Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 07 novembre 2018, n. 50292 - Infortunio mortale durante le prove tecniche di funzionamento dell'impianto. Appalto e subappalto e mancato coordinamento tra imprese


Presidente: IZZO FAUSTO

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. F.C. e A.R. congiuntamente, O.D.P. e G.T., individualmente, ricorrono avverso la sentenza emessa il 18 novembre 2016 dalla Corte di appello di Brescia che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brescia resa il 19 febbraio 2015, riduceva la pena loro ascritta nei seguenti termini: a F.C. ad anni 1 e mesi 4; a ciascuno degli altri tre ad anni 1 e mesi otto di reclusione.
2. Ai ricorrenti tutti era ascritto il reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2, cod. pen., perché, con le condotte descritte in prosieguo, cagionavano la morte di G.I. che, insieme ad un collega, in un momento successivo alle ore 14 del 13 ottobre 2008, in cui l'impianto appariva non in funzione, si introduceva, non visto, sotto la placca di evacuazione strati per sistemare, come richiesto, i tubicini di ingrassaggio e, per l'improvvisa attivazione di questo, veniva schiacciato dal macchinario in movimento, decedendo a causa del trauma da schiacciamento al torace e connessa asfissia traumatica. Fatto avvenuto in Odolo (Bs) il 13 ottobre 2008.
a) Il F.C., in qualità di procuratore speciale della Siemens Vai Metals Technologies s.r.l., con sede in Marnate (Va), costruttrice dell'impianto ed impresa affidataria;
b) Il A.R., in qualità di assistente della medesima Siemens Vai Metals Technologies s.r.l. e responsabile dei lavori;
c) Il O.D.P., quale amministratore unico della C.V.S. Montaggi s.r.l., con sede in Gela, datore di lavoro dell'infortunato e subappaltatore dei lavori relativi alla parte idraulica dell'impianto;
d) Il G.T., quale direttore tecnico del laminatoio dello stabilimento della Ferriera Valsabbia s.p.a. di Odolo (Brescia);
per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonché inosservanza della normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro e sulla sicurezza del posto di lavoro, omettendo la committente, l'appaltatrice e la subappaltatrice, in violazione delle norme di carattere generale di cui agli artt. 15, 36 e 43 d. Lgs. n. 81/08 (TUS) e successive integrazioni e modificazioni, di fornire completa informazione ai propri dipendenti in merito ai rischi lavorativi in corso e di adottare le relative misure di prevenzione e protezione delle aree in cui doveva essere svolto il lavoro e con riferimento alle particolari situazioni di pericolo derivanti, nello specifico, del dover operare su impianto funzionante ma non produttivo, ancora in fase di messa a punto (con riguardo soprattutto all'automazione) e non essendo ancora state realizzate le installazioni di sicurezza, laddove gli organi lavoratori e trasferitori, ancorché privi di specifica protezione, erano azionabili e potevano costituire pericolo per il personale che operava nell'area; omettendosi, nel piano di sicurezza e coordinamento, redatto dal coordinatore in fase esecutiva, indicazioni specifiche circa la fase di prove tecniche di impianto e non prevedendosi, per la fase di messa a punto dell'impianto, particolari disposizioni e dispositivi di prevenzione e tutela rispetto ai rischi di infortunio benché, in quella fase, l'impianto ancora non disponesse di sistema di protezione collettiva dei lavoratori, non fossero state messe in atto misure di sicurezza oggettive e collettive a tutela degli stessi, non fosse stata predisposta segregazione delle aree interessate alle prove, non vi fossero segnalazioni che indicassero l'effettuazione delle prove, tanto meno segnali di avvertimento del pericolo, non fosse prevista, né fosse in essere, sorveglianza degli accessi alle aree coinvolte dalle prove, basandosi, il sistema di protezione dei lavoratori adottato esclusivamente sul coordinamento delle operazioni, sulla comunicazione verbale e su una verifica visiva dell'area interessata, effettuata alle ore 14.00 e non più presidiata; non prevedendo il POS della ditta subappaltatrice (CVS Montaggi s.r.l.), da cui dipendeva l'infortunato, indicazioni relative al coordinamento delle fasi esecutive dell'opera e alle possibili interferenze; omettendo nelle riunioni di coordinamento tra il coordinatore in fase esecutiva e le imprese interessate (committente e imprese appaltatrice e subappaltatrice) di concordare un protocollo operativo condiviso per la gestione della messa in esercizio dell'impianto, in rapporto con la direzione dei lavori, e, in particolare, di fornire ai lavoratori della CVS Montaggi s.r.l., tra cui la persona offesa, istruzioni adeguate sulle figure di riferimento per i lavori ancora da realizzare e i relativi comportamenti da tenere in cantiere, nonostante fosse previsto nel piano operativo della Siemens che a questa spettasse il coordinamento di tutte le ditte subappaltatrici operanti in cantiere e i rapporti con la direzione lavori e con il coordinatore del committente; omettendo, l'appaltatrice Siemens, contravvenendo pertanto a quanto previsto dal relativo POS, di comunicare preventivamente all'impesa subappaltatrice operante, CVS Montaggi s.r.l., l'inizio dei lavori relativi alle prove di funzionamento dell'impianto e di prescrivere il divieto di permanenza e di accesso ai luoghi interessati alle lavorazioni, con il risultato di un pericoloso deficit di comunicazione tra le parti a cagione del quale, nonostante le prime prove «a caldo» dell'intero impianto fossero previste e concordate tra la ferriera committente e l'appaltatrice Siemens per il 13 ottobre 2008 con inizio alle ore 14, gli operai della CVS Montaggi s.r.l., tra cui l'infortunato, ricevettero la disposizione di sostituire due tubi di ingranaggio posti sotto la placca di evacuazione a valle della cesoia dove poi è avvenuto l'incidente mortale, luogo peraltro non visibile dalla cabina di comando da dove veniva attivato l'impianto.
