Cassazione Civile, Sez. 3, 21 agosto 2018, n. 20849 - Infortunio mortale di un imprenditore edile. Appalto e assicurazioni


 

Presidente: ARMANO ULIANA Relatore: DE STEFANO FRANCO Data pubblicazione: 21/08/2018

 

 

Rilevato che

 

il Tribunale di Busto Arsizio accolse parzialmente la domanda di risarcimento dei danni dovuti all’infortunio mortale occorso il 10/04/2008 ad I.B.H.B., imprenditore edile individuale subappaltatore di lavori in un cantiere in Busto Arsizio (alle vie Corridoni e Magenta), proposta dai suoi congiunti ed eredi (a diverso titolo: OMISSIS) nei confronti dell’appaltante (Impresa Edile F.lli G.M. srl) e dell’appaltatrice- subappaltante di quei lavori (Impresa Edile Erregi srl), dell’autore dell’operazione mortale alla gru, G.M., nonché del coordinatore della sicurezza del cantiere, arch. Marco E. C., cui era seguita la chiamata in garanzia delle assicuratrici r.c. delle due imprese (Zurich Insurance PLC - rappresentanza generale per l’Italia per la F.lli G.M.; Generali Italia spa per la Erregi srl);
il tribunale bustocco condannò solidalmente l’autore della manovra e, ai sensi dell’art. 2049 cod. civ., la sola appaltante (Impresa Edile F.lli G.M. srl) a risarcire i danni in favore del padre (€ 200.000) e dei fratelli (€ 70.000 ciascuno) della vittima, nonché dell’assicuratrice della prima a tenerla indenne;
l’appello di quest’ultima fu respinto dalla Corte di appello di Milano con sentenza n. 1135 del 16/03/2015: per la cui cassazione propose quindi ricorso la soccombente la Zurich Insurance Public Limited Company - Rappresentanza Generale per l’Italia, notificandolo tra il 16 ed il 21/10/2015 ed affidandosi a tre motivi;
resistono, con separati controricorsi, la Generali Italia spa e Marco Ettore C., mentre non espletano attività difensiva in questa sede né gli originari attori in primo grado (OMISSIS), né gli altri convenuti in primo grado Erregi srl, F.lli G.M. srl e G.M.;
per l’adunanza camerale del 23/05/2018 la ricorrente e la controricorrente Generali Italia spa depositano memoria ai sensi del penultimo periodo dell’art. 380-bis.l cod. proc. civ., come inserito dal comma 1, lett. f), dell’art. 1 -bis d.l. 31 agosto 2016, n. 168, conv. con modif. dalla 1. 25 ottobre 2016, n. 197;
 

 

