possibile accertare un simile vizio occulto, mentre si è dovuto attendere il dibattimento per accertare l'irregolarità dei documenti di accompagnamento della rete medesima, che certificavano caratteristiche insussistenti, facendo addirittura 
riferimento prove di laboratorio, documenti definiti "carta straccia" dal Tribunale. D'altro canto, l'impianto realizzato dalla Leitner, che montò la rete, fu sottoposto a collaudo nel 2005 ed a manutenzione speciale quinquennale nell'aprile 2010, nonché a manutenzioni ordinarie annuali ed in tutti questi procedimenti siffatto vizio strutturale non fu mai rilevato.
8. Inoltre, proseguono le censure, entrambe le sentenze si fondano sull'errata premessa logica che la rete non fosse "a norma", essendo invece la medesima del tutto conforme alla normativa di cui Prescrizioni tecniche speciali di cui al decreto ministeriale 8 marzo 1999 in tema di "Prescrizioni tecniche speciali per le funivie monofuni con movimento unidirezionale continuo e collegamento permanente dei veicoli", che richiede una rete di robustezza adeguata -o sistema equivalente- per l'idonea protezione atta ad attenuare le conseguenze di eventuali cadute. Ed invero, anche secondo quanto riferito dai testi R., costruttore e T., consulente di parte, il carico di rottura della rete è risultato del tutto idoneo allo scopo e solo la scucitura della medesima, non imputabile alla manutenzione ma alla sua invisibile fattura, aveva potuto consentire il prodursi del sinistro. Circostanza questa omessa dalla sentenza.
9. Con il quarto motivo formulato dalla difesa dell'imputato D.A. si fa valere la violazione della legge processuale penale in relazione agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen. nonché l'illogicità della motivazione osservando che la sentenza impugnata non motiva in ordine ai controlli che avrebbero dovuto essere disposti sulla rete, al fine di individuare la presunta inadeguatezza della rete ed il vizio occulto. La sentenza, infatti, si riferisce genericamente ad "accurati controlli" non consentendo di comprendere quale sia l'addebito mosso agli imputati, neppure sotto il profilo della ripartizione della responsabilità dei medesimi. Invero, sul punto, il tribunale facendo riferimento ai soli controlli previsti per le reti certificati anticaduta-uomo, descritti dal teste R., ne aveva escluso l'efficacia ai fini dell'identificazione del vizio, essendo questi inerenti la tenuta della maglia della rete e non la cucitura della medesima, peraltro invisibile. Siffatti controlli, infatti, si effettuano attraverso l'invio di campioni di cui è corredata la rete al momento dell'acquisto, che vengono periodicamente staccati ed inviati alla ditta costruttrice che ne verifica la resistenza.
10. Riguarda il vizio di motivazione e la violazione della legge processuale penale, in relazione all'art. 533 cod. proc. pen., anche il primo motivo di impugnazione proposto dalla difesa di E.C., che lamenta la violazione del canone di giudizio di cui al primo comma della norma richiamata, con cui si impone il superamento "di ogni ragionevole dubbio" per addivenire all'affermazione della responsabilità penale. Sottolinea che ad una plausibile ricostruzione del primo giudice non può sostituirsi diversa plausibile ricostruzione in sede d'appello, senza 
che quest'ultimo dimostri, come suo obbligo, l'insostenibilità logica e giuridica degli argomenti della sentenza di primo grado, non potendo ciò consistere nella mera diversa valutazione del materiale probatorio acquisito in primo grado, di per sé inidonea a connotare l'apprezzamento di seconde cure come l'unico ricostruibile "al di là di ogni ragionevole dubbio". La valutazione operata dalla corte d'appello, secondo cui un mirato controllo tecnico di verifica periodica della rete avrebbe consentito di rilevare che la medesima non era idonea suo scopo, così smascherando facilmente il vizio occulto ed imponendo la sua sostituzione, con rete idonea, è infatti perfettamente antinómica rispetto a quella espressa dal tribunale secondo cui il cedimento della rete era venuto non per vizio di manutenzione ma per vizio occulto strutturale. Il convincimento del giudice di primo grado si era fondato sulla deposizione dell'ing. T., massimo esperto italiano di impianti funiviarii, il quale nel corso dell'esame aveva spiegato che neppure un accurato mirato controllo visivo avrebbe consentito di accertare l'inidoneità della rete, in quanto la cucitura era realizzata in nylon assolutamente invisibile, per scorgere il quale era necessario sapere che c'era, precisando che neppure lui l'avrebbe visto. Tuttavia, il giudice d'appello in carenza di una doverosa rinnovazione del dibattimento, si era limitato a ritenere, diversamente dal primo giudice, che accurati controlli avrebbero consentito di avvedersi del vizio ovviandovi con la sostituzione della rete. Dunque l'unico punto di dissenso, a materiale probatorio invariato, cui era pervenuto il giudice d'appello era l'antitetica valutazione dell'idoneità del controllo tecnico ha di svelare il vizio occulto ed occultato della rete anticaduta.