3.In particolare, si rimproverano agli imputati le seguenti violazioni: al F.C. dell'art. 97, comma 1, d. lgs. n. 81/08, per non aver vigilato sulla sicurezza dei lavori affidati e per aver omesso di richiedere e verificare che venissero puntualmente adottate le disposizioni impartite dal Coordinatore in sede di riunione di coordinamento, intesa questa come azione complementare al Piano di Sicurezza e Coordinamento; dell'art. 97, comma 3, d. lgs. n. 81/08, per non aver provveduto a coordinare adeguatamente gli interventi previsti dagli artt. 95 e 96 di detto decreto, in specie la cooperazione tra i datori di lavoro e i lavoratori autonomi, le interazioni con le attività che avvenivano sul luogo, all'interno o in prossimità del cantiere e l'accesso e la recinzione del cantiere, con modalità chiaramente visibili e individuabili; dell'art. 100, comma 3, d. lgs. n. 81/08, per non aver provveduto ad attuare e vigilare che venisse attuato quanto previsto nel piano operativo di sicurezza del cantiere.
Al A.R., dell'art. 100, comma 3, d. lgs. 81/08, per aver omesso di provvedere ad attuare quanto previsto nel piano operativo di sicurezza del cantiere e per il mancato coordinamento informativo con l'impresa committente e con quella appaltante;
Al O.D.P., deN'art. 95, comma 1, lett. g), d. lgs. 81/08, per non aver adottato sufficienti misure organizzative atte a garantire l'efficace collaborazione tra datori di lavoro e, comunque, per il mancato coordinamento informativo con l'impresa committente e con quella appaltante;
Al G.T., dell'art. 26, comma 2, lett. b), d. lgs. 81/08, per avere omesso, nella sua veste di direttore del reparto dove è accaduto l'infortunio, di coordinare in modo adeguato le misure di prevenzione e protezione necessarie nella fase di lavoro inerente le prove tecniche deN'impianto e per il mancato coordinamento informativo con le imprese appaltatrici e subappaltatrici. In particolare, egli non aveva adeguatamente organizzato il servizio di vedette volte ad impedire l'accesso di estranei nell'area interessata dallo svolgimento delle prove, così come invece deciso nella citata riunione di coordinamento del 2 settembre 2008.
4. Il fatto, per come riscostruito nelle sentenze di merito, può essere così riassunto:
Nello stabilimento di Odolo di Ferriera Valsabbia s.p.a. era in corso l'esecuzione dei lavori di revamping, ossia di ammodernamento, dell'impianto di laminazione di billette di acciaio. Una prima fase dei lavori, relativi alla parte di impianto corrispondente al treno di laminazione, era stata eseguita dall'appaltatrice Siemens nell'anno 2007, con consegna alla committente Ferriera Valsabbia in data 7 gennaio 2008.
Il giorno dell'incidente si stavano effettuando prove tecniche di funzionamento della parte di impianto realizzata in esecuzione della seconda fase dei lavori oggetto di appalto. Alle prove «a freddo» erano seguite prove «a caldo», con l'invio di materiale da lavorare alla parte di impianto oggetto di verifica. Dopo una sospensione nella fascia oraria tra le 12 e le 14, le prove «a caldo» riprendevano, presto arrestate tuttavia da un incaglio di materiale semilavorato in un'area dell'impianto a monte di quello successivamente teatro dell'infortunio.
A macchine ferme, mentre si operava per risolvere l'incaglio, A.C. e G.I., operai di C.V.S. Montaggi s.r.l, si introducevano nel cunicolo di ispezione per provvedere alla sostituzione di tubi di ingrassaggio, come era stato loro richiesto da D.L., giovane dipendente di Siemens che affiancava il A.R..
L'improvviso avvio delle macchine e il movimento verso l'alto di un carrello determinavano lo schiacciamento di G.I., seduto su una parte mobile della macchina, con il busto proteso in avanti contro la cosiddetta «via a rulli» costituente parte fissa della struttura, determinandone la morte.
5. I ricorrenti F.C. e A.R. articolano quattro motivi. 
5.1. Con il primo, deducono erronea applicazione dell'art. 40 cod. pen. in relazione all'art. 589 cod. pen. nonché vizio di motivazione. La sentenza del primo grado dava atto, all'esito dell'istruttoria dibattimentale, che «non è stato possibile accertare quale sa stata la causa del movimento del carrello coinvolto nell'infortunio». Al riguardo erano state formulate da un consulente tecnico delle mere ipotesi. Il tema dell'accertamento relativo all'improvviso avvio del macchinario, che ha comportato il movimento dell'impianto che ha causato la morte del lavoratore era ed è centrale ai fini di una corretta ricostruzione del nesso causale e della conseguente attribuzione delle singole responsabilità. La Corte territoriale, denunciano i ricorrenti, sullo specifico motivo di gravame si è limitata ad affermare che «[...] diversamente da quanto lamentato dagli appellanti, non si vede quale concreta incidenza possa assumere l'individuazione della precisa causa tecnica del movimento del carrello che avrebbe poi schiacciato l'infortunato, essendo comunque essa riconducibile all'utilizzazione e movimentazione del macchinario da parte dell'impresa esecutrice della prove tecniche e della Siemens s.r.l.[...]». Tale mancato accertamento avvalora l'ipotesi che il macchinario avrebbe potuto anche attivarsi e determinare l'evento mortale in qualsiasi momento e, dunque, anche nell'orario indicato quale sicuro per l'esecuzione dei lavori (dalle ore 12 alle 14).
Censurano la disamina delle diverse posizioni processuali di tal che è stata attribuita a tutti gli imputati indistintamente la responsabilità di un coordinamento informativo; così come la Corte di appello non ha motivato in ordine all'efficienza causale delle condotte ascritte al A.R. e al F.C. nella determinazione dell'evento. Alla stessa stregua, ha omesso di considerare, sotto il profilo eziologico, l'operato del personale incaricato dalla committente Ferriera Vaisebbia della sorveglianza del sito durante la movimentazione del macchinario. Sul punto, peraltro, la sentenza impugnata incorre in contraddizione nella parte in cui motiva sulla penale responsabilità del dipendente della Valsabbia, G.T., laddove afferma che «il compito di controllare possibili ingressi non autorizzati nell'area in cui erano in funzione i macchinari era stato demandato specificamente alla committente all'esito della citata riunione del 2.9.2008». È mancata, nel caso di specie, in contrasto con l'insegnamento delle Sezioni Unite (n. 38343, 24/04/2014), la considerazione della specificità del caso concreto; alla stessa stregua la sentenza non ha tenuto conto della giurisprudenza di legittimità in tema di attribuzione di responsabilità in relazione al concorso colposo tra committente ed imprese appaltatrici.
