Categoria: Corte di giustizia CE
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Corte di Giustizia, Quinta Sezione, sentenza 19 settembre 2018, n. C-41/17 (*)


 

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 92/85/CEE – Articoli 4, 5 e 7 – Tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori – Lavoratrice in periodo di allattamento – Lavoro notturno – Lavoro a turni svolto parzialmente in orario notturno – Valutazione dei rischi associati al posto di lavoro – Misure di prevenzione – Contestazione da parte della lavoratrice interessata – Direttiva 2006/54/CE – Articolo 19 – Parità di trattamento – Discriminazione fondata sul sesso – Onere della prova»

 

 

Fonte: Sito web Eur-Lex

 

© Unione europea, http://eur-lex.europa.eu/


 

 



Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) (GU 2006, L 204, pag. 23), nonché degli articoli 4, 5, e 7, della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (GU 1992, L 348, pag. 1).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che contrappone la sig.ra Isabel González Castro alla Mutua Umivale (in prosieguo: la «mutua Umivale»), suo datore di lavoro, alla Prosegur España SL (in prosieguo: la «Prosegur») e all’Instituto Nacional de la Seguridad Social (INSS) (Istituto nazionale di previdenza sociale, Spagna) (in prosieguo: l’«INSS»), relativamente al diniego di questi ultimi di sospendere il suo contratto di lavoro e di concederle un’indennità per rischio durante l’allattamento.



Contesto normativo

Diritto dell’Unione

Direttiva 92/85
3 I considerando 1, da 8 a 11 e 14 della direttiva 92/85 enunciano quanto segue:
«considerando che l’articolo 118 A del trattato [CEE] prevede che il Consiglio adotti mediante direttive prescrizioni minime per promuovere il miglioramento in particolare dell’ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori;
(...)
considerando che le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento devono essere considerate sotto molti punti di vista come un gruppo esposto a rischi specifici e che devono essere adottati provvedimenti per quanto riguarda la protezione della loro sicurezza e salute;
considerando che la protezione della sicurezza e della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento non deve svantaggiare le donne sul mercato del lavoro e non pregiudica le direttive in materia di uguaglianza di trattamento tra uomini e donne;
considerando che talune attività possono presentare un rischio specifico di esposizione delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento ad agenti, processi o condizioni di lavoro pericolosi e che pertanto questi rischi devono essere valutati ed il risultato di questa valutazione deve essere comunicato alle lavoratrici e/o ai loro rappresentanti;
considerando d’altronde che, qualora da detta valutazione risultasse un rischio per la sicurezza o la salute delle lavoratrici, occorre prevedere un dispositivo per la loro protezione;
(...)
considerando che la vulnerabilità delle donne gestanti, puerpere e in periodo di allattamento rende necessario un diritto ad un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, ed il carattere obbligatorio di un congedo di maternità di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto;
(...)».
4 L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 92/85 così prevede:
«La presente direttiva, che è la decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE [del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU 1989, L 183, pag. 1)], ha per oggetto l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento».
5 L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», dispone quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva si intende per:
(...)
c) lavoratrice in periodo di allattamento, ogni lavoratrice in periodo di allattamento ai sensi delle legislazioni e/o prassi nazionali, che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente a dette legislazioni e/o prassi».
6 L’articolo 3 della direttiva in parola stabilisce quanto segue:
«1. La Commissione, in concertazione con gli Stati membri, e con l’assistenza del comitato consultivo per la sicurezza, l’igiene e la protezione della salute sul luogo di lavoro, elabora le linee direttrici concernenti la valutazione degli agenti chimici, fisici e biologici nonché dei processi industriali ritenuti pericolosi per la sicurezza o la salute delle lavoratrici di cui all’articolo 2.
Le linee direttrici di cui al primo comma riguardano anche i movimenti e le posizioni di lavoro, la fatica mentale e fisica e gli altri disagi fisici e mentali connessi con l’attività svolta dalle lavoratrici di cui all’articolo 2.
2. Le linee direttrici di cui al paragrafo 1 sono intese a servire come base per la valutazione prevista all’articolo 4, paragrafo 1.
A tal fine, gli Stati membri portano tali linee direttrici a conoscenza dei datori di lavoro, delle lavoratrici e/o dei loro rappresentanti nel rispettivo Stato membro».
7 Le linee direttrici menzionate all’articolo 3 della direttiva 92/85, nella versione pertinente ai fini della presente controversia, figurano nella comunicazione della Commissione, del 20 novembre 2000, sulle linee direttrici per la valutazione degli agenti chimici, fisici e biologici, nonché dei processi industriali ritenuti pericolosi per la sicurezza o la salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento [COM(2000) 466 definitivo/2; in prosieguo: le «linee direttrici»].
8 Per quanto concerne la valutazione dei rischi e l’informazione dei lavoratori su tale valutazione, l’articolo 4 della direttiva 92/85 dispone quanto segue:
«1. Per tutte le attività che possono presentare un rischio particolare di esposizioni ad agenti, processi o condizioni di lavoro, di cui un elenco non esauriente figura nell’allegato I, la natura, il grado e la durata dell’esposizione, nell’impresa e/o nello stabilimento interessato, delle lavoratrici di cui all’articolo 2 dovranno essere valutati dal datore di lavoro, direttamente o per il tramite dei servizi di protezione e di prevenzione di cui all’articolo 7 della [direttiva 89/391], al fine di poter:
– valutare tutti i rischi per la sicurezza o la salute nonché tutte le ripercussioni sulla gravidanza o l’allattamento delle lavoratrici di cui all’articolo 2;
– definire le misure da adottare.
2. Fatto salvo l’articolo 10 della [direttiva 89/391], nell’impresa e/o nello stabilimento interessato le lavoratrici di cui all’articolo 2 e le lavoratrici che potrebbero trovarsi in una delle situazioni di cui all’articolo 2 e/o i loro rappresentanti sono informati dei risultati della valutazione prevista al paragrafo 1 e di tutte le misure da adottare per quanto riguarda la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro».
9 Riguardo alle conseguenze della valutazione dei rischi, l’articolo 5, paragrafi da 1 a 3, di tale direttiva stabilisce quanto segue:
«1. Fatto salvo l’articolo 6 della [direttiva 89/391], qualora i risultati della valutazione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1 rivelino un rischio per la sicurezza o la salute di una lavoratrice di cui all’articolo 2, nonché ripercussioni sulla gravidanza o l’allattamento, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché l’esposizione di detta lavoratrice al rischio sia evitata modificando temporaneamente le sue condizioni di lavoro e/o il suo orario di lavoro.
2. Se la modifica delle condizioni di lavoro e/o dell’orario di lavoro non è tecnicamente e/o oggettivamente possibile o non può essere ragionevolmente richiesta per motivi debitamente giustificati, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché la lavoratrice in questione sia assegnata ad altre mansioni.
3. Se l’assegnazione ad altre mansioni non è tecnicamente e/o oggettivamente possibile o non può essere ragionevolmente richiesta per motivi debitamente giustificati, la lavoratrice in questione è dispensata dal lavoro durante tutto il periodo necessario per la protezione della sua sicurezza o della sua salute, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».
10 L’articolo 7 della direttiva 92/85, intitolato «Lavoro notturno», così dispone:
«1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici di cui all’articolo 2 non siano obbligate a svolgere un lavoro notturno durante la gravidanza o nel periodo successivo al parto che sarà determinato dall’autorità nazionale competente per la sicurezza e la salute, con riserva della presentazione, secondo modalità stabilite dagli Stati membri, di un certificato medico che ne attesti la necessità per la sicurezza o la salute della lavoratrice interessata.
2. Le misure contemplate al paragrafo 1 devono comportare la possibilità, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali:
a) dell’assegnazione ad un lavoro diurno,
oppure
b) di una dispensa dal lavoro o di una proroga del congedo di maternità qualora tale assegnazione a un lavoro diurno non sia tecnicamente e/o oggettivamente possibile o non possa essere ragionevolmente richiesta per motivi debitamente giustificati».