Considerato che
la qui gravata sentenza ha respinto il gravame dell’assicuratrice, odierna ricorrente: per la tardività della deduzione della tesi difensiva sulle effettive dipendenze dell’operatore dall'appaltatrice; per la genericità del motivo sulla responsabilità della subappaltante, pure per la riconosciuta sussistenza di idoneo piano operativo di sicurezza; per il rilievo di un nesso causale esclusivo tra la maldestra operazione alla gru e l’evento mortale; per la ritenuta irrilevanza di altri elementi, quali la presenza del silo e il basso livello acustico del dispositivo di segnalazione di movimento;
in merito, parte ricorrente lamenta:
- col primo motivo, «omesso esame ex art. 360 n. 5 c.p.c., nonché violazione e/o falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. degli artt. 1173, 1372 e 1655 c.c.»: sostenendo essere stato trascurato o frainteso il contratto tra appaltante ed appaltatrice, in base al quale la seconda aveva assunto ogni obbligo di sicurezza e responsabilità anche verso i terzi di quanto vi accadeva;
- col secondo motivo, «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 626/1994 e dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.»: negando la tardività della deduzione della tesi sulle effettive dipendenze dell’operatore dall’appaltatrice, tanto dovendosi anzi qualificare come mera presa d’atto di un’esplicita ammissione contenuta negli scritti difensivi di Erregi srl, per di più validamente dispiegata con la capitolazione della prova;
- col terzo motivo, «violazione e/o falsa applicazione dell'art. 4 d.lgs. n. 626/1994 e dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.»: sostenendo costituire il silo, presente sui luoghi, evidente e determinante anomalia di cantiere, perché posizionato troppo vicino alla struttura edificata e, in quanto tale, dotato di autonoma efficacia causale o concausale nella produzione dell’evento mortale;
in via preliminare, va esclusa la configurabilità di una c.d. «doppia conforme», perché non si ha omesso esame di un medesimo fatto storico ad opera tanto della corte di appello che del primo giudice;
sempre in via preliminare, a tutti i motivi va premessa pure la considerazione (non solo e non tanto che il rigoroso rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro è tesi formulata in questa sede in modo eccessivamente generico in rapporto alla ratio decidendi sulla esclusiva responsabilità di manovratore e suo datore, ma soprattutto) che non gioverebbe all’assicuratrice di uno dei soggetti che, siccome comunque coinvolti per non risultare - come si vedrà accadere nella specie - ulteriormente discutibile la responsabilità per il fatto del proprio dipendente, si dovrebbe qualificare corresponsabile, un eventuale concorso di colpa altrui: infatti, per principio generale (per tutte, v. Cass. Sez. U. 20/06/2017, n. 15279, punti 25 ss. delle ragioni della decisione), l’impugnazione da parte di uno dei condannati, volta a sostenere la responsabilità anche di altro dei potenziali responsabili o una diversa misura della colpa tra i convenuti già condannati, presuppone il tempestivo e rituale dispiegamento davanti al giudice del merito della domanda di rivalsa nei confronti di costoro, non venendo meno, proprio in forza dell’art. 2055 cod. civ., la sua responsabilità per l’intero nei confronti del danneggiato; sicché, in difetto di tale domanda, la condanna non aggrava la sua posizione di debitore dell’intero, né pregiudica in alcun modo il suo eventuale diritto di rivalsa, non essendo stato dedotto in giudizio il rapporto interno che lo lega all’altro debitore; e, se domanda di rivalsa - in senso tecnico - non vi è stata - o, per quel che qui rileva ed equivale, non si adduce in ricorso esservi stata - da parte di uno dei convenuti nei confronti degli altri indicati come corresponsabili e riconosciuti tali, allora i primi non hanno titolo per dolersi della sorte della domanda contro gli altri (se non sotto il solo profilo, che comunque hanno svolto con gli altri motivi di ricorso e qui ritenuti infondati, dell’affermazione della sola propria responsabilità) e i relativi motivi di censura vanno allora qualificati inammissibili per difetto di interesse;
tutto ciò posto e per passare all’esame nel merito del ricorso della assicuratrice dell’impresa edile condannata, è inammissibile il primo motivo: perché non è adeguatamente censurata l’autonoma e preliminare ratio decidendi della corte territoriale sulla genericità della proposizione della relativa censura in appello (che da sola sorreggerebbe la decisione, privando quindi di interesse la doglianza proposta contro altra ragione del rigetto del gravame sul punto); perché comunque non costituisce il contratto un fatto rilevante ai fini del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., nel testo successivo alla riforma del 2012, come inteso dalla giurisprudenza di questa Corte (a partire da Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2013); perché l’interpretazione del contratto, ove per avventura opponibile anche ai terzi danneggiati, andava censurata con forme rigorose (su cui, tra moltissime, v. Cass. 08/06/2017, n. 14268), qui non rispettate
per la carente prospettazione di quali specifiche regole di ermeneutica contrattuale sarebbero state violate;
il secondo motivo, anche a non considerare come esso sia privo di trascrizioni puntuali e di riferimenti adeguati ai passaggi specifici degli atti di merito in cui le tesi - anche della corrispondenza della difesa ad una presa d’atto di prospettate altrui ammissioni - sarebbero state sottoposte ai giudici del merito, è comunque infondato: la sola articolazione di una tesi in un capo di prova - peraltro neppure univoco, perché riferisce il lavoro del maldestro operatore in modo indifferenziato ad entrambe le imprese edili e non già in via esclusiva a quella mandata assolta in primo grado, sicché non può inferirsene l’esclusiva sua dipendenza da una di quelle - non è sufficiente, poiché occorreva articolare la tesi fattuale - integrante asserzione di merito - in modo compiuto a sostegno di un’articolazione difensiva chiara e per di più certamente entro il termine della maturazione delle preclusioni assertive, sicché correttamente la corte territoriale rileva quanto meno la tardività di una tale pretesa forma di allegazione;
infine, il terzo motivo è inammissibile, perché impinge in una valutazione in fatto sulla chiara ed univoca esclusione di qualsiasi ruolo causale del posizionamento del silo nella produzione dell’evento, per la positivamente accertata esclusività del nesso eziologico con la condotta sconsiderata dell’operatore anche ed evidentemente in rapporto alle condizioni dei luoghi (v. pag. 10 sentenza); ed è noto che tanto invece è sempre precluso in questa sede, a maggior ragione dopo la novella del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., che ha ridotto al minimo costituzionale il controllo in sede di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. nn. 8053, 8054 e 19881 del 2014), rimanendo comunque gli apprezzamenti di fatto - se scevri, come lo sono nella specie, da quei soli ed evidenti vizi logici o giuridici ammessi dalle or ora richiamate pronunzie delle Sezioni Unite - istituzionalmente riservati al giudice del merito (tanto corrispondendo a consolidato insegnamento, su cui, per tutte, v. Cass. Sez. U., n. 20412 del 2015, ove ulteriori riferimenti);
il ricorso, infondato il secondo motivo ed inammissibili gli altri, va pertanto rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di ogni controricorrente ed in rapporto all’attività difensiva in questa sede concretamente svolta; 
infine, deve darsi atto - mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra innumerevoli altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) - della sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 13, co. 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, co. 17, della 1. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito;
 

 

P.Q.M.

 


rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida: per la Generali Italia spa, in € 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; per Marco E. C., in € 13.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 23/05/2018