Segnalano altresì il vizio di una motivazione per relationem qualora la sentenza di appello si limiti a riprodurre, come nel caso che occupa, la decisione confermata in termini apodittici e stereotipati senza adeguatamente dar conto delle specifiche doglianze difensive.
6.2. Il secondo motivo investe il vizio di motivazione inteso anche come travisamento delle prove, in relazione alla corretta fase della lavorazione e del ruolo di Siemens, nonché del POS di detta società. Riguardo a quest'ultimo, la Corte territoriale lo ha erroneamente interpretato, né ha motivato la sua decisione sul punto. Il travisamento emerge laddove le specifiche cautele, pure previste e rispettate, non erano tuttavia riferite alla fase di lavoro in cui si è verificato l'evento mortale durante la quale Siemens non aveva più un ruolo operativo. Sul punto, la motivazione è contraddittoria in riferimento alla posizione del F.C., poiché individua la condotta omissiva allo stesso ascritta proprio nel non aver previsto nell'ambito del POS Siemens misure protettive specifiche in relazione alla fase delle prove «a caldo».
6.3. Con il terzo motivo si deduce vizio motivazionale nonché travisamento degli elementi probatori relativamente al ruolo concreto di F.C.. La Corte di appello, enfatizzando la procura notarile in atti, ha privilegiato il profilo formale a danno di quello sostanziale. Trattandosi di una azienda di grandi dimensioni, al F.C. non era demandato un ruolo di garante della sicurezza in loco.
6.4. Il quarto motivo attiene alla inosservanza o erronea applicazione degli artt. 132, 133 cod. pen. in relazione all'art. 69 cod. pen. nonché omessa motivazione, in quanto meramente apparente, in riferimento alla mancata concessione delle circostanze generiche in termini di prevalenza rispetto alla contestata aggravante.
7. G.T. solleva quattro motivi di ricorso.
7.1. Con il primo, deduce erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 2,18 e 26 d. lgs. n. 81/2008 per avergli la sentenza impugnata attribuito la posizione di garanzia del datore di lavoro in mancanza dei presupposti previsti dalla legge e della concreta assunzione della posizione di garanzia. La sua unica attività è consistita nell'impartire al personale dipendente di Ferriera Valsabbia l'incarico di impedire l'accesso al cantiere a personale estraneo. Dette indicazioni gli erano state impartite dal proprio datore di lavoro, ing. P.L. (imputato poi assolto). L'errore in cui è incorsa la Corte di merito sta nell'averlo reputato onerato, quale dirigente ex art. 18 d. lgs. n. 81/2008, di assumere iniziative ulteriori rispetto all'attuazione delle direttive che il datore di lavoro e il coordinatore per la sicurezza avevano dato. L'art. 2, lett. d), del citato T.U. definisce il dirigente come «persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa». Per altro verso, tuttavia, l'art. 18 del citato T.U. prevede l'estensione ai dirigenti degli obblighi del datore di lavoro «nei limiti delle attività che i medesimi organizzano» e «secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite». Nel caso di specie, il compito del ricorrente era circoscritto ad evitare che soggetti estranei e non autorizzati accedessero al cantiere. La sentenza di appello non contiene cenno alcuno all'accertamento e alla prova della sussistenza in capo al G.T. di effettivi e autonomi poteri di organizzazione del reparto e del lavoro dei dipendenti, tali da configurare in capo al medesimo la posizione di garanzia prevista per i dirigenti dal citato art. 18.
7.2. Con il secondo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione in ordine all'attribuzione di responsabilità per impianto non consegnato e non funzionante desunta da documentazione organizzativa inerente la committente e la produzione in contrasto con il certificato di consegna dell'impianto, la relazione del c.t. ing. B. e l'esame del coimputato assolto ing. P.L..
È vero che nel POS, sottoscritto dalla Siemens e dalla Ferriera il nome dell'ing. G.T. risulta indicato accanto alla specifica qualifica di Direttore Tecnico di produzione ma, per assumere la direzione della produzione, è necessario che l'impianto sia in grado di produrre. In ogni caso, è pacifico che al momento dell'infortunio non fosse in corso alcuna produzione perché questa non poteva effettuarsi in una parte di impianto non completata né consegnata.
Alla data dell'infortunio, pertanto - la parte finale dell'impianto non essendo ancora ultimata e consegnata alla committente - la responsabilità in merito alla stessa gravava ancora in capo all'appaltatrice e costruttrice Siemens. A quella data il G.T. svolgeva le funzioni d direttore tecnico di laminatoio in relazione alla parte di laminatoio già consegnata da Siemens il 7 gennaio 2008 e non alla parte di laminatoio in cui ha perso la vita il lavoratore.
7.3. Col terzo motivo si censura il vizio di motivazione in relazione all'attribuzione al G.T. del compito di interdire all'infortunato l'accesso al cantiere, in contrasto con la deposizione di P.L.. Ribadisce che l'imputato aveva dato esecuzione a specifiche direttive impartitegli dal suo datore di lavoro, P.L..
7.4. Con il quarto motivo deduce erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 133 cod. pen. La pena inflitta è eccessiva se rapportata al minimo grado della colpa eventualmente ravvisabile. La valutazione del Giudice di appello, anche sotto questo aspetto, non ha differenziato, come avrebbe dovuto, il diverso contributo causale dei singoli imputati.
8. O.D.P., con un unico motivo, deduce vizio motivazionale e violazione di legge. La Corte di appello ha disinvoltamente liquidato la questione proposta sulla esistenza di un responsabile della sicurezza nella persona di O.D.P. Emilio (persona diversa dall'odierno ricorrente). Sul punto, la Corte si è limitata ad osservare che l'imputato ha sottoscritto personalmente il POS della CVS Montaggi s.r.l. e come la nomina del responsabile per la sicurezza «non equivalga certo ad una delega esclusiva circa gli obblighi inerenti il rispetto delle norme preventive antinfortunistiche». La sottoscrizione del POS, da parte dell'imputato, non equivale né a specifica revoca del già nominato responsabile della sicurezza né ad assunzione di personale responsabilità in capo al soggetto che l'ha sottoscritto.