Direttiva 2006/54
11 L’articolo 1 della direttiva 2006/54, intitolato «Scopo», così recita:
«Lo scopo della presente direttiva è assicurare l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.
A tal fine, essa contiene disposizioni intese ad attuare il principio della parità di trattamento per quanto riguarda:
a) l’accesso al lavoro, alla promozione e alla formazione professionale;
b) le condizioni di lavoro, compresa la retribuzione;
c) i regimi professionali di sicurezza sociale.
Inoltre, la presente direttiva contiene disposizioni intese a renderne più efficace l’attuazione mediante l’istituzione di procedure adeguate».
12 L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», dispone quanto segue:
«1. Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:
a) discriminazione diretta: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga;
b) discriminazione indiretta: situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari;
(...)
2. Ai fini della presente direttiva, la discriminazione comprende:
(...)
c) qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva [92/85]».
13 L’articolo 14, paragrafo 1, di detta direttiva estende il divieto di discriminazione, tra l’altro, alle condizioni di lavoro e prevede quanto segue:
«È vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:
(...)
c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto all’articolo 141 del trattato [CE];
(...)».
14 Per quanto concerne l’onere della prova e l’accesso alla giustizia in caso di discriminazione diretta o indiretta, l’articolo 19, paragrafi 1 e 4, della medesima direttiva dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta.
(...)
4. I paragrafi 1, 2 e 3 si applicano anche:
a) alle situazioni contemplate dall’articolo 141 del trattato [CE] e, in caso di discriminazione fondata sul sesso, dalle direttive [92/85] e 96/34/CE [del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1996, L 145, pag. 4)];
(...)».
Direttiva 2003/88/CE
15 Il considerando 14 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU 2003, L 299, pag. 9) enuncia quanto segue:
«Le norme specifiche previste da altri strumenti comunitari, per esempio in materia di periodi di riposo, orario di lavoro, ferie annuali e lavoro notturno di alcune categorie di lavoratori, dovrebbero prevalere sulle disposizioni della presente direttiva».
16 L’articolo 1 di tale direttiva, rubricato «Oggetto e campo di applicazione», dispone quanto segue:
«1. La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.
2. La presente direttiva si applica:
(...)
b) a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro.
(...)».
17 L’articolo 2 della predetta direttiva, rubricato «Definizioni», ai suoi punti 3 e 4 così dispone:
«Ai sensi della presente direttiva si intende per:
(...)
3. “periodo notturno”: qualsiasi periodo di almeno 7 ore, definito dalla legislazione nazionale e che comprenda in ogni caso l’intervallo fra le ore 24 e le ore 5;
4. “lavoratore notturno”:
a) qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno 3 ore del suo tempo di lavoro giornaliero, impiegate in modo normale; e
b) qualsiasi lavoratore che possa svolgere durante il periodo notturno una certa parte del suo orario di lavoro annuale, definita a scelta dello Stato membro interessato:
i) dalla legislazione nazionale, previa consultazione delle parti sociali, o
ii) da contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali a livello nazionale o regionale;
(...)».


