Cassazione Civile, Sez. Lav., 05 settembre 2018, n. 21673 - Richiesta di indennizzo conseguente a danno biologico


 

Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: BERRINO UMBERTO Data pubblicazione: 05/09/2018

 

 

 

Rilevato che
il Tribunale di Pescara rigettò la domanda di DM.A., volta al riconoscimento dell'Indennizzo per danno biologico nella misura del 10% o della rendita per malattia professionale nei confronti dell'Inail;
verificato che la Corte d'appello dell'Aquila (sentenza del 17.9.2012), investita dall'impugnazione del DM.A., ha confermato il giudizio sull'insussistenza del diritto al reclamato indennizzo, mentre ha accolto il gravame limitatamente alla statuizione concernente le spese di lite, precisando che le stesse non erano ripetibili nei confronti del ricorrente, il quale aveva dimostrato di versare nelle condizioni reddituali che gli consentivano di beneficiare della esenzione dal loro pagamento;
atteso che per la cassazione della sentenza propone ricorso DM.A. con due motivi, illustrati da memoria, cui resiste l'Inail con controricorso;
 

 

Considerato che
col primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 13 del d.lgs 23.2.2000 n. 38, nonché dell'art. 118 disp. att. cod. proc. civ., assumendo che la Corte territoriale ha omesso di sussumere il fatto denunciato (richiesta di indennizzo conseguente a danno biologico) nella normativa sua propria, posto che il fatto non poteva essere ritenuto rilevante giuridicamente solo alla stregua di un responso medico legale reso all'esito di un'indagine peritale d'ufficio; inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dalla stessa Corte in ordine alla ravvisata insussistenza di un nesso causale tra la malattia denunziata e l'attività svolta, la normativa richiamata non contempla la previsione di un nesso causale, per cui il giudicante avrebbe dovuto considerare che nella realtà operativa il rigore della prova del nesso eziologico di cui trattasi è non solo attenuato, ma che è anche comparato con l'attività dell'ente previdenziale, a tenore dei suoi obblighi istituzionali ed etici;
ritenuto che il motivo è infondato in quanto la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi generali in tema di prova del diritto all'indennizzo per danno biologico allorquando ha rilevato che il consulente d'ufficio di prime cure, all'esito di uno scrupoloso esame del periziato e della documentazione allegata, pur non negando la circostanza che quest'ultimo fosse stato esposto ad un rischio professionale per l'uso di strumenti vibranti o per la movimentazione di carichi, aveva evidenziato come questo avrebbe dovuto produrre patologie diverse relative agli arti superiori rispetto a quella rilevata, decisamente incongrua rispetto al rischio professionale in questione, trattandosi di patologia discale con degenerazione artrosica distrettuale di tipo comune e più che compatibile col sesso e con l'età del medesimo periziato, confermando tale giudizio diagnostico in sede di chiarimenti; atteso, pertanto, che il giudice d'appello ha adeguatamente motivato il proprio convincimento in ordine alla decisione di confermare la sentenza di primo grado nella parte in cui era stata esclusa la natura professionale della patologia allegata dal ricorrente; visto che col secondo motivo il ricorrente si duole dell'omessa motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. per non avere la Corte di merito proceduto, in tema di malattie professionali non tabéllate, alla valutazione medico-legale della diagnosi riscontrata ai fini della valutazione dell'esposizione la rischio e per aver omesso di esaminare la documentazione sanitaria, nonché l'esposizione dell'interessato all'agente patogeno ed il livello di esposizione al rischio, trascurando le mansioni, le condizioni di lavoro, la durata e l'intensità dello stesso, pur in costanza di ammessa ed espletata prova testimoniale; ritenuto che tale motivo è inammissibile in quanto con la sentenza n. 8053 del 7/4/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, si è precisato che l'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 365, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Quindi, nel sistema l'intervento di modifica dell'art. 360 c.p.c., n. 5 comporta un'ulteriore sensibile restrizione dell'ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto. Invero, si è affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) essersi avuta, con la riforma dell'art. 360 c.p.c., n. 5, la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza de! difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile. Ma è evidente che nella specie la valutazione operata dalla Corte di merito non è affetta da alcuna di queste ultime anomalie, avendo il giudice d'appello espresso in modo chiaro e comprensibile i motivi a sostegno del suo convincimento sulla mancanza di prova del nesso causale tra la malattia denunziata ed il tipo di lavorazione svolta ai fini del preteso indennizzo per danno biologico;
accertato, quindi, che il ricorso va rigettato e che non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese di lite in quanto ricorrono nella fattispecie le condizioni di esenzione di cui all'art. 152 disp. att. c.p.c., così come novellato a seguito della entrata in vigore dell'art. 42, comma 11, del d.l. 30/9/03 n. 269, convertito nella legge 24/11/03 n. 326; verificato che ricorrono, invece, i presupposti per la determinazione a carico del ricorrente, come da dispositivo, del contributo unificato di cui art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 29 marzo 2018