Esisteva inoltre un rapporto di distacco, così come disciplinato dall'art. 30 del d.lgs. n. 276/2003. Il lavoratore infortunato era pertanto soggetto alle disposizioni di Siemens e, per essa, di A.R., gravando appunto sul distaccatario l'organizzazione della prestazione lavorativa.
La prestazione originaria di CVS Montaggi, oggetto di un contratto con Somin s.r.l. si era già compiuta ed esaurita nel settembre 2008. Il nuovo rapporto richiesto da Siemens riguardava l'esecuzione di eventuali modifiche e la successiva manutenzione.

 

Diritto

 


1. I ricorsi sono tutti infondati e devono, pertanto, essere rigettati.
2. La motivazione della Corte di appello di Brescia si sostanzia in un apparato esplicativo puntuale, coerente, completo, privo di discrasie logiche e del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico esperito dal Giudice che ha preso in esame tutte le deduzioni difensive, pervenendo alla decisione attraverso un itinerario logico-giuridico in alcun modo censurabile.
La Corte territoriale ha rilevato che i profili di colpa generica e di colpa specifica ravvisati a carico degli imputati, in diretto rapporto causale con l'evento letale, traggono tutti principale origine dalle carenti condizioni di sicurezza in cui era stato consentito al lavoratore di operare sull'impianto, sia in relazione alla mancanza di misure idonee a segnalare il rischio di movimento dei macchinari e a rilevare la presenza del lavoratore sia con riferimento al momento pericoloso in cui il medesimo aveva operato. Difettava, invero, a monte una puntuale disciplina delle modalità di conduzione delle prove tecniche di funzionamento dell'impianto in condizioni di sicurezza e di attuazione di un effettivo ed efficace coordinamento tra tutte le imprese coinvolte.
Esattamente il Giudice di appello osserva come incombesse alle imprese direttamente impegnate nell'esecuzione delle prove sull'impianto l'obbligo di coordinarsi e di cooperare per informare i lavoratori di ciascuna impresa dei rischi specifici cui la prestazione lavorativa, in concomitanza con le prove tecniche, li esponeva e per l'attuazione di misure preventive e protettive. Trattandosi di lavori da eseguirsi da più ditte, vi era la necessità di un adeguato coordinamento fra i vari responsabili e di un'attenta, persistente vigilanza da parte loro, al fine di assicurare la sicurezza delle lavorazioni. Il decreto legislativo n. 81/08 ha disegnato un'efficace rete di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, assegnando ruoli di prevenzione e di garanzia a tutte le figure apicali presenti nei cantieri mobili o temporanei, non esimendo dalla propria responsabilità alcuna delle figure datoriali o in posizione di garanzia, a fronte della presenza di altri corresponsabili, rimanendo tutti coinvolti nella diuturna ed efficace ottemperanza alle norme di legge. La Corte d'appello illustra come, nel caso di specie, mancarono sia l'anzidetto coordinamento che la persistente e adeguata vigilanza.
3. Ferriera Valsabbia s.p.a. aveva appaltato a Siemens s.r.l. le opere di smontaggio, fornitura e montaggio meccanico ed elettrico necessarie per l'ammodernamento dell'impianto di laminazione. Nell'ambito dell'oggetto di questo appalto, Siemens aveva subappaltato a Somin s.r.l. il montaggio dei componenti meccanici e, a propria volta, Somin aveva ulteriormente subappaltato a M.M. Montaggi Industriali e a C.V.S. Montaggi s.r.l. la realizzazione delle opere idrauliche.
4. Il sistema di sicurezza di cui al d. lgs. n.81/2008 si configura come procedimento di programmazione della prevenzione globale dei rischi e tale logica sottende anche alla gestione dei rischi in caso di compresenza di più imprese o di lavoratori autonomi coinvolti nei lavori che si svolgono, in successione o contestualmente, all'interno di una stessa area. Esiste, invero, l'obbligo di collaborare all'attuazione del sistema prevenzionistico globalmente inteso, sia mediante la programmazione della prevenzione concernente i rischi specifici della singola attività, rispetto ai quali la posizione di garanzia permane a carico di ciascun datore di lavoro, sia mediante la cooperazione nella prevenzione dei rischi generici derivanti dall'interferenza tra le diverse attività, rispetto ai quali la posizione di garanzia si estende a tutti i datori di lavoro ai quali siano riferibili le plurime attività coinvolte nel processo causale da cui ha tratto origine l'infortunio (Sez. 4, sent. n. 5420 del 15/12/2011, Intrevado; Sez. 4, sent. n. 36605 del 5/05/2011, Giordano; Sez.4, sent. n. 3211del 25/03/2011, D'Acquisto).
Per interferenza deve intendersi non il solo contatto fisico, ma tutto quel complesso di attività preventive che le imprese che convivono in un certo luogo di lavoro devono compiere per evitare gli infortuni. Spetta al giudice di merito chiarire, preliminarmente, se una determinata attività abbia dato luogo ad un rischio interferenziale, in relazione al contesto spaziale e lavorativo in cui si è verificato l'evento, alla convergenza delle attività di lavoratori dipendenti dalle varie imprese presenti sul cantiere che può essere fonte di ulteriori rischi per i lavoratori di tutte le imprese coinvolte, non solo per il contatto rischioso tra lavoratori di imprese diverse che operano nel medesimo luogo di lavoro, ma anche per la coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni (Sez.4, sent. n.30557, del 07/06/2016, Rv.267687; Sez.4, sent. n.44792 del7/06/2015, Rv.264957; Sez.4, sent. n.36398 del 23/05/2013, Mungiguerra).