11. Riprende le doglianze fin qui esposte, relativamente alla sussistenza del vizio occulto quale causa preesistente da sola sufficiente a produrre l'evento lesivo, anche la difesa del responsabile civile nella prima parte del primo motivo proposto.
12. Tutti e tre gli imputati formulano censure specifiche relative alla posizione di garanzia loro attribuita.
13. In particolare, M.B., responsabile del servizio di prevenzione e protezione della FuniErice s.r.l., nell'ultima parte del primo motivo formulato con il ricorso, rilevato che con la nomina del 30 aprile 2007, di due anni successiva all'apertura dell'impianto, non gli fu riconosciuta dal datore di lavoro la delega alla valutazione ed il potere organizzativo relativo, il che non gli consentiva di partecipare la programmazione degli interventi manutentivi straordinari quinquennali, né a quella ordinaria annuale. Peraltro, egli considerò la rete fra gli aspetti da inserire nel documento di valutazione dei rischi delle cadute dall'alto nel vuoto di persone e materiali, laddove si occupò della sicurezza dei parapetti, risultante proprio dal DVR 2010, cui le reti sono equiparabili secondo il perito dott. S.. Dunque, nessuna negligenza colpevole poteva essere rinvenuta nel 
comportamento del M.B., tanto più che la corte d'appello, in modo del tutto avulso da un ragionamento scientifico e razionale, rinviene nella condotta del M.B., cui attribuisce l'omessa manutenzione ordinaria e straordinaria, la causa dell'evento, senza tenere in alcun conto che del vizio occulto non si sono accorti né il perito nel pubblico ministero, né polizia giudiziaria, né il capo impianto-capo servizio, né gli operai che lavoravano quotidianamente nella zona avanstazione, né nei tecnici che hanno effettuato il montaggio ed il collaudo, né organi preposti al controlli ed al rilascio del nulla osta per l'apertura dell'impianto. E soprattutto senza tenere in considerazione che il vizio è stato rilevato a distanza di cinque anni dall'evento solo attraverso l'analisi di laboratorio.
14. Con il quinto motivo formulato dalla difesa di D.A., relativo alle attribuzioni ed alle conseguenti responsabilità del direttore di esercizio, si contesta che la sentenza di secondo grado, formulando sul punto meri rinvìi a quanto contenuto nella motivazione del Tribunale, non abbia dato alcuna risposta alle obiezioni formulate con i motivi di appello. Si evidenza che, contrariamente a quanto ritenuto in modo apodittico da entrambe le sentenze di merito, il direttore di esercizio per la manutenzione dell'impianto non ha alcuna competenza in ordine a presidi che siano installati solo ed esclusivamente con funzione antinfortunistica, come quello di specie, situato in un luogo non accessibile dall'utenza, tanto che non può ritenersi parte dell'impianto. Una responsabilità del direttore di esercizio, infatti, potrebbe ipotizzarsi solo nel caso di infortunio occorso ad un passeggero (cioè laddove la zona si rivelasse accessibile), ma non nel caso di infortunio di un lavoratore. Mancando, dunque, il presupposto stesso della responsabilità, questa i dovrebbe restare esclusa. Infine, non potendo comunque ritenersi contestabile all'D.A. la violazione di norme relative alla prevenzione infortuni, stante la sua estraneità e la qualifica di direttore di impianto, ricorda che la sentenza ha omesso di considerare che, le lesioni colpose contestategli non sono perseguibili d'ufficio, ma solo a querela di parte, ex art. 590 comma 5A cod. pen., mai proposta dal A.P..
