Cassazione Civile, Sez. 6, 09 ottobre 2018, n. 24864 - Domanda per il riconoscimento di un'indennità per inabilità temporanea superiore a quella riconosciuta


 

 

 

Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: DORONZO ADRIANA Data pubblicazione: 09/10/2018

 

Rilevato che:
con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Catanzaro ha rigettato l’impugnazione proposta da M.R. contro la sentenza del Tribunale di Paola che aveva rigettato la domanda proposta dall’appellante volta ad ottenere il riconoscimento di una inabilità permanente o di un’inabilità temporanea per un periodo successivo a quello già riconosciuto dall’INAIL (precisamente dal 16/2/2007 al 30/7/2007);
la Corte ha ritenuto di confermare il giudizio del consulente tecnico d’ufficio nominato dal primo giudice, in quanto le sue conclusioni non erano state adeguatamente censurate, sia in ordine alla mancanza di postumi permanenti indennizzabili (essendo stata riconosciuta una inabilità permanente del 4%), sia in ordine alla mancanza di una inabilità temporanea assoluta superiore a quella già riconosciuta; contro la sentenza il M.R. propone ricorso per cassazione al quale resiste con controricorso l’Inail;
la proposta del relatore, ai sensi dell’alt. 380 bis cod.proc.civ. è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata;

 


Considerato che:
con i motivi di ricorso il M.R. censura la sentenza nella parte in cui non ha ritenuto di riconoscergli la indennità per inabilità temporanea per il periodo dal 16/2/2007 al 30/7/2007, deducendo la violazione degli articoli 66-68 del T.U. n. 1124/1965 nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, e costituito dalla ricaduta cui egli era incorso nel periodo indicato e che gli aveva determinato un ulteriore periodo di inabilità temporanea;
i due motivi che si affrontano congiuntamente sono manifestamente infondati;
il D.P.R. n. 1124 del 1965, arti. 66 e 68, prevedono la corresponsione di una indennità giornaliera soltanto per il caso di inabilità temporanea assoluta "che impedisca totalmente e di fatto all'infortunato di attendere al lavoro", nulla prevedendo per il caso di inabilità temporanea parziale;
anche il D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, per il caso di danno biologico, ha innovato l'art. 66, comma 1, sopra citato, esclusivamente con riguardo alle prestazioni economiche connesse alla inabilità permanente, parziale o assoluta, ma nessuna modifica ha apportato alle norme che regolano l'indennità per inabilità temporanea assoluta; la giurisprudenza di questa Corte è nel senso di riconoscere all'infortunato, oltre alla rendita per inabilità permanente, solo l'indennità per inabilità temporanea assoluta, diretta ad assicurare al lavoratore i mezzi di sostentamento finché dura l'inabilità che impedisce totalmente e di fatto all'infortunato di rendere le sue prestazioni lavorative (vedi Cass. 22/11/2017, n. 27809; Cass. 13/02/2015, n. 2894; Cass. 9/2/1990, n. 946);
la corte di merito, confermando la sentenza del primo giudice, ha ritenuto che nel periodo in contestazione il ricorrente versava in uno stato di inabilità temporanea parziale del 25% e ciò sulla base della consulenza tecnica d’ufficio e della documentazione in atti; non sussiste pertanto l’omesso esame denunciato ai sensi dell’art. 360,comma 1, n. 5, cod.proc.civ., avendo la corte territoriale esaminato specificamente il periodo compreso tra il 16/2/2007 e il 1/7/2007, condividendo il giudizio del CTU secondo il quale tale periodo ha comportato solo una inabilità temporanea parziale quantificabile del 25%, mentre per quanto riguarda il periodo successivo ha riscontrato la mancanza di certificati che potessero comprovare lo stato di malattia del ricorrente;
si è dunque in presenza di una motivazione oltre che esaustiva anche congrua e del tutto rispondente alle risultanze istruttorie alla quale, invece, il ricorrente oppone una diversa lettura, richiedendo un riesame nel merito inammissibile in questa sede, ove peraltro si consideri che la parte non si è premurata di trascrivere la consulenza tecnica d’ufficio, neppure nelle sue parti salienti, né altra documentazione, pur indicata dalla corte territoriale; il ricorso deve pertanto essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
importo pari alla somma già versata a titolo di contributo unificato.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € 1.800,00 per compensi professionali e € 200,00 per spese, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% delle spese generali e agli altri accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’11 settembre 2018