È altresì opportuno, qui, richiamare una pronuncia di questa Sezione (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Lovison, Rv. 254094) che ha fornito un analitico quadro delle attuali posizioni di garanzia nel sistema della sicurezza del lavoro, sottolineando come le stesse si conformino intorno all'idea centrale di rischio. La vigente tutela penale dell'Integrità psicofisica dei lavoratori risente, infatti, della scelta di fondo del legislatore di attribuire rilievo dirimente al concetto di prevenzione dei rischi connessi all'attività lavorativa e di ritenere che la prevenzione si debba basare sulla programmazione del sistema di sicurezza aziendale nonché su un modello «collaborativo» di gestione del rischio da attività lavorativa. Sono stati, così, delineati i compiti di una serie di soggetti - anche dotati di specifiche professionalità - nonché degli stessi lavoratori, funzionali ad individuare ed attuare le misure più adeguate a prevenire i rischi connessi all'esercizio dell'attività d'impresa. Le forme di protezione antinfortunistica, dopo l'entrata in vigore dei decreti d'ispirazione comunitaria, tendono, in altre parole, principalmente a minimizzare i rischi bilanciando gli interessi connessi alla sicurezza del lavoro con quelli che vi possano entrare in potenziale contrasto. Ne discende una diversa prospettiva dalla quale il giudice del merito è tenuto ad accertare la sussistenza delle posizioni di garanzia e le, conseguenti, responsabilità penali per omissione di dovute cautele; se il recente sistema di sicurezza aziendale si configura come procedimento di programmazione della prevenzione globale dei rischi, si tratta, in sostanza, di ampliare il campo di osservazione dell'evento infortunistico, ricomprendendo nell'ambito delle omissioni penalmente rilevanti tutti quei comportamenti dai quali sia derivata una carente programmazione dei rischi. In coerenza con tale diversa prospettiva, si rinviene nella giurisprudenza di legittimità il principio interpretativo secondo il quale la posizione di garanzia attribuita dalla legge al committente ed al responsabile dei lavori - figura, quest'ultima, incarnata da A.R. - comprende l'esecuzione di controlli non formali ma sostanziali ed incisivi in materia di prevenzione, di sicurezza del luogo di lavoro e di tutela della salute del lavoratore.
Questa Sezione ha recentemente riaffermato il principio che nei luoghi di lavoro (Sez. 4, sent. n. 25133 del 17.05.2018, Spinazzola ed altri) che prevedano il concorso di più imprese esecutrici la definizione dei relativi compiti e della connessa sfera di responsabilità discende anche dalla funzione di vigilanza generale che la legge demanda allo stesso committente e, per suo conto, al responsabile dei lavori. In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, infatti, il committente, che è il soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta e finanzia un'opera, è titolare ex lege di una posizione di garanzia che integra ed interagisce con quella di altre figure di garanti legali (datori di lavoro, dirigenti, preposti, etc.) e può designare un responsabile dei lavori, con un incarico formalmente rilasciato, accompagnato dal conferimento di poteri decisori, gestionali e di spesa, che gli consenta di essere esonerato dalle responsabilità sia pure entro i limiti dell'incarico medesimo, ferma restando la sua piena responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, del fascicolo di protezione dai rischi e per la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento del suo incarico e sul controllo delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza ( Sez. 4, sent. n. 37738 del 28/05/2013, Gandolla e altri).
Ne consegue che al committente e al responsabile dei lavori non è attribuito dalla legge il compito di verifiche meramente formali, ma una posizione di garanzia particolarmente ampia, comprendente l'esecuzione di controlli sostanziali ed incisivi su tutto quel che concerne i temi della prevenzione, della sicurezza del luogo di lavoro e della tutela della salute del lavoratore (Sez. 4, n. 14012 del 12/02/2015, Zambelli, Rv. 263014).
5. In particolare, quanto al ricorso proposto congiuntamente da F.C. e A.R., il Collegio rileva che, con motivazione congrua e completa e dunque incensurabile, la sentenza di appello ha illustrato le ragioni del ruolo e degli obblighi facenti capo a Siemens s.r.l. in qualità di società affidataria dei lavori. Il giorno dell'infortunio erano in corso prove tecniche di funzionamento della parte di impianto realizzata in esecuzione della seconda fase dei lavori oggetto di appalto.
La sentenza di appello, con motivazione corretta e congrua, confuta l'assunto difensivo sulla estraneità di Siemens s.r.l. secondo la quale alla predetta non poteva ascriversi alcuna posizione di garanzia avendo ultimato i lavori di installazione delle macchine e consegnato l'opera alla committente ed essendosi unicamente limitata a garantire una mera prestazione di assistenza successiva per gli interventi che fossero apparsi necessari nel corso di una verifica di funzionamento condotta in piena autonomia dalla stessa committente.
L'argomento è smentito dalla stessa esecuzione delle prove che comportava la collaborazione tra la committente Ferriera Valsabbia s.p.a. - la quale aveva alle proprie dipendenze operai addetti al reparto di laminazione in grado di impartire i comandi alle macchine, di osservarne il funzionamento e di rilevarne eventuali difetti - e l'impresa appaltatrice, Siemens s.r.L, la quale doveva procedere all'avviamento, a freddo e a caldo, dell'impianto prima del collaudo dell'opera. L'appaltatrice Siemens continuava pertanto a rivestire una piena posizione di garanzia che la rendeva responsabile del rispetto della normativa antinfortunistica.
Al riguardo, l'impugnata sentenza sottolinea come nel P.O.S., sottoscritto dai responsabili di Siemens Vai Metals Technologies impresa esecutrice dei lavori, e dell'impresa committente Ferriera Valsabbia s.p.a., fossero stati specificamente elencati compiti in materia di prevenzione infortuni incombenti sulla Siemens, tra i quali quello di mettere in opera tutte le misure di sicurezza. In particolare, al A.R. era anche demandato il compito di «attuare tutte le istruzioni operative dirette ad assicurare concretamente, nelle varie fasi di esecuzione dei lavori, il pieno rispetto di leggi e regolamenti in materia di igiene del lavoro e di prevenzione infortuni» nonché di «incaricare dei compiti di vigilanza altro lavoratore tecnicamente capace, in caso di temporanea assenza dal luogo di lavoro e di situazioni pericolose per la salute la integrità fisica dei lavoratori».