Diritto spagnolo
18 La prestazione previdenziale connessa ai rischi durante l’allattamento è stata inserita nell’ordinamento giuridico spagnolo dalla Ley Orgánica 3/2007 para la igualdad efectiva de mujeres y hombres (legge organica 3/2007 sull’effettiva uguaglianza tra donne e uomini), del 22 marzo 2007 (BOE n. 71, del 23 marzo 2007, pag. 12611; in prosieguo: la «legge 3/2007»).
19 L’obiettivo della legge 3/2007 consiste nel favorire l’integrazione delle donne nel mondo del lavoro, consentendo loro di conciliare la vita professionale con la vita privata e familiare.
20 La dodicesima disposizione aggiuntiva di tale legge ha modificato l’articolo 26 della Ley 31/1995 de Prevención de Riesgos Laborales (legge 31/1995 in materia di prevenzione dei rischi professionali), dell’8 novembre 1995 (BOE n. 269, del 10 novembre 1995, pag. 32590; in prosieguo: la «legge 31/1995»), introducendo la tutela della lavoratrice e del neonato nelle situazioni di rischio che possono presentarsi durante l’allattamento al seno, quando le condizioni di un posto di lavoro sono tali da incidere negativamente sulla salute della lavoratrice o del bambino.
21 L’articolo 26 della legge 31/1995, che recepisce nel diritto nazionale in particolare gli articoli 4 e 7 della direttiva 92/85, è così redatto:
«1. La valutazione dei rischi [per la sicurezza o la salute dei lavoratori] di cui all’articolo 16 della presente legge dovrà includere la determinazione della natura, del grado e della durata dell’esposizione delle lavoratrici gestanti o puerpere ad agenti, procedure o condizioni di lavoro che possano influire negativamente sulla salute della lavoratrice o del feto, in qualsiasi attività tale da presentare un rischio specifico. Qualora dalla valutazione in parola risultasse un rischio per la sicurezza e la salute o una possibile ripercussione sulle lavoratrici summenzionate, il datore di lavoro adotterà le misure necessarie per evitare l’esposizione al rischio di cui trattasi, adattando le condizioni e l’orario di lavoro della lavoratrice interessata.
Tali misure includeranno, ove necessario, la sospensione del lavoro notturno o del lavoro a turni.
2. Qualora l’adattamento delle condizioni o dell’orario di lavoro non fosse possibile, oppure, nonostante tale adattamento, le condizioni di un posto di lavoro possano influire negativamente sulla salute della lavoratrice in stato di gravidanza o del feto, e siffatto rischio sia certificato dai servizi medici dell’[INSS] o dalle mutue, a seconda dell’ente assicuratore con cui l’impresa abbia stipulato una polizza per la copertura dei rischi professionali, sulla base di una relazione del medico del Servicio Nacional de Salud [(Servizio sanitario nazionale, Spagna)] che assiste la lavoratrice, quest’ultima verrà assegnata ad un posto di lavoro o a una mansione diversi, che sia compatibile con il suo stato. A tal fine, il datore di lavoro, dopo aver consultato i rappresentanti dei lavoratori, dovrà stabilire un elenco ricapitolativo dei posti di lavoro esenti da rischi.
L’assegnazione della lavoratrice ad altro posto di lavoro o mansione avviene in conformità alle norme e ai criteri applicabili alle ipotesi di mobilità funzionale e rimane valida fino al momento in cui lo stato di salute della lavoratrice consenta la reintegrazione di quest’ultima nel precedente posto di lavoro.
(...)
3. Se siffatta assegnazione a un altro posto di lavoro non fosse tecnicamente od oggettivamente possibile o non potesse essere ragionevolmente richiesta per motivi giustificati, può essere dichiarato il passaggio della lavoratrice alla situazione di sospensione del contratto di lavoro per rischio durante la gravidanza, contemplata dall’articolo 45, paragrafo 1, lettera d) [del Real Decreto Legislativo 1/1995, por el que se aprueba el texto refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores (regio decreto legislativo 1/1995, recante approvazione del testo consolidato della legge sullo Statuto dei lavoratori), del 24 marzo 1995 (BOE n. 75, del 29 marzo 1995, pag. 9654)], durante il periodo che risulti necessario per la protezione della sua sicurezza e della sua salute e fintantoché persista l’impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro precedente o in altro posto compatibile con il suo stato.
4. Le disposizioni dei paragrafi 1 e 2 del presente articolo si applicano parimenti nel corso del periodo di allattamento al seno, qualora le condizioni di lavoro possano influire negativamente sulla salute della lavoratrice o su quella del figlio e tale situazione venga confermata dai servizi medici del[l’INSS] o delle mutue, a seconda dell’ente assicuratore con cui l’impresa abbia stipulato una polizza per la copertura dei rischi professionali, sulla base di una relazione del medico del servizio sanitario nazionale che assiste la lavoratrice o il figlio. Sarà del pari possibile dichiarare il passaggio della lavoratrice alla situazione di sospensione del contratto di lavoro per rischio durante il periodo di allattamento al seno di figli fino ai nove mesi di età, di cui all’articolo 45, paragrafo 1, lettera d), del [regio decreto legislativo 1/1995], se sussistono le circostanze previste dal precedente paragrafo 3.
(...)».
22 La diciottesima disposizione aggiuntiva della legge 3/2007 ha modificato la normativa spagnola in modo tale che il periodo di allattamento al seno sia espressamente riconosciuto come una delle situazioni contemplate dalla Ley General de la Seguridad Social – Real Decreto Legislativo 1/1994 por el que se aprueba el texto refundido de la Ley General de la Seguridad Social (regio decreto legislativo 1/1994, recante approvazione del testo consolidato della legge generale relativa alla previdenza sociale), del 20 giugno 1994 (BOE n. 154, del 29 giugno 1994, pag. 20658; in prosieguo: la «legge generale relativa alla previdenza sociale»).
23 L’articolo 135 bis della legge generale relativa alla previdenza sociale così dispone:
«Situazione protetta.
Ai fini dell’indennità per rischio durante l’allattamento al seno, si considera situazione protetta il periodo di sospensione del contratto di lavoro che ricorre nei casi in cui, qualora la donna lavoratrice debba cambiare posto di lavoro per occuparne un altro compatibile con la sua situazione, nei termini previsti dall’articolo 26, paragrafo 4, della legge 31/1995, tale cambiamento del posto di lavoro non sia tecnicamente od oggettivamente possibile, o non possa essere ragionevolmente richiesto per motivi giustificati».
24 L’articolo 135 ter della legge generale relativa alla previdenza sociale stabilisce quanto segue:
«Indennità.
L’indennità per rischio durante l’allattamento al seno viene concessa ad una lavoratrice secondo i termini e le condizioni previsti dalla presente legge per l’indennità per rischio durante la gravidanza, e cessa al compimento dei nove mesi di età del figlio, salvo il caso in cui la beneficiaria sia già reinserita anticipatamente nel proprio posto di lavoro originario o in altro posto compatibile con la sua situazione».
25 Per quanto concerne il diritto processuale, l’articolo 96, paragrafo 1, della Ley 36/2011, reguladora de la jurisdicción social (legge 36/2011, che disciplina la giurisdizione sociale), del 10 ottobre 2011 (BOE n. 245, pag. 106584, dell’11 ottobre 2011), prevede quanto segue:
«Onere della prova nei casi di discriminazione e di infortuni sul lavoro
1. Nei procedimenti in cui dagli argomenti della parte ricorrente risulti che esistono seri indizi di discriminazione fondata su sesso, orientamento sessuale, origine razziale o etnica, religione o convinzioni personali, handicap, età, molestie o in presenza di qualsiasi altra violazione di un diritto fondamentale o di una libertà pubblica, spetta al convenuto fornire una giustificazione oggettiva e ragionevole, suffragata da prove sufficienti, delle misure adottate e della loro proporzionalità».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

