Cassazione Civile, Sez. Lav., 24 ottobre 2018, n. 26996 - Infortunio sul lavoro per il lavoratore che non indossa l'elmetto protettivo. Nessun danno morale se manca la prova del turbamento dello stato d'animo


 

 

 

 

Presidente: MANNA ANTONIO Relatore: DE GREGORIO FEDERICO Data pubblicazione: 24/10/2018

 

 

La CORTE, esaminati ali atti e sentito il consigliere relatore.

 

 

 

OSSERVA
 

 

M.A. si rivolgeva al giudice del lavoro di Siracusa con ricorso del 26 aprile 2004, instando per il riconoscimento dell'infortunio sul lavoro occorsogli 13 gennaio 2002 e per la condanna delle convenute società al risarcimento dei danni subiti.
All'esito della prova testimoniale, acquisita ulteriore documentazione e disposta consulenza tecnica medico-legale di ufficio, con sentenza in data 4-25 luglio 2007 il giudice adito accoglieva per quanto di ragione la domanda, con la condanna della S.r.l. INIZIATIVA SICILIA e della S.r.l. G.E.C.A. Impianti, tra loro in solido, al risarcimento del danno morale, liquidato in 53.200,80 euro, ritenendo tra l'altro provato l'apporto causale nella misura del 20% fornito dal lavoratore alla determinazione del sinistro mediante la consapevole scelta di non utilizzare l'elmetto protettivo. Ciò posto, ad avviso del primo giudicante, rilevato che l'attore non aveva dedotto alcunché in ordine al cosiddetto danno biologico differenziale (sicché il danno biologico doveva intendersi integralmente contenuto in quello riconosciuto dall'INAIL ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 38 del 2000) e che, alla luce della espletata c.t.u., doveva ritenersi l'insussistenza del danno esistenziale risarcibile, poteva essere riconosciuto e quindi dovuto dalle convenute il (solo) danno morale, come sopra liquidato secondo le cosiddette tabelle milanesi (quantificato in misura pari al 50% di quanto sarebbe spettato per danno biologico in applicazione delle suddette tabelle).
La sentenza veniva impugnata dalle due società, mediante distinti ricorsi del 31 luglio e del 30 agosto 2007, cui resisteva il lavoratore. La Corte d'Appello di Catania, riuniti due procedimenti, con sentenza n. 137 in data 31 gennaio - 13 febbraio 2013, in riforma della gravata pronuncia, rigettava ogni domanda proposta dall'attore M.A. nei confronti delle società appellanti, compensando peraltro tra le parti le spese dell'intero giudizio.
Per quanto ancora d'interesse in questa sede, la Corte territoriale, richiamati i principi di diritto affermati in tema di danno non patrimoniale dalla nota pronuncia delle Sezioni unite civili di questa Corte n. 26972 del 2008 -tra cui, in particolare, l'unitarietà del danno non patrimoniale, per cui deve reputarsi corretta la liquidazione, a titolo di risarcimento, in ragione di una somma onnicomprensiva, posto che le varie voci di danno non patrimoniale elaborate dalla dottrina e della giurisprudenza non costituiscono pregiudizi autonomamente risarcibili, potendo esse venire in considerazione soltanto in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, fermo restando che sulla statuizione di primo grado in ordine alla omessa allegazione circa il danno biologico differenziale si era formato il giudicato interno- osservava che nel caso di specie mancava invero già in seno al ricorso introduttivo del giudizio qualsivoglia allegazione riguardo al danno morale (ovvero qualsiasi elemento in ordine ad esempio a particolari condizioni soggettive del ricorrente, tali da incidere sull'entità della relativa sofferenza o, eventualmente, sul turbamento del suo stato d'animo). Piuttosto l'attore aveva lamentato che le menomazioni subite a seguito dell'infortunio avevano determinato "il c.d. danno biologico alla salute e alla vita di relazione" (l'appello comunque non risultava proposto dal lavoratore in ordine a quanto accertato dal c.t.u.), essendosi poi limitato il M.A., quanto al danno c.d. morale, a richiedere, sic et simpliciter, ovvero senza nulla allegare se non la mera enunciazione di tale voce di danno, la somma di euro 40.000 dal medesimo quantificata in via equitativa. Di conseguenza, secondo la Corte catanese, anche l'originaria domanda del lavoratore inerente al danno morale andava disattesa, in quanto la congiunta liquidazione a favore del danneggiato del risarcimento sia per il danno biologico che per quello morale comportava, in assenza di allegazione su riflessi ulteriori rispetto a quelli tipici, una duplicazione risarcitoria delle medesime conseguenze pregiudizievoli. L'accoglimento, per le suddette ragioni, degli appelli rendeva superfluo l'esame degli altri motivi posti a sostegno delle due impugnazioni.
Avverso l'anzidetta sentenza n. 137 del 2013, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione M.A., notificato come da relata di del 9 e 11 agosto 2013 affidato ad un solo articolato motivo (per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti), cui ha resistito mediante controricorso la S.r.l. ANSALDOREGGIANE (con unico socio in liquidazione, giusta la fusione per incorporazione della Iniziativa Sicilia S.r.l in liquidazione in data 20 luglio 2012), mentre è rimasta intimata l'altra società.
Sono stati diramati tempestivi avvisi per l'adunanza camerale fissata al 18 aprile 2018, comunicati il 21 febbraio dello stesso anno. La sola controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
 