15. La doglianza formulata da E.C., con il secondo motivo di ricorso, affronta la questione dell'estensione della posizione di garanzia c.d. di controllo, in capo al datore di lavoro. Si rileva che al medesimo è stata attribuita la responsabilità per omissione di vigilanza, nonostante conferimento della delega sulla sicurezza e prevenzione all'ing. M.B., nominato responsabile del servizio prevenzione e protezione della società FuniService s.r.l., cui era demandato, fra l'altro lo specifico dovere di identificazione e segnalazione dei rischi. La mancata segnalazione presupponendo l'identificazione del rischio, a mezzo, secondo la stessa sentenza impugnata, di un "mirato controllo tecnico" - per svolgere il quale il E.C. non aveva le competenze adeguate- tuttavia, implica che alcuna efficienza causale possa essere ricondotta alla condotta del datore di lavoro, neppure posto in condizione di conoscere il rischio. E ciò essendo stata ritenuta causa efficiente della produzione del sinistro la mancata adozione delle misure di protezione idonee a scongiurare il verificarsi della caduta del lavoratore, certamente rimessa al titolare della posizione di garanzia c.d. di protezione e cioè in quella del responsabile della servizio di protezione e vigilanza. Occorre, invero, fare riferimento al principio dell'affidamento, secondo cui fra coobbligati alla tutela di un bene protetto ogni titolare deve poter fare affidamento sull'esatta esecuzione di parte dei compiti da parte del coobbligato, a meno inadempimento di questi obblighi non sia palese che faccia venir meno l'affidamento medesimo. In questo caso, tuttavia, la Corte non ha fatto buon governo dei principi che regolano l'affidamento non distinguendo fra obblighi comuni, quando l'oggetto della responsabilità di ciascuno sia rivolta alla tutela del medesimo bene protetto, ed obblighi divisi, in cui il principio di affidamento può trovare un limite solo nell'ipotesi di violazioni macroscopiche ed evidenti dell'altro titolare della garanzia, confondendo i rispettivi ruoli e le competenze generali, senza delimitarne le sfere di responsabilità anche in ragione della capacità tecnica. Del tutto irragionevole, dunque, va considerato il ragionamento della sentenza che, in assenza del nesso eziologico e dell'elemento soggettivo, attribuisce al E.C. la responsabilità dell'evento in assenza della segnalazione del rischio da parte del RSPP ed in assenza della macroscopica evidenza dell'inadempimento di quest'ultimo.
16. Con il secondo motivo proposto da FuniErice Service s.r.l., -dovendo l'esposizione del primo relativo, alla sussistenza del vizio occulto della rete, ritenersi assorbita dalla esposizione dei motivi formulati dagli imputati sul punto, cui sostanzialmente si sovrappone in relazione al suo valore di causa solo efficiente- il responsabile civile si lamenta del vizio di motivazione in ordine alla mancata qualificazione del comportamento del lavoratore come "aberrante" e di per sé interruttivo del nesso causale. Rileva che: il A.P. rivestiva la qualifica di caposervizio e capo impianto, e che per la sua attività era in continuo contatto con il direttore d'impianto D.A.; che egli svolgeva mansioni relative alla gestione del magazzino e delle forniture dell'impianto e nel suo ruolo rientrava anche il compito di guidare i propri colleghi riguardanti la sicurezza sul lavoro; il medesimo, per le qualifiche rivestite, era a conoscenza del contenuto del regolamento di esercizio, che l'impianto era sottoposto a diversi tipi di manutenzione, che era collaudato dall'Ustif; che egli aveva partecipato a corsi sulla sicurezza a Vipiteno e partecipava a riunioni periodiche sul lavoro. Rileva ancora che: il A.P. ha dichiarato in giudizio di non sapere se la rete, su cui era rovinato, fosse anticaduta, ma di avere notato un cambiamento di colore; che il giorno del sinistro per entrare nella zona dove poi è caduto, il A.P. aveva staccato una catena che impediva l'accesso in quella zona, solo per evitare di percorrere a piedi un tratto più lungo, al fine di verificare l'arrivo del TIR che doveva scaricare un gabbiotto e ciò mentre si trovava al telefono con il M.B. per chiedere informazioni sul posizionamento della struttura; che in quella situazione veniva colpito dalla cabina della funivia che lo sbalzava sulla rete; che il fatto riferito da alcuni lavoratori secondo cui tutti accedevano al luogo del sinistro perché solo di lì era possibile udire i "rumori" dell'impianto, era smentito dalle lettere di giustificazione inviate dai lavoratori, a seguito della contestazione disciplinare intervenuta in giudizio, quando il datore di lavoro lo aveva appreso; che il teste T. aveva sottolineato che le norme di sicurezza debbono essere conosciute dagli addetti, che svolgono dei corsi prima di iniziare, proprio per la pericolosità dei luoghi; che, parimenti, il teste S. dell'Ustif- Ministero dei Trasporti aveva chiarito che la linea di transito delle cabine deve essere sempre libera, altrimenti é come se ci si posizionasse sui binari di un treno in arrivo e che non ci si posiziona sulla corsia di lancio di una cabina, salvo che non si abbiano intenti suicidiari; che insomma nell'avanstazione della funivia non vi deve stare nessuno ad impianto in movimento e che se qualcosa che non va, si ferma l'impianto ed il caposervizio si reca sulla puleggia dopodiché, in sicurezza si fa ripartire l'impianto e si localizzano i problemi; che ugualmente il consulente del pubblico ministero aveva chiarito che i lavoratori accedevano all'avanstazione nonostante il divieto contenuto nel regolamento di esercizio. Ciò premesso il responsabile civile osserva che il lavoratore deve essere ritenuto oltre che destinatario della normativa di prevenzione e sicurezza come soggetto tutelato, anche come titolare di una responsabilità ai sensi del d. lgs. 81/2008, che impone al medesimo di prendersi cura sul luogo di lavoro oltre che della propria salute anche di quella delle altre persone presenti, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni od omissioni. La violazione di siffatto obbligo costituisce colpa specifica. Sicché il suo comportamento, consistito nel posizionarsi lungo la via di accelerazione delle cabine, va ritenuto del tutto imprevedibile ed eccezionale, ontologicamente lontano da ogni scelta -pur imprudente- ipotizzabile dal datore dì lavoro e pertanto va considerato abnorme ed interrompe il nesso causale fra la condotta del datore di lavoro e l'evento.