26 Dalla decisione di rinvio risulta che la sig.ra González Castro lavora come guardia di sicurezza per la Prosegur.
27 L’8 novembre 2014 ha dato alla luce un bambino che, successivamente, è stato allattato al seno.
28 Dal mese di marzo 2015, la sig.ra González Castro svolge le sue mansioni in un centro commerciale, secondo un sistema di turnazioni variabili con giornate lavorative di 8 ore.
29 Il servizio di guardia da lei prestato sul luogo di lavoro si effettua generalmente con un’altra guardia di sicurezza, ad eccezione dei seguenti turni, durante i quali lo garantisce da sola: dal lunedì al giovedì da mezzanotte alle otto di mattina, il venerdì dalle due alle otto di mattina, il sabato dalle tre alle otto di mattina, e la domenica dall’una di notte alle otto di mattina.
30 La sig.ra González Castro ha avviato presso la mutua Umivale, società mutua privata a scopo non lucrativo che copre i rischi relativi agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali, il procedimento diretto all’ottenimento dell’indennità per rischio durante l’allattamento, prevista dall’articolo 26 della legge 31/1995. A tal fine ha chiesto a detta mutua, conformemente alla normativa nazionale, di rilasciarle un certificato medico attestante l’esistenza di un rischio per l’allattamento associato al suo posto di lavoro.
31 Poiché la sua domanda è stata respinta dalla mutua Umivale, ella ha presentato un reclamo che è stato a sua volta respinto.
32 La sig.ra González Castro ha proposto ricorso avverso tale rifiuto dinanzi al Juzgado de lo Social n. 3 de Lugo (Tribunale del lavoro n. 3 di Lugo, Spagna).
33 Poiché il suo ricorso è stato respinto, la sig.ra González Castro ha impugnato tale decisione dinanzi al giudice del rinvio, il Tribunal Superior de Justicia de Galicia (Corte superiore di giustizia della Galizia, Spagna).
34 In primo luogo, il giudice di rinvio si interroga sull’interpretazione della nozione di «lavoro notturno», a norma dell’articolo 7 della direttiva 92/85, allorché, come nella causa da lui esaminata, quest’ultimo si combini con un lavoro a turni. Secondo il giudice del rinvio, le lavoratrici in periodo di allattamento che svolgono un lavoro a turni nell’ambito del quale solo alcuni turni vengono effettuati in orari notturni devono beneficiare della medesima protezione accordata alle lavoratrici in periodo di allattamento che svolgono un lavoro notturno non articolato su turni.
35 In secondo luogo, il giudice del rinvio ritiene che non sia escluso che la valutazione dei rischi associati al posto di lavoro della sig.ra González Castro, prevista nell’ambito della procedura per ottenere un’indennità per rischio durante l’allattamento, ai sensi dell’articolo 26 della legge 31/1995 che traspone gli articoli 4 e 7 della direttiva 92/85, non sia stata effettuata correttamente e che il suo posto di lavoro presenti, in realtà, un rischio per la sua salute o la sua sicurezza, in particolare per il fatto che ella svolge un lavoro notturno e a turni, che in alcuni turni lavora da sola, compiendo ronde e dovendo rispondere alle emergenze, come reati, incendi o altri eventi di questo tipo, e che l’esistenza di un luogo propizio per l’allattamento al seno o, eventualmente, per l’estrazione del latte materno, non è stata dimostrata.
36 In tale contesto, il giudice del rinvio chiede se sia opportuno applicare le regole dell’inversione dell’onere della prova ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 in una situazione come quella della causa di cui è stato investito e, in caso affermativo, quali siano le modalità di applicazione di tale disposizione, in particolare se spetti alla lavoratrice interessata o al convenuto, vale a dire al datore di lavoro o all’organismo responsabile del pagamento dell’indennità per rischio durante l’allattamento, dimostrare che la modifica delle condizioni di lavoro o l’assegnazione ad altre mansioni della lavoratrice interessata non sono tecnicamente od oggettivamente possibili, o non possono ragionevolmente essere richieste.
37 In tale contesto, il Tribunal Superior de Justicia de Galicia (Corte superiore di giustizia della Galizia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 7 della [direttiva 92/85] debba essere interpretato nel senso che il lavoro notturno, che le lavoratrici di cui all’articolo 2 – comprese quindi le lavoratrici in periodo di allattamento – non devono essere obbligate a svolgere, includa non soltanto il lavoro prestato interamente nelle ore notturne ma anche il lavoro a turni, allorché, come accade nel caso di specie, tali turni sono in parte svolti durante le ore notturne.
2) Se, nell’ambito di una controversia in cui è in discussione l’esistenza di una situazione di rischio per una lavoratrice in periodo di allattamento, trovino applicazione le norme speciali sull’onere della prova di cui all’articolo 19, paragrafo 1, della [direttiva 2006/54] – recepito nell’ordinamento spagnolo, tra l’altro, con l’articolo 96, paragrafo 1, della [legge 36/2011] – in relazione ai requisiti previsti dall’articolo 5 della [direttiva 92/85] – recepito nell’ordinamento spagnolo con l’articolo 26 della [legge 31/1995] – ai fini della dispensa dal lavoro della lavoratrice in periodo di allattamento e, eventualmente, del beneficio della prestazione che l’ordinamento interno connette a tale situazione di rischio, conformemente all’articolo 11, paragrafo 1, della stessa [direttiva 92/85].
3) Se sia ammissibile un’interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, della [direttiva 2006/54] che consideri “elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta” nei confronti di una lavoratrice in periodo di allattamento – nell’ambito di una controversia relativa all’esistenza di un rischio durante il periodo di allattamento naturale con la conseguente dispensa dall’obbligo di lavorare, prevista all’articolo 5 della [direttiva 92/85] e recepita dall’ordinamento spagnolo con l’articolo 26 della [legge 31/1995] – i seguenti fatti: i) che la lavoratrice presti servizio nel contesto di un lavoro a turni come guardia di sicurezza, realizzando alcuni turni durante le ore notturne, per di più da sola, e dovendo inoltre ii) prestare servizio di ronda e gestire eventuali emergenze (reati, incendi o altri accadimenti), e tutto ciò iii) senza disporre di un locale per praticare l’allattamento al seno nel luogo di lavoro o, eventualmente, per effettuare l’estrazione meccanica del latte materno.
4) Una volta accertati gli “elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta” ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, della [direttiva 2006/54], in combinato disposto con l’articolo 5 della [direttiva 92/85] – recepito nell’ordinamento spagnolo con l’articolo 26 della [legge 31/1995] – e nell’ambito di una controversia relativa all’esistenza di un rischio durante il periodo di allattamento naturale con la conseguente dispensa dall’obbligo di lavorare, se si possa richiedere alla lavoratrice in periodo di allattamento di dimostrare, al fine di essere dispensata dal lavoro conformemente alla normativa nazionale – con cui è stato recepito l’articolo 5, paragrafi 2 e 3, della direttiva [92/85] –, che la modifica delle condizioni di lavoro e/o dell’orario di lavoro non è tecnicamente e/o oggettivamente possibile o non può essere ragionevolmente richiesta e che non è tecnicamente e/o oggettivamente possibile o non può essere ragionevolmente richiesta l’assegnazione dell’interessata ad altre mansioni; o se, al contrario, spetti alle parti convenute (il datore di lavoro e l’ente erogatore della prestazione previdenziale connessa alla sospensione del contratto di lavoro) il compito di fornire tali prove».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