5.1. Sulla doglianza del mancato accertamento della causa dell'infortunio, la Corte territoriale l'ha reputata irrilevante stante che l'infortunio è stato cagionato da oggettive, plurime, carenze in tema di sicurezza che l'impugnata sentenza affronta esaustivamente in relazione ad ogni singola posizione. Nessuna incidenza, in termini di ricostruzione causale, avrebbe dunque avuto l'invocato accertamento. L'apparato argomentativo a supporto della decisione rende piena ragione della mancata acquisizione delle prove richieste dalle parti.
Se è vero, infatti, che il diniego dell'assunzione di una prova deve essere spiegato dal decidente, la relativa motivazione, sulla quale, entro i limiti di cui all'art 606, lett. e) cod. proc. pen., è esercitarle il controllo di legittimità, può anche desumersi, per implicito, dal complessivo tessuto argomentativo, qualora il giudice abbia dato comunque conto dei motivi in forza dei quali egli abbia ritenuto di poter decidere senza ulteriori apporti istruttori. E certamente non può sostenersi, sulla base dell'ampia motivazione fornita dalla Corte territoriale in merito alle rispettive responsabilità sulla causazione dell'infortunio mortale, che sul punto il supporto giustificativo sia carente.
I rilievi appena formulati si iscrivono nel più ampio orizzonte della tematica inerente la motivazione implicita, ammessa dalla giurisprudenza di legittimità, nel senso che il giudice di merito, per giustificare la decisione, non deve prendere in esame tutte le tematiche prospettate e le argomentazioni formulate dalle parti ma solo quelle ritenute essenziali per la formazione del suo convincimento, dovendosi considerare implicitamente disattese, alla stregua della struttura argomentativa della sentenza, le prospettazioni di parte non menzionate. In sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione formulata con il gravame allorché la stessa debba considerarsi disattesa sulla base della motivazione della sentenza, complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione, non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca implicitamente alla reiezione della deduzione difensiva. Sicché, ove il provvedimento indichi, con adeguatezza e logicità, come nel caso in disamina, quali circostanze ed emergenze processuali si siano rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l'individuazione dell'iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del vizio di motivazione addotto dai ricorrenti.
Con motivazione specifica, coerente e logica, la Corte del merito ha dato conto, rispetto a ciascun profilo dei titolari delle posizioni di garanzia, delle gravi carenze rispetto alla normativa prevenzionale in materia di sicurezza del lavoro e di gestione del rischio interferenziale.
5.2. I due operai «tubisti», A.C. e G.I., erano stati lasciati a disposizione di Siemens s.r.l. dal loro datore di lavoro, O.D.P., legale rappresentante di C.V.S. Montaggi s.r.l., dopo il suo allontanamento dal cantiere, alcuni giorni prima dell'infortunio, essendo state completate le opere idrauliche oggetto della commessa a detta società.
Diversamente da quanto assumono i ricorrenti, la Corte del merito ha ben illustrato le specifiche, individuali, responsabilità in riferimento ai rispettivi ruoli e posizioni. Vengono, infatti, definite le qualifiche e le attività svolte dai diversi imputati; e vengono descritte le condotte che si assumono rilevanti ai fini dell'individuazione della responsabilità di ciascuno.
5.3. Quanto a F.C., la sentenza di appello evidenzia come la sua responsabilità discenda dal fatto che né il Piano di Sicurezza e Coordinamento né il Piano Operativo di Sicurezza di Siemens s.r.l. contemplavano misure organizzative e di protezione specifiche per la fase di esecuzione delle prove tecniche, difettando, quindi, a monte una puntuale disciplina delle modalità di conduzione delle prove tecniche di funzionamento dell'impianto in condizioni di sicurezza e di attuazione di un effettivo coordinamento tra tutte le imprese coinvolte. Se questo coordinamento delle imprese coinvolte fosse stato efficacemente e doverosamente attuato l'infortunio non si sarebbe verificato. La procura speciale notarile, conferita dalla società Siemens al F.C. gli attribuiva piena responsabilità in ordine agli adempimenti prescritti dalle leggi, regolamenti e disposizioni vigenti in tema di igiene e sicurezza sul lavoro. Né, ricorda la Corte di appello, può essere pretermessa la circostanza che l'imputato era stato espressamente indicato nel POS sottoscritto da Siemens s.r.l. quale «responsabile per la sicurezza». Privo di pregio giuridico appare, pertanto, la considerazione difensiva che il giudice di appello avrebbe privilegiato il profilo formale (della procura notarile) rispetto ad un supposto profilo sostanziale.
5.4. Quanto alla responsabilità di A.R., la sentenza di appello, altresì richiamando la condivisa pronuncia del primo grado, ricorda come il A.R., assistente e direttore dei lavori per conto di Siemens s.r.l. e, pertanto, titolare di una posizione di garanzia, si sia limitato ad una insufficiente comunicazione (al dipendente «anziano» della C.V.S. Montaggi s.r.l., F.P.) che l'impianto sarebbe stato fermo nella fascia oraria di sospensione delle prove, tra le 12:00 e le 14:00, non adottando, come invece avrebbe dovuto, sufficienti misure preventive atte ad impedire di esporre a pericolo l'incolumità dei lavoratori; come nel P.O.S., sottoscritto dai responsabili dell'impresa esecutrice dei lavori Siemens s.r.l. e dell'impresa committente Ferriera Valsabbia s.p.a., fossero stati specificamente elencati i compiti in materia di prevenzione infortuni incombenti sulla Siemens s.r.l., tra i quali quello di mettere in opera tutte le misure di sicurezza. In particolare, il P.O.S. affidava al A.R., nell'anzidetta sua qualità, il compito di «attuare tutte le istruzioni operative dirette ad assicurare concretamente, nelle varie fasi di esecuzione dei lavori, il pieno rispetto di leggi e regolamenti in materia di igiene del lavoro e di prevenzione infortuni», nonché di «incaricare dei compiti di vigilanza altro lavoratore tecnicamente capace, in caso di temporanea assenza dal luogo di lavoro e di situazioni pericolose per la salute e l'integrità fisica dei lavoratori». A.R., sostiene la Corte territoriale, nel fornirgli la citata scarsa informazione, non avvertì il F.P. di un vero e proprio divieto di permanenza nel cunicolo per eseguire i lavori di manutenzione al di fuori di quella predetta fascia oraria, omettendo altresì di rappresentare al medesimo lo specifico pericolo per la stessa incolumità fisica dei manutentori. E che la comunicazione del A.R. sia stata del tutto inadeguata e carente è anche dimostrato dal fatto, riportato in sentenza, che D.L., giovane assistente che da lui riceveva gli ordini da impartire ad G.I. e A.C. in ordine all'intervento manutentivo da eseguire, ha riferito di non essere stato a conoscenza della circostanza che, quel giorno, sarebbero state eseguite le prove e di non aver neppure spiegato ai due tubisti l'orario entro il quale avrebbe dovuto essere eseguita l'opera di manutenzione. Compito, spiega la sentenza, che non spettava di certo a lui, che, per la giovane età e la mancanza di esperienza, non disponeva del potere di impartire ai tubisti disposizioni specifiche inerenti i tempi e le modalità di esecuzione dei lavori, tanto meno di istruirli su problematiche attinenti la sicurezza.