17. Considerazioni del medesimo tenore in ordine alla configurabilità della condotta del A.P. come abnorme sono svolte con il secondo motivo del ricorso proposto da M.B..
18. Con l'ultima doglianza, infine, M.B. si lamenta, da un lato, del giudizio di bilanciamento fra le attenuanti generiche e le aggravanti contestate non essendo il medesimo sorretto da motivazione sufficiente, dall'altro della subordinazione della concessione del beneficio della sospensione condizionale al pagamento della provvisionale della somma di euro 100.000,00 nei confronti dell'INAIL sulla base del fatto che l'imputato aveva già beneficiato della sospensione ex art. 163 cod. pen., benché gli effetti penali della precedente condanna per bancarotta fraudolenta dovessero essere considerati estinti per effetto del decorso dei cinque anni dalla irrevocabilità della relativa sentenza resa ex art. 444 cod. proc. pen. e nel caso di specie essendo stata pronunciata declaratoria di estinzione del reato ex art. 445 cod. proc. pen. con provvedimento del giudice dell'esecuzione in data 19 dicembre 2011.
19. La parte civile INAIL ha depositato una memoria con la quale ha sottolineato che la sentenza impugnata ha assolto l'obbligo di motivazione rafforzata perché ha superato la tesi del vizio occulto, posto a fondamento della decisione di primo grado, giungendo all'affermazione di responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio, correttamente considerando che una condotta di doverosa verifica di routine finalizzata alla manutenzione avrebbe consentito di scoprire il vizio occulto e di sostituire la rete. Sottolinea come debba ritenersi fuorviante il richiamo della sentenza delle Sezioni Unite Dasgupta, relativa alla rinnovazione istruttoria in caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base delle prove dichiarative, trattandosi in questo caso di una decisione basata sulle valutazioni del consulente tecnico d'ufficio e non già sulla valutazione contenutistica del medesimo compendio probatorio, ma sul diverso apprezzamento del suo significato probatorio nel rapporto con le altre prove.
20. Con riferimento alla posizione di D.A. ritiene incensurabile la sentenza nella parte In cui, da un lato, afferma la responsabilità del direttore di esercizio, in via concorrente con altre figure del sistema di prevenzione, attesa la funzione della rete di presidio a tutela non solo dei lavoratori, ma dell'utenza dell'impianto, dall'altro, rileva che la decisione in sede di gravame ha chiarito che, al di là di una normativa predeterminata sui limiti temporali del controllo, l'obbligo di manutenzione periodica va ascritto ad un generale dovere di diligenza e che pertanto la violazione costituisce colpa generica, certamente ascrivibile anche al direttore d'esercizio in considerazione del ruolo dirigenziale coperto ed in relazione all'obbligo di tutela della salute dei lavoratori di cui all'art. 2087 cod. civ., comunque su di lui incombente.
21. Con riferimento alla posizione di E.C. l'INAIL sostiene la piena con divisibilità della decisione impugnata avendo la Corte ampiamente motivato sulla sussistenza della prova del nesso causale fra la condotta di omessa vigilanza del datore di lavoro e l'evento, non esclusa dalla mera designazione del responsabile del servizio di protezione e sicurezza, perché il principio dell'affidamento può valere solo quando non vi sia violazione delle regole di stretta pertinenza del datore di lavoro. 
22. Con riferimento alla posizione del M.B., infine, l'INAIL rileva l'assoluta coerenza della motivazione della Corte d'appello laddove, affermando che il responsabile del servizio di protezione e sicurezza è destinatario diretto degli obblighi giuridici inerenti la compilazione del documento di valutazione dei rischi, nel quale non era inserita la manutenzione della rete, che avrebbe consentito l'eliminazione del rischio. D'altro canto il comportamento del A.P. non poteva dirsi abnorme non essendo avulso dalle mansioni affidategli.
 

 

Diritto

 


1. I motivi vanno esaminati nel loro ordine logico e trattati congiuntamente ove necessario.
2. Occorre partire dalla questione fatta valere da tutti gli imputati e dal responsabile civile, relativa al rovesciamento della decisione sulla sussistenza del giudizio di colpevolezza e di responsabilità civile, formulato dalla Corte senza procedere alla rinnovazione dell'istruttoria. Le difese sottolineano che il collegio d'appello, pur condividendo le modalità di ricostruzione del fatto, presupposto della gravata sentenza di assoluzione, ne abbia stravolto le conclusioni, senza riaprire l'istruttoria dibattimentale, quantomeno per risentire i testi alle cui dichiarazioni attribuisce significato diverso ed opposto a quello della sentenza riformata. Prima fra tutte la dichiarazione del consulente tecnico di parte ing. T., ritenuto il massimo esperto nazionale di impianti funiviari (la circostanza non è posta in dubbio dalla pronunce di merito) sia in ordine agli di installazione di un particolare tipo di rete, sia in relazione agli obblighi di sostituzione e di manutenzione della rete sulla quale è rovinata la parte offesa, che in ordine alla rilevabilità del vizio, definito occulto, posto che è stato accertato in giudizio come la rete presentasse una soluzione di continuità, ridotta tramite una cucitura con filo di nylon.