38 Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 7 della direttiva 92/85 debba essere interpretato nel senso che si applica a una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui la lavoratrice interessata svolge un lavoro a turni nell’ambito del quale compie una parte soltanto delle proprie mansioni in ore notturne.
39 Al fine di rispondere a tale questione, occorre ricordare che, conformemente a giurisprudenza costante della Corte, ai fini dell’interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., in particolare, sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).
40 Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 92/85, gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento non siano obbligate a svolgere un lavoro notturno durante la gravidanza o nel periodo successivo al parto che sarà determinato dall’autorità nazionale competente per la sicurezza e la salute, con riserva della presentazione, secondo modalità stabilite dagli Stati membri, di un certificato medico che ne attesti la necessità per la sicurezza o la salute della lavoratrice interessata.
41 Il paragrafo 2 del medesimo articolo precisa che le misure di cui al paragrafo 1 devono comportare la possibilità, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, dell’assegnazione ad un lavoro diurno, oppure di una dispensa dal lavoro o di una proroga del congedo di maternità qualora tale assegnazione a un lavoro diurno non sia tecnicamente e/o oggettivamente possibile o non possa essere ragionevolmente richiesta per motivi debitamente giustificati.
42 La formulazione di tale disposizione non contiene tuttavia alcuna precisazione circa la portata esatta della nozione di «lavoro notturno».
43 A tal proposito, dall’articolo 1 della direttiva 92/85 risulta che quest’ultima fa parte di una serie di direttive, adottate in base all’articolo 118A del trattato CEE, che hanno come finalità l’adozione di prescrizioni minime, in particolare per quanto riguarda il miglioramento dell’ambiente di lavoro ai fini della protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori.
44 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 44 delle sue conclusioni, lo stesso è a dirsi anche della direttiva 2003/88, che fissa prescrizioni minime di sicurezza e salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro e si applica, in particolare, a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro.
45 Orbene, la direttiva 2003/88, al suo articolo 2, paragrafo 4, definisce il lavoratore notturno come «qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno 3 ore del suo tempo di lavoro giornaliero, impiegate in modo normale» e «qualsiasi lavoratore che possa svolgere durante il periodo notturno una certa parte del suo orario di lavoro annuale». Inoltre, il paragrafo 3 del medesimo articolo precisa che la nozione di «periodo notturno» deve essere compresa come «qualsiasi periodo di almeno 7 ore, definito dalla legislazione nazionale e che comprenda in ogni caso l’intervallo fra le ore 24 e le ore 5».
46 Dalla formulazione di tali disposizioni, e in particolare dall’impiego delle espressioni «qualsiasi periodo», «almeno 3 ore del suo tempo di lavoro» e «una certa parte del suo orario di lavoro», deriva che una lavoratrice la quale, come nel procedimento principale, svolge un lavoro a turni nel cui ambito compie unicamente una parte delle sue mansioni nelle ore notturne, deve ritenersi svolgere un «lavoro notturno» e deve pertanto essere qualificata come «lavoratore notturno», ai sensi della direttiva 2003/88.
47 Occorre constatare che, essendo nell’interesse delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento vedersi applicare, conformemente al considerando 14 della direttiva 2003/88, le disposizioni specifiche previste dalla direttiva 92/85 per quanto riguarda il lavoro notturno, in particolare al fine di rafforzare la tutela di cui devono beneficiare a tale riguardo, dette disposizioni specifiche non devono essere interpretate in maniera meno favorevole delle disposizioni generali previste dalla direttiva 2003/88, che sono applicabili alle altre categorie di lavoratrici.
48 Conseguentemente, si deve ritenere che una lavoratrice come quella di cui trattasi nel procedimento principale svolga un «lavoro notturno», a norma dell’articolo 7 della direttiva 92/85, e che a quest’ultima si applichi, in linea di principio, detta disposizione.
49 Tale interpretazione è corroborata dall’obiettivo dell’articolo 7 della direttiva 92/85.
50 Infatti, quest’ultima disposizione mira a rafforzare la protezione di cui beneficiano le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento sancendo il principio secondo il quale le medesime non sono tenute a svolgere un lavoro notturno quando quest’ultimo le espone a un rischio per la loro salute o per la loro sicurezza.
51 Orbene, se una lavoratrice in periodo di allattamento che, come nel procedimento principale, svolge un lavoro a turni dovesse essere esclusa dall’ambito di applicazione dell’articolo 7 della direttiva 92/85 per il motivo che essa svolge una parte soltanto delle sue mansioni in ore notturne, ciò avrebbe come conseguenza di svuotare tale disposizione di una parte del suo effetto utile. Infatti, la lavoratrice interessata potrebbe essere esposta a un rischio per la salute o per la sicurezza, con conseguente notevole riduzione della protezione di cui essa ha diritto di beneficiare in virtù di tale disposizione.
52 Per quanto riguarda le modalità di applicazione dell’articolo 7 della direttiva 92/85 a una situazione come quella di cui al procedimento principale, è importante precisare che, per beneficiare delle misure di protezione elencate al paragrafo 2 di tale disposizione, vale a dire l’assegnazione ad un lavoro diurno oppure, in mancanza, una dispensa dal lavoro, la lavoratrice interessata deve presentare un certificato medico che ne attesti la necessità per la sicurezza o la salute, secondo le modalità stabilite dallo Stato membro in questione. Spetterà al giudice del rinvio accertare la sussistenza di tale presupposto nel caso di specie.
53 Tenuto conto di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 7 della direttiva 92/85 deve essere interpretato nel senso che si applica a una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui la lavoratrice interessata svolge un lavoro a turni nell’ambito del quale compie una parte soltanto delle proprie mansioni in ore notturne.

