Cassazione Penale, Sez. 3, 18 ottobre 2018, n. 47455 - Infortunio durante la movimentazione di tubi accatastati: nessun dispositivo di protezione per cadute dall'alto e nessuna adeguata attrezzatura di lavoro


 

 

 

 

Presidente: RAMACCI LUCA Relatore: ZUNICA FABIO Data Udienza: 03/07/2018

 

 

 

Fatto

 

1. Con sentenza del 14 settembre 2017, il Tribunale di Torino condannava G.L. alla pena, condizionalmente sospesa, di € 3.000 di ammenda in ordine ai reati di cui agli art. 168 comma 2 lett. a) e 71 comma 3 del d. Lgs. 81/2008, perché, quale legale rappresentante della Di F.B. Ponteggi s.r.l., con cantiere in Settimo Torinese, in occasione dell'Infortunio occorso il 13 febbraio 2012, non organizzava il posto di lavoro, occupato dal lavoratore in fase di movimentazione di tubi, in modo che la predetta movimentazione avvenisse in condizioni di adeguata sicurezza, posto che la scala a pioli non era assicurata contro i rischi di scivolamento e sbandamento (capo 1); inoltre, non metteva a disposizione dei lavoratori attrezzature idonee al lavoro da svolgere, atteso che, all'interno del magazzino, i materiali erano accatastati ad altezze superiori a due metri ed erano movimentati con carroponte, essendo gli addetti esposti al rischio di cadute dall'alto nelle operazioni di aggancio e sgancio (capo 2).
2. Avverso la sentenza del Tribunale piemontese, G.L., tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa lamenta la formulazione del giudizio di colpevolezza in ordine ai reati ascritti, difettandone sia l'elemento oggettivo, non essendovi stata una chiara indicazione delle prescrizioni imposte al datore di lavoro, che in ogni caso erano state rispettate mediante l'invio di documentazione agli ispettori dell'Asl da parte della moglie dell'imputato, sia l'elemento soggettivo, avendo il Tribunale ipotizzato una sorta di inaccettabile dolus in re ipsa, mentre in realtà G.L. non si era rappresentato né voleva alcuna delle condotte contestate, né poteva ritenersi configurabile il nesso di causalità tra condotta ed evento.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole del trattamento sanzionatorio e del mancato rilievo della prescrizione dei reati; in ordine al primo aspetto, viene censurata la severità della pena inflitta, in quanto eccessivamente distante dal minimo edittale, nonostante il comportamento tenuto dall'imputato in occasione del primo sopralluogo e il successivo adempimento delle prescrizioni.
In ordine al secondo aspetto, la difesa osserva che il termine prescrizionale doveva decorrere dall'accertamento del 13 febbraio 2012 e non dal 26 febbraio 2013, in quanto, subito dopo il primo sopralluogo, la ditta aveva cercato di definire i rapporti con gli ispettori cercando di porre rimedio alle mancanze rilevate, per cui il comportamento collaborativo della ditta era idoneo a interrompere il nesso di causalità e, in ogni caso, la permanenza dei reati.
 

 

Diritto

 


Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, deve rilevarsi che il giudizio di colpevolezza dell'imputato non presta il fianco alle censure difensive, avendo il Tribunale innanzitutto compiuto una puntuale ricostruzione della vicenda, richiamando gli accertamenti svolti dal personale dell'Asl Torino 4 il 13 febbraio 2012, in occasione dell'infortunio dell'operaio G.D., verificatosi presso i locali siti in Settimo Torinese della ditta "F.B. Ponteggi s.r.l.", il cui legale rappresentante è risultato essere l'odierno ricorrente G.L..
In tale circostanza, è emerso il mancato rispetto delle cautele previste dalla normativa antinfortunistica, posto che il lavoratore, nel maneggiare il materiale collocato nel magazzino, costituito da tavole di legno e tubi accatastati sino a un'altezza anche superiore ai due metri, e nel trasferirlo a bordo di un camion, non era assistito da alcun sistema di protezione dal rischio di cadute dall'alto, né gli erano state fornite adeguate e specifiche attrezzature di lavoro (in particolare un carroponte) per l'aggancio e lo sgancio dei carichi sollevati.
Pertanto, in sede ispettiva, venivano impartite al datore di lavoro talune prescrizioni che tuttavia, nel corso della successiva verifica del 26 febbraio 2003, non risultavano adempiute, essendo stato accertato dagli operanti che la disposizione dei materiali all'interno del magazzino aziendale non era cambiata. Tale ricostruzione fattuale non ha trovato smentite nelle prove addotte dalla difesa, riferendosi la documentazione fotografica prodotta al 2008, mentre l'infortunio risaliva al 2012, e avendo la moglie dell'imputato, F.B., precisato che ella all'epoca si occupava della contabilità, per cui non era in grado di avere una conoscenza puntuale delle condizioni di lavoro dentro il magazzino.
In quanto aderente alle acquisizioni probatorie e sorretta da argomentazioni razionali e coerenti, la motivazione della sentenza impugnata sulla responsabilità dell'imputato in ordine ai fatti a lui ascritti (la cui qualificazione giuridica non è controversa) non può ritenersi viziata, risultando le censure difensive generiche e in taluni casi meramente assertive, come ad esempio in merito al presunto comportamento abnorme del lavoratore, tema questo rimasto inesplorato dal punto di vista probatorio ed enunciato nel ricorso in termini del tutto apodittici.
2. Passando infine al secondo motivo, deve innanzitutto escludersi che il trattamento sanzionatorio presenti vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
Ed invero occorre evidenziare che, essendo i reati puniti con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, il Tribunale ha optato per la pena pecuniaria, che è stata fissata in misura molto più prossima al minimo che al massimo edittale, riconoscendo altresì all'imputato le attenuanti generiche, peraltro applicate nella massima estensione, per cui sul punto alcuna censura appare formulabile, tanto più ove si consideri che il Tribunale ha unificato i reati sotto il vincolo della continuazione, operando un aumento contenuto (1.000 €) ex art. 81 cod. pen. 
Quanto infine al mancato rilievo della prescrizione, parimenti la sentenza impugnata resiste alle censure difensive, dovendosi al riguardo richiamare la costante affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 46340 del 27/10/2011, Rv. 251342 e Sez. 3, n. 21808 del 18/04/2007, Rv. 236680), secondo cui i reati contravvenzionali previsti dalla normativa in materia di prevenzione infortuni sul lavoro hanno natura permanente e la situazione antigiuridica si protrae e persiste fino a quando il responsabile non abbia provveduto ad adottare le prescritte misure cautelari ovvero, in difetto, fino a quando il giudice non si pronunci con sentenza di condanna, anche se non passata in giudicato.
In applicazione di tale premessa ermeneutica, non può ritenersi maturata nel caso di specie la causa estintiva invocata dalla difesa, posto che, in occasione della verifica ispettiva del 26 febbraio 2013, è stata accertata la mancata ottemperanza alle prescrizioni impartite precedentemente dal personale dell'Asl, risultando priva di adeguato conforto probatorio la contraria affermazione difensiva, che peraltro fa riferimento non alla predisposizione delle cautele omesse, ma al mero invio di documentazione da parte della contabile della ditta. Ne consegue che, non essendo stata comprovata la cessazione della situazione antigiuridica, il dies a quo, ai fini del computo della prescrizione (avente durata quinquennale, avendo i reati natura contravvenzionale), va individuato nella data in cui è stata emessa la sentenza del Tribunale, ovvero nel 14 settembre 2017.
3. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di € 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 03/07/2018