3. Il motivo deve ritenersi fondato.
4. E' pacifica, infatti, la dinamica del sinistro (il A.P., caposervizio e capo impianto della Funiservice, si recava nell'avanstazione di monte e date le spalle alla cabinovia, veniva urtato di striscio da una delle cabine in movimento, così cadendo sulla rete sottostante, che si apriva, non reggendo il peso dell'uomo). Parimenti è considerato pacifico dalle sentenze di merito: che la rete, formata di due parti, fosse stata legata a mezzo di un filo di nylon; che non si trattasse di una rete anticaduta; che la certificazione che ne descriveva le caratteristiche fosse falsa, in quanto attestante che la rete aveva superato, le prove statiche di tenuta di una rete avente quella specifica tipologia; che la rete si fosse aperta proprio perché presentava quella cucitura, realizzata verosimilmente a mano, che non aveva retto in occasione dell'evento. 
5. Ciò posto, nondimeno, le sentenze dissentono, da un lato, sulla sussistenza di un obbligo periodico di sostituzione della rete, dall'altro, sulla visibilità del vizio, il cui rilievo, in sede di regolari controlli periodici, avrebbe consentito di evitare il prodursi del sinistro, fondando la decisione su percorsi opposti.
6. Il Tribunale, dato preliminarmente atto che il D.M. 8 marzo 1999 prevedeva che anteriormente alla stazione di cabinovia, fosse obbligatoria "idonea protezione, atta ad attenuare le conseguenze di eventuali cadute, avente la lunghezza non inferiore a metri tre e larghezza almeno pari alla luce non protetta dai parapetti" la quale doveva essere costituita "da una rete di robustezza adeguata o da sistemi equivalenti" ha condotto l'esame circa l'obbligo di provvedere alla sostituzione o quantomeno ai controlli periodici, facendo riferimento alla ricostruzione della normativa applicabile -peraltro analiticamente esaminata dal consulente di parte T.- da cui ha evinto la non obbligatorietà, all'epoca dei fatti e su quel tipo di impianti, delle norme UNI EN 1263 1-2, riproduttive delle normative europee. Sottolinea che, infatti, la rete venne prevista dal progetto dell'impianto, realizzato dall'azienda capofila dell'A.T.I Leitner, e che essa costituisce parte dell'impianto sin dall'origine, quanto fu installata, sicché se essa fosse stata inidonea, perché priva delle caratteristiche di robustezza previste, l'USTIF non avrebbe dato il nulla osta tecnico all'apertura, né lo avrebbe fatto l'ente proprietario Provincia Regionale di Trapani. Rileva che la rete venne fornita alla Leitner s.p.a, che l'aveva commissionata alla Gespi, che a sua volta l'aveva acquistata dalla FAR; che la rete, nonostante la falsa certificazione consegnata della Gespi non era una rete anticaduta come attestato dalla certificazione della Gespi, con cui si dava atto dello svolgimento di prove statiche nel limite di un peso di kg. 1400; che in ogni caso la rete non era certificata ai sensi delle norme UNI EN 1263 1-2; che anche in questo caso il limite di quattro anni per la sostituzione non era previsto dalla normativa europea, ma solo dalle indicazioni del produttore interpellato FAR, che tuttavia non aveva fornito alla Gespi una rete anticaduta, potendo imputarsi solo a quest'ultima la falsa certificazione; che la normativa UNI EN 1263 1-2 prevedeva solo che la rete fosse provvista di una certificazione sulla tenuta di carico e null'altro. Da queste premesse il Tribunale - senza trattare l'obbligo di sostituzione- desume che l'obbligo di provvedere al controllo ed alla manutenzione della rete (che non doveva necessariamente avere caratteristiche di rete anticaduta, non essendo ciò previsto) doveva rinvenirsi nel mero dovere di diligenza imposto dalla natura dell'impianto e dalla funzione della rete, ma senza fare riferimento ad una vera e propria periodicità, normativamente non imposta.