 

CONSIDERATO, pertanto, che il ricorso è palesemente inammissibile per difetto di pertinenti motivi a sostegno dell'impugnazione, avuto riguardo alla ineccepibile argomentazione in base alla quale la Corte distrettuale ha ritenuto non dovuto il riconoscimento di ulteriori somme a titolo di danno cosiddetto morale, invero, il ricorso del M.A. risulta altresì non autosufficiente, ai sensi dell'articolo 366 comma primo nn. 3 e 6 c.p.c., avendo omesso in particolare di riprodurre in modo compiuto e sufficiente quanto dedotto con l'atto introduttivo del giudizio circa il danno morale, sicché il controllo di legittimità non può che avvenire in base a quanto desumibile dalla sentenza pronunciata dalla Corte territoriale, che, d'altro canto, ha correttamente applicato nel caso di specie i principi fissati dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze del novembre 2008 (c.d. di San Martino nn., 26972-75), per cui in proposito si appalesa assolutamente inconferente l'asserito vizio (presumibilmente formulato ex articolo 360 n. 5 del codice di rito), però comunque senza la specifica indicazione di alcun fatto, storico e decisivo, il cui esame sarebbe stato omesso dai giudici aditi con t'interposto gravame, travisando inoltre le argomentazioni della pronuncia qui impugnata, erroneamente assumendo l'esclusione di responsabilità ex articolo 2087 c.c., laddove, come visto, in base a motivazione giuridicamente corretta, veniva escluso il danno c.d. morale avuto riguardo alle carenti allegazioni in proposito da parte attrice, mentre il danno non patrimoniale, segnatamente quello biologico, risultava già riconosciuto in via amministrativa dall'INAIL, e per cui nemmeno era stata, specificamente, allegata dall'attore la spettanza del cosiddetto danno differenziale (cioè l'ulteriore pregiudizio non coperto dalla liquidazione operata dal suddetto Istituto), donde pure la rilevata formazione del giudicato interno sul punto;
su tale giudicato nulla è stato dedotto con il ricorso, ricorso che inoltre neppure ritualmente confuta quanto rilevato dalla Corte distrettuale circa la carenza di precise e pertinenti allegazioni, con il ricorso introduttivo del giudizio, in ordine al danno morale, genericamente lamentato, sicché appaiono fuori luogo le ulteriori dissertazioni circa la portata del citato art. 2087 e la connessa responsabilità contrattuale in caso di violazione della relativa disciplina, unitamente all'esonero di responsabilità ex art. 10 T.U. n. 1124/65 e conseguenti pronunce della Corte costituzionale, visto che ad ogni modo la responsabilità delle società convenute in ordine alla causazione dell'infortunio non risulta comunque essere stata smentita dalla pronuncia di appello qui impugnata;
in relazione alle precedenti assorbenti considerazioni appaiono ancora inconferenti le ulteriori doglianze (peraltro non attinenti al vizio contemplato dall'art. 360 co. I n. 5 c.p.c., per giunta secondo la più rigorosa formulazione attualmente vigente, essendo stata la sentenza d'appello pronunciata nell'anno 2013), svolte alle pagine 18 e 19 del ricorso riguardo al preteso ancor vivo diritto ad ottenere il risarcimento del c.d. danno differenziale, se e nella misura in cui tale danno superi l'ammontare delle indennità corrisposte dall'INAIL, sicché la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale non poteva, in difetto di allegazione e deduzione di parti convenute, non essere accolte ... tant'è che il giudice del lavoro di Siracusa accoglieva il ricorso principalmente per il mancato ed integrale pagamento del danno biologico, inteso nella sua interezza, comprensivo del danno morale, mentre la Corte di Appello aveva ribaltato l'onere della prova in capo all'odierno ricorrente; pertanto, ribadito come tale censura abbia ad oggetto una quaestio juris, piuttosto che facti, perciò non sussumibile nella previsione del cit. art. 360 n. 5, appare evidente non solo la confusione dì significati tra danno biologico e morale (il primo inerente alla salute della persona, oggettivamente riscontrabile, ed il secondo alla sfera più strettamente psichica o di animo, sebbene entrambi rientrando nella più vasta categoria del danno non patrimoniale), ma anche la palese pretermissione di quanto invece già rilevato dal giudice di primo grado, circa la mancata deduzione da parte attrice, evidentemente onerata pure ex