Sulla seconda, sulla terza e sulla quarta questione

54 In limine, occorre ricordare che, secondo giurisprudenza costante, nell’ambito della cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice a quo una soluzione utile che gli consenta di dirimere la controversia a esso sottoposta. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se del caso, riformulare le questioni che le sono sottoposte e, in tale contesto, interpretare tutte le disposizioni del diritto dell’Unione che possano essere utili ai giudici nazionali per dirimere la controversia per cui sono stati aditi, anche qualora tali disposizioni non siano espressamente indicate nelle questioni ad essa sottoposte (sentenza del 19 ottobre 2017, Otero Ramos, C‑531/15, EU:C:2017:789, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).
55 Di conseguenza, benché formalmente il giudice del rinvio abbia limitato la seconda, la terza e la quarta questione all’interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 e dell’articolo 5 della direttiva 92/85, spetta alla Corte trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi del diritto dell’Unione che richiedono un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia (v., in tal senso, sentenza del 19 ottobre 2017, Otero Ramos, C‑531/15, EU:C:2017:789, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).
56 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio emerge che la normativa nazionale pertinente nel procedimento principale, vale a dire l’articolo 26 della legge 31/1995, recepisce nel diritto nazionale, senza una distinzione chiara, segnatamente gli articoli 4 e 7 della direttiva 92/85 e che tale normativa prevede, in particolare, che la sospensione del contratto di lavoro per rischio durante il periodo di allattamento nonché la concessione della relativa indennità sono possibili soltanto se è accertato, a seguito della valutazione del posto di lavoro della lavoratrice interessata, che quest’ultimo è associato a un rischio siffatto e che non è possibile modificare le condizioni di lavoro di tale lavoratrice o assegnarla ad altre mansioni.
57 Il giudice del rinvio parte dalla premessa che non è escluso che, se la valutazione del rischio del posto di lavoro della lavoratrice interessata, prevista dalla normativa nazionale, fosse stata attuata correttamente, si sarebbe potuta rivelare l’esistenza di un rischio per la salute o la sicurezza di tale lavoratrice, in particolare alla luce dell’articolo 7 della direttiva 92/85, in quanto detta lavoratrice svolge un lavoro notturno e a turni, compie alcuni turni da sola, facendo ronde e dovendo rispondere alle emergenze, come reati, incendi o altri eventi di questo tipo, e senza che sia prevista l’esistenza di un luogo propizio per l’allattamento al seno o, se del caso, per l’estrazione del latte materno.
58 In tale contesto, il giudice del rinvio chiede se occorra applicare le regole dell’inversione dell’onere della prova previste all’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, nella quale la lavoratrice a cui è stato negato il rilascio del certificato medico attestante l’esistenza di un rischio per l’allattamento associato al suo posto di lavoro e, di conseguenza, l’indennità per rischio durante l’allattamento, contesta, dinanzi ad un organo giurisdizionale nazionale o dinanzi a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro interessato, la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro. In caso affermativo, il giudice del rinvio chiede quali siano le modalità di applicazione di tale disposizione, segnatamente per quanto riguarda la questione se spetti alla lavoratrice interessata o alla parte convenuta, che si tratti del datore di lavoro o dell’organismo responsabile del pagamento dell’indennità per rischio durante l’allattamento, dimostrare che la modifica delle condizioni di lavoro o l’assegnazione ad altre mansioni della lavoratrice interessata non sono tecnicamente od oggettivamente possibili, o non possono ragionevolmente essere richieste.
59 Sulla base di tali considerazioni, si deve ritenere che, con le questioni dalla seconda alla quarta, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chieda, in sostanza, se l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 debba essere interpretato nel senso che esso si applica ad una situazione, come quella di cui al procedimento principale, in cui una lavoratrice a cui sia stato negato il rilascio di un certificato medico attestante l’esistenza di un rischio per l’allattamento associato al suo posto di lavoro e, di conseguenza, l’indennità per rischio durante l’allattamento, contesti, dinanzi ad un organo giurisdizionale nazionale o dinanzi a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro interessato, la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro e, in caso affermativo, quali siano le modalità di applicazione di tale disposizione in un caso del genere.
60 In primo luogo, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi a qualsiasi altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta.
61 L’articolo 19, paragrafo 4, lettera a), di tale direttiva precisa, in particolare, che le norme che determinano l’inversione dell’onere della prova previste al paragrafo 1 del medesimo articolo si applicano anche alle situazioni contemplate dalla direttiva 92/85, in caso di discriminazione fondata sul sesso.
62 A tal proposito, la Corte ha dichiarato che l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 si applica ad una situazione in cui una lavoratrice in periodo di allattamento contesta, dinanzi ad un organo giurisdizionale nazionale o dinanzi a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro interessato, la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro, in quanto non sarebbe stata effettuata conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 (sentenza del 19 ottobre 2017, Otero Ramos, C‑531/15, EU:C:2017:789, punto 65).
63 Il fatto di non valutare il rischio associato al posto di lavoro di una lavoratrice in periodo di allattamento, conformemente ai requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85, deve, infatti, essere considerato un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità, ai sensi di tale direttiva, e costituisce quindi una discriminazione diretta fondata sul sesso, a norma dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54 (sentenza del 19 ottobre 2017, Otero Ramos, C‑531/15, EU:C:2017:789, punti 62 e 63).
64 La Corte ha precisato, a tale riguardo, che, per essere conforme ai requisiti dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85, la valutazione dei rischi associati al posto di lavoro di una lavoratrice in periodo di allattamento deve includere un esame specifico che tenga conto della situazione individuale della lavoratrice interessata, al fine di determinare se la salute o la sicurezza di quest’ultima o quelle del suo bambino siano esposte a un rischio (sentenza del 19 ottobre 2017, Otero Ramos, C‑531/15, EU:C:2017:789, punto 51).