7. La Corte affrontando la questione della regola che introduce l'obbligo dei controlli, pur muovendo dalla ricostruzione storica dell'installazione di una rete falsamente certificata dal fornitore della Leitner, proprio da quella documentazione ricava l'obbligo di installare una rete di protezione anticaduta a tutela dei dipendenti e degli utenti dell'impianto, con caratteristiche non solo di robustezza, ma di altezza dal suolo, come previste dal D.M. 8 marzo 1999. Sostiene che, da un lato, un semplice sopralluogo avrebbe consentito di verificare che non si trattava di una rete anticaduta e di provvedere alla sua sostituzione e, dall'altro che, anche a non voler tenere in considerazione la rigorosa normativa UNI EN 1263 1-2, nondimeno, non può non tenersi in considerazione quanto affermato dal consulente di parte T., il quale, ha suggerito l'opportunità del controllo ogni cinque anni, nonostante abbia negato la sussistenza di particolari prescrizioni nei manuali di manutenzione o nei regolamenti di esercizio, riferendo che vi sono in altri impianti reti del medesimo tpo installate da ben più di cinque anni. La Corte, dunque, non rinvenendo una normativa specifica di riferimento, rimette al dovere di diligenza l'obbligo di provvedere alla sostituzione della rete, dopo un certo tempo che, tuttavia, non poteva essere superiore a cinque anni (nel corpo della motivazione dà atto che l'inaugurazione della cabinovia è datata 18 luglio 2005 e che il sinistro è intervenuto il 18 novembre 2010).
8. Su queste basi, solo parzialmente diverse, i giudici dei due gradi di merito affrontano il tema della causalità fra le condotte omissive attribuite agli imputati (sulle cui posizioni di garanzia le sentenze concordano).
Il Tribunale, infatti, parte dalla considerazione, che condivide con la Corte (neppure messa in dubbio, peraltro dagli imputati e dal responsabile civile) che i controlli nel tempo trascorso fra l'inaugurazione ed il sinistro (5 anni e tre mesi) non ci furono, ma arriva alla conclusione che la verifica periodica non avrebbe consentito di avvedersi del vizio, trattandosi di vizio occulto. In particolare, nota che la rete non si sfilacciò, come sarebbe accaduto se essa fosse stata usurata, ma si scucì, aprendosi- come evidenziato anche dal perito del Tribunale S.- laddove era la stata cucita. Rileva che i fili che con cui erano tenute insieme le due parti, non erano visibili, in quanto dello stesso colore della rete, e cuciti all'interno delle maglie, sicché solo un esame ravvicinato avrebbe consentito di avvedersi che il colore, originariamente uguale a quello della rete, aveva mantenuto un tono verde, rispetto alla rete divenuta più chiara, in quanto coperta di licheni. Osserva che da nessun documento di accompagnamento della rete, neppure da quelli di trasporto, poteva inferirsi che la rete fosse formata da due diversi spezzoni e che avesse caratteristiche delle maglie diverse da quelle descritte. Sottolinea che anche laddove la rete fosse effettivamente stata certificata come anticaduta il controllo previsto dal produttore FAR, consistente nel controllo annuale della tenuta su campioni di rete, con questa forniti ed esposti alle condizioni atmosferiche, da inviare al produttore, non avrebbe mai consentito di avvedersi del vizio che aveva causato il sinistro, trattandosi di un vizio non solo occulto, ma occultato. Richiama le considerazioni del perito del giudice, S., al quale fu rivolta, in sede di esame, una domanda sulla teorica possibilità di verificarsi del medesimo evento immediatamente dopo l'installazione della rete, avuto riguardo al fatto che si era trattato di una scucitura, cui il S. rispose "è una domanda da un milione di dollari", Osserva che anche il consulente del pubblico ministero in elaborato scritto aveva ritenuto solo verosimile che l'esposizione prolungata agli agenti atmosferici fosse concausa della diminuzione del carico di rottura della rete. Ancora rammenta che il perito del giudice S. ha sostenuto come la presenza di licheni sulla rete non fosse significativa dell'usura, poiché i licheni si formano presto e non attengono alla tenuta ed alla resistenza della rete, il cui viraggio di colore, dunque, non è signficativo. A ciò aggiunge, infine, che il T., consulente di parte, grandissimo esperto di impianti funiviari, dopo avere chiarito l'assenza di prescrizioni regolatrici dei controlli, ha sottolineato come la causa della rottura dovesse rinvenirsi nel vizio occulto, costituito da una anomalia non visibile e non nella sua rottura. Dall'insieme di queste considerazioni, formulando un giudizio controfattuale sul prodursi dell'evento nell'ipotesi in mancanza dell'omissione, ovverosia della verifica dell'idoneità dell'esecuzione della condotta omessa ad evitare l’evento, conclude negativamente, affermando che l'eventuale periodico controllo non avrebbe consentito ad alcuni degli imputati di avvedersi del vizio occulto, posto che nessuno dei medesimi aveva al'epoca dell'installazione la qualifica rivestita al momento del sinistro.
9. E', dunque, sull'insussistenza del nesso di causalità fra la condotta addebitata agli imputati e l'evento che il Tribunale fonda la propria decisione assolutoria.