Il contributo causale di A.R. alla produzione dell'evento dannoso è consistito, quindi, secondo la Corte di appello, nell'omissione di una corretta informazione da parte di A.R. ai dipendenti di C.V.S. Montaggi s.r.l. circa l'intervallo temporale di sospensione delle prove tecniche entro il quale si sarebbe dovuta confinare l'esecuzione dell'intervento idraulico loro richiesto e nella concorrente omissione di idonee segnalazioni delle prove. In conclusione, sullo specifico punto della responsabilità del A.R., la sentenza impugnata ha argomentato in modo specifico, completo, esente da vizi. Il vizio motivazionale che, ai sensi dell'art 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen, legittima il ricorso per cassazione implica che il ricorrente dimostri l'assoluta carenza oltre che la illogicità dell'iter argomentativo seguito dal giudice. Una volta che questi abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che gli atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U., sent. n. 30, 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903). La verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza della motivazione di una sentenza non può infatti essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. Né la Corte Suprema può esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e sull'attendibilità delle fonti di prova, giacché esso è attribuito al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che, come nel caso in disamina, il processo formativo del libero convincimento del giudice non abbia subito il condizionamento derivante da una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un'imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova ( Sez. U. , sent. n. 2110 del 23/11/1995 - dep. il 23/02/1996, Fachini e altri, Rv. 203767). Dedurre infatti vizio di motivazione della sentenza significa dimostrare che.essa è manifestamente carente di logica e non già opporre alla ponderata ed argomentata valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, che si assume altrettanto o ancor più ragionevole (Sez. U., sent. n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621).
6.2. Parimenti infondato è l'assunto difensivo sulle apoditticità della motivazione per essersi questa integralmente riferita alla sentenza di primo grado senza dar conto delle specifiche doglianze difensive. Premesso che costituisce ius receptum, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio dell'integrazione delle sentenze di primo e di secondo grado, che ben possono confluire in un corpus unico, cui il giudice di legittimità può fare riferimento, a condizione che, come nel caso in esame, le due pronunce abbiano adottato criteri omogenei e un apparato logico-argomentativo uniforme (ex multis, Sez. 3, n.44418 del 16/07/2013, Rv. 257595), il Collegio osserva che la motivazione della Corte di appello di Brescia, oltre a richiamare le puntuali, esaustive, considerazioni del primo Giudice, ha dedicato una più diffusa e dettagliata disamina alle deduzioni difensive sollevate per la prima volta in appello.
6.3. Il quarto motivo è ancll'esso infondato, avendo la Corte comunque dato conto delle ragioni che l'hanno indotta a non valutare in termini di prevalenza le circostanze attenuanti generiche. Anche questa doglianza, peraltro, deve considerarsi implicitamente disattesa, alla stregua della adeguata struttura argomentativa della sentenza, risultando pertanto il relativo giudizio non censurabile in sede di legittimità.
7. Venendo alla posizione di G.T., la sentenza di appello ricorda come la sua qualifica di direttore tecnico del laminatoio di Ferriera Valsabbia s.p.a. emerga pacificamente dai documenti in atti, in specie dalla relazione della ASL del 24.10.2008 e dal POS sottoscritto dalla Siemens s.r.l. e dalla Ferriera, senza peraltro alcuna distinzione in ordine alle parti di laminatoio su cui l'imputato avrebbe dovuto esercitare tale funzione. La Corte del merito bene illustra come il ricorrente non abbia organizzato in maniera adeguata il servizio di vedette - di cui pure era stato espressamente incaricato nella citata riunione di coordinamento del 2 settembre 2008 - risultato carente sia in riferimento al periodo durante il quale sarebbe dovuto essere eseguito sia in riferimento all'individuazione dei soggetti estranei al cantiere da allontanare. Evidenzia, in particolare, come il G.T. si fosse «preoccupato soltanto di impartire la disposizione di verificare che i soggetti non fossero presenti in concomitanza con l'inizio delle prove tecniche di funzionamento, non già durante la loro esecuzione, finendo per esporre a rischio l'incolumità dei lavoratori laddove questi ultimi si fossero pericolosamente inseriti in occasione delle sospensioni dei movimenti dei macchinari», come appunto avvenuto nel caso in esame. Specifica altresì come la semplice indicazione, da parte del direttore tecnico, di un orario in cui si sarebbero effettuate le prime prove di laminazione completa non era di certo sufficiente ad impedire che contemporaneamente si svolgessero le attività di manutenzione e le prove di funzionamento. E che il G.T. fosse a conoscenza della necessità di intervenire sull'impianto per evitare malfunzionamenti risulta accertato, come si legge nella sentenza di appello, anche dalla testimonianza di D.V. il quale ricorda come a sorvegliare l'impianto vi fosse anche l'imputato. Detta specifica consapevolezza, in capo al ricorrente, della necessità di sostituire il tubo idraulico avrebbe dovuto indurlo a ravvisare l'inadeguatezza delle misure adottate per segnalare e prevenire la presenza dei lavoratori manutentori durante le prove.