art. 2697 c.c., in ordine al danno differenziale (quello biologico o comunque non patrimoniale), con la sentenza del 2007 (perciò anteriore alle S.U. di novembre 2008), e poi anche dalla Corte d'Appello circa il giudicato, ovviamente con effetti preclusivi, formatosi al riguardo, di guisa che, applicati i principi di diritto affermati in tema di danno non patrimoniale dalle S.U. del 2008, segnatamente circa la sua tendenziale onnicomprensiva unitarietà, ed attesa la genericità del danno morale, siccome dedotta in prime cure, correttamente è stata desunta la ultroneità di quest'ultimo, ingiustificatamente ritenuto, anche per non duplicare quanto già riconosciuto, in via amministrativa, a titolo di danno biologico [v. anche Cass. III n. 10527 del 13/05/2011, secondo cui il danno non patrimoniale, pure nel caso di lesione di diritti inviolabili, non può mai ritenersi "in re ipsa", ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici. Conforme tra le altre Cass. VI civ. - 1, ordinanza n. 21865 del 24/09/2013.
Cfr. ancora Cass. sez. un. civ. n. 26972 - 11/11/2008, secondo cui, tra l'altro, il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo -posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica, come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale. Tuttavia, non è ammissibile nel nostro ordinamento l’autonc categoria di "danno esistenziale", inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona, atteso che: ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., interpretato in modo conforme a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria; ove nel "danno esistenziale" si intendesse includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all'art. 2059 cod. civ..
Infatti, il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi "previsti dalla legge", e cioè, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ.: (a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto ai risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale; (b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato ed in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento; (c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale e in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati "ex ante" dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice.
Inoltre, il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile - sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ. - anche quando non sussiste un fatto- reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: (a) che l'interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale, altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell'art. 2059 cod. civ., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile; (b); che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilità, poiché il dovere di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare
• le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza; (c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.
Quando, poi, il fatto illecito integra gli estremi di un reato, spetta alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, ivi compreso il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva causata dal reato. Tale pregiudizio può essere permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità), e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali, ma in quest'ultimo caso di esso il giudice dovrà tenere conto nella personalizzazione del danno biologico o di quello causato dall'evento luttuoso, mentre non ne è consentita una autonoma liquidazione];
il ricorso va, dunque, disatteso, con la condanna altresì della parte rimasta soccombente al rimborso delle relative spese, a favore unicamente della suddetta ANSALDOREGGIANE S.r.l. controricorrente (essendo l'altra società rimasta intimata e senza svolgere comunque alcuna difesa in suo favore), per cui sussistono anche i presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002;
 

 

P.Q.M.

 


la Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore della controricorrente in ragione di €3500,00 (tremilacinquecento/00) euro per compensi professionali ed in euro €200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Ai sensi dell'art. 13, comma l-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma l-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 18 aprile 2018