10. La Corte di appello, invece - dopo avere sostenuto l'obbligo di installare una regolamentare rete anticaduta, cioè una rete tale non solo sotto il profilo funzionale - obbligo che trae dal fatto che la rete fornita dalla Gesip fosse certificata come tale (seppure falsamente) e dal fatto che i requisiti richiesti dal D.M. 8 marzo 1999, prevedono caratteristiche particolari in relazione all'altezza dell'avanstazione, con obbligo di superamento della prova statica- afferma che il presunto vizio occulto avrebbe potuto esser smascherato tramite la manutenzione periodica, da effettuare secondo l'ordinaria diligenza secondo l'usura ed il tempo e comunque non oltre i cinque anni, che avrebbero svelato il problema strutturale. Sostiene, altresì, che anche secondo la sentenza di primo grado i fili che cucivano le due parti della rete erano chiaramente visibili, essendo rimasti verdi quando il resto della rete aveva subito variazioni cromatiche, perché attaccata dai licheni. Nel formulare queste considerazioni, dunque, la Corte preso atto del dato non confutato da alcuno- ovverosia che tutti si dimenticarono della rete- ritiene che la condotta omissiva della mancata verifica della rete sia causalmente connessa con l'evento, evitabile attraverso il mero controllo di routine, stante la chiara visibilità dei fili di congiungimento dei due spezzoni.
11. Ora, è proprio in relazione a questa ultima affermazione, che i ricorrenti lamentano che la Corte abbia disarticolato il ragionamento del Tribunale fondandosi su una mera divergenza di apprezzamento del materiale probatorio raccolto in prima cura, cui ha contrapposto una visione antitetica dell'idoneità del controllo a svelare il difetto della rete, senza provvedere a rinnovare l'istruttoria. E cioè senza provvedere a riesaminare né il perito, né i consulenti di parte, i quali, in relazione alla possibilità di avvedersi del vizio, avevano assunto posizioni diverse, ma, comunque, non del tutto confermative dell'assunto della visibilità del vizio.
12. Al fine di apprezzare la rilevanza dell'omesso riesame del perito e dei consulenti la difesa di E.C. riproduce, nel corpo ricorso per cassazione, una parte delle dichiarazioni del consulente T., ritenute immotivatamente obliterate dalla Corte. Si tratta della risposta resa dal medesimo alla domanda della difesa del responsabile civile, sulla visibilità ad occhio nudo della legatura della rete, rispetto alla quale il tecnico sostenne che 'non era assolutamente visibile...'perché realizzata in nylon, perché essendo due elementi uniti vicino bisogna proprio sapere che c'era per vederla... anche se io passavo non me ne accorgevo'.
13. Ebbene, deve effettivamente riscontrarsi una profonda discrasia fra quanto ritenuto dalla Corte in ordine alla visibilità della cucitura della rete e la dichiarazione del consulente di parte T., così come manca un adeguato confronto sul punto fra quanto sostenuto da quest'ultimo e le opinioni degli altri tecnici (e- ma questo attiene ad un diverso motivo qui non in esame- le considerazioni della difesa M.B. relative alla scoperta del vizio solo nel corso del procedimento, da parte del perito del Tribunale S., non essendo il medesimo stato rilevato in sede di consulenza del pubblico ministero).
14. Questa difformità di valutazione, su un tessuto probatorio invariato, che conduce ad una valutazione antitetica circa l'idoneità del controllo tecnico omesso a svelare il grave difetto materiale della rete, in assenza del riascolto degli autori degli elaborati tecnici, su un punto decisivo della controversia, dai medesimi espressamente esaminato e rispetto al quale il giudice della riforma di una sentenza assolutoria dissente dal primo, si pone, invero, come violazione del principio del giusto processo ai sensi dell'art. 6 CEDU), così come interpretato dalla sentenza Dan c. Moldavia del 5 luglio 2011 della Corte europea dei diritti dell'uomo.
15. Ora, deve ricordarsi che il sapere tecnico contenuto nelle perizie e nelle consulenze va a confluire nelle dichiarazioni formulate dagli esperti in sede di esame. Sicché per utilizzarne il narrato scientifico il giudice, che voglia attribuirvi un significato differente da quello già ritenuto dalla sentenza impugnata, deve risentire i tecnici, onde formulare un giudizio che ponga a confronto fra loro i contenuti delle risposte al fine, eventualmente, di trarne conclusioni diverse da quelle fatte proprie dal primo giudice, ma senza omettere la loro comparazione. E ciò, tanto più laddove, come in questo caso, al narrato scientifico si è accompagnino anche affermazioni di natura ibrida come quella del consulente T. il quale, portando all'interno dell'esame anche un elemento di natura più squisitamente testimoniale, ha chiarito che la cucitura -per come egli ha potuto verificarla- non era visibile ad occhio nudo e che egli stesso non sarebbe stato capace di rendersene conto, se non ne avesse avuto conoscenza.