65 Va rilevato, in secondo luogo, che la valutazione dei rischi prevista all’articolo 4 della direttiva 92/85 ha come finalità di proteggere le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento e i loro bambini, in quanto, qualora tale valutazione riveli che il posto di lavoro di una lavoratrice è associato a un rischio per la sua salute o la sua sicurezza oppure ha ripercussioni sulla gravidanza o sull’allattamento del bambino, il datore di lavoro è tenuto, a norma dell’articolo 5 di tale direttiva, ad adottare le misure necessarie affinché l’esposizione a tale rischio sia evitata.
66 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 61 delle sue conclusioni, l’articolo 4 della direttiva 92/85 è la norma generale che indica le azioni che devono essere adottate in relazione a tutte le attività che possono presentare un rischio particolare per le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Per contro, l’articolo 7 di tale direttiva è una disposizione specifica che si applica nel caso di lavoro notturno, di cui il legislatore dell’Unione ha riconosciuto l’idoneità a presentare rischi particolari per le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.
67 Mentre gli articoli 4 e 7 della direttiva 92/85 perseguono quindi la medesima finalità di protezione delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento contro i rischi associati ai loro posti di lavoro, l’articolo 7 della direttiva 92/85 mira, più in particolare, a rafforzare tale protezione ponendo il principio secondo cui le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento non sono tenute a svolgere lavori notturni, laddove presentino un certificato medico attestante la necessità di una simile protezione dal punto di vista della loro sicurezza o della loro salute.
68 La valutazione dei rischi associati al posto di lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, prevista nell’ambito dell’articolo 7 della direttiva 92/85, non può, pertanto, essere sottoposta a requisiti meno rigorosi di quelli che si applicano nell’ambito dell’articolo 4, paragrafo 1, della medesima direttiva.
69 Tale interpretazione è corroborata dal fatto che le linee direttrici, che hanno come obiettivo, a norma dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/85, di servire da base per la valutazione di cui all’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva, fanno espressamente riferimento al lavoro notturno.
70 In particolare, dalla tabella dettagliata riguardante la valutazione dei pericoli generici e delle situazioni correlate cui si possono trovare esposte le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, di cui alla pagina 13 delle linee direttrici, emerge che il lavoro notturno può avere ripercussioni notevoli sulla salute delle donne gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, che i rischi per tali donne variano a seconda del tipo di lavoro, delle condizioni di lavoro e delle persone interessate e che, di conseguenza, a causa della crescente stanchezza, alcune donne gestanti o in periodo di allattamento possono non essere in grado di effettuare turni irregolari o serali o lavoro notturno. Tale tabella prevede, peraltro, misure di prevenzione riguardanti il lavoro notturno.
71 Inoltre, dalle linee direttrici risulta che la valutazione dei rischi associati al posto di lavoro di una lavoratrice in periodo di allattamento deve includere un esame specifico che tenga conto della situazione individuale della lavoratrice interessata (sentenza del 19 ottobre 2017, Otero Ramos, C‑531/15, EU:C:2017:789, punti 46 e 51).
72 Di conseguenza, occorre ritenere, così come ha fatto l’avvocato generale al paragrafo 50 delle sue conclusioni, che la valutazione dei rischi associati al posto di lavoro della lavoratrice interessata, effettuata nell’ambito dell’articolo 7 della direttiva 92/85, deve comprendere un esame specifico che tenga in considerazione la particolare situazione di tale lavoratrice al fine di determinare se la sua salute o la sua sicurezza o quelle del bambino siano esposte a un rischio. La mancanza di un simile esame configurerebbe un’ipotesi di trattamento meno favorevole riservato a una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi di tale direttiva e costituirebbe una discriminazione diretta fondata sul sesso, a norma dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54, che consente l’applicazione dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva medesima.
73 Per quanto riguarda le modalità di applicazione di tale disposizione, si deve ricordare che le norme in materia di prova da essa previste non si applicano al momento in cui la lavoratrice interessata chiede una modifica delle condizioni di lavoro o, come nel procedimento principale, un’indennità per rischio durante l’allattamento, e che, per tale ragione, dev’essere effettuata una valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro, conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, o, se del caso, all’articolo 7 della direttiva 92/85. È solo in una fase successiva, in cui una decisione relativa a tale valutazione dei rischi è contestata dalla lavoratrice interessata dinanzi ad un organo giurisdizionale o dinanzi a qualsiasi altro organo competente, che le suddette norme sono applicabili (v., in tal senso, sentenza del 19 ottobre 2017, Otero Ramos, C‑531/15, EU:C:2017:789, punto 67).
74 Ciò premesso, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, spetta alla lavoratrice che si ritenga lesa dall’inosservanza nei propri confronti del principio della parità di trattamento dedurre, dinanzi ad un organo giurisdizionale ovvero a qualsiasi altro organo competente, fatti od elementi di prova in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta (sentenza del 19 ottobre 2017, Otero Ramos, C‑531/15, EU:C:2017:789, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).
75 In una situazione come quella del procedimento principale, ciò implica che la lavoratrice interessata deve produrre, dinanzi al giudice del rinvio o a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro di cui trattasi, fatti o elementi di prova atti a indicare che la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro prevista dalla normativa nazionale che recepisce nel diritto nazionale, in particolare, gli articoli 4 e 7 della direttiva 92/85 non ha incluso un esame specifico che tenesse conto della sua situazione individuale e che ella, pertanto, ha subito una discriminazione.
76 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio e dal fascicolo sottoposto alla Corte emerge che la sig.ra González Castro ha avviato, presso la mutua Umivale, la procedura diretta all’ottenimento dell’indennità per rischio durante l’allattamento e ha a tal fine presentato, il 9 marzo 2015, una domanda di certificato medico attestante l’esistenza di un rischio per l’allattamento associato al suo posto di lavoro attraverso un modulo fornito dalla citata mutua a tal proposito.