L'imputato rivestiva la qualifica di direttore tecnico del laminatoio, del reparto cioè in cui è avvenuto l'infortunio: a lui, quindi, spettava di coordinare in modo adeguato le misure di prevenzione e protezione necessarie nella fase di lavoro inerente le prove tecniche dell'impianto. Egli era titolare di una autonoma posizione di garanzia in considerazione del suo ruolo dirigenziale ed effettivo. Il direttore tecnico, figura dirigenziale, invero, è direttamente portatore di un proprio livello di gestione e responsabilità che, per quel che qui interessa, riguarda anche l'organizzazione generale della sicurezza del reparto a lui affidato. Tale livello di responsabilità è stato in concreto, seppur malamente, gestito nei modi che la sentenza di appello ha esaustivamente descritto.
Alla luce delle anzidette considerazioni, appare pertanto del tutto infondato l'assunto difensivo secondo cui la Corte di merito, erroneamente, lo avrebbe reputato onerato, quale dirigente ex art. 18 d. lgs. n. 81/2008, di assumere iniziative ulteriori rispetto all'attuazione delle direttive che il datore di lavoro e il coordinatore per la sicurezza gli avevano dato, stante che la responsabilità del ricorrente è stata ben individuata, in particolare, nella inadeguata gestione del servizio di vedette che gli era stato appositamente affidato.
Quanto alla doglianza in ordine al trattamento sanzionatorio, non può che rimandarsi alle medesime considerazioni già svolte al riguardo dei coimputati F.C. e A.R..
8. Per quanto concerne O.D.P., datore di lavoro dell'infortunato e subappaltatore dei lavori relativi alla parte idraulica dell'impianto, l'unico motivo proposto è infondato per le ragioni di cui si dirà a breve. La Corte di appello di Brescia ricorda che il ricorrente ha sottoscritto il P.O.S. della C.V.S. Montaggi s.r.l., quale direttore tecnico di impresa, direttore tecnico di cantiere e capocantiere. La verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e correttezza della motivazione di una sentenza non può essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. Né la Corte Suprema può esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e sull'attendibilità delle fonti di prova, giacché esso è attribuito al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti e complete, sono incensurabili in sede di legittimità.
Quanto all'invocato rapporto di distacco, correttamente la motivazione avversata reputa decisiva la evidenziata circostanza che l'esecuzione dei lavori non poteva considerarsi ultimata prima della verifica di funzionamento dei macchinari, per la semplice ragione che tale verifica avrebbe potuto rivelare - come accaduto nel caso di specie - un'esecuzione di interventi idraulici non a regola d'arte ovvero incongruenza con componenti meccaniche. Vero è poi, come ricorda la Corte territoriale, che l'asserito distacco non risulta documentato in alcun modo, non essendovi passaggio di consegna o qualsiasi scambio di informazione tra la C.V.S. MONTAGGI e la Siemens né alcun elemento che provi gli adempimenti amministrativi correlati al distacco dei dipendenti presso altra impresa (quali, ad esempio, la comunicazione del distacco del lavoratore, del nome e della sede operativa della ditta distaccataria e la relativa registrazione).
Trattasi, come si vede, di una motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e del tutto idonea a a soddisfare i requisiti di completezza e di adeguatezza.
In caso di subappalto di lavori, ove questi si svolgano nello stesso cantiere predisposto dall'appaltatore, in esso inserendosi anche l'attività del subappaltatore per l'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, e non venendo meno l'ingerenza dell'appaltatore e la diretta riconducibilità a lui dell'organizzazione del comune cantiere, sussiste la responsabilità di entrambi tali soggetti in relazione agli obblighi antinfortunistici, alla loro osservanza ed alla dovuta sorveglianza al riguardo. Le regole di prudenza e le norme di prevenzione vincolano permanentemente i destinatari in ogni fase del lavoro, senza che sia possibile configurare vuoti normativi o di responsabilità in relazione a particolari operazioni da compiere in situazioni obiettivamente pericolose. Le misure di sicurezza infatti, devono essere mantenute e predisposte, sia pure con diverse modalità, prima e durante ciascuna fase del processo, ove sussistano situazioni di pericolo per i lavoratori [Sez. 4, sent. n. 19487 del 05/11/2013 Ud. (dep. 12/05/2014 ), Tolot a altro, Rv. 262350].
Nell'ipotesi in cui due soggetti si accordino al fine di porre in essere un subappalto per l'esecuzione di un'opera parziale e specialistica all'interno di un cantiere già predisposto dall'appaltatore, quest'ultimo non cessa di essere investito dei poteri direttivi generali propri della sua funzione ed a ciò segue, in via immediata, la sussistenza di una sua diretta responsabilità per il caso in cui si verifichi un infortunio in danno di un lavoratore, o la morte dello stesso come nel caso oggetto della pronuncia in commento.
Tale responsabilità va ad associarsi a quella del subappaltatore in relazione agli obblighi inerenti la predisposizione delle misure antinfortunistiche, compresa la dovuta sorveglianza sul rispetto di quelle poste in essere e l'osservanza al riguardo da parte di tutti i lavoratori (in tal senso si vedano, tra le altre: Sez., 4, 20/04/2006, n. 21471; sez. 4, 27/05/2004, n. 32943). 
E tale circostanza, stando a quanto si evince dal testo della sentenza, sembra essersi perfettamente integrata nel caso di specie, in cui le due imprese cooperavano alle prove di funzionamento dell'impianto.
In conclusione sul punto, deve quindi riaffermarsi che appaltatore e subappaltatore sono entrambi responsabili delle conseguenze derivanti dalla violazione delle rispettive posizioni di garanzia, che si affiancano a quelle degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche, senza sostituirle (in senso conforme Sez. 4, sent. n. 38002 del 09/07/2008, Abbate Rv. 241217).
9. Tutti i ricorsi sono dunque infondati e, come tali, vanno rigettati. Al rigetto segue ex lege la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Segue altresì la condanna di O.D.P. alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili OMISSIS che liquida in euro 2.500,00 per ciascuna parte civile, oltre accessori come per legge.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna inoltre O.D.P.  alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile OMISSIS, che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile OMISSIS, che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 16 maggio 2018