Cassazione Civile, Sez. Lav., 01 agosto 2018, n. 20392 - Scoppio di una lampada a stelo e ferimento di una lavoratrice. Criteri per il riconoscimento del danno


 

 

 

Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: CALAFIORE DANIELA Data pubblicazione: 01/08/2018

 

 

 

Rilevato che
Con sentenza n. 521 del 2012, la Corte d'appello di Venezia, facendo seguito a sentenza non definitiva di accertamento della esclusiva responsabilità di U.F. nella determinazione dell'infortunio sul lavoro occorso a M.B. il 21 settembre 2001 e dopo aver espletato una consulenza tecnica d'ufficio di natura medico-legale, ha condannato U.F. al pagamento, in favore di M.B., della somma di euro 1979,52 a titolo di danno morale ed al pagamento, in favore dell'Inail, della somma di euro 29080,85, pronunciando sugli appelli riuniti, proposti da M.B. e dall'Inail nei riguardi di U.F., avverso la sentenza del Tribunale di Rovigo che aveva rigettato sia la domanda della lavoratrice tesa al risarcimento dei danni derivati dallo scoppio di una lampada a stelo posizionata sulla macchine lineare che utilizzava, che la domanda di regresso dell'Inail, tesa a recuperare quanto erogato alla lavoratrice per indennità derivante dall'infortunio; la Corte territoriale ha dato atto che il c.t.u. aveva accertato la sussistenza di una invalidità permanente pari al 6% con un periodo di danno biologico temporaneo dimensionato per tre mesi al 50% e per la rimanente parte al 25%, così il danno era stato quantificato, applicando le tabelle del Tribunale di Venezia con valori attualizzati al 2009, in euro 10.045,20 per invalidità permanente, euro 2250 per invalidità temporanea al 50%, euro 7500,00 per inabilità temporanea al 25% ed euro 1979,52 per danno morale, oltre interessi legali calcolati sulla somma capitale devalutata alla data dell'infortunio e poi rivalutata;
l'Inail aveva riconosciuto una invalidità permanente del 7% ed aveva corrisposto un indennizzo di euro 35080,85 a titolo di danno biologico che doveva essere detratto dalla somma dovutale a tale titolo dalla U.F., con la conseguenza che, poiché tale somma era addirittura inferiore all'indennizzo, alla lavoratrice spettava dalla datrice di lavoro il solo danno morale mentre all'Inail spettava, in virtù del regresso, la minor somma, rispetto a quella maggiore elargita alla M.B., di euro 29080,85;
M.B. propone ricorso avverso tale sentenza con quattro motivi: a) violazione dell'art. 13 lett. a, d.lgs. n. 38 del 2000 ed art. 66 d.P.R. n. 1124 del 1965 in ragione del fatto che erroneamente è stato affermato che l'importo erogato dall'Inail, pari ad euro 35080,85, fosse tutto riferito al danno biologico mentre esso rappresentava il compendio di tutte le somme erogate nel corso del tempo, comprendente anche l'indennità giornaliera temporanea durata a lungo che non poteva essere dall'importo dovuto a titolo risarcitorio ; b) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio relativo al contenuto del quesito rivolto al c.t.u. al fine di individuare in maniera esatta il riferimento alle singole voci di danno che l'indennizzo aveva coperto senza considerare l'erroneità della risposta fornita dal c.t.u. e che la voce indennizzo danno biologico era pari ad euro 6019,31; c) vizio di motivazione relativo alla omessa valutazione del danno non patrimoniale ed alla personalizzazione del danno medesimo; d) violazione dell'art. 91 e dell'art. 92 in ordine alla compensazione delle spese tra i primi due gradi di giudizio; l'Inail e U.F. resistono con controricorso; l'Inail ha depositato memoria;
il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni;
 

 