77 Nell’ambito di tale procedura, la Prosegur ha inviato alla mutua Umivale, il 13 marzo 2015, una dichiarazione in cui essa indicava di non aver cercato di modificare le condizioni di lavoro associate al posto di lavoro della sig.ra González Castro e di non averla assegnata ad altre mansioni, poiché riteneva che le mansioni svolte dalla sig.ra González Castro e le sue condizioni di lavoro non influissero sull’allattamento al seno.
78 Orbene, tale dichiarazione, che si presenta sotto forma di modulo standard fornito dalla mutua Umivale, non contiene alcuna motivazione sulla maniera in cui la Prosegur è giunta a tale conclusione, e non risulta che essa si sia basata su un esame specifico che tenesse conto della situazione individuale della lavoratrice interessata.
79 Quanto alla decisione con la quale la mutua Umivale ha respinto la domanda introdotta dalla sig.ra González Castro, essa si limita a indicare che «non vi è un rischio associato al suo lavoro che possa essere pregiudizievole, dopo un’analisi approfondita della documentazione fornita dalla lavoratrice stessa». Nelle conclusioni di cui all’allegato di tale decisione, la mutua Umivale si riferisce alle «linee direttrici per la valutazione dei rischi sul lavoro nel periodo di allattamento al seno», stabilite dall’Associazione spagnola dei medici pediatri e pubblicate dall’INSS, per ritenere che queste ultime indichino che il lavoro a turni o il lavoro notturno non presenti un rischio per l’allattamento. La mutua Umivale afferma inoltre, senza ulteriori spiegazioni, che la sig.ra González Castro non è esposta durante il suo lavoro a sostanze nocive per suo figlio e che le sue condizioni di lavoro non interferiscono con l’allattamento.
80 In tali circostanze, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 70 e 77 delle sue conclusioni, risulta che la valutazione dei rischi associati al posto di lavoro della sig.ra González Castro non ha incluso un esame specifico che tenesse conto della sua situazione individuale e che l’interessata è stata discriminata. In definitiva, spetta al giudice del rinvio, l’unico competente a valutare i fatti della causa di cui è investito, verificare la correttezza di tale ipotesi.
81 In caso affermativo, spetta alla parte convenuta nel procedimento principale dimostrare che la valutazione dei rischi prevista dalla legislazione nazionale che recepisce, in particolare, gli articoli 4 e 7 della direttiva 92/85 nell’ordinamento nazionale comprendeva un esame specifico che tenesse conto della situazione individuale della sig.ra González Castro, fermo restando che documenti quali una dichiarazione del datore di lavoro secondo cui le mansioni esercitate da tale lavoratrice e le sue condizioni di lavoro non influiscono sull’allattamento al seno, senza alcuna spiegazione in grado di suffragare tale affermazione, insieme alla circostanza che il suo posto di lavoro non è incluso nell’elenco dei posti associati a rischi per l’allattamento redatto dall’organismo competente dello Stato membro interessato, non possono, di per sé soli, comportare una presunzione assoluta che tale ipotesi ricorra. In caso contrario, tanto gli articoli 4 e 7 della direttiva 92/85 quanto le norme in materia di prova di cui all’articolo 19 della direttiva 2006/54 sarebbero private di qualsiasi effetto utile (v., in tal senso, sentenza del 19 ottobre 2017, Otero Ramos, C‑531/15, EU:C:2017:789, punto 74).
82 È opportuno aggiungere che le stesse norme in materia di prova sono applicabili nell’ambito dell’articolo 5 o, se del caso, dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 92/85. In particolare, nella misura in cui una lavoratrice in periodo di allattamento chiede una dispensa dal lavoro per tutto il periodo necessario per la protezione della sua sicurezza o della sua salute e fornisce elementi atti a indicare che le misure di tutela previste all’articolo 5, paragrafi 1 e 2, o all’articolo 7, paragrafo 2, primo comma, di tale direttiva non erano applicabili, spetta al datore di lavoro dimostrare che tali misure fossero tecnicamente od oggettivamente possibili e potessero essere ragionevolmente richieste nella situazione della lavoratrice interessata.
83 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni dalla seconda alla quarta dichiarando che l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 deve essere interpretato nel senso che esso si applica ad una situazione, come quella di cui al procedimento principale, in cui una lavoratrice, alla quale sia stato negato il rilascio del certificato medico attestante l’esistenza di un rischio per l’allattamento associato al suo posto di lavoro e, di conseguenza, l’indennità per rischio durante l’allattamento, contesti, dinanzi ad un organo giurisdizionale nazionale o dinanzi a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro interessato, la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro, laddove detta lavoratrice esponga fatti tali da suggerire che questa valutazione non ha incluso un esame specifico che tenesse conto della sua situazione individuale, permettendo quindi di presumere che vi sia stata una discriminazione diretta fondata sul sesso ai sensi della direttiva 2006/54, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Incombe allora alla parte convenuta dimostrare che tale valutazione dei rischi comprendeva effettivamente un simile esame concreto e che, pertanto, non vi è stata violazione del principio di non discriminazione.

Sulle spese

84 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi,
la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

1) L’articolo 7 della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, deve essere interpretato nel senso che si applica a una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui la lavoratrice interessata svolge un lavoro a turni nell’ambito del quale compie una parte soltanto delle proprie mansioni in ore notturne.
2) L’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione), deve essere interpretato nel senso che si applica a una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui una lavoratrice, alla quale sia stato negato il rilascio del certificato medico attestante l’esistenza di un rischio per l’allattamento associato al suo posto di lavoro e, di conseguenza, l’indennità per rischio durante l’allattamento, contesti, dinanzi ad un organo giurisdizionale nazionale o dinanzi a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro interessato, la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro, laddove detta lavoratrice esponga fatti tali da suggerire che questa valutazione non ha incluso un esame specifico che tenesse conto della sua situazione individuale, permettendo quindi di presumere che vi sia stata una discriminazione diretta fondata sul sesso ai sensi della direttiva 2006/54, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Incombe allora alla parte convenuta dimostrare che tale valutazione dei rischi comprendeva effettivamente un simile esame concreto e che, pertanto, non vi è stata violazione del principio di non discriminazione.

(Fonte: curia.eu)


 

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