16. Si tratta di un principio che trova la sua ragione nel diritto di contraddire alle valutazioni dissonanti sulla narrazione dei dichiaranti, senza consentire che il giudice della riforma in senso peggiorativo si limiti ad introdurre note di dissenso dalla valutazione ad esse attribuita, in assenza di un nuovo momento processuale di confronto ed analisi, indispensabile nel rovesciamento del giudizio, anche al fine di assicurare che il superamento del ragionevole dubbio, trovi una sua concreta giustificazione nell'imprescindiblie principio dell'immediatezza del contraddittorio.
17. La questione relativa alla riforma della sentenza assolutoria, in assenza di elementi ulteriori e sopravvenuti, è stata notoriamente risolta dalle Sezioni Unite con la nota sentenza Dasgupta, che ha definitivamente imposto, per l'ipotesi di riforma della sentenza di assoluzione, il superamento della semplice motivazione rafforzata, in relazione alle prove dichiarative, chiarendo che "La previsione contenuta nell'art.6, par.3, lett. d) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU - che costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne - implica che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all'esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado. Sez. U, Sentenza n. 27620 del 28/04/2016 Ud. (dep. 06/07/2016) Dasgupta Rv. 267487). Sempre in quella occasione il Supremo Collegio ha indicato le figure dei soggetti dichiaranti precisando "La necessità per il giudice dell'appello di procedere, anche d'ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante e vale: a) per il testimone "puro"; b) per quello c.d. assistito; c) per il coimputato in procedimento connesso; d) per il coimputato nello stesso procedimento (fermo restando che, in questi ultimi due casi, l'eventuale rifiuto di sottoporsi all'esame non potrà comportare conseguenze pregiudizievoli per l'imputato); e) per il soggetto "vulnerabile" (salva la valutazione del giudice sulla indefettibile necessità di sottoporre il soggetto debole, sia pure con le dovute cautele, ad un ulteriore stress); f) per l'imputato che abbia reso dichiarazioni "in causa propria" (dal cui rifiuto non potrebbe, tuttavia, conseguire alcuna preclusione all'accoglimento della impugnazione). Ed ha concluso affermando che "La previsione contenuta nell'alt. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell'Imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, la quale costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne, implica che, nel caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell'affermazione della responsabilità penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, a norma dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado".
18. Ma si tratta di un principio che deve essere esteso anche alle dichiarazioni rese dai consulenti tecnici e dai periti in sede di esame, allorquando si attribuisca alle affermazioni dei medesimi, anche di contenuto scientifico, ma ancor più descrittivo, un senso diverso da quello loro assegnato dalla decisione impugnata (sul punto cfr. Sez. 4, Sentenza n. 6366 del 06/12/2016 Ud. (dep. 10/02/2017 ) Rv. 269035; Sez. 2, Sentenza n. 34843 del 01/07/2015 Ud. (dep. 12/08/2015 ) Rv. 264542).
19. Che quello in esame, relativo alla rilevabilità della cucitura della rete de visu della medesima sia un punto decisivo e fondante il giudizio di colpevolezza è palese. Ed invero, espungendo la valutazione di visibilità della legatura della rete, il giudizio di colpevolezza non regge alla prova di resistenza, poiché esso basa la sussistenza del nesso causale fra la condotta dell'omessa verifica e l'evento proprio sulla possibilità, in sede di controllo periodico, di accorgersi del difetto, senza conoscerne l'esistenza.
20. Manca, in altre parole, la tenuta del del c.d. giudizio controfattuale cioè di quell'operazione logica che eliminando dalla realtà (contro i fatti) la condizione costituita da una determinata condotta umana, verifica se il fatto oggetto del giudizio sarebbe egualmente accaduto, con la conseguenza che nell'ipotesi di indifferenza della condotta nella produzione dell'evento, deve escludersi che essa ne costituisca una causa, mentre, al contrario, laddove senza quella condotta l'evento non si sarebbe prodotto essa è condizione causale dell'evento. Non regge, infatti, quel ragionamento che ruota intorno alla sottrazione logica della condotta e che, nondimeno, nell'ipotesi di condotta doverosa omessa ha ad oggetto l'eliminazione mentale dell'omissione, con la conseguenza che il giudizio riguarda la verifica del prodursi dell'evento in mancanza dell'omissione, ovverosia la verifica dell'idoneità dell'esecuzione della condotta omessa ad evitare l'evento (Secondo l'elaborazione scaturita dalla nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 30328 del 10/07/2002, Franzese).
21. Fatte queste premesse non resta che annullare la sentenza impugnata, con rinvio alla medesima Corte di appello per la formulazione di nuovo giudizio, avuto riguardo ai principi sin qui richiamati.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo cui demanda anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio di cassazione.
Così deciso il 27/04/2018