Considerato che
i primi tre motivi, in quanto strettamente correlati, vanno esaminati congiuntamente e sono fondati;
la questione, data per accertata in questa sede di mera pronuncia determinativa, la responsabilità civile ex art. 2087 cod.civ. della datrice di lavoro, riguarda le modalità di calcolo del risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, complessivamente dovuto alla lavoratrice infortunatasi, essendo stata alla stessa erogata dall'Inail, complessivamente, a seguito dell'infortunio, la somma di euro 35080,85, somma che ha formato oggetto dell'azione di rivalsa esercitata dall'Istituto nel giudizio riunito a quello deciso dalla sentenza ora impugnata sulla quale, non essendo stato proposto ricorso incidentale, è sceso il giudicato;
va ricordato, che l'esonero di cui all'art. 10 del T.U. non opera per le responsabilità datoriali concernenti danni non coperti dalle prestazioni previste dall'art. 66 del medesimo testo unico, tenuto altresì conto che fino all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 38 del 2000, l'INAIL copriva il solo danno patrimoniale, laddove per il resto pacificamente risultava, quindi, inapplicabile l'esenzione ex art. 10 ;
di conseguenza, quest'ultima può considerarsi estesa nei soli limiti in cui la novella del 2000 ha ampliato la copertura assicurativa contemplata dalla precedente normativa, e non oltre (cfr. tra le altre Cass. lav. n. 9166 del 10/04/2017, unitamente alla giurisprudenza ivi richiamata: "Dal disposto chiaramente si ricava che, ex lege, per tutti i danni coperti dall'assicurazione obbligatoria il datore di lavoro non può essere chiamato a rispondere civilmente;
la Corte costituzionale, nella pur progressiva espansione delle tutele del lavoratore, ha illustrato che < l'istituto dell'esonero,..., è strettamente inserito nel vigente sistema previdenziale-assicurativo, come uno degli aspetti del complesso rapporto tra oggetto dell'assicurazione, erogazione dei contributi, prestazioni assicurative....L'esonero opera pertanto all'interno e nell'ambito dell'oggetto dell'assicurazione, così come delimitata dai suoi presupposti soggettivi ed oggettivi. Laddove la copertura assicurativa non interviene per mancanza di quei presupposti, non opera l'esonero: e pur trovando il danno origine dalla prestazione di lavoro, la responsabilità è disciplinata dal codice civile, senza i limiti posti dall'art. 10 del T. U. del 1965...." (Corte cost. n. 356 del 1991; v. poi Corte cost. n. 405 del 1999; principi ribaditi anche da questa Corte: Cass. n. 1114 del 2002; Cass. n. 16250 del 2003; Cass. n. 8386 del 2006; Cass. n. 10834 del 2010);
questa Corte di cassazione (Cass. n. 9166 del 2017), a proposito delle modalità di calcolo del risarcimento di cui si discute, sulla base delle diversità qualitative e quantitative esistenti tra il diritto all'integrale risarcimento del danno subito dal lavoratore ed il diritto alle prestazioni assicurative dipendenti dal medesimo infortunio, ha fissato il principio, cui occorre dare continuità, secondo cui le somme eventualmente versate dall'Inail a titolo di indennizzo ex art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 non possono considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato o ammalato, sicché, a fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore di lavoro il risarcimento dei danni connessi all'espletamento dell'attività lavorativa, il giudice adito, una volta accertato l'inadempimento, dovrà verificare se, in relazione all'evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite dal d.P.R. n. 1124 del 1965, ed in tal caso, potrà procedere, anche di ufficio, alla verifica dell'applicabilità dell'art. 10 del decreto citato, ossia all'individuazione dei danni richiesti che non siano riconducibili alla copertura assicurativa (cd. "danni complementari"), da risarcire secondo le comuni regole della responsabilità civile; ove siano dedotte in fatto dal lavoratore anche circostanze integranti gli estremi di un reato perseguibile di ufficio, potrà pervenire alla determinazione dell'eventuale danno differenziale, valutando il complessivo valore monetario del danno civilistico secondo i criteri comuni, con le indispensabili personalizzazioni, dal quale detrarre quanto indennizzabile dall'Inail, in base ai parametri legali, in relazione alle medesime componenti del danno, distinguendo, altresì, tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, ed a tale ultimo accertamento procederà pure dove non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto all'indennizzo, ed anche se l'Istituto non abbia in concreto provveduto all'indennizzo stesso;
ancora, procedendo nel senso sopra delineato, Corte di cassazione, n. 4972 del 2018 ha ulteriormente chiarito che l'indennizzo erogato dall'INAIL ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 non copre il danno biologico da inabilità temporanea, atteso che sulla base di tale norma, in combinato disposto con l'art. 66, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 1124 del 1965, il danno biologico risarcibile è solo quello relativo all'inabilità permanente;
sulla base di tali considerazioni, è evidente che la sentenza impugnata, limitandosi a sottrarre dal complesso delle voci di danno riferite al danno biologico, comprensivo di quello temporaneo, l'intero importo erogato dall'Inail, ed escludendo solo l'importo imputato al danno morale, ha disatteso i citati principi per cui, rimasto assorbito l'ultimo motivo relativo alla regolamentazione delle spese del giudizio di merito, la sentenza va cassata e rinviata alla Corte d'appello di Venezia in diversa composizione perché provveda a determinare il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale in favore della ricorrente in conformità ai principi sopra indicati; in sede di rinvio si provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte, assorbito il quarto motivo, accoglie i primi tre motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso nella Adunanza camerale del 29 marzo 2018