Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 settembre 2018, n. 21629 - Falsa denuncia di infortunio e licenziamento. Onere della prova "negativa"


 

Presidente: BRONZINI GIUSEPPE Relatore: NEGRI DELLA TORRE PAOLO Data pubblicazione: 04/09/2018

 

Fatto

 


1. Con sentenza n. 480/2016, pubblicata il 18 luglio 2016, la Corte di appello di Torino, in accoglimento del reclamo di A.A.K., annullava il licenziamento per giusta causa intimato allo stesso da CO.GE.AS. S.r.l., con lettera del 22 maggio 2014, per simulazione di infortunio sul lavoro.
2. La Corte di appello rilevava, a sostegno della propria decisione, esaminato il materiale istruttorio acquisito al giudizio, come la datrice di lavoro, pur essendo gravata del relativo onere, non avesse fornito la prova della sussistenza della giusta causa di recesso e cioè della falsità della denuncia di infortunio (tanto nel senso che il dipendente non ne avesse subito alcuno, come nel senso che lo avesse subito ma non in occasione di lavoro), con la precisazione che, trattandosi di una prova negativa, ovvero della prova dell'inesistenza di un fatto, la datrice di lavoro avrebbe dovuto dare dimostrazione dell'esistenza di fatti positivi incompatibili con l'esistenza dell'evento denunciato.
3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società con unico motivo.
4. Il lavoratore è rimasto intimato.
 

 

Diritto

 


1. Con il motivo proposto, deducendo violazione dell'art. 2697 cod. civ. e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ.), la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte, con la richiesta della positiva dimostrazione della insussistenza di un infortunio (ovvero del verificarsi di un fatto, lesivo dell'integrità fisica del lavoratore, accaduto al di fuori dell'orario di lavoro e riconducibile alla sua sfera di vita personale), posto a carico del datore di lavoro un onere probatorio concretamente insostenibile e tale da recare pregiudizio alle sue possibilità di difesa, ove non temperato dal ricorso alle presunzioni; e per avere posto in rilievo solo l'assenza di fatti positivi contrari a quello negativo che avrebbe dovuto provare il datore di lavoro, senza prendere in considerazione una molteplicità di fatti, con valenza presuntiva, emergenti dagli atti del giudizio e che avrebbero potuto confermare la versione posta alla base del recesso.
2. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
3. La Corte territoriale ha annullato il licenziamento "per insussistenza del fatto materiale contestato, cioè per mancanza di prova della falsità della denuncia di infortunio sul lavoro" (cfr. sentenza impugnata, pp. 14-15), osservando a sostegno di tale conclusione che "il datore di lavoro", al quale spetta la prova della sussistenza della giusta causa di licenziamento (art. 5 L. n. 604/1966), "doveva provare la falsità della denuncia di infortunio sul lavoro, ossia doveva provare vuoi che il sig. A.A.K. non aveva subito alcun infortunio, vuoi che aveva subito un infortunio ma non in occasione di lavoro; trattandosi di una prova negativa - ossia della prova dell'inesistenza di un fatto - la CO.GE.AS. avrebbe dovuto dare la prova di fatti positivi incompatibili con l'esistenza dell'infortunio, o con l'esistenza di un infortunio verificatosi in occasione di lavoro" (p. 8).
4. Su tali premesse la sentenza impugnata si sottrae alle critiche formulate dalla società con riferimento alla dedotta violazione dell'art. 2697 cod. civile.
5. Essa, infatti, richiamando alla necessità di dare la prova di fatti positivi incompatibili con l'esistenza dell'infortunio (o con l'esistenza di un infortunio verificatosi in occasione di lavoro), e cioè, in sostanza, evocando l'attitudine inferenziale propria del ragionamento presuntivo, mediante il quale accertare, alla stregua di canoni probabilistici, la compatibilità del fatto supposto con quello accertato, ha fatto esattamente proprio il consolidato orientamento, per il quale "l'onere probatorio gravante, a norma dell’alt. 2697 cod. civ., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto 'fatti negativi', in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo" (Cass. n. 15162/2008).
6. L'aderenza del giudice di merito al richiamato principio trova conferma ulteriore nello sviluppo motivazionale della sentenza impugnata, là dove è offerta una rassegna di fatti, che secondo la Corte, ove positivamente dimostrati, avrebbero ragionevolmente condotto alla prova che il lavoratore si era procurato l'infortunio in altro orario e in altro luogo (P-14).
7. Il motivo proposto risulta poi inammissibile, nel profilo relativo al vizio di motivazione, atteso che esso, restando indimostrata la "decisività" (quale idoneità a determinare con certezza un esito diverso del giudizio) delle circostanze che il giudice di merito avrebbe trascurato di esaminare nella sua ricostruzione fattuale, si risolve nella sollecitazione ad una rilettura e ad una nuova valutazione del materiale di prova difforme da quella della sentenza impugnata e cioè ad un accertamento che è palesemente estraneo ai compiti assegnati dall'ordinamento alla Corte di legittimità ed è, invece, prerogativa esclusiva del giudice di merito.
8. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, essendo il lavoratore rimasto intimato. 
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 aprile 2018.